cultura barocca
PENE

PENE (TIPI DI)

In gran parte dei Paesi europei la procedura penale era segreta fino alla sentenza e l'imputato non aveva diritto di conoscere l'accusa né le prove, d'accedere agli atti, di conoscere le testimonianze e l'identità di chi le avesse fatte: neppure poteva avere un suo avvocato.
La legislazione criminale degli Statuti genovesi cinquecenteschi non ebbe questi eccessi, concedendo ai rei alcune prerogative fra cui l'accesso agli atti e in vari casi il diritto a scegliersi un difensore (cap.12, lib. I).

Anche in seno alla giurisprudenza penale della Repubblica l'istruttoria spesso perveniva alla "verità facendo" evitando ogni intervento dell'imputato: anche nel Dominio si dava gran peso alla CONFESSIONE del reo (comparsa fra le prove giudiziarie nel XIII-XIV sec.) sia per non demotivare i meccanismi dell'istruttoria in assenza dell'imputato sia perché con essa si conseguiva una ratifica indiscutibile dell'accusa, sanzionandone i fondamenti.

Per ottenere la CONFESSIONE ovunque erano attivate tutte le coercizioni.
Un'ambiguità procedurale imponeva da un lato che, per esser valida, la CONFESSIONE doveva avvenire davanti al tribunale competente, risultando verisimile, spontanea ed avallata da un giuramento. Ma, per tali risultati, nessun tribunale rifuggiva dalla tortura applicata al reo, a complici e testimoni reticenti, in un luogo isolato, spesso nella CAMERA DELLE TORTURE entro il carcere o le segrete del Palazzo Pubblico come pure accadde in occasione del caso delle STREGHE DI TRIORA. Era regolata in modo così preciso da avere i connotati di un duello, pur impari, fra inquisito e giudice, sì che il primo era perduto se confessava mentre nei rari casi contrari era il giudice a trovarsi nella posizione di dover liberare l'imputato o perlomeno a salvarlo dal supplizio estremo (per questa ragione gli Statuti genovesi comportavano, su richiesta degli inquirenti, un'eccezione nell'applicazione della tortura dei "TRATTI DI CORDA" o anche dell'ECULEO avverso gli imputati della Corsica che sarebbero risultavano resistenti a tal coercizione = Statuti criminali, l. I, c.15) [La TORTURA MUTILANTE era invece un tipo di punizione corporale spesso menzionato dalla normativa penale europea di metà Cinquecento e del XVII sec.]

Lo SPACCAGINOCCHIA contribuiva al meccanismo della TORTURA MUTILANTE riducendo chiunque, se sopravviveva, ad un rudere umano, uno sciancato deforme.

Lo SCHIACCIAPOLLICI (quello dell'immagine è di fattura austriaca, molto sofisticato, a differenza degli esemplari italiani, più elementari, fatti di 2 verghe metalliche comprimibili per via d'una vite infinita) conveniva nel caso di inchieste svolte in luoghi scomodi, senza la necessità di portare i "sospetti" nella CAMERA DELLE TORTURE: l'attrezzo, specie se sofisticato, era provvisto di tacche appuntite che venivano poste in linea coi gangli nervosi più sensibili di mani e dita sì che, stando ai giudizi raccolti, ben pochi erano in grado di resistere al dolore, oltre i 5 min. questo era insopportabile, con la conseguenza che la CONFESSIONE era quasi consequenziale e spesso arricchita di particolari suggeriti dal giudice.
Comunque il sistema di torture era molto vario nelle applicazioni, a seconda delle giurisdizioni penali degli Stati: si legga comunque il cap.15 ("Delle torture") del libro II degli Statuti Criminali di Genova che nella sostanza replica quanto sancito dagli ordinamenti penali degli altri Stati Italiani e, con l'eccezione dell'Inghilterra, della totalità delle nazioni europee cattoliche e riformate.

Contestualmente anche nel campo della tortura inquisitoriale ecclesiastica, pur tenendo conto sia delle regolamentazioni statutarie delle reciproche sfere di influenza, sia dei frequenti contrasti, tanto in linea teorica quanto pratica [come nel celebre caso della procedura, dello Stato (nella fattispecie quello genovese e della Chiesa) contro le presunte Streghe di Triora la ragione principale dell'investigazione coi tormenti era rappresentata dall'esigenza della CONFESSIONE : come peraltro ben si apprende da un passo esplicativo delle DISSERTAZIONI SULLA MAGIA di M. Delrio, che non si può prescindere dal LEGGERE a riguardo delle finalità e metodiche della tortura ecclesiastica (tenendo altresì conto di tutti gli INDIZI PROBANTI e delle norme sulla COSTRIZIONE DEI TESTIMONI).

AMPUTAZIONE> pene di A. varie, quando non debba essere comminata la Pena di morte o l'A. non sia surrogata con pene diverse (specie relegazione come GALEOTTO) o ammende varie (dagli Statuti Criminali del '56, libro II "delle Pene"> si indica solo, tra parentesi, il numero del capitolo: in Italia si usava più la tipica MANNAIA con cui si colpiva l'arto da amputare):
posto legato sul ceppo, anche in Italia ma soprattutto nei paesi germanici donde si ha l'esemplare qui riprodotto era in uso anche la SPADA DA GIUSTIZIA [qui nell'immagine col suo fodero - come questo esemplare tedesco del '600 la SPADA DEL BOIA era lunga, larga, priva di punta -presente solo nei tipi più antichi- ed a sezione lenticolare per favorire l'amputazione o la decapitazione in un sol colpo: non si ha menzione di SPADE DA GIUSTIZIA della Repubblica di Genova anche se ne è supponibile l'uso. La maggior parte degli esemplari dell'arma conservata nai musei è tedesca: in Italia si hanno notizie precise della SCIABOLA DA CARNEFICE già presente nell'Armeria Estense di Modena]:.
>A. degli occhi> (termine forzato per accecamento tramite applicazione di un ferro incandescente o estirpazione traumatica degli occhi): a carico di Avvelenatori (10).
> A. della lingua>: a carico di Bestemmiatori (1), Chi fornisce false generalità, Chi ha redatto un documento mendace (36).
> A. delle orecchie: a carico di Avvelenatori (10), Autori di Sacrilègi (25).
> A. del naso (varianti possibili: A. di una o entrambe le nari): a carico di Ruffiani e lenoni (6), Genitori che prostituiscono le figlie contro la loro volontà (6), Avvelenatori (10), Ladri (20), Autori di false testimonianze (35).
> A. di una o d'entrambe le mani: a carico di Bestemmiatori (1), Assassini (11), Percuotitori (12), Aggressori di pubblici funzionari (18), Quanti fanno fuggire una serva altrui (22), Autori di Sacrilègi (25), Pirati-Predoni di mare (27), Falsificatori di documenti (32)

PENA (DI MORTE)> In età intermedia la pena di morte era data in vari modi ma, per quasi tutti gli stati anche per la Repubblica di Genova (come dettano gli Statuti erano eminenti i supplizi estremi per via di Forca ad impiccagione lenta, Decapitazione, Rogo .
L' IMPICCAGIONE (pena tipica dei delinquenti dei ceti meno abbienti) era spesso preceduta dall'amputazione per infamia di un arto o dalla pubblica flagellazione venendo il reo lungo le pubbliche vie "tratto a coda d'una bestia" al supplizio (l'impiccagione era lenta col viluppo dei corpi di boia e condannato, con la scenografia d'alterchi fra vittima e carnefice, con l'inumano squallore di agonie impressionanti: anche se per acelerare l'esecuzione esisteva un sottoposto del Carnefice di Stato detto tirapiedi: qui visibile in una stampa antiquaria mentre afferra per i piedi il condannato durante una pubblica esecuzione = tirapièdi s. m. [comp. di tirare e piede]. – = prima dell'invenzione della forca inglese per impiccaggioni- era l’aiutante del boia che aveva il compito di tirare i piedi dell’impiccato per renderne più breve l’agonia]. Dal 1760 fu esperimentata in Inghilterra una macchina nuova per i. diversa dalla vecchia Forca: nel 1783 questo sistema di i. fu adottato in quel Paese mentre si abolivano i codazzi di folla dietro al condannato.
Si poteva evitare il pubblico disonore dell'IMPICCAGIONE tramite lo STRANGOLAMENTO perpetrato dal boia nelle segrete di un carcere come accadeva a Venezia nel "Cameroto dove soleano far strozzare per ordine del fu Consiglio di X, esistente nel mezzo delle Carceri giù dal ponte della Paglia" come si legge in una STAMPA del XVIII sec. del Museo Carrer di Venezia, in "Gabinetto di Stampe e Disegni".
La tecnica dello STRANGOLAMENTO, in certi casi era un "modo privato e non infamante" di esser giustiziati, ma aveva lati oscuri: tra l'altro era un modo da parte dei potenti, a Venezia da parte degli Ambiziosi membri del Consiglio dei Dieci ma anche in altri paesi ad opera di Sovrani e Gestori del potere, per eliminare dei prigionieri scomodi evitando le remore dei processi e i rischi di assoluzioni possibili, specie se la persona da eliminare era a sua volta un potente momentaneamente in disgrazia.
Da questa antica tecnica di morte, già usata dai Romani nel Carcere Mamertino, si evolse una terribile macchina di morte: la garròtta (in spagnolo garrote). Questa macchina fu introdotta come pena di morte in Spagna ma fu usata in altri paesi, specie in dittature di paesi sudamericani di cultura spagnola. Al collo del condannato, posto in posizione seduta, si applicava un cerchio di ferro che a mezzo di una vite veniva sempre più stretto fino che sopraggiungesse morte per strangolamento. Questo strumento (che fondeva tortura e estremo supplizio, fu introdotto dalle esecuzioni a partire dal 1882: dapprima le esecuzioni erano pubbliche per il vecchio principio dell'Inquisizione spagnola della CATARSI, ma successivamente sino agli anni Sessanta di questo secolo (prima della sua soppressione, anche sotto una pubblica condanna morale e civile) venne praticata solo all'interno degli Istituti di pena.
Gli Statuti, riferendosi alla giustizia controriformista citano la pena nuova (per ERETICI, rei di lesa maestà, di stregoneria, azioni infami contro natura e Sodomia) del ROGO PURIFICATORE DI UN DELINQUENTE GIA' GIUSTIZIATO PER IMPICCAGIONE o nei casi estremi del ROGO COMMINATO A CRIMINALI CONDANNATI A MORTE ED ANCORA VIVI (come nell'IMMAGINE - a scopo di PUBBLICA CATARSI nel caso di un eretico o di un ALCHIMISTA giudicato REO DI ERESIA quasi sempre "coi libri eretici", quelli PROIBITI, MAGICI od ALCHEMICI legati sul petto e sulla schiena") con la DISPERSIONE DELLE CENERI IN TERRA NON CONSACRATA: pena, peraltro, comminabile a tutti i grandi criminali contro le leggi di natura, compresi i falsari le cui proprietà ed in particolare gli ambienti in cui procedevano alla falsificazione delle monete dovevano venir distrutti e rasi al suolo di modo che "neppur la memoria si conservasse del lor nefando crimine".
Gli Statuti fanno quindi menzione della PENA PER DECAPITAZIONE applicata, a Genova come in tutti gli Stati italiani ed europei, ai condannati a morte provenienti dai ceti nobili: tal tipo di supplizio capitale (spesso svolto in segreto e lontano dalla folla curiosa) aveva il vantaggio" di esser più celere e quindi meno doloroso degli altri, specie se il BOIA (che per mantenere utile anonimato indossava la temuta MASCHERA DA CARNEFICE), ben prezzolato dai parenti della vittima ed abbastanza esperto, uccideva con un sol colpo della MANNAIA, come si usava a Genova, o della SPADA DA BOIA O CARNEFICE più usata nei paesi germanici.
Sorprendentemente dalla Cronaca di Jean d'Authon (pubblicata nel 1835) si ricava che a Genova nel 1507 (esecuzione del patrizio Demetrio Giustiniani secondo i dettami del diritto intermedio) era in uso una MACCHINA DI MORTE corrispondente alla GHIGLIOTTINA, ritenuta invenzione del rivoluzionario francese e professore di anatomia Joseph Ignace Guillotin (1738-1814) che -in nome di un'uniformità di trattamento dei criminali prescindendo dallo stato sociale e quindi eliminando ogni privilegio di casta- solo propose, il 10 /X / 1789, all'Assemblea nazionale un progetto (convertito in legge il 3/ VI / 1791) di "uguaglianza democratica anche nelle modalità di esecuzione capitale"
-ispirandosi ai dettami della revisione illuministica e rivoluzionaria del diritto penale-
sì da usare, contro le consuetudini ed alcune vecchie sanzioni statutarie, per tutti i condannati al supplizio capitale una macchina capace di rendere la morte istantanea, meno dolorosa, privilegio per secoli riconosciuto solo ai ceti nobiliari ed egemoni : macchina che poi in qualche modo fu resa tristemente celebre dall'evento, che più d'ogni altro colpì l'immaginario collettivo del tempo, cioè l'ESECUZIONE DELLA REGINA DI FRANCIA MARIA ANTONIETTA.
Questo apparecchio di morte usato per tutti i ceti solo dopo l'iniziativa di Guillotin (identiche macchine di morte cinquecentesche in uso in Germania erano però divenute tanto note da meritare vari appellativi polareggianti come "Diele", "Hobel", "Dolabra"), risaliva al XIII secolo ed era usato in Europa per punire i soli nobili: v. gli esemplari cinque-seicenteschi italiani (di Roma, Lecce e Lucera) in "Museo Crim. Roma": PORTIGLIATTI - BORBOS, pp.141-142: la GHIGLIOTTINA ("Guillotine" da una canzone satirica, che amareggiò l'"ideatore", pubblicata sul giornale realista "Les Actes des Apotres": ma s'era anche pensato di chiamarla "Mirabelle" da Mirabeau, "Luisette" o "Luison" dal dottor Louis che ne determinò e perfezionò la funzionalità) venne fatta non dal fornitore di forche Guédon ma dall' economico costruttore di clavicembali T. Schmidt: fu sperimentata su animali o cadaveri e quindi sulla prima vittima, il rapinatore N.J.Pellettier (25-4-1792).
Una variante eccezionale di condanna a morte, applicata in Inghilterra contro i pirati ed in ambiente cattolico, italiano e spagnolo, soprattutto contro ERETICI [e da ritenersi quindi PENA MISTA cioè di STATO E CHIESA] era il CONTENIMENTO, SIN A MORTE, SENZA CIBO ED ACQUA (per LEGAMENTO AD UN PALO IN PUBBLICA VISTA o in una GABBIA FERRATA) dei colpevoli.
Questi sventurati erano così esposti in pubblico all'orrore ed alla vergogna di una morte lenta per inedia [nel corso della quale i più ormai defedati e disidratati pronunciavano nell'estrema disperazione di una morte senza scampo o perdono (se non l'avevano fatto già sotto Tortura inquisitoriale) la CONFESSIONE PIU' AMPIA DI LORO REATI contro STATO e/o CHIESA].
In Inghilterra la sede pubblica naturale d'esposizione pubblica, trattandosi di pirati, era una qualche zona portuale>in ambito cattolico si esponevano i condannati davanti alle chiese ed anche al loro interno (ove il cadavere restava sin oltre l'angosciante attimo della morte e quindi il lungo travaglio della decomposizione) come TERRIBILE MONITO per i fedeli meno saldi: è il caso di questa vittima morta all'interno di una gabbia metallica e che fu rinvenuta a Milazzo nel 1806> ora in "Roma-Museo Altavista".
Ai primi del XVIII secolo, tra le PENE DI MORTE, compare la PENA DELLA FUCILAZIONE (propriamente tramite l'ESSERE ARCHIBUGIATO): la sua menzione sembra però esser da applicarsi esclusivamente a criminali gravi appartenenti alle forze armate delle Repubblica di Genova.

PENE (COMBINAZIONE DI)> J.A.Soulatges nel suo Traité des crimes (Parigi, 1762) scrisse: "La pena di morte naturale comprende tutti i tipi di morte: gli uni possono essere condannati a essere impiccati, altri ad avere la mano tagliata o la lingua tagliata o bucata e in seguito a essere impiccati; altri, per delitti più gravi, a essere rotti vivi e a morire sulla ruota, dopo aver avuto le membra rotte; altri a essere rotti fino a morte naturale, altri a essere strangolati e in seguito rotti, altri a essere bruciati vivi, altri a essere bruciati dopo essere stati preventivamente strangolati, altri ad avere la lingua tagliata o bucata e in seguito a essere bruciati vivi, altri a essere tirati da quattro cavalli, altri ad avere la testa tagliata, altri infine ad avere la testa spaccata".> Gli Statuti genovesi fanno cenno a tre tecniche di supplizio capitale (impiccagione , decapitazione e rogo), pur sottintendendo in più luoghi la saltuaria fruizione d'altri sistemi o modalità, molte di queste esecuzioni erano "combinate" con altre pene, mutilanti e/o infamanti, e venivano applicate entro uno scenario controriformistico e terrifico sì che il reo, sfinito dalle sevizie, alla forca fosse "a coda d'una bestia tratto" [v. lib. I e II, passim]. Era un supplizio panitaliano menzionato da Dante (Purg., XXIV, 83 nell'interpretazione del Buti) per cui si trascinava, legato ad un cavallo mulo (la bestia), sin al patibolo (fra pubblici luoghi minuziosamente indicati, tra ali di folla sgomenta per cui la pena era monito) un condannato, spesso già mutilato di naso o di orecchie, di lingua o di mano, immerso nel suo sangue: v.BANDELLO, nov. 55, vol.I, p.635 ("Tutti gli altri crudelmente furono morti, per ciò che alcuni vivi a coda di cavalli furono per sassi, per spine e fossi tirati, lasciando or qua or là le lacerate carni"); LEGGI DI TOSCANA, vol.IX, p.70 ("Viene esasperata la pena di morte a chi maneggia e si vale del denaro del pubblico, e fugge e non rende conto, con doversi strascicare a coda di mulo, senza tavole, al luogo del patibolo"); BOTTA(2) p.37 e p.1045.

CARCERE: La struttura carceraria quale luogo di espiazione della colpa e di correzione, salvo eccezioni, data dal periodo illuminista > Nella Grecia classica il C. non esisteva, lo si trova invece in Roma antica: fu celebre il "Mamertino", in cui la parte inferiore, "Tullianum", era riservata alle esecuzioni. Il Mamertino era costruito in due parti, una "più interna" per la segregazione dura, ed una "più esterna" i cui prigionieri ricevevano le visite: la sopravvivenza vi era dura, finché nel 320, con un'ordinanza, Costantino stabilì che i prigionieri fossero divisi per sesso, che si alleggerissero le catene, che per certi periodi i detenuti prendessero aria nei cortili. Nel Medioevo, dopo un capitolare di Carlo Magno del 780, si ricorse alla segregazione in celle di conventi: dal Medioevo al Rinascimento il C. costituì un fatto temporaneo in attesa di altre soluzioni punitive (GALEOTTO> il Carcere ecclesiastico perpetuo esisteva esplicitamente solo per gli eretici che che il Santo Ufficio avesse graziati dalla pena di morte: S.A.I, 76), privo di regolamenti igienici e, nei pochi casi di veri edifici carcerari, realizzato secondo il meccanismo delle "segrete" costituite da due file di celle, dove quelle inferiori erano buie e tutte quante risultavano di dimensioni ridotte (come nei "Piombi" e "Fossi" a Venezia, nei "Forni" a Monza, nel C. di Malapaga a Genova). Prima delle riforme del '700, il solo C. basato sul sistema cellulare col progetto sia di segregare che di rieducare i detenuti fu il "Rasphuis" di Amsterdam (1595) ove le celle stavano intorno a cortili per l'attività lavorativa dei carcerati: in Italia i principi del "Rasphuis" giunsero tardi: nella casa correzionale (1667) ideata dall'arch. Croce, di Firenze e poi (1704) nel C. romano di S.Michele, su progetto dell'arch. Fontana .

BANDITISMO (BANDITO) > v. BANDO)> Piaga storica del Dominio sia nelle campagne che nei sobborghi, non priva di sostegni viste le rivalità degli aristocratici che assoldavano Banditi per le proprie contese. Appoggiati da Fazioni e Parentelle i Banditi godevano di basi nei territori degli antichi feudi e spadroneggiavano sul territorio. Per questo negli Statuti si concedono licenze ai "sicari" o "cacciatori di taglie" od immunità al "bandito ch'abbia ucciso un altro bandito": il ricorso alla "giustizia sommaria", visto - nonostante ogni provvedimento - il dilagare del fenomeno, dopo il 1576 si ravvede in modifiche alle leggi criminali: Alcune Riforme o Capitoli circa la Giustizia Criminale di Genova, grida dal Palazzo Ducale à 27 novembre 1587/ nella Cancelleria del N. Gio. Giacomo Merello Canc. e Secretario/ [pubblicata e declamata] il primo di Decembre [da] Gieronimo Bavastro Cintraco publico, rubriche 34, 35, 36, 37, 38 [5 fogli, num. da 2 a 10 in fine di Stat. Crim.] e Riforme per la Giustizia Criminale, in Genova. appresso G.Pavoni, 1605 (pubbl. autonoma) ["dal Palazzo Ducale à '16. di Marzo MDCV/ Nella Cancelleria del Mag. Zaccaria Vadorno Cancell. & Segret" e "Publicato...a suono di tromba, per me Scipione Bavastro Cintraco pubblico in piazza de Banchi, come l'usanza/...il MDCV . adi XXIII Marzo"] da ultimo capoverso di p. 8 a p.12.

BANDO - BANDIRE >"Mettere al bando, proscrivere con l'esilio e la confisca dei beni"> BATTAGLIA, II,s.v.,4: dal lat. medievale "bandum" (doc. nel 976), dal lat. got. "bandwa" "segno, insegna"; accanto all'alto tedesco "ban " "notifica, avviso": cfr. nel sec.IV "bannum" registrato da Gregorio di Tours. Si veda anche provenzale antico "bandir" "esiliare" e francese antico bannir: già nel lat. mediev. del VI sec. si ha traccia di "bannire" = "mettere al bando". Correlato al verbo è il suo part. pass. Bandito (Banditismo) usato come in antico quale aggettivo e sostantivo maschile per individuo "Messo al bando, condannato al bando, esiliato; chi vive fuori della patria, perché colpito da proscrizione" "> BATTAGLIA,II,s.v.,1.

ESILIO-ESILIARE> Esilio (antic. "essìlio, exìlio," disus. "esiglio": dal latino "exilium">l'ESILI PERPETUO, DEFINITIVO E PERENNE può anche essere detto ESPULSIONE PERPETUA.
In merito all'ESILIO, specificatamente inteso, ISIDORO DI SIVIGLIA, 5-27-28 scrive "Exilium dictum quasi extra solum. Nam exul dicitur qui extra solum est") da intendersi "Sanzione particolarmente diffusa nel mondo antico, ove spesso sostituiva la pena di morte, e in quello medievale e moderno e praticamente scomparsa nel mondo contemporaneo consistente nell'allontanamento obbligatorio [CACCIARE IN ESILIO o
METTERE AL BANDO (spesso sotto pena di morte)] dalla propria patria del colpevole di un delitto (comune o politico e in ultimo connesso alla stregheria) reputato particolarmente grave": appena si era così colpiti dalla legge ci si doveva affidare ad una vita miserevole ed errabonda per sfuggire ai cacciatori di taglie che inseguivano fin in territori stranieri [tentando di stanarli con mille espedienti per indurli a rientrare nel Dominio] i proscritti onde poter senza troppe remore far uso delle armi ed ucciderli per chiedere subito i compensi stabiliti dalle norme statutarie del diritto penale> BATTAGLIA,V,s.v.,1. Correlato al verbo è il part. Esiliato:"Condannato all'esilio, mandato in esilio, bandito proscritto, confinato, deportato"> BATTAGLIA,V,s.v.,1: nel GENOVESATO la pena venne applicata sin all'epoca di Napoleone e in una settecentesca ANTOLOGIA DI POETI LIGURI possiamo tuttora leggere l'accorato MEMORIALE col quale si rivolse al SERENISSIMO SENATO DI GENOVA il cittadino di Sarzana GIACOMO COSTA il quale denunciava la sua disperata condizione e chiedeva il perdono dell'Assemblea suprema di Genova sia adducendo il fatto che il DELITTO DI LESA MAESTA' che l'aveva portato a tale condanna era dipeso da PERSONALE IMPREVIDENZA E CALUNNIOSE INIMICIZIE [il fatto che per invocare il perdono l'autore abbia citato il caso del più volte supplicante Cinto Comante (VERSI 13-15, P.182) nome in Arcadia del lirico CARLO INNOCENZO FRUGONI induce a credere che il COSTA sia stato giudicato REO per qualche attività sovversiva, verisimilmente legata a SCRITTI SATIRICI paragonabili per tipologia alle antipapali PASQUINATE)

FAZIONE Risultanza del sistema delle Parentelle, la Fazione era potenza per alcuni e speranza per altri>SPINOLA sui "capifazione" in "Dizionario Filosofico" ("B.U.G., ms.B.VIII. 25-29,s.v."Fattioni") scrisse: "Ho conosciuto alcuni i quali professando di dar moto in questa bassezza e miseria di fattione, io non dirò amici fra loro, perché l'amicizia non è se non fra buoni, ma molto domestici, ridendosi della semplicità e balordaggine de lor partiggiani, attendevano d'aiutarsi l'un l'altro in tener ingannati quei meschini, et a spolparli di capretti, di ricotta e di formaggio, giocandone alla palla sotto manto di favorirli" ed aggiunse "...non è cosa che nel nostro Paese mantenga più la peste de' banditi di quel che fanno le fattioni. Imperoché i partigiani danno lor denari, portan lor provvigioni da vivere, li avisano delle diligenze che la giustizia fa contro di loro e li tengono nascosti nelle case, nelle cassine et in altre nascondaglie">Stat. Crimin.: "Ribelli", lib.II, cap. 71, 74, 81.

INFAME-INFAMIA >dall'agg. latino "infamis" (voce dotta, comp. da in- con valore negativo e fama nel senso di "buona fama") e dalla voce dotta sostantivale lat. infamia = "buona reputazione"> v. BATTAGLIA,VII,s.v. Infamia, 9> "Dir.Stor. Situazione sociale, giuridicamente rilevante, di una persona, caratterizzata da grave disistima, disonore, riprovazione, disprezzo, reputazione da parte della comunità, a causa del comportamento di tale persona gravemente lesivo delle regole sociali fondamentali che riguardano l'onestà, la lealtà e l'onorabilità, i buoni costumi, ecc., e il diritto romano chiamò tale situazione Infamia di fatto, e sulla sua base elaborò la qualifica giuridica dell'Infamia di diritto o Ignominia....nell'età intermedia...il diritto civile ha conosciuto la figura dell' Infamia come sanzione penale consistente, a seconda del ceto al quale apparteneva il colpevole, in una nota o qualifica irrogata dal giudice (Nota di infamia pei colpevoli in particolare appartenenti ai ceti superiori> v. negli Statuti genovesi i capi 1, 33, 97 del libro II) o come Marchio, Bollo, Tatuaggio di Infamia, per cui si applicava con un ferro incandescente un segno permanente in parte visibile del corpo del (quasi sempre una mascella o la fronte perché il Marchio avrebbe potuto celarsi con una qualche "frangia" di capelli) in genere appartenente a ceti subalterni" (v. lib. II, capi 10, 20, 22, 95, 97> l' Infamia comportava anche la perdita della capacità di diritto pubblico e della pubblica stima). Nel genovesato ed in molti altri Stati ulteriore note di Infamia erano, in altro modo, quelle di Esser a coda d'una bestia tratto (mediamente al supplizio estremo) per le vie seguendo tragitti pubblici obbligati, portando sul petto un cartello con generalità, colpa e pena od ancora di Procedere per le pubbliche vie sotto le frustate o le vergate del boia (come nel caso di certi ladri: lib.II, cap.20), o d'esser frustato in pubblica piazza (come per ruffiani, lenoni e meretrici : vedi lib.II, cap.5) e pure di venire esposti al pubblico ludibrio sulla BERLINA (come certi bestemmiatori (lib.II, 1) anche in questi casi "indossando" una sorta di cartello coi dati di generalità, colpa e condanna.
In certi casi per infamare i condannati si ricorreva alla GOGNA, con le mani e la testa imprigionate nell'elementare ma temibile apparecchio> si restava cos' esposti agli scherni ed alle offese del pubblico e l'Infamia era aggravata dal fatto che, se imposta per lungo tempo, la Gogna poteva produrre deformazioni permanenti dell'apparato scheletrico.
Cosa più o meno simile, seppur più terribile, era la VIOLA DELLE COMARI, uno strumento a cerniera fatto per imprigionare (come si può dedurre dall'immagine) mani e testa in una posizione innaturale che obbligava la spina dorsale a sforzi pesanti che potevano essere acuiti con strappi ad opera dei "servienti della giustizia" sì da procurare gravi slogature e, spesso, fuoriuscita di giunture dalla loro sede naturale, con fratture e permanenti distorsioni.
[in caso di reato gravissimo come quello di Lesa Maestà (lib.II, 70) l'Infamia era estesa alle proprietà dei rei con la totale distruzione a livello del suolo dei loro beni immobili come case e poderi> in caso di Falsari di monete si procedeva invece alla radicale distruzione solo dell'edificio in cui fu perpetrato il crimine di falsificazione: in pratica questa nota di infamia fu quella che venne applicata nel caso del processo agli "untori" milanesi del XVII secolo con l'aggravante che sul posto della casa distrutta di uno di loro, lo sventurato Mora, fu eretta una Colonna di infamia o Colonna Infame contro cui appassionatamente scrisse Alessandro Manzoni.

PARENTELLA (anche Banditismo)> Consorterie di famiglie con stesso cognome e che si riconoscono discendenti da un nucleo originariamente investito> COSTANTINI, p. 534.: le Parentelle erano protagoniste, in senso non solo giuridico, delle controversie per uso o possesso di terre comuni, riparto di imposte, controllo di uffici e servitù. Esse si traducevano in svariati campi di vita sociale in strutture di solidarietà verticale dette Fazioni> BECCARIA, XXVI, Dello spirito di famiglia > vi si legge un' allusione ai difetti di molte Repubbliche dell'età intermedia, di cui Genova fu esempio, intese come associazioni di famiglie più che di uomini, con la prevalenza, su quelli di Stato ed individuo, degli interessi di quelle piccole monarchie che erano le famiglie.

PIRATA>(in Genova anche "Predone") dal lat. pirata, a sua volta dal greco, nel valore di "provo, tento, assalto" di origine indoeuropea> "chi esercita" la Pirateria o "brigantaggio marittimo" (BATTAGLIA, s.v.)> contro i P. (e soprattutto i Corsari turcheschi) Genova organizzò o potenziò, per gran parte del litorale rivierasco, una trama di fortezze, in parte armate di cannoni in parte destinate a dar ricetto alla popolazione, a guardia del mare ed in contatto visivo tra loro per via di comunicazione con segnali luminosi> DURANTE - POGGI - TRIPODI, pp.135-140 e pp.153-156. Nonostante questo sistema difensivo ancora nel '600 l'erudito di Ventimiglia A.Aprosio (1607-1681) fu limitato nei suoi viaggi per mare dal timore di incursioni piratesche o di Corsari. In una lettera del 1673 il nobile genovese Gio.Nicolò Cavana scrisse all'Aprosio: "Quando Vostra Paternità Molto Reverenda è in viaggio sempre sto attendendo avviso del Suo arrivo con quell'ottima salute che Le viene da me desiderata; spero quanto prima sentire sia giunta in Ventimiglia vedendo dall'amabilissima Sua come era in Savona e come li corsari si facevano sentire"(difficile dire se il Cavana alludesse alle ultime tracce di Corsari turcheschi o d'altre potenze o se confondesse la voce Corsari con quella di Pirati: è comunque evidente che ancora a fine '600 un viaggio per mare tra Savona e Ventimiglia poteva essere un azzardo per il rischio di quegli attacchi briganteschi già denunciati e perseguiti nei capi 27, 28, 29 del libro II degli Stat.Crim. genovesi del '56> lettera datata Genova, 20-V-1673, in Civ. Bibl. Apros. di Ventimiglia in MS. 40, "scritti diversi", carta 4 recto> DE APOLLONIA-DURANTE, pp.174-176.

REO> Il diritto intermedio sanciva che ogni accusato fosse reo, cioè colpevole, salvo che non se ne provasse l'innocenza, concetto contrario a quello tutt'oggi in vigore, per cui la reità e la colpevolezza dipendono semmai dalla sentenza di un procedimento giudiziario correttamente condotto; v. BATTAGLIA, XV,s.v,n.21:"Chi si è reso colpevole di un illecito ed in particolare chi è considerato colpevole di un determinato reato da parte della legge, dalla pubblica autorità e, come tale, è sottoposto a giudizio penale" (e in questa accezione, che ignora il garantismo del diritto per cui nessuno è reo o colpevole se prima non è stato riconosciuto tale a seguito di regolare processo, si fondono e si confondono una prospettiva di diritto sostanziale e di verità oggettiva ed una di diritto processuale e di verità come solo asserita dall'accusa).
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***Per un approfondimento, anche in ordine alle valutazioni ecclesiastiche, in merito all'argomento si può analizzare qui la voce REUS (vedi anche l'INDICE ANTICO) dalla BIBLIOTHECA CANONICA... del teologo e giurista francescano Lucio Ferraris
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ARBITRIO vedi Rito ordinario e Rito straordinario> I pericoli di un illimitato Arbitrio del giudice tanto per quanto riguarda la GIUSTIZIA DELLO STATO quanto della GIUSTIZIA DELLA CHIESA fu sottolineato dal BECCARIA(cap.XXIX, "Della cattura" tenendo conto della particolare interpretazione e connotazione nel diritto intermedio della figura giuridica del REO).
Tale Arbitrio equivaleva, anche, all'uso o no di particolari procedure investigative, mediate sia dalla letteratura criminalistica che dal diritto canonico.
Poichè alcuni giudici si valevano anche nel genovesato ancora nel XVIII, a loro arbitrio insindacabile di forme controverse di prova parecchi autori entrarono in contesa, essendo alcuni a favore dell'utilizzazione di ogni espediente pur di individuare un colpevole mentre altri, più saggiamente, pensavano di doversi attenere ai criteri dettati dalla scienza o comunque dal buonsenso, senza scadere nella superstizione.
Di un tipo di prova, che cioè i cadaveri degli assassinati sanguinino se davanti a loro vengono esposti i colpevoli della loro morte si occupò anche A. APROSIO nella sua "Grillaia" al cap. XII, pp. 143-144 intitolato "se alla presenza dei Micidiarij le ferite degli uccisi mandino fuori il sangue": argomento su cui Giovanni Eusebio Nieremberg (De Occulta Philosophia, I, cc. 46-57) e Tommaso Tomai (Idea del Giardino del Mondo, c. 30) avevano ripreso il pensiero di Egidio Romano.
Questo straordinario sistema probatorio di colpa (proprio di una cultura inquisitoriale ecclesiastica che si appoggiava alle codificazioni del "Malleus Maleficarum": DANIELE FROELICH, Historiographia Apodemica..., p. 53, n. 63), era stato più volte applicato ad inchieste criminali non comportanti reati avverso la religione anche se parecchi giusdicenti ne avevano criticata l'oggettività; il penalista Francesco Casone (anche Casoni) di Oderzo scrisse "non stimo che dal dar sangue i cadaveri possa derivare alcun indizio, se non al massimo un ben vago suggerimento ad aprire un'inchiesta. Tale effusione di sangue deriva infatti da ragioni tuttora ignote, che non debbono far trarre la benché minima conseguenza o conclusione. Qualsiasi magistrato resti quindi soddisfatto dal giudicare col buon senso e la prudenza che s'addicono all'uomo savio ed onesto, accantonando quei misteri che spettano unicamente alla Divina Provvidenza: del resto per il bene della legge non occorre sapere più di quanto occorra o serva".
Nel XVII sec. il medico fiorentino Giovanni Nardi (precisando che la fuoriuscita di sangue dai cadaveri dopo un certo tempo dalla morte era fenomeno di studio per medici o scienziati ed in nessun modo, a pro dei giudici, prova di reità d'un accusato) inoltrò questa ammonizione a tutti i magistrati italiani: "Si guardino bene quanti presiedono all'applicazione del diritto di sottoporre alle torture alcun uomo, davanti al quale il cadavere d'un assassinato abbia versato sangue dalle ferite" [passi del Casone e del Nardi, in latino, ripresi e tradotti dal luogo cit. della Grillaia: vedi Nardium nel Theatrum Sympaticum..., ed. Norimberga del 1662> DURANTE (1) nota 11].

RIBELLE: ant. e con forme dialett. = "che si ribella all' autorità costituita". Nel Dir. intermedio e negli Stat. Crimin. per R. prevale l'accezione di chi è stato condannato per reati contro lo Stato e mandato in esilio, spesso con un complemento di specificazione che indica lo Stato: V. Il Novellino (308) di Masuccio Salernitano in BATTAGLIA, s.v.

RINNEGATO chi rifiuta la propria adesione ad un determinato credo religioso per un altro: il problema si pose per il CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI già al tempo del suo primo urto con l'ISLAM e di ciò si hanno TESTIMONIANZE CRITICHE SU ANTICHI DATI cui attraverso i secoli si reiteranno gli stessi PROGRAMMI DELLA SANTA SEDE.
Nel XVI secolo il termine indicava ancora "chi abbandona il cristianesimo per la religione musulmana": RINNEGATO è quindi grossomodo sinonimo di APOSTATA ed aggravante di Bandito, Esule, Pirata, Predone, Proscritto, Ribelle.
Dal '400 si trattava molto spesso di persone catturate dai TURCHI e convertitesi onde sfuggire alla schiavitù ma in casi ancora piuttosto frequenti si trattava di delinquenti od esiliati dalla giustizia penale genovese ( e non), che cercavano presso i Turchi, "colle loro conoscenze e capacità", un'occasione di riscatto.
RINNEGATO fu il calabrese Luca Galerni, divenuto Ulugh Alì ammiraglio della flotta "turchesca" o "barbaresca" - in pratica la flotta imperiale turca del Mediterraneo occidentale - che dal 1543 assediò a lungo Nizza ma poi anche saccheggiò il litorale ligure: DURANTE - POGGI - TRIPODI, p.154.

Fra i "Turcheschi", come eran detti i componenti della flotta, perlopiù nordafricani e RINNEGATI , il 26-VI-1561 dei Rinnegati liguri ed in particolare un Marco di Civezza, "il Gonnella" di Riva Ligure e tale "Nasomozzo" di Pompeiana, forse un criminale transfuga già punito con l'Amputazione del naso (qualche studioso nella Cronaca del Calvi, che è fonte dei fatti, legge Naso marcio = ma la sostanza non muta granché l'amputazione raramente non trasformava il volto in una maschera d'orrore e non solo si ricorreva ad un vero e proprio taglio netto usandosi più spesso le tenaglie roventi che strappavano parte del naso lasciando una disgustosa immagine dei lineamenti talora definita "Marcia donde anche Volto Marcio") - esperti dei siti, GUIDARONO I TURCHI a devastare Castellaro, Pietra Bruna, Boscomare e altri paesi del retroterra di Taggia, per rifornirsi e catturare prigionieri da vendere come schiavi o di cui chiedere il Riscatto: DE APOLLONIA-DURANTE, pp.92-102 = giova a questo punto la precisazione che il nome "Naso Mozzo" o "Naso Marcio" era tra gli appellativi che si conferivano a quanti - per esser immediatamente riconosciuti quali criminali incalliti- in assenza di documenti anagrafici e certificati penali venivano variamente marchiati o segnati in luoghi visibili del corpo sì da ricevere un nome specifico in merito alla lesione patita e soprattutto da render possibile ad altri il riconoscerne la caratteristica e la pericolosità = sul tema nel suo Scudo di Rinaldo, capitolo XXII Che la fronte debba portarsi scoperta si soffermò, blandamente invero, anche l'erudito intemelio Angelico Aprosio, ma, ad esser onesti intellettualmente e calcolando le feroci procedure del Diritto Intermedio occorre precisare che questa FORMA DI RICONOSCIMENTO CHE COSTITUIVA PARIMENTI UNA "NOTA PUBBLICA DI INFAMIA" poteva davvero esser terribile come si vede cliccando sulla voce e che non di rado costituiva un ULTERIORE AFFRONTO ED ESPRESSIONE DI SESSISMO MARCHIANDO E/O CLASSIFICANDO COME "INFAMI" DONNE "RIBELLI ALL'AUTORITARISMO MASCHILE" O DAL "COMPORTAMENTO SESSUALE LIBERO" E PURANCO "MERETRICI E PROSTITUTE" comunque a tal punto non meritevoli di tanta crudele violenza per l'assenza palese di crimini veri e propri.

-CORDA (giri di, tratti di)> BATTAGLIA,III,s.v.,17> Si legavano le mani di chi doveva essere sottoposto al tormento dietro alla schiena con una fune passante per una carrucola fissata al soffitto; tirando la fune si librava il torturato per un certo tempo sospeso a mezz'aria oppure veniva lasciato cadere giù di colpo più volte consecutive (infliggendogli i TRATTI DI CORDA o giri o dolorosissimi scossoni).

Una espressione ancor più terribile, come nell'immagine e come è facilmente comprensibile, era la CULLA DI GIUDA (non espressamente citata in uso nel genovesato, ma comunque applicata più di quanto si crede ad arbitrio dei giudici> si trattava evidentemente di un supplizio ai limiti del supplizio capitale qualora si volesse estorcere una CONFESSIONE.
Andrea Spinola nel "Ragionamento sopra il provedere agli abusi della giustitia criminale in Genova" - v. SAVELLI, pp. 150-152 - scriveva di non avere fiducia nella tortura della C. che metteva in soggezione i più deboli al solo sentirla nominare, mentre era quasi ricercata dai lestofanti di forte tempra (i delinquenti Corsi soprattutto, per lui insensibili a tale tormento) i quali, talora avvalendosi dell'inesperienza del "boia" o della involontaria complicità di un chirurgo pronto a certificare qualche sopraggiunta infermità, se la cavavano a poco prezzo.

CAVALLETTO: Capra od ECULEO> MACCHINA DI TORTURA ROMANA nel genovesato meno usata dei TRATTI DI CORDA e per vari aspetti da porre in relazione col temibile LETTO PER TORTURE. Il reo stava su un tavolo: gli si legavano, con funi, pesi gravosi a piedi e mani, lasciandolo in trazione per ore, fino a 32: chi non moriva (il C. era pure banco per altri tormenti: frustate, percosse, scottature) avrebbe spesso patito gravi e permanenti deformazioni muscolari e scheletriche.

LETTO PER TORTURE: era uno strumento per certi versi simile al CAVALLETTO od ECULEO ma di tipologia antropomorfica, sì che gli arti inferiori venivano bloccati su due sostegni lievemente divergenti. Questo espediente, per certi aspetti, rendeva la macchina, se possibile, ancora più spaventosa: il LETTO poteva essere sì usato per varie forme di trazione ma soprattutto era usato per applicare i ferri roventi, sulle mammelle (coi vari tipi di tenagile dette STRAZIATOI DI SENI) come sui genitali maschili o femminili: lo strumento, che concedeva al torturatore una maggior possibilità di movimento rispetto ad altri tipi di letti di contenizione era usato per due forme di sevizie spaventose, di cui non si ha notizia in Italia ma che, in ambito riformato o cattolico, furono applicate parimenti in Europa.
Una forma di tortura era quella del cilicio di ferro: il ventre della vittima era stretto entro una gabbia di fili di ferro provvisti di uncini che straziavano le carni: sulle ferite, a discrezione del torturatore, veniva sparso sale od aceto od ancora, in casi limite, si disponevano dei vermi carnivori che, cibandosi delle carni martoriate, portavano quasi sempre il torturato alla follia.
La seconda forma di tortura, in realtà una forma di supplizio capitale, consisteva nel SEGARE il corpo della vittima partendo dalla zona inguinale: per rendere piu terribile questa forma di tortura mortale il LETTO poteva essere sollevato sì da porre il condannato con la testa in basso ed i piedi in alto: con questo espediente, nonostante la spaventosa tortura inflitta dalla SEGA usata (a denti radi e distanziati per infliggere dolore più acuto, procedendo più lentamente), l'aumento d'afflusso al cervello compensava parzialmente la massiccia emorragica causata dalla SEGA nel suo procedere e il torturato, non perdendo subito i sensi per l'insorgere di una massiccia emorragia, conservava per superiori frazioni di tempo la lucidità sufficiente a rendersi conto delle spaventose menomazioni e principalmente a percepire al massimo i lancinanti dolori delle mortali ferite che "squarciavano" il suo corpo

SCHIAVITU'> BATTAGLIA s.v.> S. o condizione giuridica ed economico-sociale di possesso legale di un uomo, privo di libertà personale e personalità giuridica, ridotto a rango di bene economico con l' esercizio su di esso di diritti eguali o simili a quello di proprietà (è istituzione di ogni civiltà e periodo storico....solo con la Convenzione di Ginevra del 25-IX-1926 è stata abolita ufficialmente in tutti i Paesi del mondo> FEDELE, XVIII, p. 292: da XIV sec. cresce il traffico di SCHIAVI nel Mediterraneo gestito dai musulmani, presso cui gli Schiavi hanno maggiore diffusione e funzione economica. I turchi, attingendo ai territori asiatici ed africani, diversificano l'offerta di schiavi agli occidentali, soprattutto nelle piazze del mar Nero, mentre le navi europee raggiungono scali sempre più lontani per approvigionarsi sulle coste d'Africa. Si registra nuovo incremento nel sec. XV quando i portoghesi, giunti ai porti del golfo di Guinea, raccolgono maggiori quantità di negri da trasferire in Europa, facendo di Lisbona una capitale del commercio di S.> Su Schiavi genovesi v. Magistrato del Riscatto degli S. (AIRALDI,p.543).

SCHIAVO/-A (S.-o/-a di guerra - S.-o/-a di natura)>: contro gli scritti di missionari come Bartolomeo de Las Casas (Apologética historia del 1551) l'idea di fenomeni diabolici giustificava il genocidio che i Conquistatori spagnoli e portoghesi facevano di progredite civiltà precolombiane, i cui discendenti, da paura, ignoranza e malafede, venivano descritti come creature semianimalesche, per cui ne era giustificabile lo sfruttamento quali S. di natura (individui selvaggi non equiparabili a persone civili e quindi, naturalmente, di condizione inferiore: fatto anche giuridicamente, oltre che filosoficamente, diverso da quello degli S. di guerra come gli infedeli Turchi, commerciati, quando catturati, nei "Mercati degli schiavi", tra cui famoso quello di Livorno: S. non per natura e minor diritto soggetti ai Cristiani ma quali prede di "giusta guerra"). A tale estremismo, in senso generale e populistico "rapito" da una diffusa subcultura religiosa e predicatoria alla sfera del paranormale, concorse in chiave filosofica e giustificante, il pensiero di Aristotele sugli S. di natura : Politica, 1253b20sgg., 1255a5sgg.> La categoria aristotelica rinvigorita da Tommaso d'Aquino e dai teologi del XIII sec. sullo S. di natura acquisì gran valore per il dibattito, soprattutto ma non solo spagnolo, sulla liceità del dominio coloniale e dell'encomienda o giustificata utilizzazione degli S. di natura nelle colonie agricole forzate.
La polemica sugli S. di natura divenne anche scontro ideologico sulle diversità in senso lato e sulla loro lecita perseguibilità. Sulla questione si affrontarono a Valladolid nel 1550, davanti al Consiglio delle Indie, Bartolomeo de Las Casas e Juan de Sepulveda che, studioso d'Aristotele, ne aveva ripreso la teoria sullo S. di natura estendola agli indigeni precolombiani, senza tener conto dei notevoli livelli della loro civiltà. L'argomento, benché dibattuto a fondo (e senza ancora che intervenisse - come avverrà solo agli albori settecenteschi dell'antropologia fisica - la questione giuridica di un'uguaglianza di diritti misurata sul colore della pelle) non giunse mai a soluzione anche se illustri giuristi e dottori, partendo da Francisco de Vitoria (nelle Relationes de Indis del 1539) e dalla sua scuola di Salamanca, sancirono che gli indiani, per il diritto internazionale, erano soggetti di pari dignità e su cui il dominio era motivato solo in conseguenza d'un intervento militare "umanitario", nel caso che violassero i dettami del diritto delle genti. Ma si può dire che in tali riflessioni sussistesse sempre il meccanismo figurato del "serpente che si morde la coda": lo stesso Vitoria, nostante le considerazioni di massima e l' evidente moderazione di giudizio, finiva per classificare gli indiani od i "selvaggi" come mite variante di diversi, magari un giorno equiparabili agli europei, ma ai suoi tempi ancora bisognosi d'un' assistenza paternalistica, che modificasse certi squilibri storici del loro esistere, dal cannibalismo ai riti idolatrici, prove tangibili di una certa arretratezza: apparente teorema di qualificazione dei precolombiani ma nel contempo assioma di giustificazione per un' egemonia occidentale che si richiamava sempre ad Aristotele, che per Vitoria non avrebbe tanto postulato schiavizzazione degli "indiani" quanto il ricorso ad una autorità sempre pronta a correggerli (NIPPEL, passim).

SERVO -A> Chi è addetto a mansioni umili e lavori domestici in case private o al servizio di personale pubblico> nel "Diritto intermedio" era S. chi per nascita, cattura in guerra, asservimento socio-politico risultava giuridicamente ed economicamente sottoposto ad altro soggetto, con privazione o semiprivazione della libertà: in effetti S.(di casa, di proprietà, non stipendiato) per estensione equivale negli Statuti genovesi a Schiavo o individuo assoggettato lecitamente - per nascita da madre di pari stato o per cattura in guerra o per condanna giudiziaria ecc. - in modo completo e permanente al dominio d'altra persona (proprietario o padrone) col diritto (eguale o analogo a quello della proprietà) di usarne come bene economico, privo di libertà personale e di personalità giuridica.

I Servi e Schiavi erano numerosi a Genova, acquistati ai MERCATO DEGLI SCHIAVI di Livorno o Nizza o dai musulmani a quello d' Algeri, secondo prezzi per cui lo Schiavo asiatico era più richiesto ma costoso di quello africano o di colore.
Vedi Statuti Criminali, lib.II, cap.20 "provvedimenti padronali contro Servi ladri"; cap.21-22 "Norme contro quanti rubano S. altrui o li inducono a fuga dalla casa padronale"; cap.23 "Punizioni padronali contro S. variamente colpevoli"; cap. 66 "Multe e fustigazioni per chi abbia avuto coito con Serve in casa dei padroni"; cap.93 "Pene o ammende a pro dei padron legittimi per chi sposò S. straniere".

SERVO STRANIERO>nell'accezione preferenziale di prodotto di schiavitù cioè schiavo distinto dal servo (specie se libero di umile condizione, a soldo di un padrone): in particolare vedi Stat.Crim., lib.II, cap.93> vista la consuetudine si sancì un capo criminale per il risarcimento dei padroni di Schiave/Serve straniere che qualche cittadino aveva sposato: è un segnale della notevole presenza di stranieri non europei in Genova nel '500. Peraltro le fonti ci informano che già nel 1380 il 4-10% della popolazione di città era formata da vari orientali quasi sempre relegati in condizione di Schiavitù: predominavano le donne, impiegate nella servitù domestica ma vi erano pure uomini utilizzati nei lavori manuali e poi come gente di remo. Compaiono indicati Servi/Schiavi di vasta provenienza (in gran parte connessi coi traffici nel Mediterraneo orientale e nel Mar Nero, sedi di colonie genovesi) tra cui circassi, abkazi, bulgari, turchi, valacchi, albanesi, iazi, ungheresi, russi, cumani, tartari, greci, saraceni e mori (AIRALDI, p.453). Nel XVI sec. si era evidentemente registrata un' inversione di tendenza per la nuova situazione storica che proponeva commerci (a prescindere da conflitti e reciproche razzie di Schiavi) col Nordafrica, contenitore umano e militare dell'Impero ottomano, piuttosto che coll'Oriente spesso impenetrabile per lo strapotere turco: ed infatti, stando al capo 93 del II libro degli Stat. Crim. del '56, il risarcimento per Schiave orientali era ben superiore a quello per Schiave nordafricane, vista quasi certo la maggior difficoltà di poter ora acquistare quelle od ottenerle in qualsiasi modo.

INDICE DEI LIBRI PROIBITI>Concilio di Trento - Sess.XVIII - 26/II/1562 (ALBERIGO, pp.628-629:
"Decreto sulla scelta de' libri
Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, confidando non nelle risorse umane, ma nella protezione e nell'aiuto del signore nostro Gesù Cristo, che promise di dare alla sua chiesa le parole adatte e la sapienza, a questo principalmente tende: a poter ricondurre una buona volta la dottrina della fede cattolica - inquinata e appannata, in molti luoghi, dalle opinioni di molti, che la pensano in modo contrastante, - all'antica purezza e splendore, a riportare i costumi, lontani dall'antico modo di vivere, ad un comportamento migliore e a rivolgere il cuore dei padri verso i figli e il cuore di questi verso i padri. Poiché, dunque, esso ha dovuto constatare che in questo tempo il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto, - e ciò è stato il motivo per cui molte censure in varie province, e specialmente nella città di Roma, sono state stabilite con zelo, senza però che ad un male così grave e così pericoloso giovasse alcuna medicina,- questo sinodo ha disposto che un gruppo di padri scelti per lo studio di questo problema, considerasse diligentemente cosa fosse necessario fare e ne riferissero poi allo stesso santo sinodo, perché esso possa più facilmente separare, come zizzania, le dottrine varie e peregrine dal frumento del vero cristiano, e con maggiore opportunità prendere una deliberazione e stabilire qualche cosa di preciso sulle questioni che sembreranno più opportune a togliere lo scrupolo dall'anima di parecchia gente e rimuovere le cause di molti lamenti
".
E' da precisare che sull'argomento dei LIBRI PROIBITI il concilio di Trento dovette ritornare in occasione della sua XXV sessione del 3-4 dicembre. Si legge infatti sotto la Rubrica intitolata L'indice dei libri proibiti, il breviario il messale questa considerazione seguita da opportuna sanzione:
"Nella seconda sessione -celbrata sotto il santissimo signore nostro Pio IV-, il sacrosanto sinodo, scelti alcuni padri, li incaricò, perché pensassero cosa si sarebbe dovuto fare delle varie censure e dei libri sospetti o pericolosi, e ne riferissero poi allo stesso concilio. Ora sente dire che essi hanno posto fine a questo incarico. Ma per la grande diversità e per il gran numero dei libri, esso non può facilmente giudicarli uno per uno. Comanda quindi, che tutte le loro conclusioni siano presentate al romano pontefice, perché secondo il suo giudizio e la sua autorità quello che essi hanno fatto sia portato a termine e pubblicato...".

LIBRI ERETICI E MAGICI [S.A.I.,127 e 148]. M. DELRIO (lib.V, sez. XVII) scrive: "I testi di argomento magico non possono venir lasciati agli eredi d'un condannato per stregoneria e non devono esser letti nè tantomeno conservati da qualsiasi altra persona: è semmai necessario consegnarli alle fiamme purificatrici del rogo. In questo modo comandava il vecchio diritto canonico e, contro una certa rilassatezza dei tempi moderni, impongono d'agire così gli editti recenti dei Pontefici Pio IV e Clemente VIII, come peraltro si legge nel nono registro dell' "Indice dei Libri proibiti"....solo ai Pontifici, per quanto è scritto, risulta attribuita la facoltà di segnalare le persone cui spettino sia il diritto che il dovere di prendere visione di questi volumi: tra costoro si debbono ricordare in primo luogo gli Inquisitori del Santo Uffizio e secondariamente i loro commissari. Non compete invece ai Vescovi, proprio per la delicata carica che rivestono, alcun titolo a leggere siffatti volumi blasfemi, questione su cui il Penna ha lasciato precisi commenti scritti ed intorno alla quale il Santo Padre Pio V si è degnato di rispondere, essendogli stato posto un quesito in merito da più Vescovi. Peraltro, a patto che non abbiano palesata chiara volontà di consegnarli quanto prima, mancano d'ogni possibilità d'essere assolti in confessione, da questo come da ogni altro loro peccato, coloro che illecitamente conservino presso di sè dei libri di magia; del resto viene riconosciuta la potestà d'assolvere qualcuno da siffatta mancanza solo a quanti operano in forza della bolla papale "della cena del Signore": non è invece valida l'assoluzione eventualmente data da altri uomini di Chiesa cui non sia stata conferita la potestà di cui si è appena detto. V'è anche da rammentare che sono accusabili di eresia, alla stessa maniera degli autori e di quanti altri ne abbiano poi fatto uso stregoneso, tutti quelli che non si siano fatto scrupolo alcuno di custodire presso di sé tal genere di malefici volumi...concludendo queste riflessioni ritengo che la lettura di tali composizioni demoniache, oltre che agli Inquisitori ecclesiastici, debba venir riconosciuta a tutti i pubblici Censori ecclesiastici di varie pubblicazioni: al contrario escludo dal gruppo delle persone autorizzate a far ciò, tutti i Teologi e Dottori della Chiesa, proprio per la loro funzione ed il compito di non essere confusi da idee profane, come per una ragione abbastanza simile, visto che debbono espletare in tranquillità di spirito il loro compito di pastori d'anime, non ritengo opportuno affidare tale compito ai Parroci ed ai Rettori di chiese di qualsiasi ordine".

ERETICO: colpevole di ERESIA: a volte però confuso anche con praticante di STREGHERIA, lettore di LIBRI PROIBITI o di LIBRI MAGICI od anche ALCHIMISTA: gli STATUTI CRIMINALI GENOVESI indicavano per gli ERETICI la pena di morte tramite il rogo pur demandando ai giudici ecclesiastici i compiti persecutori e procedurali.
La condanna al supplizio estremo non era tuttavia una costante nei procedimenti avverso gli ERETICI: spesso la si poteva evitare con vari mezzi (pur sempre umilianti!), tra cui l'ABIURA, nel corso di processioni di infamia, più in Spagna che in Italia invero, destinate a concludersi nella scenografia degli ATTI DI FEDE.
A titolo di INFAMIA, come si può notare nella stampa d'epoca qui riprodotta i giudici facevano indossare agli eretici ROZZI INDUMENTI DI FOGGIA DIVERSA E DIVERSAMENTE "ORNATI" da cui si poteva dedurre, ad opera degli spettatori, la DIVERSA CONDANNA, la MAGGIORE O MINORE ENTITA' DELLA COLPA e se soprattutto fossero intanto sopravvenute la CONFESSIONE e il PENTIMENTO .
Scrive MARTIN DELRIO (libro V "Sui compiti del giusdicente in procedimenti indiziari riguardanti crimini sospetti di magia") per provvedimenti ecclesiastici contro Eretici: "In particolare gli autori di venefici e le streghe, dal momento che son soliti rinnegare la fede cattolica, dire o fare cose con essa discordanti e perpetrare azioni macchiate da colpe d'eresia, stando agli ordinamenti dei Pontefici Innocenzo VIII, Giulio II, Leone X, Adriano VI, debbono venir affidati agli inquisitori ecclesiastici.
Per quanto concerne i sortilegi veri e propri, quelli che hanno a che fare coll'arte proibita di predire il futuro, si debbono invece considerare due diverse situazioni.
La prima è quella in cui nel sortilegio commesso non si è individuata alcuna traccia d'eresia o d'avversione alle verità della Chiesa: in tale evenienza, all'inchiesta ed al giudizio non sarà necessario che sovraintendano giudici ecclesiastici.
In caso contrario, sospettandosi o addirittura provandosi la compresenza, nel reato, di manifastioni ereticali, toccherà investigare proprio ai magistrati ecclesiastici.
In linea di massima lo stesso vale a riguardo di tutti gli altri individui che procedono sul limite della verità di legge e di fede sì che, abbastanza facilmente, possono cadere nel peccato dell'infedeltà: fra costoro certamente si trovano coloro che stipulano patti demoniaci o per ragioni profane si servono dei sacramenti.
Spetterà invece ai giudici dello Stato procedere contro i responsabili delle rimanenti forme di superstizione, prescindendo dalla gravità del reato eventualmente commesso.
Gli Eretici possono esser obbligati a comparire davanti a più giudici e per diversi tipi di indizi: del resto, ovunque siano stati catturati, gli Eretici potranno essere puniti dal giusdicente del luogo nel rispetto della prassi della legge.
L'eresia è infatti un tipo particolare di crimine, che comporta ogni volta la continuità e la condizione che, ovunque viene a trovarsi, l'Eretico perpetra il suo delitto.
Quei sortilegi e malefici che non sono di estrema gravità nè hanno caratteri d'eresia cadranno in prescrizione e non saranno più perseguibili una volta che siano passati venti anni mentre, all'opposto, non si potrà avere alcuna prescrizione nel caso di reati macchiati della colpa dell' eresia ed anzi, dopo la morte del colpevole, sarà possibile estendere l'azione di legge a danno degli eredi.
Trattandosi poi di quel tipo d'eresia che comporta l'apostasia e che si conforma alle regole perverse delle religioni scismatiche e riformate, morto il reo, la pena, sotto forma d'ammenda in denaro, si estenderà ai suoi eredi e mai sovverrà prescrizione prima che talora siano passati anche quaranta anni, benchè nei casi di Lesa Maestà dello Stato o del Signore risulta invece sufficiente che sia trascorso un quinquennio: nell'evenienza di siffatti malefizi ereticali il periodo che dovrà intercorrere, prima d'ogni prescrizione, sarà sempre molto più lungo che nel caso di crimini commessi solo nel penale: e giammai potrà intervenire alcuna diminuizione della pena nè tantomeno prescrizione del crimine" [ Indizi (nell'inquisizione ecclesiastica) e Premessa: nessun Stato gradiva le interferenze dell'Inquisizione nella sua giustizia e per questo si precisò, tra XVI e XVII sec., che il Giudice laico dovesse obbedire all'Inquisizione in casi sospetti di Eresia, che potesse carcerare un eretico ma per consegnarlo presto all'Inquisitore, che non collaborando coll'Inquisitore (a Genova v. Stat.Crim., II, 89) dovesse scomunicarsi, che se persistesse nell'atteggiamento per oltre un anno fosse pure lui da accusarsi di Eresia> S.A.I., 144, 196, 197: in questo contesto di reciproche diffidenze finiva per diventare veramente drammatica la condizione degli accusati d'eresia.

Una volta condannati, dopo loro confessione o no, gli ERETICI (come le STREGHE CONFESSE quale la FATTUCCHIERA qui effigiata dal Guercino) erano costretti a passare in corteo, per pubblica infamia, spesso sin al patibolo ABBIGLIATI in modo particolare, con copricapi di carta a giusa di mitra, su cui erano effigiate figure blasfeme e diaboliche e rozze vesti sgargianti di colori e disegni che alludevano però ai loro "demoniaci contratti" (anche per questa ragione la strega confessa, egualmente condotta al patibolo con siffatti indumenti, ha sviluppato nell'inconscio collettivo una certa tipologia di abbigliamento: ora di vecchia cenciosa ora di ambigua fata, come si può riconoscere da svariate immagini di streghe condannate)> dall'analisi degli abiti e delle fogge si vede, in base alla casistica inquisitoriale, che gli ERETICI dell'immagine andavano incontro a destini molto diversi:].

STUPRATORE: VIOLENZA CARNALE> STUPRO = Stat. Crim., "lib." II, capi 3 e 4: si contemplavano, fatte eccezioni di rito e certe peculiarità interpretative per il cui studio si rimanda alla lettura del testo criminale, la confisca dei beni del reo e la sua esecuzione, mediamente sulla forca per impiccagione (il ricorso al supplizio estremo in caso di STUPRO (ritenuto assai meno grave nel DIRITTO MEDIEVALE E COMUNALE e comunque solvibile per via nummaria) era teoricamente comune nella legislazione dell'età intermedia, ferma però la probatoria dei fatti.
Al proposito, per quanto riguarda la Repubblica di Venezia, è utile leggere il Bando et sentenza dell'Eccelso Cosiglio di X contra Alvise Paruta, & altri edito dal Pinelli, in Venezia, il 3 aprile 1641, in 4°, pp.1-20 dove si commina la confisca dei beni, si pone una taglia per il bandito (vivo o morto), si ratifica la sentenza (taglio della testa) avverso il Paruta reo d'aver violentata e rapita una ragazza di nome Lucietta il giorno della Pasqua: altri sono i "complici vari" del crimine).
La severità della setenza non deve ingannare la ragazza era una vegine il cui stato precedente alla violenza e la cui traumatica perdita della verginità era stata ratificata da tre ostetriche oneste e attendibili: la severità della pena non era infatti tanto in proporzioni ad una riscoperta dignità della condizione di donna ma da un danno cagionato, attraverso la fanciulla violata, alla sua famiglia che finiva per esser depauperata di un bene nel sofisticato protocollo dei matrimoni di interesse.
Non a caso, per esempio, come si legge in una pagina emblematica dell'opera di diritto criminale di Antonio Concioli (Resolutiones criminales..., Macerata, per gli Eredi di Agostino Grifo e Giuseppe Piccini, 1667) tutti gli interpreti di diritto criminale, in Italia e non, ritenevano che non sussistesse stupro nel caso di costrizione sessuale esercitata nei riguardi di una donna di incerta o cattiva reputazione (e spesso gli stupratori non mancavano di pagare onesti testimoni [sic!] che vanificassero le accuse delle donne stuprate sostenendo qualche loro intemperanza sessuale].


ZOOFILIA> depravazione della sessualità caratterizzata da insanabile passione, di uomini o donne, verso qualche particolare animale. Nella mitologia la Z. è mascherata nel ciclo minoico-cretese della bella sposa di Minosse "Pasife", per vendetta di Afrodite cui contese la bellezza, costretta ad innamorarsi di uno splendido toro, sì da celarsi entro una vacca costruita da esperti artefici ed ingannare la bestia, onde esserne posseduta e partorire poi uno fra i primi casi di mutante genetico ideati dalla fantasia umana, il "Minotauro". La Z., per la ripugnanza che suscitava, entrò di diritto nei cicli del diabolico, fin ad essere ripresa dalla letteratura "stregonesca" quale momento estremo dell'esperienza femminile nel sabba tramite il congiungimento carnale d'un'adepta con il Diavolo nascosto sotto la veste immonda d'un "capro nero".





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