Lo stesso Martin Lutero ebbe occasione d'affermare che RIPR. B. DURANTE DA ORIGINALE
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" La stampa era l'ultimo e più grande dono di Dio, poiché grazie ad essa il Signore aveva voluto far conoscere la causa della vera religione, ovunque sino alle ultime estremità del mondo e diffonderla in tutte le lingue "
(vedi = Mario Infelise, I libri proibiti, Bari, Laterza, 2001, p. 4).
La stampa portava e diffondeva le nuove idee e postulava rinnovate valutazioni sia in materia religiosa che politica ed altro ancora: sia per questi che per altri motivi ancora il Mondo cattolico rispose
con vari mezzi tra cui la Censura sia Laica che Ecclesiastica alle opere che non fossero in sintonia con i valori da lui riconosciuti. Le aree maggiormente temute e quindi tenute sotto peculiare vigilanza erano quella di
Frontiera e tra queste quelle delle Diocesi di Frontiera o "Diocesi Usbergo"
dove il controllo avverso i libri proibiti era o doveva essere più vigile che ovunque essendo i luoghi per cui filtravano solitamente i testi sospetti.
I controlli concernevano tanto la
Censura Ecclesiastica che quella degli Stati
e del resto se prevaleva una specifica
vigilanza avverso i testi teologici di supposto contenuto ereticale
quasi alla stessa stregua preoccupavano libelli anticattolici di altro e vario ed anche sorprendente argomento
(citiamo a guisa d'esempio i presunti testi di pubblicistica riformata a pro di cortigiane e meretrici)
oltre a testi del pari anticattolici oltre che sotto il profilo religioso e teologico in merito ai contenuti di ordine politico.
Da qui derivò un controllo severo di cui si può prendere ad esempio quanto scrisse in un libro datato ma sempre valido Paul Grendler, L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540 - 1605, Roma, Il Veltro Editrice, 1983 ="...la legge prevedeva che un funzionario dell'Inquisizione esaminasse i libri in arrivo e stilasse un inventario dettagliato. Comprensibile che, di fronte alle migliaia di volumi provenienti da tutta Europa all dogana di Venezia, gli ispettori tendessero ad abbreviare le procedure e a divenire più corrivi. Si poteva anche tentare di corrompere un funzionario della dogana, o per quanto difficile, lo stesso ispettore del Sant'Uffizio...." .
Certo non doveva affrontare questa situazione, propria di una grande piazza come Venezia notoriamente tra le capitali della cultura e dell'editoria, un
Vicario dell'Inquisizione come Angelico Aprosio
ma, in assenza di adeguato supporto di personale, i suoi problemi li aveva anche in una piccola città come
Ventimiglia che però era sempre sede di una Diocesi di Frontiera.
Come spesso accade con i "frutti proibiti" e nell'epoca tra questi, per molti bibliofili, erano da ascrivere i "Libri Proibiti" si ricorreva a tanti espedienti pur di leggere quanto era istituzionalmente negato.
Alla maniera con cui scrive lo
spesso qui citato Luca Tosin
il
"...contrabbando dei libri proibiti (che viaggiavano non solo con falsi e innocui frontespizi, ma dentro balle di tessuti o all'interno di botti)...
(provenendo mediamente dal Nord d'Europa, specie l'Inghilterra e i Paesi Bassi od ancora gli Stati della Germania)
era un fatto abbastanza comune.
Ma Aprosio, oltre che Vicario dell'Inquisizione, era principalmente un accanito bibliofilo e per lui i Libri Proibiti erano un "frutto proibito" su cui indagare ma anche da leggere e se possibile possedere.
Da qui il ricorso a vari espedienti per aver quantomeno notizia di ciò che magari non avrebbe mai potuto avere o soltanto sbirciare!
E una testimonianza di ciò la recuperiamo proprio dal contesto dei suoi rapporti e soprattutto della sua corrispondenza col patrizio genovese vero mecenate dell'a Biblioteca Aprosiana
Giovanni Nicolò Cavana