Aprosio, in varie occasioni fu tacciato di antifemminismo e misoginia storicamente legate in modo principale pur se non esclusivo alla sua polemica su femminismo ed antifemminismo con suor Arcangela Tarabotti (postazioni ideologiche peraltro esasperate soprattutto nella giovanile formazione veneziana e seppur parzialmente destinate ad un ridimensionamento negli ultimi anni salvo casuali e momentanei rigurgiti di rabbia, volti però quasi sempre verso la "mai veramente perdonata" Tarabotti). Negli ultimi anni della sua vita trovò anzi conforto proprio in una donna letterata, la poetessa Camilla Bertelli Martini che, nata a Roma, aveva poi sposato un Martini appartenente ad una fra le più nobili famiglie di Nizza, città in cui prese a risiedere, recandosi poi frequentemente a visitare la biblioteca Aprosiana sia per consultarne i rari volumi sia per contattare direttamente Angelico da lei ammirato come nome illustre della cultura italiana del tempo. Peraltro la casata Martini di Nizza aveva parecchi interessi economici in Ventimiglia: la Bertelli Martini, dapprima da sola e poi insieme al dotto figlio Giovanni Francesco Martini
, ebbe occasione di conoscere la “Libraria intemelia” ed il suo prestigioso custode in occasione dei soggiorni estive che faceva nella sua “villeggiatura di Latte”, dove cioè la sua nobile famiglia possedeva una residenza agreste idonea per le vacanze e per sfruttare la quiete e l’ottimo clima del luogo. Proprio nella prebenda o proprietà episcopale di Latte, già attraversata dalla imperiale via romana Iulia Augusta e caratterizzata dal periodico rinvenimento di reperti d'una classicità che induce a pensare che anche ai temi di Roma questa area ospitasse belle ville extraurbane dei ceti magnatizi locali la colta signora ebbe occasione di contattare l’Aprosio, ivi convocato (forse su sua richiesta) dal vescovo di Ventimiglia Mauro Promontorio (1654-1685). Non è però da escludere che lo stesso Aprosio abbia caldeggiato l’incontro indotto dalla fama di letterata della donna citata in modo lodevole da Prospero Mandosio nella sua Biblioteca Romana (p.139) in cui viene definita autrice di una raccolta di poesie dal titolo Italicorum Carminum Volumen, posseduto e letto da Angelico.Antonio Magliabechi, irritato ufficialmente dal fatto che la Schurman, definita la “Saffo di Colonia” (ma anche "La Minerva olandese" o "la stella di Utrecht")
, si era nel frattempo fatta seguace di Jean Labadie (vedi) che aveva fondata una setta ereticale quella per alcuni aspetti anticipatrice del pietismo e del quietisti" dal nome del fondatore denonominata “ labadismo (clicca qui per approfondire)”. Aprosio, per suo conto, aveva invece sempre nutrito nei riguardi della Schurman una sincera ammirazione, pubblicamente espressa, addirittura, come qui si legge entro le pagine dell'opera sua più misogina vale a dire lo Scudo di Rinaldo I del 1647 (ammirazione che nella stessa opera recuperò citando la poliedrica letterata entro il suo Catalogo delle Donne Letterate) : del resto dalle epistole aprosiane, per quanto esaminato, non si evince ( nonostante la postazione di Vicario dell'Inquisizione e la sicura aprosiana consapevolezza che un'opera di Jean Labadie, cui la Schurman aveva legato il suo destino, era già stata posta all' "Indice dei Libri Proibiti" ) una damnatio memoriae della Schurman, pur non più dissertando "il Ventimiglia" su di lei nelle opere a stampa, per es. entro la Biblioteca Aprosiana (o repertorio biblioteconomico del 1673).
[vedi = il Magliabechi -lettera del 23 marzo 1672 in Biblioteca Naz. di Firenze- aveva scritto ad Angelico: “....Nelle altre cose mi rimetto alla prudenza di Vostra Paternità Reverendissima, poiché poco importa che la Schurman fosse tale quando ella scrisse poiché si ha da presupporre che corregga l’opere nel tempo che le stampa, secondo lo stato...” (cioè adattando i propri scritti all’evoluzione delle sue idee religiose: forse con accidioso per quanto mascherato riferimento, intuibile comunque da quanti come l'Aprosio erano avvezzi ai sottintesi ed alle scritture "onestamente dissimulate", del Magliabechi alla di Lei principale postulazione, quella di
proporsi soprattutto come filosofa e contestualmente, addirittura, quale teologa in una temperie ideologica in cui, a suo motivato giudizio, si dovevano ormai annichilire le discriminanti e misogine distinzioni, in merito a tale disciplina, tra gli uomini, reputati naturalmente predisposti alla speculazione, e le donne, relegate ad un ruolo secondario in cui solo l'edonismo del delectare poetico e giammai del prodesse filosofico potesse giustificare il loro modo di operare culturalmente)].
Pur se -ma sarà forse un'impressione di chi scrive queste note- il Magliabechi implicitamente sembrerebbe, anche, richiamarlo al suo oramai "storico ruolo di vigilanza ed al conseguente obbligo censorio quale Vicario dell'Inquisizione: attesi gli apprezzamenti del Sant'Uffizio, pure comportanti questa lusinghiera riconferma nel 1673" (doveri, epocalmente, del pari reputati irrinunciabili nelle Diocesi di Frontiera come era Ventimiglia, donde più facile, notoriamente, erano le penetrazioni ereticali sia sotto forma di persone che di pubblicazioni) usando non casualmente la parola prudenza abbastanza consueta
Dati -e/o soprattutto, cosa tuttavia suffragata da ponderate riflessioni, presi per buoni- questi presupposti la Non è peraltro da sottacere come la Camilla Bertelli Martini (in due sue lettere ad Angelico conservate in Biblioteca Universitaria di Genova, “Fondo Aprosio”, Ms. E.V.27, una del 1676 ed una senza data ma posteriore alla precedente dagli indicatori del contesto) avesse espresso il desiderio d’esser menzionata nelle sue raccolte bibliografiche da Angelico. Quest’ultimo, del resto, in una lettera al Magliabechi (Bibl.Naz. di Firenze, Ms. VII 141), datata “Ventimiglia 27-VI-1678”) dimostrò notevole apprezzamento “per un di Lei galantissimo capitolo in terza rima” e sottolineò come Giacomo Maria di Sanremo, autore molto stimato dalla “Signora”, fosse stato dalla medesima pregato di recarsi all’Aprosiana, in particolare per la fama raggiunta in quanto autore dell’Oceano imboschito, libro in cui si narrava del naufragio del portoghese Emanuele Sosa e che era stato pubblicato a Milano nel 1672 presso la Stamperia Archiepiscopale.
L’antifemminismo aprosiano, a rigor dell’esattezza scientifica, fu più umorale che istituzionale e certamente assai collegato all’umiliazione in qualche modo patita dalla Tarabotti: in effetti gli interessi per le “donne colte” non gli mancarono, pur sempre a patto -ben s’intende- che operassero nel campo ristretto della cultura donnesca e religiosa, delle istruzioni della buona madre e della spiritualità in auge (limiti certo ma che, in qualche modo -ad onta di limiti strutturali connaturati e connessi alla temperie socio culturale di appartenenza- dimensionano in termini più moderati -a fronte d’altre, ben più intransigenti postazioni- la misoginia e l’antifemminismo di Angelico). Aprosio, pur non mancando di far cenno a quelle “pie donne” che fecero lasciti -secondo l’uso del tempo- per il bene della collettività intemelia ed il potenziamento delle pubbliche scuole, non ebbe modo di identificare “donne letterate” antiche della sua Ventimiglia. In verità pensò di averne individuata una legata in qualche maniera al casato dei Conti di Ventimiglia: infatti, grazie all'erudito corrispondente Lorenzo Legati riuscì ad individuare questi versi di una certa “Signora Silvia Ventimiglia” a cui proposito il Legati (lettera ad Angelico del 1676 in Ms.E.VI.9 della Biblioteca Universitaria di Genova) annotò: "...della Signora Silvia Ventimiglia di cui sono questi versi stampati in Roma della gloriosa Vergine del Rosario...Tu sola sei la via del ben commune/ Per i nostri affanni sei giusto consiglio/ Tanto si levi il sol, quante si pone/ S’io dormo te contemplo...s’io veglio/ Con questo contemplar l’intenzione/ Teco mi salverà dal gran periglio..., Per lo qual stile mi pare assai antica. la seconda parte delle di Lei Rime sciolte vien citata nell’Indice del Rosario di 500 Poeti...”.
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lettera dell'agostiniano ventimigliese sopra citata ( analizzata criticamente nel contesto, sia concettuale che cronologico: cioè di poco posteriore all' ambigua epistola magliabechiana del 23 marzo)
acquisisce i contorni " non di una richiesta "
ma piuttosto quelli d'una " risposta asseverativa " (seppur nell'ambito epocale della Dissimulazione Onesta), suggerendo in definitiva l’impressione
d’essersi semmai proprio "il Ventimiglia" piegato per convenienza (da Antonio Magliabechi
lui e Cinelli Calvoli, in defintiva, si attendevano l’aiuto essenziale per la stampa della Maschera Scoperta) alla richiesta del grande bibliotecario mediceo che, in forza anche dell’importanza e della potenza del personaggio, aveva in fondo i toni di un ordine.
Valutando l' opportunità di tali favori e di tale "amicizia" e contestualmente "quanto in tal forma richiesto” forse
Aprosio
-ed è difficile dire sino a qual punto volentieri-
accettò siffatto "consiglio (imposizione)" del Magliabechi nella sopra citata lettera 29 marzo 1672 adoprandosi per inserire al posto di quello della letterata straniera il nome della Bertelli Martini
di maniera che in siffatto contesto le apparenze svaniscono a vantaggio di una lettura oggettiva e la sopra espressa
"supplica aprosiana" assume la valenza non tanto di cassare dalla stampa il nome della Schurman -cosa, vista la richiesta magliabechiana, data per scontata- ma il significato reale di una "supplica, una volta espurgato il nome della Schurman, datta al fine di porre in suo luogo non un altro nominativo ma proprio quello desiderato da Aprosio, vale a dire il nome della Camilla Bertelli".
[Nell’edizione genovese del 1644 della Maschera Scoperta non compare comunque menzione di “Camilla Bertelli né Martini” che invece risulta citata ben due volte nell’edizione fiorentina del 1671 della Maschera Scoperta
e sempre in termini elogiativi che lasciano intendere una conoscenza profonda ed una buona stima da parte dell’erudito bibliotecario di Ventimiglia].