Già dall'inizio della risposta qui sopra digitalizzata alla lettera dell'Orengo Casanate che si dichiara deluso dalla situazione culturale intemelia, specie in merito all'istruzione e formazione dei giovani si intende come anche il Gandolfo, non dimenticandosi del passato, sia piuttosto deluso dalla generale povertà culturale specie a livello di istruzione dei giovani ma non entra nei dettagli [era del resto una situazione abbastanza generale nella Repubblica di Genova per cui alle arti e alle scienze era anteposto il commercio - come ben si legge nella Rosalinda del Morando, sì da determinare, per certi settori, quella che si definisce ora "fuga dei cervelli" ("fuga dei cervelli" che comunque in pratica ovunque, a dire dell'Aprosio nella Grillaja del 1668 qui digitalizzata non era poi una soluzione garantista in ambito letterario che per i più privilegiati od i più capaci - attesa anche la graduale scomparsa di mecenati-
atteso che nel Capitolo/Grillo XIII, qui digitalizzato, egli sviluppa il tema che è già un programma nel titolo = Della poca stima, che si fa delle buone lettere, e de' Letterati, e della cagione).
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Ritornando a parlare di Ventimiglia e più estesamente della Repubblica di Genova nonostante il celebrato splendore della grande capitale in essa e nel Dominio (per la cui conoscenza giova leggere integralmente questo libro ottocentesco del Bertolotti integralmente qui digitalizzato) lo stesso Accademismo sei-settecentesco - nemmeno sostenuto da una sede universitaria attesto che la cultura superiore era gestita dal Collegio dei Gesuiti- era stato poca cosa a fronte di consimili ma celebri forme culturali di altri Stati italiani sì da indurre, specie i letterati, a cercare, come detto e non sempre con grandi risultati, fortuna in lidi diversi.
In merito all'areale intemelio nel '600 (la cui situazione era complicata, in tempi già difficili, dall'essere Piazzaforte Militare e nel contempo Diocesi di Frontiera) può comunque giovare quanto scrisse nella sua "Storia della Città di Ventimiglia" del 1886 G. Rossi (pp. 229 - 230) = "...Primieramente si accrebbero i mezzi d'istruzione; oltre il vantaggio di una pubblica biblioteca, si ebbe quell'altro di vedere aperto uno studio nel convento degli Agostiniani, dove a buon numero di giovani s'impartiva l'insegnamento delle belle lettere, della filosofia e della teologia"
[ i ceti abbienti si avvalevano spesso dell'opera di un aio o pedagogo = anche A. Aprosio visse la non facile professione di pedagogo di un patrizio di Genova
e più in generale quale docente a Venezia esperimentò i vari lati del mondo della scuola: alla fine uscendone un poco banalmente con questi cenni satirici avverso avverso i pedagoghi pedanti in un suo "Grillo" = diversa era l'indagine sulla figura storica dell' insegnante pubblico sia in una particolare interpetazione laica del Garzoni che nel giudizio ufficiale sulle caratteristiche di un buon maestro da parte della Chiesa Romana (secoli XVII - XVIII)]. "Il seminario pure che sebbene istituito nel 1565 non aveva potuto avere ancora decorosa sussistenza in causa delle scarsissime rendite, per le industriose cure del pio e colto prelato Promontorio veniva arricchito coll' assegnamento dei beni spettanti al priorato di S. Ampeglio di Bordighera, come da bolla di papa Alessandro VII del 17 aprile 1663 "[analizza qui la figura di Alessadro VII, anche nei suoi rapporti con l'ex regina di Svezia Maria Cristina, la "Basilissa" d' Arcadia]". Le scuole civiche però ebbero, fra molti contrasti [come in tanti luoghi all'epoca e non solo in Liguria] ben pochi miglioramenti. Già dal 1621 il dottore Lanfranco Massa desiderando che Ventimiglia avesse un collegio affidato ai Padri delle Scuole Pie, entrava in trattativa col monastero di Lerino per avere la cessione della chiesa di S. Michele; ma non riusciva nell'intento. Avendo fatto buone prove in Sospello l'istituzione dei Padri della dottrina cristiana, parve conveniente al vescovo Pastori d'introdurli pure a Ventimiglia: per generosità della nobile signora Devota Maria Orengo nel 1686 erano stati fatti lasciti per l'istituzione delle cattedre di grammatica e di belle lettere, cui aveva assegnato apposito locale. Un'orazione latina in lode della fondatrice recitava il professore Giovanni Battista Crovesi, stampata dal Romero in Nizza nel 1686 col titolo Studia litterarum excitata. Un'iscrizione marmorea era stata pure murata sulla casa delle scuole (vedi "Iscrizioni del medio evo e moderno, n. 37); ma essa ne venne staccata dagli eredi nell'agosto 1863, in occasione dell'ingrandimento del Teatro, cui la casa era aderente. Ma l'opposizione incontrata da alcuni partigiani di pochi preti ignoranti, cui era stato affidato l'insegnamento mandò a vuoto il disegno del prelato che avea già nominato a rettore il P. Gio. Batta Imberti, e le scuole continuarono a dare per lungo tempo scarsissimo frutto.