AIROLE: La compravendita di AIROLE dipese dal fatto che il Comune intemelio ne fece un nodo della "via del Roia": il progetto di colonizzare l'area aveva lo scopo di istituire un insediamento intemelio lungo il tragitto del Roia e farne un antemurale contro invasioni banditesche che preludevano a spostamenti militari sabaudi.
Tale ipotesi giustificherebbe l'esistenza di qualche struttura militare in valle, la fortificazione dei luoghi di passo e la concentrazione a barriera dei villaggi di Collabassa, S.Michele, Olivetta, Piena, Fanghetto e Libri, sul terminale od in parti nodali di itinerari corrispondenti ad antiche mulattiere.
Nel 1498 la zona di Airole, avanguardia genovese contro il Piemonte, era ancora priva di vita di relazione a comprova che gli insediamenti in val Roia furon sempre macchinosi contrariamente a quanto accadde in Val Nervia.
La ritardata evoluzione "coloniale" di Airole, di cui Ventimiglia era detta "Signora", dipese da sopraggiunti contenziosi coi Certosini di Pesio: il 17-XII-1436 Samuele Priore della Certosa di Pesio non solo protestava contro l'insolvenza dei reggitori intemeli ma chiedeva la "conservazione" in Airole di un fondo i cui proventi spettassero alla Certosa.
Le "terre e i diritti" cui alluse frate Samuele confortano nel giudizio che i Certosini prima della vendita mai avessero abbandonato il Priorato, contro le "false voci dei Sindaci" e che avessero finito per centrare i loro interessi su alcuni siti e su quelle pertinenze agricole che producevano cespiti migliori: in base al rescritto del 1436 si deduce che i frati benché poco numerosi stessero ad Airole ancora nel 1434 e che, attese le manchevolezze del Comune intemelio, avessero assegnato ad un procuratore di porre sotto cautelativa il sito onde vanificare le proposizioni insediative dei Ventimigliesi.
La soluzione della diatriba avvenne tempo dopo, verso gli anni '90 del secolo: soltanto dopo la fine della lite il Comune intemelio, saldati i debiti e entrato in possesso di Airole mentre già si era evoluta la strada del Roia, incaricò 4 suoi cittadini-magistrati di suddividere l'agro di Airole in 14 zone da assegnare ad altrettanti capifamiglia "probi e fidi" che in rapporto al beneficio assunsero l'onere di costruirvi un'abitazione , risiedere sul lotto di proprietà e lavorarlo, versando al Comune annualmente un soldo per diritto di "cottumo" ( allorché le terre fossero state "accottumate", o riscattate, il tributo sarebbe divenuto formale sotto l'aspetto di una "fava nera"). La volontà intemelia di ripopolare l'agro di Airole facendone "fida guardia sul ben meditato viatico delle gole (del Roia) sin a Tenda contro malintensionati e a pro di boni homini" si ricava da altro capoverso dell'atto del 1498.
I capifamiglia beneficiari erano sì titolari delle proprietà ma avrebbero potuto venderle solo ad abitanti del luogo e in dipendenza del pagamento al Comune dello Jus di "laudemio", cioè la somma variabile che il concessionario di un'enfiteusi (titolare del cosiddetto dominio utile come nel caso i 14 capifamiglia destinatari) doveva versare al proprietario concedente (titolare del dominio eminente o diretto come nella circostanza il Comune intemelio) nell'eventualità di un'alienazione del suo diritto in seguito a vendite, donazioni, trasmissioni di eredità od altro.
Tenendo conto dei sulla Valle del Roia, della compravendita di Airole e delle condizioni strategiche del sito si evince che Ventimiglia non solo intendeva aprirsi una via nel Piemonte ma che, per garantirne la sicurezza, voleva costellarla di insediamenti coloniali che non si esaurissero di abitanti e che soprattutto non passassero sotto altrui giurisdizioni laiche od ecclesiastiche. Lo studio di carte della Certosa di Pesio giustifica i codicilli inseriti nell'atto del 1498. La "casa madre" ormai non era solo strettamente legata alla sfera politica sabauda ma risultava anche connessa tanto al "borgonuovo" di Cuneo quanto alle strade commerciali "Provenza-Nizza-Piemonte": fu ulteriore ragione di legare gli abitanti di Airole sia a Ventimiglia che alla terra rendendo gravosi trasferimenti e alienazioni. Temendo nuove infiltrazioni del clero pedemontano, visto che le abbazie piemontesi "non son serve nostre ma dei Duchi", il Comune, d'accordo colla Diocesi, istituì una Rettoria in Airole affidata (doc. del 25-VIII-1516, a tal Giovanni Serviense che si obbligò a versare annualmente le decime, in occasione della Festa dell'Assunta, al "Preposito della Cattedrale intemelia G.B.D'Oria" e così in perpetuo fra i successori: fu un modo per innestare Airole, oltre che civilmente, anche dal profilo religioso sul tronco delle istituzioni intemelie).
Per Rettoria si intendeva un edificio religioso sufficientemente importante da coagulare un numero crescente di fedeli, sin a divenire luogo cultuale per eccellenza e surrogare qualsiasi tradizione locale connessa a preesistenti chiese o cappelle. Nella sua inedita Raccolta di notizie storiche antiche (I, pp. 229-619) il gesuita intemelio Agostino Galleani (1724-1775) precisò che ancora ai suoi tempi Ventimiglia soleva inviare ogni anno consoli e censori per esercitare la supervisione dei luoghi, di modo che non fosse avvenuta alcune cessione contrastante l'atto del 1498, e riscuotere il censo formale.
La periodicità dei controlli e della riscossione fiscale cui alluse l'erudito restano prova della volontà intemelia di esercitare controllo politico-amministrativo sul paese di Val Roia, di cui sotto il profilo strategico pei tragitti di valle e sublitorale ai tempi del Galleani (quelli della guerra di successione austriaca) si ribadiva la valenza: non sembra casuale che a fronte dei controlli ormai superficiali sulle altre sue dipendenze rurali, il Capoluogo intemelio andasse non solo esercitando periodiche supervisioni su Airole ma che le autorità attribuissero a Ventimiglia il titolo di "Signora di Airole" che alludeva al totale possesso di Airole senza pretese straniere o contenziosi con organi ecclesiastici (G. ROSSI, Sulla fondazione di Airole, colonia ventimigliese, documenti del XV secolo, Torino, 1864).
BORDIGHERA>Visti i ritrovamenti della lapide e di una tomba monumentale di famiglia di un certo LUCREZIANO ebbe origine romana come suburbio della capitale del municipio di Albintimilium, la Ventimiglia romana di Nervia.
Il suo nome attuale però compare nel 1200, tra i più antichi atti dei notai. Dapprima si trova la forma Burdigheta, la cui pronuncia in dialetto doveva essere Burdigea con esito gutturale. Con tal nome di luogo o toponimo, che ha alla base il termine burdiga, si voleva indicare un recinto di canne o giunchi in un canale o lacuna per la pesca (significato simile lo troviamo nel provenzale bordiga e nel francese bordigue). In epoca medievale con tal nome si indicava qui non tanto un borgo ma piuttosto un’area specifica (quella pianeggiante ove ora sorge la moderna Bordighera) in cui operavano pescatori e traghettatori per lavori di vario tipo: era un sito riparato e percorribile con l’ausilio di barche medievali, di basso pescaggio (copani e bauccii) adatti per acque basse e paludose (proprio nella bordiga nacque l’antica tradizione marinara dei Bordigotti). L’erezione ufficiale di Bordighera ad ottava villa di Ventimiglia, sita sul Capo, risale al 2-IX-1470 (per volontà di 32 capifamiglia delle ville di Borghetto e Vallebona), da altri documenti (3 del 1471) si apprende che in vero questa non fu autentica fondazione ma semmai rifondazione di un borgo, già distrutto ed abbandonato da tempo per ragioni che, al momento, sprofondano nel buio della memoria. Al primo insediamento di Bordighera in effetti era stato fatto cenno in un focatico o censimento provenzale (1340-1) del territorio intemelio, secondo cui alla località veniva attribuita la residenza di 15 famiglie, per un numero di poco più d’un centinaio d’abitanti. Ma su questa Primigenia Bordighera esistono anche dati che risalgono al XIII sec. quando il notaio genovese di Amandolesio stese un atto (20 dicembre 1259) su una terra agricola sita al Capo di Bordighera. Fino alla Rivoluzione Ligure del 1797 Bordighera, in un crescente sviluppo, visse all’interno della Magnifica Comunità delle Otto Ville, insieme delle ville del Capitanato di Ventimiglia che dal 1686 si erano rese indipendenti per il lato amministrativo dal controllo fiscale intemelio (Bordighera, Camporosso, S.Biagio, Soldano, Sasso, Vallecrosia, Vallebona, Borghetto S.Nicolò).
DOLCEACQUA Comune di media val Nervia a pochi Km da Ventimiglia. Di origini antiche, con tracce di insediamenti rurali romani, il paese fu capitale (simboleggiata dal castello dominante sul Borgo vecchio ad oriente del Nervia) del Dominio dei Doria. In Dolceacqua (in cui si son trovati reperti di ordine celto-ligure) si sono concretizzati sia il tema del rovesciamento cultuale (per cui supponibili elementi idolatri furono sconsacrati con l’identificazione di entità positive precristiane in elementi negativi-maligni secondo lo schema-trappola dell’ inganno demoniaco: il buco del Diavolo) quanto il processo della sovrapposizione cultuale, di modo che una qualche tradizione (o struttura) pagana, resistente nella religiosità popolare non venne combattuta quanto piuttosto assimilata nel contesto di un sistema fideistico cristiano-cattolico (il complesso ecclesiale e le leggende taumaturgiche correlate di Nostra Signora della Mota poi detta, per alterazione dell’etimologia popolare, della Muta) nel vasto sito già occupato dal Priorato benedettino medievale dipendente dal monastero di Novalesa nel circondario di Susa (R. CAPACCIO - B.DURANTE; Marciando per le Alpi... , cit., p.193 sgg.).
PIGNA Comune dell’alta val Nervia, sede di insediamenti rurali romani. Importante il complesso di Lago Pigo, dialettale per ad Lacum Putidum cioè il lago che puzza ad indicare una sorgente termale-solforosa, curativa di varie affezioni, innestata in epoca celto-ligure e romana nel ciclo religioso delle Matres poi inglobato nel culto cristiano delle tre Marie o donne del Calvario come indicano i rilevamenti archeologici sulla vicina chiesa d’origine monastica dell’Assunta, primigenio luogo di culto del vicino borgo di Castelvittorio. Il complesso termale è in relazione viaria e cultural-religiosa con quello di Nostra Signora delle Fontane nel territorio di Briga: in entrambe le località, non a caso, assieme a rinvenimenti di romanità si espresse l’arte pittorico-profetica di Giovanni Canavesio che, verso il morente ‘400 e all’alba di grandi scoperte geografiche e di imprevisti rovesciamenti di verità un tempo indiscusse, affrescò alcuni edifici sacri, dando prova del suo talento in Due giudizi universali.
ISOLABONA: paese dell’entroterra intemelio, lungo la provinciale che fiancheggia il Nervia sulla diramazione verso Pigna. Non privo di elementi architettonici, con tracce, in gran parte ancora da studiare, di romanità nel complesso viario e fondiario di
OLIVETTA S.MICHELE: a circa l5 km. da Ventimiglia, s'incontra questo paese
della val Bevera. Su un'altura sovrastante il torrente Bevera, e quasi sotto gli splendidi "orrori" di MONTAGNE dai connotati foscoliani, sta OLIVETTA, il borgo principale
che fu capoluogo di un insieme di nuclei: Piena, Libri, San Michele e Bussaré: dopo le vicende dell'ultimo conflitto mondiale e il nuovo assetto dato alle frontiere il paese si compone però, oltre che del centro di OLIVETTA anche dell'importante insediamento di S.MICHELE e dalla frazione di FANGHETTO. Questo agglomerato, antico feudo dei conti di Ventimiglia e del vescovo di Grasse andò a costituire una comunità che, nel 1862, prese il nome di Penna. "Il nome attuale (quel
lo congiunto di "Olivetta San Michele", come dal 1890 per regio decreto 6700) è costituito dalla giustapposizione del nome di due frazioni, borghi agricoli di formazione relativamente recente e privi di documentazione storica. San Michele ricorda il culto del santo cui è intitolata la chiesa del centro vicino più importante (Sospello, oggi Sospel). Forse Olivetta era in
origine un collettivo plurale neutro oliveta dalla diffusa
coltivazione dell'ulivo nella zona, ed è stato poi erroneamente interpretato come diminutivo femminile in -etta" (G. Petracco Sicardi in Dizionario di Toponomastica, Utet, Torino, l990, s. v. Olivetta San Michele).
In antico i borghi della comunità furono disposti su un territorio d'importanza strategico-economica: Penna si trova su un importante valico di trontiera della Repubblica Genovese in rapporto con la principale Strada del Sale.
Quando Penna, per scelta della Repubblica di Genova, fece ostacolo al commercio, si scrisse una pagina importante della storia di Olivetta e terre vicine.
Cominciarono lotte e tentativi di conquista da parte dei Savoia che intendevano impossessarsi del valico. Le tappe pnncipali di queste battaglie sono
3: nel 1451 il brigante Giovanni Bondetto, di Sospello, con
100 uomini, occupò borgo e castello. A questa vittoria dei Savoia seguì l'intervento del Signore di Dolceacqua, che catturò il brigante e mise fine all'assalto. Un secondo
attacco fortunato sabaudo si ebbe nel 1625: riuscì per il tradimento di un castellano,
sì che il borgo e il castello giunsero ai Savoia.
In epoca successiva Genova riprese possesso dei territori: gli scontri tra i Savoia e Genova non cessarono: nel 1672 Penna subi 3 altri assedi. L'ultimo fu di 5 giorni e finì
con la ritirata dei Savoiardi, una volta che, su altro fronte,
presero Oneglia e il col di Nava come vie di transito per i loro commerci.
Nei secoli seguenti Penna mutò il nome in Piena, e cosi rimase
fino al 1890.
Da questi tempi Piena perse la sua identità
storica: divenendo frazione di quella che è ora Olivetta San Michele.
Il comune di Olivetta è un centro piccolo ma importante per la vallata. Nel
paese e nei dintorni sono conservate opere artistiche di un certo rilievo. Tra queste si cita l'antica parrocchiale
di S.Antonio da Padova. piu volte ricostruita, e il ponte romano a Fanghetto. Transitando su una
carrozzabile o a piedi su una mulattiera scavata nella
roccia, si raggiungono i resti del castello medievale. VENTIMIGLIA> Altura degli Intemeli (come detta il nome ligure-romano Albintimilium) si sviluppò a Nervia sull’altura di Colla Sgarba. Dopo la conquista romana si eresse una città quadrata e cinta da mura al terminale del Nervia (grosso torrente che formava prima d’entrare in mare un porto canale per l’attracco delle navi). Con l'integrazione tra Liguri e Romani la città si espanse, con suburbi o periferie che si estendevano verso Sanremo e Mentone. Vi si costruirono ville, case condominiali, acquedotti e fontane, un foro pubblico, un teatro e una struttura termale. Dopo i secoli bui del Medio Evo (quando la popolazione abbandonò la città romana per rifugiarsi sull’altura ben protetta della città medievale) e dell’epoca feudale (caratterizzata dall’egemonia dei Conti di Ventimiglia, sui ruderi del cui castello sorge dal 1668 il convento delle Canonichesse Lateranensi) si ebbe la fase comunale. Nel XIII sec. la città fu conquistata da Genova e ne diventò base di frontiera, purtroppo anche tormentata da guerre ed invasioni. Divenne quindi "Capitanato di Ventimiglia e distretto" nel Dominio di Genova ed il ceto dominante dei nobili locali o "Magnifici" risiedeva nel quartiere, poi sestiere, "Piazza" di Ventimiglia medievale il cui locale Parlamento, importante per l'amministrazione economica del territorio, fu spesso in disaccordo coi "popolari" e soprattutto coi "rustici" delle "ville rurali" che a fine '600 avrebbero, dal Senato genovese, ottenuta l'autonomia economica e fiscale da Ventimiglia ritenuta troppo esosa. Ventimiglia seguì quasi sempre i destini di Genova, tra guerre, periodi di fortuna e di difficoltà: sarebbe diventata Comune autonomo dopo la "Rivoluzione Ligure" del 1797 e, caduto Napoleone, dopo il Congresso di Vienna (1815) per cui la Repubblica di Genova fu soppressa ed il suo territorio venne assegnato al Piemonte sabaudo. Lo sviluppo urbano e demografico di Ventimiglia nella piana tra i corsi d'acqua del Nervia e del Roia si ebbe dall''800 ed in particolare dalla II metà dopo la realizzazione della "Strada della Cornice" (oggi "Aurelia") e della "Strada ferrata" con la "Grande Stazione ferroviaria internazionale" che resero intensi i traffici e potenziarono il ruolo frontaliero della città. Nuove attività economiche (a fianco di quelle tradizionali della olivicoltura e floricoltura) tra cui, per ultima e gloriosa, la floricoltura fecero la fortuna di Ventimiglia [la celebre Battaglia di Fiori (anche detta Battaglia dei Fiori) con splendidi carri fioriti, lavorati soprattutto coi pregiati garofani locali, divenne un appuntamento mondano ed internazionale, recentemente riproposto nonostante la gravezza dell'impegno e dei costi]. La vicinanza della Francia e, sin a tempi recenti, la congiuntura favorevole del cambio lira/franco ha fatto di Ventimiglia un enorme emporio commerciale il cui apice è costituito dal monumentale mercato ambulante di ogni Venerdì, diventato di rinomanza europea. Molte associazioni culturali e la stessa Amministrazione comunale stanno tuttora operando per una sempre più vasta qualificazione turistica di Ventimiglia (non limitata alla fruizione del pur splendido mare) con varie iniziative: alcune di carattere "storico", come la festa di fine estate per il Patrono S.Secondo (con fuochi artificiali e corollario di manifestazioni) altre più recenti come l'Agosto Medievale nel corso del quale numerosi figuranti celebrano uno dei tanti aspetti dell'antica storia della città [grande sagra folkloristico-culturale che si esalta tramite parecchie altre manifestazioni sportive (corsa a staffette di squadre dei "sestieri" o contrade cittadine storiche per esempio ma ancor più con le sfide del bravissimi Balestrieri intemeli) ed in particolare con un Palio marinaro o competizione nautica di velocità tra "gozzi -tipiche imbarcazioni liguri a remi- con equipaggi dei sestieri "Burgu", "Campu", "Cuventu", "Ciassa", "Auriveu", "Marina"]. Di questo importante centro commerciale (cui non è però estranea una serie di iniziative culturali importanti: vedi la manifestazione Mediterraneo) è utile dar ora la rassegna di alcuni dati utili per una fruizione ottimale, di turisti e visitatori in particolare ma anche di residenti.
DATI STATISTICI GENERALI
-Superficie comunale: 53,92 Kmq.
-Abitanti: 25.978 u.c.
-codice di avviamento postale: 18039.
-prefisso telefonico: 0184,
La città è sita a circa 40 km. da Imperia (suo capoluogo di Provincia) ed è collegata a Savona ed alla Francia dall'Autostrada A 10 ("dei Fiori"), dalla Statale n.1 ("Aurelia") e dalla Statale n.20 per il Colle di Tenda.
INDIRIZZI DI VARIA UTILITA'
1-Pronto Soccorso: "Croce Rossa" (via Dante 12, tel.25.07.22), "Croce Verde" (Piazza XX settembre, tel.35.11.75).
2-Soccorso in mare: "Capitaneria di porto, tel.35.11.01.
3-Carabinieri: via Chiappori, tel.35.72.35.
4-Polizia stradale: Piazza della Libertà 1, tel. 34.902.
5-Polizia di Stato: Piazza della Libertà 1, tel. 34.75.75
6-Vigili del Fuoco: gruppo operativo di Ventimiglia, tel.115.
7-Vigili Urbani: via S.Secondo 9, tel. 35.25.25.
8-Comune-Municipio: Piazza della Libertà, centralino 2801.
9-Poste-Telecomunicazioni:Piazza Battisti (poste ferrovia) tel.33.809; "Centrale"-Corso Repubblica, tel. 35.13.12[Dettatura telegrammi: tel.35.11.23, Bancoposta: tel.35.51.90]; Ventimiglia Alta, tel. 351735; Succ. di Grimaldi, tel.38010; Succ. di Latte, tel.34.040.
10-Stazione ferroviaria: centralino tel.35.67.77.
11-Ospedale-Guardia Medica, via Basso, centralino 2751.
12-U.S.S.L. 1: corso Genova 88, tel.35.75.57.
13-Autostrada dei Fiori: Area del Roia, tel. 35.12.03.
14-Azienda di Promozione turistica:"IAT-Ufficio informazioni", via Cavour 61, tel.35.11.83; "Forte dell'Annunziata-Mostre/Convegni", via Verdi 15, tel.35.28.44.
15-Alliance Francaise della Riviera dei fiori: (scambi socio-culturali italo francesi) via Martiri Libertà 1, tel.35.25.68.
16-Agenzia Giornalistica Alpazur, via Asse 53, tel.239177.
17-Auto-pubbliche/Taxi: Piazza Stazione Ferroviaria, tel.35.11.25.
18-Autobus-servizi pubblici: "Riviera Trasporti", via Cavour 61-Biglietteria tel.351251.
19-Ambulatorio Veterinario U.S.S.L.1 via Peglia 231649 ("Consultorio familiare servizio veterinario" tel.2751-"Veterinario di confine", via S.Secondo, tel. 35.56.86).
20-Camera del Lavoro, via Roma 23, tel.239199.
21-Confederazione Nazionale Artigianato:Corso Genova 50, tel.34891
22-Confederazione nazionale dei coltivatori diretti: via Asse 3, tel.351627/ 351417.
23-Ufficio Provinciale del lavoro-Ufficio collocamento, via Lamboglia 14, tel.254822.
24-Distretto Scolastico n.1: via Martiri Libertà 2/a, tel.356355.
25-Civica Biblioteca Aprosiana: Ventimiglia alta-v.Garibaldi 19, 35.12.09
25-Museo Preistorico: Balzi Rossi, tel.38.113.
26-Museo Archeologico G.Rossi: Forte dell'Annunziata, via Verdi, tel.35.28.44.
27-Giardini Hanbury: "la Mortola", tel.39.852.
ITINERARI TURISTICO-CULTURALI DA VENTIMIGLIA
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1-Sito archeologico di Ventimiglia Romana a Nervia (Teatro, terme, mosaici, Insulae o case condominiali romano imperiali, villa signorile presso il magazzino ENEL: possibile escursione a Colla Sgarba ed all'oasi faunistica del Nervia).
2-Visita a Ventimiglia medievale: Chiesa Cattedrale - Battistero - Convento Canonichesse Lateranensi(edificio) - Porta Medievale della cinta muraria - case signorili del quartiere/sestiere "Piazza" - Biblioteca Aprosiana - chiesa romanica di S.Michele con cripta - Area del "Funtanin: possibile escursione a "Porta Canarda" simbolo con la torre e la porta doppia ad arco gotico delle difese di Ventimiglia verso ponente sulla "strada romana".
3-Visita alla città moderna : giardini pubblici, oasi faunistica del Roia e Convento di S.Agostino.
4-Escursioni verso la val Roia (Airole in particolare, con la diramazione per la val Bevera: siti interessanti per le supposte e leggendarie valenze magiche) od il o ai ruderi di Castel d'Appio
5-Escursione: Ventimiglia - Latte - Giardini Hanbury - Balzi Rossi - Frontiera (Km.8,500).
6-Escursione: Ventimiglia - Porta Canarda - Calandre - S.Lorenzo - Castel d'Appio - Ventimiglia.
7-Escursione: Ventimiglia - Bevera - Torri - C. del Bricco - M.Grammondo (Km.8,500-ore di percorso standard 6).
8-Escursione: Ventimiglia - S.Michele - Olivetta - C. delle Rove - M.Grammondo (Km.18).
9-Escursione: Ventimiglia - Ciaixe - M.Abellio (Abeglio) - Gola di Gouta - Pigna - Ventimiglia (Km.71).
10-Escursione: Ventimiglia - Vallecrosia (da visitare il Tempio-Museo della Canzone Italiana realizzato da Erio Tripodi, ricchissimo di rari strumenti e testi riguardanti la cultura musicale italiana: è sede di convegni importanti e vi si premiano le migliori tesi di laurea, a livello internazionale, sulla canzone italiana) - Apricale (autentico gioiello architettonico di paese medievale di val Nervia)- Dolceacqua - Ventimiglia (Km.71).
11-Escursione: Ventimiglia - Pigna - C.Langan - Molini di Triora (assolutamente da visitare il museo etnografico dedicato alle streghe, in memoria del famoso processo di Triora di fine XVI sec.) - Arma di Taggia - Ventimiglia (Km.96,800).
Una data da cui si possono calcolare i rapporti tra Ventimiglia e le sue dipendenze rurali o “ville” è l’8 giugno 1251: dopo periodi di lotte, Fulco Curlo e Ardizzone De Giudici si recarono a Genova, dal Podestà Menabò Torricella per stipulare le convenzioni che sancirono la fine dell’autonomia del Comune intemelio ormai sottomesso a Genova. Tali convenzioni furono ammorbidite nel 1396 quando Genova, per compensare Ventimiglia d’aver resistito ad un tentativo dei Grimaldi di Monaco di assoggettarne il territorio a vantaggio dei Savoia, le concesse grazie particolari e un riconoscimento di “genovesità” ai suoi cittadini. Tenuto conto che Ventimiglia e distretto (che per la costa si stendeva da “S.Remo al torrente Garavano presso Mentone”) erano giuridicamente un’unità, è giusto precisare la diversa distribuzione sociale del patrimonio demografico. L’amministrazione del “distretto” (poi “Capitanato”) rimase nelle mani degli “urbani”, distinti in nobili e popolani: i “villani”, non servi ma affittuari delle varie località rurali del contado, ebbero scarso peso politico. Questi abitanti - agricoltori delle “ville” intemelie erano assoggettati a tali vincoli verso i proprietari-signori (come i Giudice di Vallecrosia od un clero secolare ricco di previlegi) da non poter reagire contro le ingiustizie se non per via di casuali insurrezioni. La storia delle “ville” (Camporosso, Vallecrosia, S.Biagio, Soldano, Borghetto S.Nicolò, Vallebona, Sasso, Bordighera) procedette di pari passo con quella di Ventimiglia, seguendo le vicende di Genova: così le “ville”, di volta in volta, furono sottomesse ai Sovrani di Francia (1395-1410), poi al Duca di Milano Filippo Maria Visconti (1421-’27) e poi alla Signoria del genovese Carlo Lomellino “infeudato” dai Visconti del distretto intemelio (1427-’35). Dopo un caotico sussegursi di Dominanti, cui Genova affidava le sue sorti, e dopo la supremazia milanese degli Sforza (1469-99) il “Genovesato” pervenne nel 1499 al re francese Luigi XII: solo dal 1513 la Repubblica, tornata autonoma, riprese il controllo dei suoi territori. Genova, per realizzare tale operazione e comporre le faide interne che la dissanguavano, si era però indebitata coll’organismo bancario che da essa estendeva per l’Italia e l’Europa i suoi interessi: l’Ufficio o Compere del Banco di S.Giorgio. Così, onde pagare i debiti maturati per tante guerre, al Banco di S.Giorgio venne affidata l’amministrazione del Capitanato intemelio: i “Protettori”, o massime autorità del Banco, non furono abili nel governo di un territorio che politicamente era di Genova e che, per “contratto”, a Genova sarebbe ritornato. Peggiorarono i rapporti fra Ventimiglia e le sue ville: la città, per le convenzioni con Genova, poteva aumentare la pressione fiscale a danno delle sue dipendenze. Ventimiglia e “ville”, oltre che a costituire un “Capitanato” costituivano una sola cosa sotto il profilo giuridico e fiscale: ma il Parlamento intemelio, che deliberava in materia di amministrazione locale coi due terzi dei voti disponibili spettandone solo un terzo ai “villani”, cercava sempre, grazie a questa maggioranza, di previlegiare le esigenze della città a svantaggio delle dipendenze agricole (quei due terzi di voti erano peraltro controllati dalla nobiltà locale, dal clero e da una miriade di asserviti e clienti). Con questo strumento “legiferante” Ventimiglia quindi inaspriva in modo legittimo imposte di vario genere (le “Gabelle”) sui prodotti di molteplice tipo, come olio, vino, ortaggi, noci, bestiame e pescato che erano produzione quasi esclusiva delle ville: per l’incremento vistoso di queste tasse, oltre che per l’obbligo di vendere i prodotti “calmierati” (cioè a prezzo “scontato” prima “in pubblica piazza” di Ventimiglia che “a prezzo libero” sugli altri mercati rivieraschi) nelle ville, verso il 1508, scoppiarono dei tumulti, pacificati con una composizione transitoria nel 1509 [peraltro nel 1502 il Parlamento intemelio era già riuscito ad imporre il nuovo trattato della Gabella dei pesci col quale si imponeva che anche il pescato dovesse esser venduto a prezzi controllati in “chiappa di città” (Ventimiglia)].
Quando il Capitanato intemelio rientrò fra possessi della Repubblica (1562) era in condizioni precarie, presto aggravate da tragici eventi. Nel 1579-’80 evitò la peste che decimava il Dominio di Genova ma non la miseria che fu conseguenza della crisi sociale ed epidemica> del resto la popolazione delle ville (che pure pagava le tasse per il servizio sanitario) era trascurato dai “medici pubblici”: il “Parlamento intemelio” retribuiva di fatto una sorta di “medico condotto” per la città e le ville ma chi ricopriva tal carica, col tacito assenso dei ceti dirigenti, in genere si rifiutava di andare “nelle ville”, mandandovi piuttosto dei “barberii”, cioè degli “infermieri di bassa chirurgia, esperti solo a cavar denti o sangue od a praticare piccole operazioni”: i villani, se volevano un medico vero per curare i loro cari, soprattutto i bambini, se lo dovevano pagare di tasca propria e chi poteva, anche a costo del “contrabbando” e magari di far qualche delazione, pur di salvare sè e la propria famiglia non mancava di trafficare colla vendita “illegale” del pescato o con altri traffici poco leciti. Fausto Amalberti (Ventimiglia la Nuova, Ventimiglia-Pinerolo, 1985) ha riesumato, nel contesto di questa precaria situazione generale dei ceti meno abbienti, la tragica storia della ricostruzione di Portovecchio in Corsica (nominata Ventimiglia la Nuova) ad opera d’un gruppo di famiglie “ventimigliesi” che, col consenso di Genova, emigrarono in quel centro insulare, lo riedificarono e brevemente vi sopravvissero dal 1578: si apprende che molteplici calamità avevano colpito il Ponente di Liguria e il territorio di Ventimiglia e ville. La gente, prostrata da carestie, scelse spesso l’ emigrazione ed in ciò rientra l’impresa di Pietro Massa e Giacomo Palmero che, ottenuta licenza dall'"Ufficio di Corsica
", condussero nell’abbandonato centro di Portovecchio una colonia di 150 capi di casa "con loro massate, originari della riviera di ponente, per i due terzi sudditi di loro Signorie Illustrissime, i quali avendo con difficoltà il vivere in casa loro" sarebbero stati disposti a tutto, anche a sopportare i pericoli dei pirati turcheschi che già avevano desolato la base genovese di Portovecchio. In effetti 87 famiglie di Ventimiglia, 7 di Vallecrosia, 4 di Airole e Borghetto, 10 di Vallebona, 8 di Camporosso, 7 di Vallecrosia, 4 di Soldano e 3 di S.Biagio (oltre ad 11 famiglie non ascritte a località della Repubblica) rischiarono un duro viaggio, le fatiche di una ricostruzione, le difficoltà di un luogo non sicuro né salubre. Proprio il fatto che parecchi emigranti fossero artigiani, commercianti o piccoli proprietari è prova del tracollo economico, ambientale, commerciale ed anche socio-istituzionale del “Capitanato intemelio”: è soprattutto testimonianza del collasso della piccola borghesia, costretta a svendere e liquidare, di fronte alla paralisi pubblica di una Ventimiglia indebolita da eventi reali (come un terremoto di metà XVI secolo) e dall’incapacità governativa del Parlamento. L’onomastica degli emigranti rimanda a residenti dei quartieri della città per tradizione sede di piccoli imprenditori ed artigiani colpiti nelle loro strutture operative per i danni subiti, la mancanza di risarcimenti ed crescenti oneri fiscali. Il territorio intemelio, che versava alla “Camera” di Genova un gettito fiscale di 3000 e poi 5000 “lire di genovini”, fu quindi obbligato, su decreto del “Magistrato delle Galere”, a contribuire all’armamento della flotta da guerra, nonostante la previsione di spese straordinarie per la “costruzione di un ponte e di un forte alla marinara a guardia delle ville di detta città” (il Torrione di Vallecrosia, armato d’una batteria di cannoni). Ancora nel 1609 (13 luglio) il Sindaco intemelio Gio.Francesco Porro indirizzò al Senato di Genova una petizione contro l’assegnazione del “Magistrato dell’Arsenale” (con l’ingiunzione del “Capitano intemelio”) di nuovi oneri fiscali per il mantenimento di salariati “buonavoglia” o “remari” sulle navi da guerra. Su riconoscimento dei “Supremi Sindicatori” (sorta di “Revisori dei conti dello Stato”) il Senato riconobbe la giustezza di quella petizione e quanto fosse impoverito il territorio intemelio: al locale “Capitano” (o rappresentante di Genova in Ventimiglia) fu scritto in risposta “non darete agli agenti di codesta comunità molestia alcuna”. Nel 1622, alla vigilia della guerra di Genova col Piemonte, i sudditi intemeli erano arruolati in qualità di soldati locali (“militi villani” di guardia alle postazioni di frontiera ed alle cinte murarie del capoluogo) e protestavano per il regime militaresco e subordinato in cui dovevano sopravvivere: "La città di Ventimiglia ed abitatori di essa hanno per conto delle loro milizie il solito Colonnello che da Vostre Signorie Serenissime vien deputato, al quale ubbidiscono con ogni prontezza in tutto ciò possa concernere per servizio pubblico e disciplina militare. E’ vero che, pretendendo il Colonnello di fare la rassegna dei Cittadini, cosa che non si costuma nelle altre città del Dominio di Vostre Signorie Illustrissime, non vorrebbero essi essi cittadini che, per non cedere ad alcuno di fedeltà ed ubidiedenza, aver questo disvantaggio, posciaché quanto alla disciplina militare ben si sa che essi fanno tutte le funzioni ed avendo più obblighi e carichi e per la sanità e per il castello e per le guardie notturne e diurne di quello che abbino li altri Cittadini d’altre città del Dominio di Vostre Signorie Illustrissime, aggiungendosi a questo l’obbligo di assistere alla fabbrica del Ponte vorrebbero a tal risegna esser fatti esenti
" (“Petizione” dei Sindaci di Ventimiglia: si allude ai restauri di edifici pubblici, ai lavori manuali prestati dai popolari e villani per la costruzione del ponte cinquecentesco sul Roia, alla necessità di tener pulita per evitare epidemie la vasta palude che ormai congiungeva per la piana intermedia i mal arginati Roia e Nervia). Queste sparse osservazioni sono prove di una diffusa sofferenza generale: quei “militi” appartenevano in gran parte alle “ville” di Ventimiglia. Nel 1625 solo questi “militi villani” ebbero il coraggio di opporsi all’invasore Carlo Emanuele I di Savoia e la loro ira si scatenò sia contro i vili comandanti delle poche truppe di Genova (pronti ad una rapida fuga) sia contro i Nobili o “Magnifici di Piazza” (il sestiere della Cattedrale, sede dei ceti abbienti) subito disposti ad una resa anche disonorevole: fortunatamente il buon Vescovo Gandolfo pacificò gli animi inaspriti dei “villani” che s’erano riversati a centinaia nella città, depredando ogni cosa (grazie al concorso del Prelato la Repubblica sarebbe riuscita, il 14 settembre, ma con l’aiuto della Spagna, a riprendere Ventimiglia e le sue “ville”, giungendo poi ad una pace col Piemonte nel 1634). Verso la fine del XVII secolo, nell’ambito di un ulteriore conflitto tra Genova e Amedeo I di Savoia, i terreni di Camporosso, la villa agricola più importante, furono devastati dalle truppe genovesi del Comandante Prato. Gli abitanti, concluse le operazioni belliche, chiesero un indennizzo dei danni al Parlamento intemelio ma, restando privi di soddisfazione, si appellarono alle Autorità genovesi in data 14 dicembre 1682 (risultano introvabili le similari suppliche che le altre ville inoltrarono contestualmente al Senato di Genova> B.DURANTE-F.POGGI, Storia della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, Bordighera, 1986, pp. 283 e seguenti). Rispondendo alle petizioni dei villani, la Repubblica di Genova (timorosa di una loro defezione a vantaggio del nemico storico, il Piemonte) emise, l’11 febbraio 1683, un decreto senatoriale per la separazione delle ville da Ventimiglia rispetto all’ “economico”: in poche parole, ferma restando l’unità giurisdizionale e politica di Ventimiglia e ville nel “Capitanato intemelio”, si concedeva un’autonomia socio-economica e fiscale ai borghi rurali di modo che gli introiti di tasse e gabelle potessero andare a vantaggio esclusivo delle varie comunità rurali: per regolamentare la questione il Senato ingiunse che, al fine del processo di divisione, si redigessero dei Capitoli per la verifica dei reciproci carichi, obblighi ed introiti.
L' 1/ 2/ 1686 a GENOVA si comprovarono i Capitoli per le operazioni di divisione, con riferimento alla separazione economica per territori, stante onesta valutazione.
Il 21-IV-1686, a Bordighera (nell' Oratorio di S. Bartolomeo) i deputati delle Ville stesero un DOCUMENTO che costituisce davveri l'elemento BASILARE PER LA LORO AUTONOMIA ECONOMICA:
si trattava di un atto -la SEPARAZIONE PER L'ECONOMICO DELLE VILLE DA VENTIMIGLIA E LA LORO ISTITUZIONE IN "MAGNIFICA COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI" - per secoli introvabile, sin alla sua scoperta negli anni '80 di questo secolo ad opera del ricercatore d'archivio ed appassionato di storia locale Ferruccio Poggi, nel quale alla SANZIONE DI SEPARAZIONE, seguono i primi e fondamentali CAPITOLI che costituirono l'ossatura su cui, fatte salve alcune necessarie revisioni, in sostanza si governò per oltre un secolo, con autentico spirito democratico e di mutua collaborazione, la MAGNIFICA COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI.
Tra '600 e '700 vennero poi gradualmente redatti tutti i documenti necessari per ratificare quel Grandioso processo di separazione economica per cui le antiche ville del contado orientale pur continuando ad essere politicamente ascritte al CAPITANATO DI VENTIMIGLIA e tramite questo connesse al DOMINIO DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA, potevano usare di una totale autonomia economica, sì da sfruttare per le proprie esigenze l' annuale gettito fiscale.
Nel complesso di tante norme e statuti scritti per le esigenze della MAGNIFICA COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI son da citare per importanza assoluta, coi più tardi e rivisti CAPITOLI DEL BUON GOVERNO, iCAPITOLI CRIMINALI o NORMATIVA (qui commentata) per dirimere le CAUSE MINORI [alias PICCOLA CRIMINALITA'] insorte nella Comunità [per i delitti gravi tutte i residenti delle località del DOMINIO GENOVESE e quindi tanto Ventimiglia che gli Otto Luoghi erano soggetti agli Statuti civili ed agli STATUTI CRIMINALI].
Il valore di questa documentazione consiste nella possibilità di far notare la varietà della normativa giuridica genovese dell'età intermedia, volta a separare la discussione delle CAUSE GRAVI da quelle di PICCOLA E MEDIA ENTITA': con la possibilità tuttavia -secondo i dettati di uno SPECIFICO COMMA- che un recidivo venisse alla fine surrogato dall' elenco dei PICCOLI CRIMINALI LOCALI per essere ascritto a quello dei GRANDI CRIMINALI o CRIMINALI DI RILEVANZA NAZIONALE.
Importante normativa, all'interno della MAGNIFICA COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI, normativa che integrava tutti i regolamenti necessari per l'amministrazione della comunità, erano poi i capitoli stesi per la salvaguardia dell'ambiente e più specificatamente delle risorse tipiche di una società rurale dell'età intermedia: per linea comparativa tutta questa documentazione, che fu già proposta in un volume, costituisce una testimonianza straordinaria per la conoscenza della cultura rurale dell'età intermedia.
Assieme agli ORDINAMENTI CRIMINALI, per quanto concerne la COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI, si ricordano -e sono in primo luogo importanti da esaminare per lo straordinario bagaglio di informazioni che portano sulla REGOLAMENTAZIONE DELLA VITA SOCIO-ECONOMICA DI UNA SOCIETA' AGRICOLA FRA XVII E XIX SECOLO- i CAPITOLI PER LA SALVAGUARDIA DEL MONTENERO [che era una COMUNAGLIA cioè un BOSCO COMUNE e quindi fiscale: le comunità se ne servivano come di un bene pubblico, ne vendevano il legname, ne gestivano la fruizione sempre a favore della comunità] ed ancora il REGOLAMENTO CAMPESTRE DEGLI OTTO LUOGHI.
Nella società rivierasca ponentina tra XV e XVIII sec., una società strettamente legata per vari scopi alla fruizione del legname e comunque alla salvaguardia delle coltivazioni, una cura particolare era data alla prevenzione degli INCENDI e alla lotta contro gli stessi, utilizzando ogni sistema, anche al trasporto dell'acqua su primordiali carri cisterna, efficaci pur se non all'avanguardia come la MACCHINA DI TRADIZIONE CENTROEUROPEA che fu elaborata in questo stesso periodo.
Le pene contro i PIROMANI erano peraltro molto severe come dettano le informazioni date in materia al BRACCIO SECOLARE e soprattutto il contenuto dell'ARTICOLO DEGLI STATUTI CRIMINALI DI GENOVA DEL 1556.
A seconda del dolo e delle conseguenze penali si poteva passare da una pur severa ammenda alla PENA DEL CARCERE alla ben più temuta condanna all'ESILIO -per cui si era proscritti dalla Stato e tornando nascostamente in patria si poteva essere lecitamente uccisi dai CACCIATORI DI TAGLIE- alla "PENA DELLA GALEA" venendo cioè "incatenati" come GALEOTTI -per un tempo bariabile di anni (da uno sin alla reclusione a vita)- sulle GALEE DI CATENA DELLO STATO.
Nulla toglie che in casi estremi si potesse comminare il SUPPLIZIO ESTREMO -nella Repubblica di GENOVA caratterizzato soprattutto ma non solo dall'IMPICCAGIONE LENTA-: un pò per superstizione e tradizione culturale e parecchio per convenienza poliziesca e qual macchina di dissuasione -in quei particolari ma non frequenti "momenti storici" caratterizzati da un incrudelimento della giustizia o da qualche sporadico ritorno pseudoreligioso di "CACCIA ALLE STREGHE"- gli INCENDIARI correvano pure il rischio tremendo di esser inquadrati nel panorama dei CRIMINALI DEL PARANORMALE quali PERPETRATORI DI MALEFICIO INCENDIARIO.
Vista inoltre la crescente importanza commerciale, alimentare e sanitaria dell'AGRUMICOLTURA (dato che il clima favorevole agovolava la coltivazione di cedri, aranci e limoni) negli anni le ville si dotarono anche di una normativa (o CAPITOLI) idonea a regolare sin nei minimi particolari la cultura degli agrumi e l'attività mercantile loro connessa che, via via, assunse per l'economia locale un ruolo importantissimo].
In base all'ATTO DI FONDAZIONE le ville avrebbero costituito una Comunità, una sorta di "democratica confederazione", la cui amministrazione (il cui fine doveva risiedere in un'oculata ed equanime distribuzione del gettito fiscale per le esigenze diverse delle diverse località) risiedeva nell'autorità di un PARLAMENTO composto di membri di provata onestà della Comunità stessa, con ampi poteri in materia economico-fiscale locale> il PARLAMENTO non aveva peraltro una sede fissa ma si radunava, secondo un processo cronologico ben preciso di rotazione, nelle sedi delle ville principali, di modo che per consuetudini e carisma alla fine la villa sede dell'edificio del PARLAMENTO non potesse come Ventimiglia influenzare o variamente lusingare, corrompere od asservire i "parlamentari" meno decisi delle altre località.
Le PROCEDURE DI DIVISIONE si protrassero sin al 1696 e continuaronono nel XVIII sec. per proteste di Ventimiglia la cui situazione degradava a vantaggio delle ville: comunque, alla fine, si tracciarono nuove linee confinarie tra le amministrazioni, fissando pietre di limite a disegno cruciforme (quelle che Ugo Foscolo durante un suo soggiorno ventimigliese, lugubremente, interpretò essere delle tombe sparse sui monti): una prova dei cippi di confine degli "Otto Luoghi" si vede sul Monte Nero di Bordighera (le pietre portano da un lato la sigla 8L [Otto Luoghi] e dall'altra la sigla S [Seborga] e SR [Sanremo].
Le procedure di divisione si protrassero (soprattutto per la delineazione dei confini fra capoluogo e ville) sin al 1696 e continuarono nel XVIII secolo, specie per le proteste avanzate da Ventimiglia la cui situazione socio-economica andava degradando a vantaggio di quella delle ville che invece presero a fiorire. In particolare Bordighera, esente da obblighi fiscali connessi un tempo ai doveri sul “pescato” e sulla “marineria” verso Ventimiglia, migliorò la propria situazione socio-economica e risentì di incremento demografico. Anche Camporosso risentì favorevolmente di questa nuova situazione, tuttavia i progressi di Bordighera (il cui porto traeva vantaggi dallo sfruttamento dei commerci oltre che dall’attività di pescatori e “coralatori”) si evidenziarono in maniera più evidente rispetto a quelli delle altre località (compresa la pur ricca Camporosso). Le ville meno fortunate, come Soldano e Sasso, presero a sospettare che Bordighera, mentre cresceva a dismisura, diventasse una novella Ventimiglia, una villa “matrigna” desiderosa di egemonizzare il Parlamento comunitario delle ville. Un momento di attrito tra gli otto borghi si verificò tra 1773 e 1787 quando si sparse la voce di “Incursioni dei Turchi” come si legge tuttora nell’Archivio Comunale di Bordighera, “Atti consulari 1759-1797. I Bordigotti ottennero da Genova che si sistemassero “Per la difesa dei bastimenti nazionali” due cannoni sul Capo della Ruota e due sul Capo S.Ampelio. I Vallecrosini in particolare (ma anche gli abitanti delle altre ville) avrebbero dovuto contribuire alle spese di mantenimento ma, non sentendosi protetti da quelle lontane batterie, si appellarono alla Repubblica per rifiutare un onere di spese che sarebbe andato, secondo loro, a vantaggio di Bordighera. Di fronte all’idea di una Bordighera
assimilata al rango di “novella rapace Ventimiglia” si giunse a ventilare l’idea di una nuova separazione, che escludesse la “città delle palme” : molte furono le discussioni, le petizioni, gli scritti pubblicati o pronunciati nel Parlamento della Comunità. La situazione si fece incandescente ma i deputati delle ville, che si apprestavano a darsi battaglia, furono arrestati sulla soglia di colossali trasformazioni che presto avrebbero trasformato la Francia e l’Europa tutta, quei fermenti rivoluzionari che avrebbero cancellato la Repubblica di Genova e le sue molteplici istituzioni, compreso il secolare “Capitanato di Ventimiglia”. Così l’esperimento della “Magnifica Comunità degli Otto Luoghi”, durato come si vede poco più di un secolo (vedi anche B.DURANTE-F.POGGI-E.TRIPODI, I “graffiti” della storia: Vallecrosia e il suo retroterra, Vallecrosia-Pinerolo, 1984, p.178, nota 10) finì coll’istituzione della “Rivoluzionaria Repubblica Ligure del 1797” restando tuttavia nella memoria di tutti come un piccolo, tormentato ma importante documento di antica democrazia rurale.
ANTICRISTO-BESTIA-DRAGO: I CENTRI MALEFICI DELL'APOCALISSI: Da qui, ancor più forse in ambito riformato che cattolico, dalla "passione luterana" per gli estremismi biblico-profetici
dell'APOCALISSE il MOSTRO-MUTANTE, frutto delle alterazioni genetiche epocali, finì per essere assimilato all' ANTICRISTO od alla BESTIA SUPREMA della giovannea APOCALISSE" [Apocalisse,
13,4-10: la Bestia che sale dal mare che è poi il DRAGO od
il SERPENTE ANTICO e quindi SATANA, l'Avversario
di Dio [pure ma non in modo esatto definito ANTICRISTO (anche detto FALSO PROFETA), a sua volta, per interferenze pagane, avvicinato a MITRA, un DIO PAGANO, dopo ROVESCIAMENTO CULTUALE, fatto partecipe della numerosissima schiera dei DEMONE dalla Cristianità), più
correttamente citato nella I (2, 18.22; 4, 3) e nella II
Lettera (7) di Giovanni. Seguirebbe a dar potere alla prima Bestia la Bestia che
sale dalla terra (Ap.13, 11-16) - più estesa interpretazione
dell'ANTICRISTO - e per cui si diffuse tra gli INQUIRENTI ECCLESIASTICI, con DENUDAZIONE, LAVAGGIO E DEPILAZIONE la caccia
allo STIGMA, marchio della CIFRA DI UN UOMO (fragile e debole quindi, cioè
composto di tre 6, cioè 7 - 1, cosa che denota imperfezione e
incompletezza ) che se scoperto ed in qualche modo neutralizzato
toglierebbe ogni potestà alle forze diaboliche ed ai loro
seguaci. Le ACQUISIZIONI variamente elaborate in forza dell'esegesi dell'APOCALISSI [ ma indubbiamente sublimate sin a limiti paranoici dalle ataviche RADICI DELL'ODIO (CHE SON PRINCIPALMENTE ODIO PER OGNI "COSA" INCOMPRENSIBILE E DIVERSA) e dalla casualità di
OSCURI PRESAGI SULLA FINE DEL MONDO CONOSCIUTO mediamente dipendenti dall'interazione di SUPERSTIZIONE ed eventi epocali come CARESTIA e incomprensibili PANDEMIE] aprirono vari sentieri alla fervente interpretazione di tanti eruditi dell'età medievale ed intermedia.
Tra queste, sulla linea di una storica incomprensione cristiana ed occidentale del MONDO ISLAMICO e sulla scorta di un conflitto a volte disperante tra gli invasori musulmani e l'Europa cristiano cattolica (sia che gli invasori fossero ARABI, SARACENI o successivamente TURCHI SELGIUCIDI od OTTOMANI od ancora TURCHESCHI e BARBARESCHI) alla fine, per direttrici pubblicistiche, laiche e/o religiose, e comunque per effetto di un innegabile stato emotivo terrorifico, la genesi di siffatto pericolo per la Cristianità finì col ravvisarsi, specie nella semplice coscienza popolare, sull'enunciazione, superstiziosa certo ma non incredibile a svilupparsi specie nei momenti di crisi e devastazione, dell'equivalenza MAOMETTO - FALSO PROFETA -ANTICRISTO.
GALENO, Claudio (Pergamo circa 130 - Roma o Pergamo circa 200). Studiò medicina in Grecia ed Alessandria poi raggiunse Roma divenendovi medico di corte. Ricercatore e pensatore poliedrico rappresentò il vertice massimo della medicina antica e nel Rinascimento rappresentò nelle scienze curative l’equivalente di ciò che Aristotele risultava in ambito filosofico. Legato a concezioni tradizionali, perfezionò il magistero del grande medico greco Ippocrate perfezionandone il principio sui quattro umori essenziali e facendo interagire queste riflessioni con quelle degli stoici sul pneuma. Perfezionò la diagnostica e diede incremento agli studi di anatomia, neurologia e fisiologia: fu un grande compilatore di proposte terapeutiche e quindi un fondamentale farmacologo. Molte furono le sue opere tra cui il trattato di medicina notissimo nel Medio Evo come Ars parva o Microtechnum o Microtechne ed il trattato di terapia conosciuto invece quale Ars Magna o Macrotechnum o Macrotechne.
PLINIO IL VECCHIO o SENIORE cioé Caio Plinio Secondo (Como? 23/24 - presso Stabia 79). Funzionario romano, erudito e profondo studioso di scienze naturali: di ricca famiglia, rimasto appartato al tempo di Nerone, si affermò pubblicamente sotto gli imperatori Flavi di cui fu amico e consigliere. Nel 79, durante la catastrofica eruzione del Vesuvio, essendo prefetto della squadra navale di Capo Miseno, accorse prontamente con una nave presso Stabia per soccorrere la popolazione e studiare il fenomeno: ma l’osservazione ravvicinata del cataclisma lo uccise. Era però già celebre per la sua monumentale Storia Naturale in 37 libri, autentica enciclopedia del sapere antico che per secoli, sin oltre il Medio Evo, costituì una pietra miliare per la conoscenza in campo naturalistico, geografico e scientifico.
BRUSONI, Girolamo [Badia Vangadizza (Rovigo) circa 1614 - Torino dopo il 1686).
Frate certosino in Venezia fuggì dai conventi in cerca di vita mondana mietendo successo nell’ambito degli accademici Incogniti per il suo estremismo ed il successo dell’opera prima La fuggitiva (Sarzina, Venezia 1639).
Vista anche la sua misoginia e licenziosità, ai limiti dell’eresia, fu richiamato alla Certosa di Padova dalle autorità della Chiesa.
Illecitamente abbandonato il monastero fu arrestato nel 1644 e internato per un semestre nelle carceri veneziane.
Dopo la liberazione soggiornò per sei/sette anni nella Certosa del Bosco del Martello fin a quando gli pervenne l’autorizzazione ecclesiastica a lasciare la vita religiosa.
Scrisse molto, anche di storia, ma balzò ancora agli onori della cronaca e della provocazione con "La Trilogia di Glisomiro".
Si tratta di tre romanzi [La gondola a tre remi (Storti, Venezia 1657) - Il carrozzino alla moda (Recaldini, Venezia 1658) - La peota smarrita (Storti, Venezia 1652)] incentrati su un "Don Giovanni di provincia" che agisce in ambienti non privi di squallore e degradazione morale.
Anche per tali motivi la Trilogia fu posta all’Indice dei libri proibiti.
Non più a suo agio nell’ambiente veneziano, in cui ogni sua mossa era discussa, riuscì a trovare ospitalità ben remunerata alla corte di Torino come consigliere e storico.
Si veda in particolare l’edizione torinese (per il Zappata, 1680) in cui ampliò la sua opera Della historia d’Italia già stampata in Venezia dallo Storti nel 1671.
ARCHIVUM LIGUSTICUM (COLLECTANEA STUDIORUM) > La collana della cooperS editrice di Ventimiglia nominata Archivum Ligusticum si propone, sfruttando materiale raro ed inedito recuperato dalle numerose antiche biblioteche della Liguria, di prospettare ad un’utenza, non solo specialistica, alcune gemme di cultura. I Quaderni dell’Aprosiana Nuova Serie hanno inaugurata questa recente collana: la cooperS editrice di Ventimiglia ha, infatti, iniziata la pubblicazione dei numeri dei Quaderni della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia III N.S. (ottobre 1995, pubblicazione a cura di Ruggero Marro e Giovanni Roccaforte -sotto la sovrintendenza editoriale di Bartolomeo Durante), caratterizzato da eccellente veste tipografica in formato A4 con corredo di rare immagini in bianco e nero desunte dal Fondo Storico aprosiano della biblioteca: nell’occasione si è trattato di una Miscellanea di studi in onore di Pier delle Ville (pseudonimo di Pietro Loi collaboratore esterno della biblioteca, improvvisamente scomparso nello stesso anno). Per il IV numero si edita il presente IV numero dei Quaderni, curato da G. Roccaforte e R. Marro (Sovrintendente editoriale B. Durante) ancora per i tipi della cooperS ed. di Ventimiglia, caratterizzato da due ampi saggi (sulla storia della questione femminile), di Emilia Nanni e Bartolomeo Durante: l’edizione risulta corredata di un ipertesto informatico curato da G. Roccaforte (con l’ausilio critico e letterario di B. Durante) realizzato su supporto tecnico per computer ed allegato alla pubblicazione commercializzata.
In questa nuova collana rientra l’ampio volume Figliastri di Dio (a coda d’una bestia tratto) in cui B. Durante e F. Zara (con la collaborazione iconografica di G. Roccaforte) hanno editato in traduzione il testo della rara edizione originale (1557) degli Statuti Criminali del 1556 della Repubblica di Genova, preceduti da un’ampia Premessa e fatti seguire da un vastissimo Glossario in cui l’apparato penalisti (e civilisti) dell’età intermedia è posto, come allora era, in stretta connessione coi dettami della Santa Inquisizione e del diritto ecclesiastico [foro civile, penale, ecclesiastico, foro misto: con varia esemplificazione e trascrizione di procedimenti penali> vastissimo spazio è collegato alla letteratura magica ed antiereticale che, al tempo, concorse -in collaborazione e talora in antitesi con la procedura dello Stato- alla persecuzione di criminali ma anche di diversi nel senso più esteso del termine, da omosessuali a libertini ad intellettuali innovatori sino alle streghe ed ai presunti facitori di stregheria, come gli untori o presunti propagatori di peste: in un crescendo di deliri comportamentali, di eroismi ideologici, di lotte alla superstizione, di terrificanti paure che stanno alla radice tanto degli antichi Atti di fede, col loro bagaglio di torture ed iridescenti condanne capitali espletate in pubblico, quanto alle fondamenta delle fobie ataviche dell’animo umano, quanto ancora della letteratura orrorifica posteriore, con tutte le sue conseguenze ed influenze nel variegato campo dell’immaginario e del rappresentativo sulle scene d’ogni tipo].
L’Archivum Ligusticum, diretto da Giovanni Roccaforte, comporta varie novità culturali ideate dalla cooperS editrice di Ventimiglia. Il titolo regionalistico (Ligusticum) non vuol essere riduttivo ma semmai indicare che la collana si propone di recuperare tutto quanto di raro, prezioso, inedito e curioso si trova, ancora inesplorato a volte, nelle biblioteche liguri. Il materiale scoperto o studiato sarà quindi oggetto di studio e pubblicazione, prescindendo dal fatto che le ricerche trattino questioni liguri od affrontino argomenti di altre regioni e nazioni: per esempio nei Figliastri di Dio di B. Durante e F. Zara gli Statuti Criminali di Genova rappresentano un rarissimo zoccolo documentario su cui studiare nella completezza possibile il diritto dell’antico regime, con rimandi continui a forme penali d’altri paesi e civiltà (europea e non, riformata, cattolica e non).
Un’altra novità dell’Archivum Ligusticum è quello di predisporre, quando utile e possibile, dei supporti multimediali accostando al lavoro a stampa un prodotto informatico utilizzabile secondo i criteri più moderni, non esclusa la navigazione in rete e su Internet.
L’Archivum Ligusticum si propone altresì come veicolo scientifico per docenti universitari e studiosi di varie discipline desiderosi di pubblicare i propri lavori, di vederli anche arricchiti di supporti multimediali e soprattutto, cosa purtroppo tante volte trascurata, di curarne una distribuzione accurata in Italia ed all’estero, lavoro di cui la cooperS ed. di Ventimiglia si occupa fattivamente. Sotto questo profilo, la portata dell’Archivum Ligusticum nel settore specifico intitolato Collectanea Studiorum (diretta da G. Roccaforte, segretaria di redazione F. Zara, consulente scientifico B. Durante) si amplia ancora: l’Archivum Ligusticum-Collectanea Studiorum ha la finalità di segnalare come nell’estremo ponente ligure (intorno alla cooperS ed all’istituendo Centro Studi Aprosiani) si vada organizzando una struttura d’ampio ricetto culturale, con l’ambizione affatto modesta di costruire nel contesto di un Archivio del sapere nato ed oggi alimentato in Liguria una Raccolta di Studi variamente specialistici, con approfondito e tipograficamente curato apparato critico di vario argomento senza localistiche né provincialistiche preclusioni di contenuto, spazio e caratteristiche: e questo proprio in nome della Liguria ove non solo Genova ma, nel piccolo la stessa Ventimiglia con altre città come auspicava un antico capitolare dell’Imperatore Lotario I, siano luoghi di scambio, non solo commerciale ma anche artistico ed intellettuale, strade ideali su cui s’incammini per il mondo, alla maniera che in modo pur diverso segnalarono Colombo ed altri grandi navigatori ed esploratori liguri, un sapere ed una ricerca che partono od arrivano in Liguria ma lì non si fermano ed anzi da lì, assunta energia ed in nome delle aperture culturali auspicabili all’alba del III millennio, conducano piuttosto la conoscenza verso tutte le frontiere possibili, su questo pianeta reso sempre più piccolo dalla velocizzazione tecnologica d’idee e pensieri.
BORDIGHERA>Visti i ritrovamenti ebbe origine romana come suburbio della capitale del municipio di Albintimilium, la Ventimiglia romana di Nervia. Il suo nome attuale però compare nel 1200, tra i più antichi atti dei notai. Dapprima si trova la forma Burdigheta, la cui pronuncia in dialetto doveva essere Burdigea con esito gutturale. Con tal nome di luogo o toponimo, che ha alla base il termine burdiga, si voleva indicare un recinto di canne o giunchi in un canale o lacuna per la pesca (significato simile lo troviamo nel provenzale bordiga e nel francese bordigue). In epoca medievale con tal nome si indicava qui non tanto un borgo ma piuttosto un’area specifica (quella pianeggiante ove ora sorge la moderna Bordighera) in cui operavano pescatori e traghettatori per lavori di vario tipo: era un sito riparato e percorribile con l’ausilio di barche medievali, di basso pescaggio (copani e bauccii) adatti per acque basse e paludose (proprio nella bordiga nacque l’antica tradizione marinara dei Bordigotti). L’erezione ufficiale di Bordighera ad ottava villa di Ventimiglia, sita sul Capo, risale al 2-IX-1470 (per volontà di 32 capifamiglia delle ville di Borghetto e Vallebona), da altri documenti (3 del 1471) si apprende che in vero questa non fu autentica fondazione ma semmai rifondazione di un borgo, già distrutto ed abbandonato da tempo per ragioni che, al momento, sprofondano nel buio della memoria. Al primo insediamento di Bordighera in effetti era stato fatto cenno in un focatico o censimento provenzale (1340-1) del territorio intemelio, secondo cui alla località veniva attribuita la residenza di 15 famiglie, per un numero di poco più d’un centinaio d’abitanti. Ma su questa Primigenia Bordighera esistono anche dati che risalgono al XIII sec. quando il notaio genovese di Amandolesio stese un atto (20 dicembre 1259) su una terra agricola sita al Capo di Bordighera. Fino alla Rivoluzione Ligure del 1797 Bordighera, in un crescente sviluppo, visse all’interno della Magnifica Comunità delle Otto Ville, insieme delle ville del Capitanato di Ventimiglia che dal 1686 si erano rese indipendenti per il lato amministrativo dal controllo fiscale intemelio (Bordighera, Camporosso, S.Biagio, Soldano, Sasso, Vallecrosia, Vallebona, Borghetto S.Nicolò).
BORROMEO, Carlo, Santo [canonizzato da Pio V nel 1610] (Roma 1538-Milano 1584). Della nobile dei Borromeo e nipote di Pio IV, fu da questo nominato cardinale diacono a 22 anni nel 1560, ricevendone compensi ed onorificenze. Partecipò alle ultime sessioni del Concilio di Trento, contribuendo all’elaborazione del Catechismo romano ad uso dei parroci. Dal 1563 fu fatto sacerdote ed arcivescovo della diocesi di Milano ma ne prese possesso nel 1565, intraprendendovi una lotta tenace contro le infiltrazioni protestanti ricorrendo all’Inquisizione ma anche esercitando, tramite istituzione di Seminari, una moderna preparazione del clero, sul quale esercitò un rigoroso controllo per moralizzarne la condotta (nel contesto di queste iniziative rientra appunto la sua revisione nelle procedure della confessione e specificatamente l’istituzione dei confessionali). Ad onta di questa severità godette di grande ammirazione tra il popolo, fra il quale si adoperò con zelo ai tempi della pestilenza del 1576-’77 (P.GIUSSANO, Vita di S.Carlo Borromeo. Prete Cardinale del titolo di Santaprassede Arcivescovo di Milano, Stamperia della Camera Apostolica, Roma 1610).
BRACCIO SECOLARE, Potere civile che nell’età intermedia eseguiva sentenze e provvedimenti dell’autorità ecclesiastica quale emanazione del Braccio regio o autorità dello Stato distinta in Braccio pubblico (il governo) e Braccio criminale e civile (potere giudiziario): a titolo d’esempio su certe difficoltà interpretative si tenga conto del capo criminale 98 degli “Stat. Crim.” di Genova del 1556, “Sulla bigamia”, che comportava totale autonomia del Braccio criminale e civile contro i rei di bigamia. Concordemente a ciò il “Santo Uffizio”, in generale, riconosceva la giurisdizione del giudice dello Stato nelle cause di poligamia (e bigamia) riservandosi l’accertamento dell’intenzione (nota ad un caso del 1609 in “Bibl.Casanatense”, Ms.2653, Decreta magis praecipua, c.518r). Eppure [come trattato nel volume, in cui si son trascritti e commentati gli “Statuti Criminali genovesi del ’56", Figliastri di Dio (cooperS ed., Ventimiglia, 1996)] i rapporti fra Braccio criminale e civile/Braccio Secolare (lo Stato) e Santo Uffizio (la Chiesa) non furono mai semplici: ne è prova che mentre nel 1662 un certo Benedetto Roccatagliata di Genova veniva processato per bigamia dalle autorità civili nel rispetto del capo 98 degli “Statuti”, l’Inquisitore genovese, contro quanto prima scritto, avanzava proteste adducendo una sua priorità (R.CANOSA, Storia dell’Inquisizione in Italia dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento, vol. III, Torino e Genova, Roma, 1988, pp.176-177)> già in una lettera del 3-XII-1552 (prima della stesura degli “Stat. Crim. del ’56"), a riprova di contrasti tra “foro laico” ed “ecclesiastico”, il Grande Inquisitore Michele Ghislieri (creatura di Gian Pietro Carafa, il futuro “papa inquisitore” Paolo IV) scrivendo all’Inquisitore di Genova (oltre a dar ordini su modalità di tortura, trasmissione di fascicoli dei processi ecc.) precisò che l’inquisitore investigava solo su questioni di sospetta “eresia” (qui sapiunt haeresim) e “non in altri delitti, quali spettano ad crimen lesae maiestatis o ad altri errori” (da lasciare al Braccio Secolare o alla Giustizia di Stato
: v. A.PROSPERI, Tribunali della coscienza...,cit. p.148).
BRUSONI, Girolamo [Badia Vangadizza (Rovigo) circa 1614 - Torino dopo il 1686). Frate certosino in Venezia fuggì dai conventi in cerca di vita mondana mietendo successo nell’ambito degli accademici Incogniti per il suo estremismo ed il successo dell’opera prima La fuggitiva (Sarzina, Venezia 1639). Vista anche la sua misoginia e licenziosità, ai limiti dell’eresia, fu richiamato alla Certosa di Padova dalle autorità della Chiesa: illecitamente abbandonato il monastero fu arrestato nel 1644 e internato per un semestre nelle carceri veneziane. Dopo la liberazione soggiornò per sei/sette anni nella Certosa del Bosco del Martello fin a quando gli pervenne l’autorizzazione ecclesiastica a lasciare la vita religiosa. Scrisse molto, anche di storia, ma balzò ancora agli onori della cronaca e della provocazione con La Trilogia di Glisomiro: si tratta di tre romanzi [La gondola a tre remi (Storti, Venezia 1657) - Il carrozzino alla moda (Recaldini, Venezia 1658) - La peota smarrita (Storti, Venezia 1652)] incentrati su un Don Giovanni di provincia che agisce in ambienti non privi di squallore e degradazione morale> anche per tali motivi la Trilogia fu posta all’Indice dei libri proibiti. Non più a suo agio nell’ambiente veneziano, in cui ogni sua mossa era discussa, riuscì a trovare ospitalità ben remunerata alla corte di Torino come consigliere e storico: si veda in particolare l’edizione torinese (per il Zappata, 1680) in cui ampliò la sua opera Della historia d’Italia già stampata in Venezia dallo Storti nel 1671.
BUONINSEGNI, Francesco l’Incognito (Siena, sec. XVII). Di ricco casato studiò a Roma, nel Collegio Romano, le discipline letterario-filosofiche e frequentò l’Accademia degli Umoristi. Per ragioni di famiglia tornò a Siena, impiegandosi al servizio di Leopoldo e Mattia de’ Medici. Scrisse Il trionfo delle stimmate di S.Caterina da Siena (Bonetti, Siena 1640).
Gran fama gli venne dal suo ostentato antifemminismo di cui fu in qualche modo un esponente di punta e che espresse emblematicamente nello scritto misogino Del lusso donnesco (Sarzina, Venezia 1638) che suscitò la polemica con A.Tarabotti contro cui si espressero anche G. Brusoni ed Aprosio. Del Buoninsegni si conserva un’edizione della Satira Menippea contro il lusso donnesco accorpata, in una stampa venezia del Valvasense (1638), alla vivace risposta della Tarabotti intitolata Antisatira.
CAMPOROSSO, antico centro rurale di origine romana che per primo si incontra risalendo la provinciale di val Nervia per Pigna. Fece parte del Dominio di Genova e presso di esso sorgeva dal ‘500 un rastrello di guardie armate a tutela, nei periodi di peste, contro le persone infette e, come suggeriva una tradizione contro i diabolici untori e le streghe propagatrici di peste (nei dintorni del luogo la Peirinetta Raibaudo fu accusata d’aver tenuto dei sabba con altre donne corrotte di val Nervia tra cui di Camporosso e della vicina Dolceacqua). E la Biblioteca Oberto Doria, già Biblioteca dei Marchesi di Dolceacqua, conservata nel Municipio, ricca di testi pregiati e di vari manoscritti d’interesse ligure, tra cui del ‘600 Il vago giardinello del Paneri, preziosa raccolta di memorie sulla diocesi di Albenga.
COPIO SULLAM, Sara. Erudita ebrea veneziana di XVI-XVII secc., amica e corrispondente del letterato genovese ANSALDO CEBA' che cercò senza successo di convertirla al cattolicesimo (Lettere di Ansaldo Cebà scritte a Sarra Copia.... ,per il Pavoni, Genova 1623). Sicuramente bella, visti i diversi apprezzamenti maschili che ci sono pervenuti, quasi certamente piuttosto autonoma e nel contempo tanto intellettualmente curiosa quanto intelligente la bellissima e bionda Sara non si trattenne dal provocare la curiosità maschile in più di un’occasione e fu corrispondente oltre che diretta interlocutrice di parecchi letterati veneziani e non. Curiosamente manca certezza che abbia scritto davvero qualche opera anche se -fra smentite ed affermazioni di eruditi a lei contemporanei- BALDASSARRE BONIFACIO (abate erudito [Crema 1585 - Capodistria 1659], amico e corrispondente di ANGELICO APROSIO, che accese con la colta ebrea una polemica teologica scrivendo Dell’immortalità dell’anima, discorso di Baldassarre Bonifaccio alla Signora Sara Copia) le attribuì uno scritto che avrebbe suscitato interminabili disquisizioni vale a dire il MANIFESTO DI SARRA COPIA SULAM HEBREA, nel quale è da lei riprovata, e detestata l’opinione negante l’immortalità dell’anima, falsamente [e pericolosamente, atteso l'irrigidimento della Santa Inquisizione avverso non solo i riformati ma gli stessi ebrei: fenomeno epocale a proposito dei quali non mancano TESTIMONIANZE nello stesso Ponente ligure] attribuitale dal Sig. Abate Baldassarre Bonifaccio (per il Pinelli, Venezia 1621) operetta conservata nella raccolta ottocentesca del Gamba intitolata Lettere di donne del secolo decimosesto.
CRUSCA (Accademia della). Fu istituita a Firenze nel 1582 da Leonardo Salviati accomunando gli aderenti alla Brigata dei Crusconi, un circolo privato che s’era formato (1570-’80) per tenere nelle riunioni delle conversazioni scherzose o cruscate in contrapposizione alle pedanterie dell’Accademia Fiorentina. Già il Salviati presuppose presto una riforma in cui il termine crusca, come residuo del grano purificato, indicava l’idea di interventi selettivi sulla lingua italiana in nome di una purezza che -stendendosi il Vocabolario della Crusca- fu ristretta a canoni bembeschi ed all’uso letterario delle voci usate da scrittori toscani del ‘300 o di autori fiorentinizzati. Attraverso i secoli tale postazione subì varie modifiche e quindi la stessa Accademia venne soppressa ed incorporata nell’Accademia Fiorentina. Napoleone, con agevolazioni economiche, la ripristinò nel 1811; quindi essa divenne promotrice della Società Dantesca Italiana. La vita dell’Accademia si è prolungata fino ai giorni odierni in un pullulare di proposte scientifiche al cui vertice sta l’Opera del Vocabolario(1964) che dal 1965, su vasta scala di collaborazione, mira alla stesura di un Tesoro della lingua toscana: l’impresa è stata trasformata nel 1979 in Centro di Studi del C.N.R.- Opera del Vocabolario della lingua italiana. Attualmente la sua attività scientifica procede in tre direzioni: di filologia italiana, di Centro studi di lessicografia italiana, di Centro studi di Grammatica Italiana.
DOLCEACQUA Comune di media val Nervia a pochi Km da Ventimiglia. Di origini antiche, con tracce di insediamenti rurali romani, il paese fu capitale (simboleggiata dal castello dominante sul Borgo vecchio ad oriente del Nervia) del Dominio dei Doria. In Dolceacqua (in cui si son trovati reperti di ordine celto-ligure) si sono concretizzati sia il tema del rovesciamento cultuale (per cui supponibili elementi idolatri furono sconsacrati con l’identificazione di entità positive precristiane in elementi negativi-maligni secondo lo schema-trappola dell’ inganno demoniaco: il buco del Diavolo) quanto il processo della sovrapposizione cultuale, di modo che una qualche tradizione (o struttura) pagana, resistente nella religiosità popolare non venne combattuta quanto piuttosto assimilata nel contesto di un sistema fideistico cristiano-cattolico (il complesso ecclesiale e le leggende taumaturgiche correlate di Nostra Signora della Mota poi detta, per alterazione dell’etimologia popolare, della Muta) nel vasto sito già occupato dal Priorato benedettino medievale dipendente dal monastero di Novalesa nel circondario di Susa (R. CAPACCIO - B.DURANTE; Marciando per le Alpi... , cit., p.193 sgg.).
DRAGO> una delle definizioni consuete (specialmente, ma non solo, nella giovannea Apocalisse) dell’Anticristo o Bestia: l’orripilante definizione rientrava negli schemi dei processi di rovesciamento cui dai tempi di Gregorio Magno si rifece assiduamente la Chiesa romana per sconsacrare basi religiose pagane che ancora godevano di un certo ascendente tra le popolazioni = tanto che si giunse a menzionare un ipotizzata alternativa e diabolica RELIGIONE DEL DRAGO E/O DEL SERPENTE
Un caso si individua nell’alta valle del Nervia a riguardo della fonte Dragurigna (*fonte draconina) originata da una sorgente che sgorga sotto la cima del monte Toraggio in un anfratto della roccia entro un areale di straordinaria rilevanza strategico-territoriale (vedi cartografia multimediale).
Il Toraggio, cima rocciosa che chiude e domina la vallata a Nord di Pigna, rimanda al latino *in turrabulis che ha forse alla base un nome di divinità preromana del tipo Torevaius: le sorgenti di vette d’alpeggio tanto suggestive, in epoca celto-ligure del resto erano di frequente collegate a santuari delle MATRES benevole.
La Chiesa mentre trovò frequenti difficoltà nello sradicare questo culto dalle sorgenti più frequentate in quanto più prestigiose e soprattutto agibili con una certa comodità (si ricorse mediamente all’inquadramento della pratica religiosa pagana nel sistema cristiano del culto delle Marie del Calvario secondo una tecnica di sovrapposizione dei culti, sfruttandone in genere certe convergenze ed affinità ideologico-formali: vedi DOLCEACQUA, in fine) fu quasi sempre in grado di privarlo d’ogni energia nel caso di fonti, come la Dragurigna (-na), logisticamente scomode e lontane dal consorzio civile.
In Piemonte [si veda nell'area di Susa l'EPOPEA DELLA LOTTA DI S. MARTINO CONTRO IL DRAGO] ed in Liguria parecchie manifestazioni carsiche (grotte, sorgenti ecc.), ove era alimentato qualche culto naturalistico preromano, furono esorcizzate dal Cristianesimo (innestandovi la favola di presenze maligne, in particolare identificate in qualche demone celato sotto le vesti di un DRAGO nascosto magari nell’ombra di un antro o d’una caverna) in modo da trasformarle in tabù religiosi,: vedi ad Isoverde (Genova) la grotta del drago e, presso Testa di Alpe (Carta I.G.M.,f. 102,IV NO), una Fontana dei Draghi.
Il culto delle Matres (fra gli ultimi ad essere disperso per la ramificazione popolare) era tanto diffuso in area celto-ligure da vantare famosi santuari: tracce archeologiche esistono fin a Susa, nell’emblematica chiesa di Bardonecchia di Sancta Maria ad Lacum, in Francia, per esempio a St.Remy de Provence: secondo quanto Natalino Bartolomasi (Valsusa Antica) il culto si sarebbe espanso nel tardo Impero con l’opera di mantidi druidiche o sacerdotesse celtiche che, soppiantando la Pithia o le Sibille greco-romane, resero potente la religione delle Madri, che era poi una variante di antichissimi culti della fertilità.
FLUDD, Robert (Milgate House, Kent 1574 - Londra 1637). Medico, filosofo ed esoterista inglese. Viaggiò e studiò per varie parti d’Europa prima di esercitare la medicina in Londra ispirandosi ad indicazioni terapeutiche in qualche modo prepsicosomatiche e che risentivano dell’influsso di Paracelso di modo che nelle indicazioni curative previlegiò i rimedi a base minerale. Dal 1606 volse la sua attenzione verso l’occulto, l’esoterismo e l’ermetismo (forse per i contatti con la setta storica dei Rosacroce): questa postazione gli valse polemiche e scontri anche feroci e nello stesso tempo alimentò intorno alla sua figura la nomina di mago e di curatore cui non furono estranei i soliti sospetti di indagini proiettate nel campo dell’illecito.
INCOGNITI (ACCADEMIA DEGLI)> Aperta nel 1630 in Venezia da Gian Francesco Loredan ebbe come impresa il fiume Nilo che sbocca nel Mediterraneo col motto Ex ignoto notus.
Permeata di interessi vivaci ed anche licenziosi, ritenuta rifugio intellettuale di spiriti autonomi e quindi libertini, reputata patria pur fragile del libero pensiero creativo (anche Aprosio e Brusoni ne furono attratti) si segnalò per varie ricerche bio-bibliografiche il cui frutto più significativo sono Le Glorie degli Incogniti..., (reperibili tuttora all’Aprosiana) probabilmente realizzate dal Loredan in collaborazione col segretario dell’Accademia G.Fusconi (Valvasense, Venezia 1647). Sulle sue vicissitudini e sul suo tramonto, dopo il grande periodo di metà ‘600, non si possiedono dati di rilievo.
A fronte della tiepidezza del fenomeno accademico ligure gli Incogniti finirono per risultare un importante elemento di attrazione per molti letterati ed eruditi liguri, tra cui naturalmente primeggia -per devozione ideologica e scelta esistenziale- Angelico Aprosio senza che però si dimentichino altre rilevanti figure tra cui quella del nobile letterato genovese Anton Giulio Brignole Sale.
INCUBO> dal lat. tardo [daemon] incubus (S.Agostino) che sta sopra da incubare giacere sopra (ISIDORO DI SIVIGLIA, VIII, 11, 103)> Domenico Cavalca (ca. 1270-1342) nello Specchio dei peccati (p.256 dell’ediz. milanese del 1840) definiva Demoni incubi gli spiriti importuni alle femmine nel senso di genio malefico che, assunte sembianze maschili, si congiungeva carnalmente con le femmine (in ambiente protestante, riformato e puritano l’Incubo conserva attributi simili anche se, in certe espressioni folkloriche, sotto l’influsso della sessuofobia puritana la rilevanza erotica ha ceduto ad aspetti più truculenti : attraverso i terrori di Hallowen l’uomo nero, perlopiù stupratore o assassino di innocenti, si maschera nelle forme grossolanamente orrorifiche di Nightmare). Nel Fasciculo di medicina di MANILIO (p.6) l’I. è fantasima in sogno la quale comprime ed aggrava el corpo ed il moto e perturba la favella; nel Decameron il demone notturno ispira al Boccaccio la novella VII, 1, ove monna Tessa burla il credulo marito Gianni cui, con la complicità dell’amante, fa credere di essere nottetempo visitati dalla fantasima (per alcuni un demone I. a metà fra satiro e gatto mammone). Satiri o fauni sono I. anche per Guido da Pisa (I metà del XIV sec., Fiore d’Italia, a c. di L. MUZZI, Bologna,1800): Questi cotali fauni chiamavano li greci panisci(da Pan, dio della caccia e dei boschi, corrispettivo maschile di Diana),e noi latini li chiamiamo incubi. La consuetudine dei Padri della Chiesa di dar nomi della mitologia pagana ai demoni e di personificare con essi le paure degli uomini del proprio tempo portò S.Agostino a parlare di fauni e silvani comunemente detti Incubi o Pilosi ed a porre fra essi i Dusij probabilmente i druidi, sacerdoti e capi delle società celtiche. Nel Malleus maleficarum (p. 31 dell’ediz. del 1620) si legge:...I Galli chiamavano questi incubi (fauni e silvani) dusji e quindi: Demoni Dusii, da altri chiamati Druidi, Truti o Drusi. Ulrico di Costanza nel Tractatus utilis et necessarium, (...), de Pythonicis mulieribus (integrazione al Malleus) disserta con Corrado Eschac, pretore e rappresentante dei magistrati (...) di Costanza, e con Sigismondo, Arciduca d’Austria, su tematiche circa I., angeli caduti, lamie, maghi, sirene e vari esseri fantastici o mitologici, affrontando il tema della nascita di Merlino di Britannia, forse, grazie alla letteratura arturiana, il druida più famoso . Alle pp. 46, 47, 48 e 65 i tre interlocutori trattano i misteriosi natali del druida: fra tante ipotesi si conclude che la madre di Merlino, dedita a pratiche poco ortodosse, sia stata ingannata dal diavolo, cadendo vittima della suggestione di una finta gravidanza [si ricordi però che come a M. Lutero, supposto frutto dell’incontro fra il diavolo ed una monaca, a Merlino la tradizione attribuiva nascita scandalosa, da una principessa ignara e vergine, quasi mai consenziente, posseduta nel sonno. Dietro questi deliri di fantasmi si nascose, forse, il più reale delitto dell’incesto, poi riconosciuto in un sistema di simboli dalla scienza psicoanalitica]. La questione dei rapporti carnali fra umani e demoni ossessionò le istituzioni civili ed ecclesiastiche e divise giudici e teologi in colpevolisti ( gli I. sono reali demoni che assaltano gli umani istigati dalle streghe) ed innocentisti ( gli I. sono frutto di suggestioni diaboliche o di azioni, anche involontarie, di evocazione di demoni; era questa, tuttavia, solo un’attenuante per una colpa che prevedeva penitenze sufficientemente pesanti). Nel Compendio del GUACCIO, che raccolse il pensiero inquisitoriale di Sprenger, Institoris, Delrio ed altri, l’XI cap.del Lib.I è occupato dalla trattazione degli I. Dopo l’asserzione sulla partecipazione di I. e Succubi alla copula il Guaccio passa ad una dimostrazione razionale: Infatti i demoni possono assumere i corpi dei defunti o creare corpi tangibili dall’aria o da altri elementi, e possono muovere questi corpi a loro piacere ed eccitarli, ...possono anche portare del seme preso altrove, ad esempio, da un uomo eccitato nel sonno e...conservare il calore generatore del seme e, nel momento in cui la donna è meglio disposta a concepire, immetterlo nella matrice e mescolarlo al seme femminile (lib. I,cap.XI, pp.42, 43). Ciò che è precluso ai demoni I. o Succubi, e su cui sono sostanzialmente d’accordo sia gli autori del Malleus Maleficarum e del De Pythonicis Mulieribus che il Guaccio, è il generare con la loro forza e dalla loro propria sostanza, perchè come possono avere seme, se esso è parte della sostanza corporea vivente e residuo di un cibo ottimamente digerito, e i demoni sono sostanze incorporee?(lib. I, cap. XI, pp.43, 44). Se ne deduce che la prole nata, o nascitura, da una donna ed un demone non è figlia legittima dell’I., ma del prestatore del seme, spesso sconosciuto alla donna stessa.
INDICE DEI LIBRI PROIBITI>Conc, di Trento - Sess.XVIII - 26/II/1562 (ALBERIGO, Decisioni dei Concili Ecumenici, Torino, 1978, pp. 628 - 629 > Decreto sulla scelta de’ libri/ Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, confidando non nelle risorse umane, ma nella protezione e nell’aiuto del signore nostro Gesù Cristo, che promise di dare alla sua chiesa le parole adatte e la sapienza, a questo principalmente tende: a poter ricondurre una buona volta la dottrina della fede cattolica - inquinata e appannata, in molti luoghi, dalle opinioni di molti, che la pensano in modo contrastante, - all’antica purezza e splendore, a riportare i costumi, lontani dall’antico modo di vivere, ad un comportamento migliore e a rivolgere il cuore dei padri verso i figli e il cuore di questi verso i padri. Poiché, dunque, esso ha dovuto constatare che in questo tempo il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto, - e ciò è stato il motivo per cui molte censure in varie province, e specialmente nella città di Roma, sono state stabilite con pio zelo, senza però che ad un male così grave e così pericoloso giovasse alcuna medicina,- questo sinodo ha disposto che un gruppo di padri scelti per lo studio di questo problema, considerasse diligentemente cosa fosse necessario fare e ne riferissero poi allo stesso santo sinodo, perché esso possa più facilmente separare, come zizzania, le dottrine varie e peregrine dal frumento del vero cristiano, e con maggiore opportunità prendere una deliberazione e stabilire qualche cosa di preciso sulle questioni che sembreranno più opportune a togliere lo scrupolo dall’anima di parecchia gente e rimuovere le cause di molti lamenti.
ISOLABONA: paese dell’entroterra intemelio, lungo la provinciale che fiancheggia il Nervia sulla diramazione verso Pigna. Non privo di elementi architettonici, con tracce, in gran parte ancora da studiare, di romanità nel complesso viario e fondiario di Veonegi, il centro ha una storia antica in gran parte (sino all’epoca napoleonica) legata alle vicissitudini di Dolceacqua, capitale del Dominio poi Marchesato dei Doria che si estendeva su altri centri vallivi tra cui importante era Apricale (splendido esempio di borgo medievale) di origine tardo-romana o romano imperiale donde certamente provennero i fondatori di Isolabona. Confrontando i dati cartografici settecenteschi sul Nervia, torrente presso l’agro immediatamente ad est di Ventimiglia (vi sorse accanto la città romana) e quelli recuperati dagli atti di XII-XIII secolo si apprende che il corso d’acqua, in autunno e primavera era navigabile sin all’altezza del Portus (un approdo, di cui nel dialetto locale -assieme a vaghi reperti archeologici- sopravvive il toponimo) di Dolceacqua: le Insulae di materiale alluvionale, frequenti nei grossi torrenti del Ponente di Liguria, costituivano ripari per le imbarcazioni e attracchi per la commercializzazione dei prodotti vallivi (per tal ragione esse furono spesso al centro di controversie, procedimenti legali e, alla fine delle liti, di atti notarili che ne fissassero competenze e diritti: avevano rilievo per le colture che vi si praticavano e pei mulini che vi eran stati costruiti). Isolabona nel Nervia (come l’Isola dei Gorreti nel Roia a fianco di Ventimiglia medievale) sopravvissute ad oggi son prova dei pochi depositi alluvionali stabilizzatisi nei secoli e destinati a grandi evoluzioni. Il 3 gennaio 1287, nell’atto di annessione di Isolabona al borgo di Apricale, il toponimo oscillava tra la forma generica Insula e quella qualificativa di Insula Bona (= Isola Buona come Salda, robusta, fidabile, perenne): nei Diritti dei Doria (1523) il paese, alla confluenza fra il Nervia ed il rio Merdanzo, conservava il toponimo Insula senza altra specificazione mentre a livello di etimologia popolare il nome Insula Bona prese il sopravvento (la Signoria di Dolceacqua vi teneva un castello, una casa signorile con stalla nella pubblica piazza detta piano, terre coltivate come scrisse G.Rossi nella Storia del Marchesato di Dolceacqua> vedi Jura doriani ai docc. XVI e XXX.
MARINELLA Lucrezia (di lei all’Aprosiana si conserva La nobiltà et l’eccellenza delle donne co’ diffetti e mancamenti de gli huomini... , in Venetia, presso Gio.B.Ciotti, 1600). Nacque a Venezia nel 1571 ove morì nel 1653. Moglie di Girolamo Vacca ebbe notevole attività letteraria. Si ricordano Vita del glorioso e serafico S.Francesco descritta in ottava rima(Rime spirituali di diversi autori in lode del serafico P.S.Francesco raccolte da Fra Silvestro Poppi, Timan, Firenze 1606), Maria Vergine Imperatrice dell’universo descritta in ottava rima (Barezzi, Venezia 1617), il poema eroico L’Enrico (Imberti, Venezia 1635), Rime della Signora Lucrezia Marinella, Veronica Gambara ed Isabella della Morra (Bulifon, Napoli 1693). Dell’opera custodita all’Aprosiana si conosce una prima edizione omonima del 1591 a Venezia per il Sanese.
MATRIMONIO> nell’età intermedia il MATRIMONIO RIPARATORE si addice solo a borghesi e popolari.
Per i ceti aristocratici la donna, paradossalmente ma solo in apparenza, è meno fortunata, trattandosi quasi sempre di MATRIMONI D’INTERESSE concertati dai padri di famiglia per cui il ruolo delle donne nobili sposate era ben CODIFICATO.
Tra tanti casi, basti citare quello del conte Francesco Tassis fu Flaminio di Bergamo, suddito della Repubblica di Venezia, reo d’aver indotto [per passione d’amore] la Nobildonna Giustiniana Gussoni ...destinata con contratto stabilito, e sottoscritto, al matrimonio di Sposo Patrizio [altro nobile, cui era stata promessa con atto notarile avente vigore di legge]...(a) concertare occultamente la via d’una rea, scandalosa, ingiuriosissima fuga...[descritta con precisione maniacale: gli amanti si servono di una gondola a quattro remi, poi d’altre barche e quindi di un calesso per uscire dal Paese].
La condanna contro il Tassis è durissima [senza possibili forme di riparazione] ...avendo (egli) commesso scientemente, dolosamente, temeriamente, deliberatamente, pensatamente... tal (crimine).
La sentenza ed il bando dell’Eccelso Consiglio di Dieci contemplano contro il Tassis: degradazione per la discendenza dai titoli nobiliari, bando dello stesso dallo Stato, taglio della testa se assicurato alla giustizia - poi si indicano le taglie per chi agevoli o compia la cattura e condanne accessorie come l’annullamento d’eventuale contratto di nozze del Tassis e la demolizione di tutte le sue case (Plaquette di pp.8, cm.21 x 15, stampata in Venezia per S.Antonio e Almorò Pinelli il 18 Gennaio 1731).
MESMER, Franz Anton. medico e filosofo tedesco (Iznang, lago di Costanza, 1734-Meersburg 1815) laureatosi in filosofia e in medicina a Vienna con la tesi Dissertatio physicomedica de planetarum influxum (1776), provò dapprima quali effetti potesse avere sull’organismo l’applicazione del ferro calamitato. Poi si persuase che non dalle calamite, o da altre sostanze calamitate, si sprigionava l’energia magnetica, bensì dal suo stesso organismo e dalle punte delle sue dita (donde sarebbe scaturito una sorta di fluido magnetico e terapeutico). Scrisse allora la sua opera fondamentale, pubblicata in francese con il titolo Mémoire sur la découverte du magnetisme animal [Memoria sulla scoperta del magnetismo animale, 1779> gli scritti di Mesmer si leggono comunque ancora oggi, per es., in Le magnetisme animal, Parigi 1971> non bisogna dimenticare che la discussa ipotesi di Mesmer avrebbe poi tratto benefici impensabili dagli studi sull’elettricità animale, cioè dal galvanismo ovvero dalle ben piú scientifiche considerazioni di Luigi Galvani (1737-1798) espresse nel De viribus electricitatis in motu musculari commentarius (Delle forze dell’elettricità nel moto muscolare, edito prima nei Commentarii dell’Accademia delle Scienze di Bologna nel 1791 e poi divulgato come estratto con edizione modenese del 1792) ed ancora dal celebre dibattito sulla questione tra Galvani e Volta: ma qui siamo su un altro livello di conoscenze!> purtuttavia lo stesso Galvani a riguardo dell’elettricità naturale non mancò di patire critiche e sospetti né riuscì mai a sviluppare un chiaro concetto di quella che sarebbe stata definita corrente di demarcazione finendo per complicare le proprie riflessioni con argomenti di natura metafisica: eppure l’elettricità naturale esiste realmente, anche se per la sua esatta descrizione bisognerà attendere gli studi di Carlo Matteucci (1811-1868) e di Emil Heinrich Du Bois-Reymond (1818-1896)].
NANNI, Emilia, nativa di Taggia ha svolto gli studi superiori al Liceo Classico G.D.Cassini di Sanremo. Si è quindi laureata in Lettere Classiche presso l’Università di Genova con la dissertazione di laurea sulla cosmesi ovidiana essendo relatore l’illustre latinista Francesco Della Corte. Dal 1972 si dedica eminentemente all’insegnamento negli Istituti Superiori della Provincia di Imperia essendo Ordinaria di Letteratura Italiana. Appassionata studiosa di latino classico riempie il tempo libero dedicandosi ai suoi hobby preferiti, dell’antiquariato e della botanica. Il saggio di questo Quaderno dell’Aprosiana, preludio di una più vasta e attesa pubblicazione dedicata dal De cultu feminarum di Ovidio, è un’elaborazione di parte della sua tesi di laurea, discussa nel febbraio 1972.
PALME - Bordighera è nota come la città delle palme per la ragione d’esser sede del più settentrionale (43° di latitudine quando la pianta cresce perlopiù fra i 15°-20°) areale di sviluppo di Phoenix dactylifera, l’autentica palma africana (alta fino a 20 m. e dalla corona variabile da 20 a 40 foglie verdi) riconoscibile per il fusto sottile detto stipite e per le tracce geometriche delle vecchie foglie cadute.
PARACELSO, pseudonimo di Filippo Teofrato Bombasto von Hohenheim (Einsiedeln, presso Zurigo 1493 - Salisburgo 1541) alchimista e filosofo tedesco, discepolo a Brema e dell’abate Tritemio. Studiò alchimia, chimica, mineralogia e coniò il suo nome dal medico latino Celso - autore della celebre opera De Medicina (qui completamente digitalizzata) - cui si ispirò in contraddizione a Galeno di cui pubblicamente bruciò le opere per testimoniare la sua discordanza dalla dominante linea tradizionalistica delle corporazioni mediche che da Ippocrate portava appunto a Galeno: secondo una tradizione, data per sicura da U. Weisser in una voce dell'Encyclopedia Iranica ma riferita con più prudenza da Siraisi [come ha scritto il Vercellin (p.38, nota 55)] nel 1527 a Basilea Paracelso avrebbe altresì bruciato pubblicamente il Canone di Avicenna dando inizio a quel periodo di disistima per le scienze arabo-musulmane, di ascendenza classica, che prese il via dal '500.
Secondo Paracelso (che pur essendo cattolico praticante si occupava di astrologia ed esoterismo al punto da esser ritenuto un mago) l’Universo tutto risuonava (secondo la teoria d’un confronto perenne tra macro e microcosmo come specchi reciproci) in forza dell’Archeus, lo spirito vitale che avrebbe plasmato forme e forze ad ogni livello possibile del reale. Tra gli innumerevoli scritti attribuiti a Paracelso, ideatore della medicina spagirica, basti ricordarne alcuni, estremamente profondi e rivoluzionari editi dopo la sua morte, quali l’Opus paramirum del 1562, il Paragranum del 1565 ed il Volumen paramirum del 1575 = a titolo documentario sulla quantità di queste opere e soprattutto perché scrisse "Contro quanti accusavano di presunta oscurità la dottrina di Paracelso" (leggi)
-nella sua opera Fulmine de' Medici Putatitij Rationali- si cita qui il medico emprico e paracelsiano Zefiriele Tomaso Bovio veronese ma che operò anche a Genova e per tutta la Liguria nel XVI secolo
PARINI, Giuseppe (Bosisio oggi Bosisio Parini 1729 - Milano 1799). Sacerdote di profonda formazione classica e di spirito liberale, già membro dell’Accademia milanese dei Trasformati, frequentò la nobiltà milanese esercitandovi la sua attività di ricercatissimo precettore ma ebbe anche degli scontri per la greve ottusità e l’altezzoso comportamento della grassa nobiltà locale. Di qui derivarono il Dialogo sopra la nobiltà (che per lui era di cuore e non di sangue od ereditaria), di qui alcune delle sue Odi ispirate ad un neoclassicismo moderatamente illuminista, da qui soprattutto la stesura del poemetto didascalico-satirico Il Giorno col quale, sotto apparente forma di insegnamenti di vita sociale ad un Giovin Signore milanese, non mancò di colpire la pavida e pigra nobiltà di Milano e della Lombardia.
PIGNA Comune dell’alta val Nervia, sede di insediamenti rurali romani. Importante il complesso di Lago Pigo, dialettale per ad Lacum Putidum cioè il lago che puzza ad indicare una sorgente termale-solforosa, curativa di varie affezioni, innestata in epoca celto-ligure e romana nel ciclo religioso delle Matres poi inglobato nel culto cristiano delle tre Marie o donne del Calvario come indicano i rilevamenti archeologici sulla vicina chiesa d’origine monastica dell’Assunta, primigenio luogo di culto del vicino borgo di Castelvittorio. Il complesso termale è in relazione viaria e cultural-religiosa con quello di Nostra Signora delle Fontane nel territorio di Briga: in entrambe le località, non a caso, assieme a rinvenimenti di romanità si espresse l’arte pittorico-profetica di Giovanni Canavesio che, verso il morente ‘400 e all’alba di grandi scoperte geografiche e di imprevisti rovesciamenti di verità un tempo indiscusse, affrescò alcuni edifici sacri, dando prova del suo talento in Due giudizi universali.
SCHENCKIUS, Joahannes Georgius di lui, medico fisico (cioè diagnostico e terapeuta per via clinica) di gran nome nel tempo, si trova all’Aprosiana di Ventimiglia l’opera (ricca di incisioni molto belle ed estremamente ben conservate) Monstrorum Historia Memorabilis, Monstrosa Humanorum Partuum Miracula...edita a Joanne Georgio Schenckio a Grafenberg filio, Ex Officina Typographica M.Beckeri, Francufurti 1609. Quest’opera si coniuga con un’altra preziosità medico-chirurgica parimenti custodita all’Aprosiana, vale a dire l’Armamentarium Chirurgicum...di Johannes Scultetus [Typis et impensis Balthasari Kunen, Ulmae Svevorum 1655] in cui si descrivono, e si rappresentano con splendide incisioni purtroppo in qualche caso un pò oscurate danneggiate da un processo di ossidazione legato alla qualità della carta, vari strumenti chirurgici e numerose tecniche, per l’epoca innovatrici, di intervento chirurgico senza escludere la trapanazione del cranio.
STATUTI (CRIMINALI GENOVESI DEL 1556) > esemplificazione delle normative medie del diritto dell’età intermedia: gli “Statuti genovesi”,editi nel 1557, sono ora pubblicati tradotti e commentati da B.Durante e F.Zara, sotto il titolo di Figliastri di Dio/ “a coda d’una bestia tratto”, pei tipi della cooperS di Ventimiglia (ed. dicembre, 1996)>La caratteristica di questi statuti (titolo per esteso Criminalium Iurium Civitatis Genuensis Libri Duo, come quelli di tutti i consimili ordinamenti del diritto intermedio, era quello che “ognuno fosse da ritenersi reo una volta accusato....non provandosi la sua innocenza”> notevoli, ma sempre difficili per la difesa dei rispettivi interessi le relazioni tra “tribunale laico” (foro dello Stato) e “tribunale ecclesiastico” (foro dell’Inquisizione) in merito a processi contro accusati di eresia e stregoneria (il braccio dello Stato, cioè la forza pubblica ordinaria, in teoria avrebbe dovuto eseguire le sentenze proposte dal tribunale dell’Inquisizione in occasione di siffatti procedimenti: l’uso del condizionale si deve alla titubanza dello Stato a soggiacere, in casi di giustizia interna per qualsiasi genere di reato, agli ordinamenti dell’Arcivescovo e dell’Inquisitore di Genova). Per un piccolo refuso il tipografo, autore dell’edizione originale, nella recente citata pubblicazione della “cooperS ed.” a p.2 viene indicato come Antonio Belloni anziché Antonio Bellone. Marco Antonio Bellone (questo il nome per esteso), “tipografo dogale”, apparteneva ad una società di stampa cui concorrevano il nobile Antonio Roccatagliata e Luigi Portelli. Ottimo artigiano, non privo di interesse per gli sperimentalismi poetici ed i motti arguti, il Bellone lasciò Genova nel 1579, allo scioglimento del consorzio editoriale che pure aveva prodotto opere di pregio ed ora di estrema rarità: si sistemò quindi in Carmagnola ove eresse una nuova stamperia in società con Giacomo Novarese mentre la vecchia, rinomata tipografia genovese -in base a precedenti accordi societari- fu retta dal 1579 al 1585 da Luigi Portelli [N.GIULIANI, Notizie sulla tipografia ligure sino a tutto il secolo XVI con primo e secondo supplemento, Bologna, Forni, 1980 (ristampa anastatica dell’edizione del 1869 apparsa negli “Atti della Soc.Ligure di Storia Patria”)]. A giustificazione di possibili mende (ed a consolazione di futuri scrittori) in fine della sua edizione degli “Statuti Criminali” il tipografo gustosamente fece scrivere (trad. dal latino): "Antonio Bellone il Bibliopola così ha scritto per il lettore/ Caro lettore, per quanto era nelle mie possibilità, mi sono impegnato sì che quest’opera sulla Legge Criminale uscisse priva d’ogni difetto ed al fine che tu non vi trovassi in seguito neppur una lacuna. Ma sono soltanto un uomo, ho appena due occhi, non son come Argo il cane infernale dai cento occhi. Per quanto ci si impegni con estrema diligenza a volte nulla esce dai torchi così perfetto che non vi si riscontri qualche lieve menda, sfuggita anche ai correttori più attenti. Pertanto non stupirti e non adirarti se, per caso, qualche cosa ti risulti stampata meno nitidamente d’altre o se qualche nevo affiori per caso. Concedimi la tua indulgenza ed il tuo perdono: sappi che quanto abbiamo riscontrato ci siam fatti premura di annotare qui sotto, leggi con cura queste correzioni ed apporta le necessarie migliorie al testo” (seguono 5 linee di “Errata/Corrige”: per ben pochi termini in verità)..
Ad integrazione del testo editato e commentato nell’opera Figliastri di Dio si riportano qui i tre carmi latini adespoti:
Ad lectorem
Persarum Regis non plureis arcula gemmas
Clusit: quam varias hoc breve cludit opus.
Lex datur hoc cunctis: sua quenque est facta sequuntur:
Dantur Iura bonis: & sua iura malis.
Principibus fortuna solet concedere Regna:
Sed non: qua fuerint lege regenda: docet.
Supra fortunam est sanctissima pagina legum:
Quae bene regnandi pandit ad astra viam.
Hoc opus ergo omnes discant Iuvenesque: Senesque:
Quique domi cupiunt vivere: quique foris.
Discant: nam frugi est: & divite maxima culmo
Cuiusque implebit horrea culta seges
Aliud
Cedite furta: doli: caedes: incendia: rixae:
Poena manet: nulli spes sit in aere suo.
Ad librum: ut exeat
Exi iam liber: ocyus recede:
Terris iura daturus: Oppidisque:
A Macra ad Monichum: iugumque: & ultra:
Clara quae Urbs Ligurum regit potenti
Sceptro. ac Iudicijs: pijsque iussis.
Prodi audentius omnibus libellis:
Quos olim ediderit sagax Senatus:
Eiusque auspicijs: ope; & favore:
Sospite Imperio ipse & usque sospes:
Terris iura daturus: Oppidisque.
La “dedicatoria” poetica è rivolta al pubblico ed al libro perché abbia gran credito come emanazione del diritto della Signoria: pregnante, seppur d’un ottimismo esagerato, risulta il distico laddove ci si augura che non solo grazie alle nuove direttive penali cessino i furti, gli inganni, le stragi e le risse ma anche (e forse soprattutto) che la pena avverso un reo sia sempre eseguita e che non più come in passato (il concetto è sottinteso quanto chiaro) la ricchezza personale rappresenti una garanzia di immunità e di salvezza: concetto poetico (destinato a restare come tale nella dimensione delle speranze forse irrealizzabili) ma comunque concetto che costituisce espressione della soluzione ad un disagio sociale strettamente connesso ad un’ingiustizia di trattamento penale collegata allo stato censitario ed al prestigio delle casate, anche ben al di là delle pur considerevoli concessioni fissate dagli stessi nuovi statuti criminali per gli aderenti ai gruppi egemonici di Genova e Dominio.
TARABOTTI, Arcangela, suora, al secolo Elena Cassandra (Venezia 1604 - ivi 1652). Di famiglia nobile, per le severe leggi del maggiorascato, soffrendo di una leggera malformazione fisica, tale comunque da renderne improbabile un matrimonio di interesse, venne obbligata dal padre Stefano ad entrare nel convento veneziano di S.Anna ove passò tutta la vita. Le imposizioni della famiglia e le esperienze degli anni giovanili (1620-’29) le ispirarono tra l’altro il volume polemico, poi messo all’Indice, La semplicità ingannata (sotto pseudonimo di Galerana Baritotti) edito da Sambix, a Leida, secondo alcuni nel 1651 secondo altri studiosi nel 1654. I suoi reiterati atteggiamenti contro l’uso delle monacazioni forzate furono mitigate ora con forme più o meno blande di persecuzione, più intellettuale che fisica, ora grazie all’intervento diretto del cardinale Ferdinado Cornaro cui la T. dedicò poi la sua ritrattazione sotto titolo de Il Paradiso monacale, libri tre con soliloquio con Dio (Oddoni, Venezia 1648). Pochi anni prima aveva comunque in qualche modo aggravata la sua posizione di monaca femminista impegnandosi in una celebre diatriba a difesa delle donne contro il misogino Francesco Buoninsegni: comunque, poco prima di morire, nel 1651 ancora sotto pseudonimo di Galerana Baritotti scrisse una Difesa delle donne (edita ufficialmente per il Cherchenbergher, in Copenaghen ma in realtà stampata a Venezia) contro Orazio Plata (da alcuni identificato con G.F.Loredan)> Di interesse emozionale notevole sono le sue Lettere familiari e di complimento edite a Venezia nel 1650 per il Guerigli.
Astronomo, matematico e geografo alessandrino, CLAUDIO TOLOMEO (che visse in Alessandria nel II secolo d.C. al tempo, dell'imperatore Adriano) raccolse e sistematizzò nell' Almagesto i risultati della ricerca astronomica precedente (Ipparco ecc.), creando un SISTEMA GEOCENTRICO basato su una serie di circonferenze (epicicli), il cui centro si muoveva su un'altra circonferenza eccentrica rispetto alla Terra. Nel sistema di Tolomeo soltanto il Sole e la Luna, considerati pianeti, avevano il proprio epiciclo centrato direttamente sulla Terra. Tale sistema di TOLOMEO fu considerato valido fino alla RIVOLUZIONE COPERNICANA del XVI secolo al cui riguardo nemmeno il poliedrico erudito intemelio del '600 Angelico Aprosio non tralasciò di esprimere una sua erudita OPINIONE.
Di Tolomeo è importante anche l'opera di geografo descrittivo che utilizzava latitudine e longitudine per l'identificazione dei luoghi sulla superficie terrestre.
Una delle sue opere più importanti si intitola, appunto, la Geografia.
La parte più consistente di questo libro è costituita da una lista di luoghi citati con le loro coordinate geografiche, latitudine e longitudine, insieme con una breve descrizione delle caratteristiche topografiche salienti di ciascuno di essi.
Certamente questo elenco di luoghi doveva essere accompagnato, nel manoscritto originale, da alcune carte geografiche, che non sono giunte sino a noi.
Tolomeo, tuttavia, ben prevedendo che le carte da lui disegnate sarebbero state irrimediabilmente copiate male, fino a diventare illeggibili nelle successive copie del suo manoscritto, si preoccupò di fornire il metodo per riprodurle correttamente, ovvero descrisse il sistema di PROIEZIONE da lui adottato per rappresentare la sfera terrestre su una superficie piana .
Il libro I della Geografia è difatti dedicato a descrivere il METODO DI DISEGNO di una carta di tutte le terre emerse, mentre il libro VIII spiega come fare a ottenere, da questa carta generale altre sei carte più dettagliate.
Secondo Tolomeo il MONDO ABITATO, od ECUMENE ( dalla parola greca oikomene che significa appunto abitato) copre un'estensione di 180° in LONGITUDINE, dal meridiano 0, quello delle isole Fortunate (ovvero le isole Canarie), e in LATITUDINE si estende da 16° 25' Sud fino a 63° Nord.
Naturalmente le descrizione dei luoghi e le posizioni date da Tolomeo in alcuni casi risultano grossolanamente sbagliate o molto approssimate.
Perfino i confini dell'impero romano erano molto incerti a quel tempo, ed anche la forma dei continenti allora noti, Europa, Africa e India era errata.
Prima di Tolomeo, solo l'astronomo IPPARCO aveva dato liste di luoghi con le loro coordinate geografiche e le conoscenze non erano molto aumentate ai tempi di Tolomeo.
Sia le misure di latitudine che di longitudine richiedevano accurate osservazioni astronomiche che, raramente, venivano compiute.
Le misure di longitudine erano basate su osservazioni contemporanee di eclissi lunari che dovevano essere organizzate con ampio anticipo.
Sembra che di queste osservazioni Tolomeo ne abbia avuta a disposizione una sola.
Si tratta dell' ECLISSI DI LUNA del 20 Settembre del 331 a.C., osservata ad Arbela in Assiria e a Cartagine.
Sfortunatamente un errore nell'osservazione di Arbela fece concludere a Tolomeo che, tra i due siti, esisteva una differenza di tre ore invece delle due reali.
Questo errore portò ad una distorsione del Mediterraneo, ovvero ad un allungamento della parte orientale di questo mare.
Per il resto Tolomeo dovette fidarsi dei resoconti dei viaggiatori e dei carovanieri, stimando le distanze in base ai giorni di viaggio necessari per raggiungere le località riportate nella carta.
Nonostante tutti questi problemi, il testo della Geografia di Tolomeo rimane uno delle grandi manifestazioni dell'ingegno umano. TORTURA (anche TORTURA CAPITALE DELLA RUOTA)> B. DURANTE - F. ZARA, Figliastri di Dio - a coda d’una bestia tratto..., cooperS ed., Ventimiglia 1996, Glossario voci varie> Da un sentenza pubblicata dalla Stamperia Reale di Torino nel dicembre del 1777 si apprende come il diritto intermedio sopravvisse a lungo anche nelle forme più atroci. In questo documento si contempla il caso della pena inflitta a persona d’umile condizione, tal Giacomo L.[cognome in parte cassato, in parte illeggibile] il quale sotto tortura aveva confessato l’assassinio di un prete che abitualmente provvedeva di vettovaglie e d’aver rubato 8 galline. La condanna avrebbe dovuto consistere nella pena della morte col mezzo del supplicio della ruota [il boia avrebbe frantumato con una mazza gli arti dello sventurato e questi sarebbero poi stati fatti passare fra i raggi d’una ruota comune da carro in pubblica vista], precedente l’applicazione delle tenaglie infuocate ai luoghi e modi soliti nell’essere condotto al patibolo, e fatto il di lui corpo cadavere manda ridursi in quarti da affiggersi ai luoghi soliti... (forse pei fermenti del nuovo diritto illuminista la barbara pena venne quindi commutata nell’impiccagione).
VENTIMIGLIA> Altura degli Intemeli (come detta il nome ligure-romano Albintimilium) si sviluppò a Nervia sull’altura di Colla Sgarba. Dopo la conquista romana si eresse una città quadrata e cinta da mura al terminale del Nervia (grosso torrente che formava prima d’entrare in mare un porto canale per l’attracco delle navi). Con l'integrazione tra Liguri e Romani la città si espanse, con suburbi o periferie che si estendevano verso Sanremo e Mentone. Vi si costruirono ville, case condominiali, acquedotti e fontane, un foro pubblico, un teatro e una struttura termale. Dopo i secoli bui del Medio Evo (quando la popolazione abbandonò la città romana per rifugiarsi sull’altura ben protetta della città medievale) e dell’epoca feudale (caratterizzata dall’egemonia dei Conti di Ventimiglia, sui ruderi del cui castello sorge dal 1668 il convento delle Canonichesse Lateranensi) si ebbe la fase comunale. Nel XIII sec. la città fu conquistata da Genova e ne diventò base di frontiera, purtroppo anche tormentata da guerre ed invasioni (si veda Castelli di Ventimiglia).. Divenne quindi "Capitanato di Ventimiglia e distretto" nel Dominio di Genova ed il ceto dominante dei nobili locali o "Magnifici" risiedeva nel quartiere, poi sestiere, "Piazza" di Ventimiglia medievale il cui locale Parlamento, importante per l'amministrazione economica del territorio, fu spesso in disaccordo coi "popolari" e soprattutto coi "rustici" delle "ville rurali" che a fine '600 avrebbero, dal Senato genovese, ottenuta l'autonomia economica e fiscale da Ventimiglia ritenuta troppo esosa. Ventimiglia seguì quasi sempre i destini di Genova, tra guerre, periodi di fortuna e di difficoltà: sarebbe diventata Comune autonomo dopo la "Rivoluzione Ligure" del 1797 e, caduto Napoleone, dopo il Congresso di Vienna (1815) per cui la Repubblica di Genova fu soppressa ed il suo territorio venne assegnato al Piemonte sabaudo. Lo sviluppo urbano e demografico di Ventimiglia nella piana tra i corsi d'acqua del Nervia e del Roia si ebbe dall''800 ed in particolare dalla II metà dopo la realizzazione della "Strada della Cornice" (oggi "Aurelia") e della "Strada ferrata" con la "Grande Stazione ferroviaria internazionale" che resero intensi i traffici e potenziarono il ruolo frontaliero della città. Nuove attività economiche (a fianco di quelle tradizionali della olivicoltura e floricoltura) tra cui, per ultima e gloriosa, la floricoltura fecero la fortuna di Ventimiglia [la celebre Battaglia di Fiori (anche detta Battaglia dei Fiori) con splendidi carri fioriti, lavorati soprattutto coi pregiati garofani locali, divenne un appuntamento mondano ed internazionale, recentemente riproposto nonostante la gravezza dell'impegno e dei costi]. La vicinanza della Francia e, sin a tempi recenti, la congiuntura favorevole del cambio lira/franco ha fatto di Ventimiglia un enorme emporio commerciale il cui apice è costituito dal monumentale mercato ambulante di ogni Venerdì, diventato di rinomanza europea. Molte associazioni culturali e la stessa Amministrazione comunale stanno tuttora operando per una sempre più vasta qualificazione turistica di Ventimiglia (non limitata alla fruizione del pur splendido mare) con varie iniziative: alcune di carattere "storico", come la festa di fine estate per il Patrono S.Secondo (con fuochi artificiali e corollario di manifestazioni) altre più recenti come l'Agosto Medievale nel corso del quale numerosi figuranti celebrano uno dei tanti aspetti dell'antica storia della città [grande sagra folkloristico-culturale che si esalta tramite parecchie altre manifestazioni sportive (corsa a staffette di squadre dei "sestieri" o contrade cittadine storiche per esempio ma ancor più con le sfide del bravissimi Balestrieri intemeli) ed in particolare con un Palio marinaro o competizione nautica di velocità tra "gozzi -tipiche imbarcazioni liguri a remi- con equipaggi dei sestieri "Burgu", "Campu", "Cuventu", "Ciassa", "Auriveu", "Marina"]. Di questo importante centro commerciale (cui non è però estranea una serie di iniziative culturali importanti: vedi la manifestazione Mediterraneo) è utile dar ora la rassegna di alcuni dati utili per una fruizione ottimale, di turisti e visitatori in particolare ma anche di residenti.
DATI STATISTICI GENERALI
-Superficie comunale: 53,92 Kmq.
-Abitanti: 25.978 u.c.
-codice di avviamento postale: 18039.
-prefisso telefonico: 0184,
La città è sita a circa 40 km. da Imperia (suo capoluogo di Provincia) ed è collegata a Savona ed alla Francia dall'Autostrada A 10 ("dei Fiori"), dalla Statale n.1 ("Aurelia") e dalla Statale n.20 per il Colle di Tenda.
INDIRIZZI DI VARIA UTILITA'
1-Pronto Soccorso: "Croce Rossa" (via Dante 12, tel.25.07.22), "Croce Verde" (Piazza XX settembre, tel.35.11.75).
2-Soccorso in mare: "Capitaneria di porto, tel.35.11.01.
3-Carabinieri: via Chiappori, tel.35.72.35.
4-Polizia stradale: Piazza della Libertà 1, tel. 34.902.
5-Polizia di Stato: Piazza della Libertà 1, tel. 34.75.75
6-Vigili del Fuoco: gruppo operativo di Ventimiglia, tel.115.
7-Vigili Urbani: via S.Secondo 9, tel. 35.25.25.
8-Comune-Municipio: Piazza della Libertà, centralino 2801.
9-Poste-Telecomunicazioni:Piazza Battisti (poste ferrovia) tel.33.809; "Centrale"-Corso Repubblica, tel. 35.13.12[Dettatura telegrammi: tel.35.11.23, Bancoposta: tel.35.51.90]; Ventimiglia Alta, tel. 351735; Succ. di Grimaldi, tel.38010; Succ. di Latte, tel.34.040.
10-Stazione ferroviaria: centralino tel.35.67.77.
11-Ospedale-Guardia Medica, via Basso, centralino 2751.
12-U.S.S.L. 1: corso Genova 88, tel.35.75.57.
13-Autostrada dei Fiori: Area del Roia, tel. 35.12.03.
14-Azienda di Promozione turistica:"IAT-Ufficio informazioni", via Cavour 61, tel.35.11.83; "Forte dell'Annunziata-Mostre/Convegni", via Verdi 15, tel.35.28.44.
15-Alliance Francaise della Riviera dei fiori: (scambi socio-culturali italo francesi) via Martiri Libertà 1, tel.35.25.68.
16-Agenzia Giornalistica Alpazur, via Asse 53, tel.239177.
17-Auto-pubbliche/Taxi: Piazza Stazione Ferroviaria, tel.35.11.25.
18-Autobus-servizi pubblici: "Riviera Trasporti", via Cavour 61-Biglietteria tel.351251.
19-Ambulatorio Veterinario U.S.S.L.1 via Peglia 231649 ("Consultorio familiare servizio veterinario" tel.2751-"Veterinario di confine", via S.Secondo, tel. 35.56.86).
20-Camera del Lavoro, via Roma 23, tel.239199.
21-Confederazione Nazionale Artigianato:Corso Genova 50, tel.34891
22-Confederazione nazionale dei coltivatori diretti: via Asse 3, tel.351627/ 351417.
23-Ufficio Provinciale del lavoro-Ufficio collocamento, via Lamboglia 14, tel.254822.
24-Distretto Scolastico n.1: via Martiri Libertà 2/a, tel.356355.
25-Civica Biblioteca Aprosiana: Ventimiglia alta-v.Garibaldi 19, 35.12.09
25-Museo Preistorico: Balzi Rossi, tel.38.113.
26-Museo Archeologico G.Rossi: Forte dell'Annunziata, via Verdi, tel.35.28.44.
27-Giardini Hanbury: "la Mortola", tel.39.852.
ITINERARI TURISTICO-CULTURALI DA VENTIMIGLIA
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1-Sito archeologico di Ventimiglia Romana a Nervia (Teatro, terme, mosaici, Insulae o case condominiali romano imperiali, villa signorile presso il magazzino ENEL: possibile escursione a Colla Sgarba ed all'oasi faunistica del Nervia).
2-Visita a Ventimiglia medievale: Chiesa Cattedrale - Battistero - Convento Canonichesse Lateranensi(edificio) - Porta Medievale della cinta muraria - case signorili del quartiere/sestiere "Piazza" - Biblioteca Aprosiana - chiesa romanica di S.Michele con cripta - Area del "Funtanin: possibile escursione a "Porta Canarda" simbolo con la torre e la porta doppia ad arco gotico delle difese di Ventimiglia verso ponente sulla "strada romana".
3-Visita alla città moderna : giardini pubblici, oasi faunistica del Roia e Convento di S.Agostino.
4-Escursioni verso la val Roia (Airole in particolare, con la diramazione per la val Bevera: siti interessanti per le supposte e leggendarie valenze "magiche") od il o ai ruderi di Castel d'Appio
5-Escursione: Ventimiglia - Latte - Giardini Hanbury -Balzi Rossi - Frontiera (Km.8,500).
6-Escursione: Ventimiglia - Porta Canarda - Calandre - S.Lorenzo - Castel d'Appio - Ventimiglia.
7-Escursione: Ventimiglia - Bevera - Torri - C. del Bricco - M.Grammondo (Km.8,500-ore di percorso standard 6).
8-Escursione: Ventimiglia - S.Michele - Olivetta - C. delle Rove - M.Grammondo (Km.18).
9-Escursione: Ventimiglia - Ciaixe - M.Abellio (Abeglio) - Gola di Gouta - Pigna - Ventimiglia (Km.71).
10-Escursione: Ventimiglia - Vallecrosia (da visitare il Tempio-Museo della Canzone Italiana realizzato da Erio Tripodi, ricchissimo di rari strumenti e testi riguardanti la cultura musicale italiana: è sede di convegni importanti e vi si premiano le migliori tesi di laurea, a livello internazionale, sulla canzone italiana) - Apricale (autentico gioiello architettonico di paese medievale di val Nervia)- Dolceacqua - Ventimiglia (Km.71).
11-Escursione: Ventimiglia - Pigna - C.Langan - Molini di Triora (assolutamente da visitare il museo etnografico dedicato alle streghe, in memoria del famoso processo di Triora di fine XVI sec.) - Arma di Taggia - Ventimiglia (Km.96,800).
ZARA, Franca, nata a Sanremo , residente in Ventimiglia, laureata in Lettere Moderne presso l’Università di Genova, ha svariati interessi sulla letteratura minore d’ordine esoterico ed astrologico donde deriva in particolare la sua collaborazione alla stesura del volume Figliastri di Dio edito per la CooperS ed. nel 1996. Già in precedenza, per iI numero miscellaneo dei Quaderni dell’Aprosiana, aveva redatto un ampio saggio dal titolo Credenze popolari nella Francia Nord-orientale di fine XV secolo nelle pagine di un manoscritto anonimo. Negli ultimi tempi si è specializzata, relativamente ad argomenti connessi allo studio della stregoneria e della cultura femminile popolare dell’età intermedia, nel tenere conferenze e lezioni sia per l’aggiornamento dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado sia nel corso di Anni Accademici dell’UNITRE di Ventimiglia-Bordighera.