Per investigare sul non semplice problema del PORTO (o dei PORTI) di Ventimiglia Romana si può -a titolo sperimentale - svolgere un cammino retrogado partendo da un toponimo e da un sito di una località sita nell'entroterra, sul corso del torrente Nervia vale a dire l'importante centro vallivo di Dolceacqua.
PORTU ("PORTUS" DI DOLCEACQUA).
Il Convento di Dolceacqua, oltre alla principale via d'accesso dal fondovalle aveva anche altri ingressi, ma il più sorprendente resta quello della proprietà detta Portu (dal medievale ubi dicitur Portus) visibile sul lato sinistro della provinciale, fuori Borgo ed a qualche centinaio di metri dall'impianto edile dell'azienda "Mobilsol".
Nel XIII sec. il toponimo indicava una zona che già da parecchio aveva tal nome e che l'avrebbe conservato sin ad oggi, nonostante le alterazioni linguistiche (negli Jura del 1523 o Diritti dei Doria, alla Rubrica 26 si legge "Item aliud molendinum vocatum lo molinetto loco dicto porto" cioè " i Signori hanno un altro mulino detto il mulinetto nel luogo detto Porto".
Ai primi del XVI sec. il Portus del '200 era divenuto l'italiano Porto, ad indicare che il referente non era svanito dalla memoria collettiva ma era stato adeguato alla linguistica dall'etimologia popolare).
Da un atto del di Amandolesio (12-III-1263) si apprende che Giovanni di Airole aveva comprata una pezza di terra coltivata ed aggregata nel "Distretto di Dolceacqua" (in un' area esterna rispetto al borgo murato) ubi dicitur Portus.
I venditori erano un Guglielmo Todesca e sua moglie Verdana.
tale proprietà confinava in alto con quella di Enrico Ferrario oltre che con un fossato.
I fianchi del possedimento dolceacquino soggetto a compravendita erano limitati dai fondi di Giorgio Celiano e di un Arimanno.
L'importanza dell'atto più che nei dati catastali, sta nell'onomastica riportata: nel XIII sec. risiedeva infatti al Portus un ceppo della gens Coelia (Celianus potrebbe rimandare, per il suffisso prediale e servile in -anus, ad un gruppo famigliare di coloni dell'intemelia gens Coelia).
Arimannus è forma latinizzata, evolutasi dopo il X sec., dei nomi germanici Armanno o Ermanno: non è assolutamente da confondersi con l'esito Alemanno pur documentato nell'agro intemelio, ma piuttosto verso la linea costiera
Si tratta di un personale longobardo che ha alla base l'hariman(n) o uomo libero, appartenente all'esercito, cui era affidata la difesa di siti strategici e la proprietà di fondi inalienabili (da *haria = esercito e *mann(o)= uomo).
L'accostamento dei due personaggi è una chiave di lettura per l'area ubi dicitur Portus.
Qui vi era forse stato un insediamento rurale dei Coelii (si ricordi la villa Coeliana oggi Ceriana e l' iniziativa dioclezianea di legare i coloni alla terra secondo la caputiugatio) ma verso l'VIII sec. gli invasori longobardi dovettero sistemarvi dei militi-villani, che, vivendovi colle famiglie, controllavano i luoghi e le popolazioni indigene, senza l'odiato aspetto da occupanti dei soldati greco-bizantini di un secolo prima.
Ai Longobardi seguirono i Franchi di Carlo Magno e si ebbero nuovi insediamenti: troviamo così i coniugi Todesca che hanno un cognome di ascendenza francone (*theuda = popolo + l' etnico *-isk).
Il cognome Anfosso giunse più tardi in Liguria occidentale, fra XII-XIII sec., anche se non è da escludere una sporadica diffusione in tarda epoca longobarda: questa si può collegare alla Provenza, zona di irradiazione, anche per l' influsso monastico-spirituale che le regione esercitò nel Ponente (Anfos, Anfous ed Amphox rimanda all'uomo valoroso in battaglia).
Ferrario, da Ferrarius è invece nome di mestiere ("fabbro") secondo una consuetudine medievale per cui alcuni individui, persa l'onomastica di origine, venivano indicati con un soprannome dal tipo di lavoro svolto (ferrarius > faber = "fabbro", sulla cui formazione non è però possibile indicare una data precisa di evoluzione).
Due altri proprietari menzionati nel documento riguardante la località Portu di Dolceacqua erano Ugone Moto, che rimanda al concetto di motta (mota) come assemblea o rialzo del terreno (toponimo della chiesa conventuale di S.Maria, evolutosi nella prima metà del XIII sec.) ed Ortiguerius Gallusius (che deriva dal nome Gallo in relazione con un soprannome tardoromano scherzoso o all'etnico "abitante oriundo della Gallia").
Tra la gente del Portus compaiono dunque tracce onomastiche risalenti a diversi periodi: considerando la valenza viaria del sito si deduce che tal zona godette di continuità insediative e rurali sin dall'Impero di Roma all'epoca Carolingia ed ancora al XIII-XIV sec.
In un DIPLOMA dell'Imperatore Enrico III (Ulma, 19-IV-1048) si trova una elencazione dei beni abbaziali di Novalesa.
A riguardo delle località monastiche in Pollenzo vien menzionata "la corte Colonia col suo territorio, il mercato, i mulini, il porto (Portus) ed i diritti connessi compreso quello di pesca" ed ancora il "sito detto Portus da Runcarizio sino al fiume Tanaro".
Nelle Sanzioni fu stabilito di salvaguardare "tutte le navi dello stesso monastero che dai fratelli o da loro incaricati fossero state inviate in qualsiasi luogo italiano per ragioni di pesca o di commercio come in particolare le stazioni di Ferrara, Comacchio e Ravenna" (Monumenta Novaliciensa, p. 196).
Nel Duecento il Nervia scorreva con abbondanza e presso la sua sponda ovest, poco più in basso del fondo venduto dai Todesca, era il "luogo che si dice Porto".
Le connessioni storiche fra diplomatica e linguistica inducono a credere che i Benedettini vi possedessero un attracco fluviale simile a quelli del diploma imperiale e che da lì colle navi commerciassero o andassero a pescare.
Il Nervia, trascinando detriti, aveva formato delle vere e proprie Isole nel suo alveo, ove si installavano case e mulini.
I notai le registravano quali tappe della navigazione fluviale che poteva anche avvenire secondo la tecnica, a lungo utilizzata in Liguria, della FLUITAZIONE.
Ancora negli Jura di Dolceacqua del 1523 il notaro Bernardo Mauro inventariò due isole nel Nervia con prati ed un casale diruto per tenervi le bestie che da secoli ormai si estendevano dal Porto sin all' area del ponte monumentale.
Non bisogna dimenticare che i Novaliciensi, i quali prima dei Saraceni potevano far traffici navali dai loro porti in Tolone e Marsiglia, nel XIII sec. avevano sul Tirreno la sola base commerciale di Dolceacqua ( dagli Atti Novaliciensi si evincono dati sugli insediamenti benedettini nel pago di Marsiglia al 5-V-739, anche in tal caso per donazioni di nobili Franchi e Re Carolingi, prima delle invasioni saracene, allo scopo di ripopolare le contrade incentivandone l'agricoltura).
Dalle carte del monastero susino apprendiamo che i Benedettini, esperti di navigazione fluviale, controllavano quasi tutte le Insulae.
L'analisi geomorfologica del Nervia, permette di riconoscerne la navigabilità fin al Portus.
Dal Manoscritto del Notaio Borfiga di Isolabona (Storia del Marchesato ...cit., p. 75 e doc. XXII), e dalle considerazioni del Celesia in Porti e vie strate nella Liguria (p.8) si desume poi che lo scalo marittimo alla foce del torrente sarebbe rimasto operativo sin al XIV sec. quando gli uomini di Dolceacqua ancora se ne servivano per il commercio vinario (nel '200 l' attracco ospitava Galee e Taride cui si recavan merci, anche dai monaci, per via di baucii, come il Santa Croce ed il S.Antonio che portavano animali e cavalli, copani e altre imbarcazioni liguri di ridotto pescaggio con cui si risaliva il torrente al Portus: di Amandolesio, doc.1, del 28-XII- 1258).
I Benedettini della Novalesa verso il IX sec. si eran messi in moto sulle tracce del sistema viario romano, utile per l'evangelizzazione e pei traffici.
Benchè combattessero l'idolatria, avevano imparato a sfruttare l'efficienza organizzativa della classicità; ai monaci non sfuggirono né la strada fluviale del Nervia nè la zona del Portus.
I relitti archeo-toponomastici rimandano al Medioevo od alla tarda romanità (vi abbondano derivati dall'onomastica imperiale come Balbo e Basso e resta notevole la consistenza numerica dei Ceriani).
ALEMANNO lo si riscontra tra i proprietari registrati nel conquecentesco Catasto di Ventimiglia: la forma trascritta è Allamannus e compaiono menzionati 4 proprietari.
L'esito Alemanno come il consimile Alamanno, secondo il De Felice sono principalmente testimoniati nel Nord-Italia, quindi in Toscana e poi molto relativamente nel meridione.
Alla base vi sarebbe il nome Alemanno o Alamanno cioè, in origine, un etnico alternativamente usato come nome o come soprannome nel senso di "abitante dell'Allemagna".
Con il termine Alemanno o Alamanno [*alla- ("tutto, nell'insieme") + *mann(o) ("uomo": in tedesco Mann ed in inglese man)] si erano solite definire, dal III secolo d.C. al medioevo, tutte le popolazioni sveve della Germania meridionale (il gotico alamans peraltro equivale grossomodo a "gli uomini [di varie stirpi] nell'insieme") che si diedero alle prime incursioni barbariche nell'Impero giungendo sino in Liguria e saccheggiando la stessa Ventimiglia romana.
Le stirpi degli svevi che, dopo aver resistito alle offensive degli Imperatori romani da Caracalla in poi, tra VI e VIII secolo vennero sottomesse dai Franchi finché si resero indipendenti dando poi il loro nome a quella porzione meridionale della Germania più prossima all'Italia, appunto l' Alemagna.