INDICE GENERALE SULLA TORTURA ECCLESIASTICA
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DISCORSO GENERALE
-TORTURA INQUISITORIALE ECCLESIASTICA
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VOCI SPECIFICHE (VOCI N.55 IN ORDINE ALFABETICO/ TEMATICO)
[DA QUI PUOI APPROFONDIRE LE VOCI = DOPPIO FORO, INQUISIZIONE, DOPPIO DIRITTO, PROCEDURE, CONFESSIONE, "CAMERA DEL DOLORE" ECC. ECC.]
1-APPLICAZIONE DELLA TORTURA: AGGRAVIO O DIMINUIZIONE DEI TORMENTI
[DALLA TORTURA ALLA PENA ALLA CATARSI = LA FEROCE IRIDESCENZA DEL DIRITTO INTERMEDIO INFLUENZO' ANCHE LA VITA E L'ARTE COME QUI SI VEDE]
2-APPLICAZIONE DELLA TORTURA: LIMITI IMPOSTI IN BASE A SESSO, STATO DI SALUTE, ETA', CONDIZIONE SOCIALE
3-APPLICAZIONE DELLA TORTURA: MODI E TEMPI DI LEGGE
4-APPLICAZIONE DELLA TORTURA: TIPO DEI DANNI FISICI COMMINABILI
5-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MAGHI E STREGHE: LORO MAGICA RESISTENZA AL DOLORE
6-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MAGHI E STREGHE: LORO "MAGICO SILENZIO" AL DOLORE
7-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MAGHI E STREGHE: ARTIFICI MAGICI DEL DEMONIO PER DAR LORO RESISTENZA E SILENZIO AL DOLORE
8-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MAGHI E STREGHE: PROTEZIONE E SCUDO MAGICO DEL DEMONIO
9-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MAGHI E STREGHE: "SOLLEVAMENTO DEMONIACO DAL LETTO DEI TORMENTI" E/O "SOSTITUZIONE DEL TORTURATO CON FALSA IMMAGINE"
10-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALEFICHE CREATURE: CASO DI "INSENSIBILITA' DIABOLICA" VINTA DA UNA "POZIONE MAGICA"
11-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALEFICHE ENTITA': MEZZI VARI DI LORO DIFESE ESCOGITATI DAL DEMONIO
12-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALIGNE ENTITA': RICERCA SUL LORO CORPO DI "MAGICI STRUMENTI DIFENSIVI"
13-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALIGNE ENTITA': STREGHE CHE FANNO INCANTESIMI A FAVORE DI "TORTURATI"
14-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALIGNE ENTITA': USO INQUISITORIALE DELL'ACQUA FREDDA NON CONSACRATA
15-APPLICAZIONE DELLA TORTURA A MALIGNE ENTITA': UTILIZZAZIONE DELL'ACQUA BENEDETTA
[NOTA METODOLOGICA = DIFFERENZIAZIONE TRA "PROVA DELL'ACQUA CALDA" E "PROVA DEL GALLEGGIAMENTO DELLE STREGHE SECONDO A. SCRIBONIO" (AGGRAVAMENTO DEL TEOREMA DEL "GALLEGGIAMENTO/REPULSIONE STREGONESCA DELL' ACQUA" IN AREA RIFORMATA = DISCOVEREY OF WITCHES DI M. HOPKINS)]
16-APPLICAZIONE ILLECITA D'UNA TERZA SERIE DI TORMENTI
17-APPLICAZIONE "LECITA" D'UNA TERZA SERIE DI TORMENTI
18-APPLICAZIONE "POSSIBILE" D'UNA "QUARTA SERIE DI TORMENTI"
19-APPLICAZIONE STRAORDINARIA DI MOLTEPLICI SERIE DI TORMENTI SECONDO IL "MARTELLO DELLE STREGHE"
20-APPLICAZIONE O MENO DELLA TORTURA
21-APPLICAZIONE MOTIVATA DELLA TORTURA
22-ARBITRIO ESTREMO NELLA SCELTA DEL TIPO DI TORTURA
23-ARBITRIO ESTREMO DEL GIUDICE DI INQUISIRE: INTERROGATORIO SU OGNI ARGOMENTO, SIN AL TEMA DEL "COITO COL MALIGNO"
24-AVVERTIMENTI GENERALI-METODOLOGICI
25-"CACCIATORE DI STREGHE"
26-LA CARCERAZIONE/ SEGREGAZIONE DURANTE LE INVESTIGAZIONI
27-CASI DI SOGGETTI CHE PREFERISCANO GLI STRAZI ESTREMI DELLA TORTURA ALLA RAPIDA MORTE SUL PATIBOLO
28-CONFESSIONE ESTORTA: DIVIETO DI REPLICAZIONE DELLE TORTURE
29- DENUDAZIONE DI "TORTURANDI" ALLA RICERCA DI AMULETI DIFENSIVI CONTRO IL DOLORE
30- DEPILAZIONE DI "TORTURANDI" ALLA RICERCA DI AMULETI DIFENSIVI CONTRO IL DOLORE
31-DOMANDE SUI "VIAGGI MAGICI" DI STREGHE E MAGHI
32-DOMANDE SUI PREMI SPERATI DA QUANTI HAN STIPULATO PATTI COL DIAVOLO
33-DOMANDE SULLE FORMULE NECESSARIE PER STIPULARE IL PATTO COL DIAVOLO (OBBLIGHI E DOVERI CHE NE DERIVANO)
34-DOMANDE SULLE SOSTANZE MAGICHE USATE NELLA PARTECIPAZIONE AI RITI MALEFICI
35-DOMANDE SUL PERCHE' DEL PATTO COL DIAVOLO (RAGIONI DELL'OCCASIONE, DEL MOMENTO, DELLE ASPETTATIVE)
36-DOMANDE SUL TIPO DI SACRIFICI FATTI AL MALIGNO
37-ESPEDIENTI MAGICI E DISCUTIBILI PER SVELARE ENTITA' DIABOLICHE E RENDERLE TORMENTABILI
38-ESPEDIENTI ORATORI PER IL CONVINCIMENTO DEI TORTURATI
39-ESPEDIENTI PER SVELLERE DA TORTURATI IL "MALEFICIO DEL SILENZIO"
40-ESPEDIENTI PER SVELARE STREGHE SOTTO TORTURA: MEZZI PER RICONOSCERE IL LORO "PIANTO FINTO"
41-FORME DI INVESTIGAZIONE COERCITIVA E DI TORTURA DELLA GIUSTIZIA DELL'INQUISIZIONE
42- LAVAGGIO DI "TORTURANDI" ALLA RICERCA DI AMULETI DIFENSIVI CONTRO IL DOLORE
43-LIBERAZIONE OBBLIGATORIA PER CHI ABBIA SUBITO TRE SERIE DI TORMENTI
44-POSSIBILI PENE ALTERNATIVE DA INFLIGGERSI A UN INQUISITO PIUTTOSTO CHE LA TORTURA
45-PROVA DELL'ACQUA: LE "STREGHE" GALLEGGIANO - REPULSIONE DELL'ACQUA AVVERSO STREGHE E MALEFICHE
46-RIPETIZIONE POSSIBILE DELLA TORTURA
47-RIPETIZIONE DEI TORMENTI AD UN REO CONFESSO CHE ABBIA RITRATTATO
48-SOSPENSIONE RIPETUTA E REPLICA DELLO STESSO TORMENTO
49-TEMPI DI LEGGE PER LA TORTURA STRAORDINARIA
50-TESTIMONI IN CASI INQUISITORIALI PER CRIMINI DI MAGIA E DI ERESIA
51-TORMENTI E PENE CONGIUNTE
52-TORMENTI GRAVI (DA APPLICARE CON CAUTELA)
53-TORTURA DELLA RUOTA
54-TORTURA DELLA VEGLIA
55-TORTURA INQUISITORIALE ECCLESIASTICA
********************************************************************************************************** TORTURA DELLA RUOTA: Strumento di tortura -con esito devastante e quindi da classificare qual forma di tortura straordinaria per supplizio estremo- costituito nelle forme più evolute da una ruota a raggi ruotante su un palo cui si legava il condannato a morte supino e con le braccia e le gambe aperte e distese, dopo avergli fratturato le ossa degli arti, del torace e del dorso.
TESTIMONE IN DELITTI ECCLESIASTICI (cioè concernenti questioni di ordine ecclesiastico e quindi, soprattutto, il rischio di Eresia (soggetti ai Giudici dell'Inquisizione o S.Ufficio)-Si cita da S.A.I. con le coordinate di stampa in parentesi>"Testimone più facile a dir il vero deve esaminarsi prima degli altri"(37),"T. che in tortura depone un delitto commesso da un altro, non ha bisogno di ratificazione fuor di tortura"(2) "T. che depone il vero che non sa, perché in ciò depone falsamente si deve punire di pena straordinaria"(2)), "T. a difesa negando d'esser parente del Reo, se è tale, si deve punire come falso"(4),"T. inimico del Reo si deve considerare bene in che modo abbia deposto"(41), "T. che varia nei suoi detti, perde di credenza e deve essere tormentato per sapere in qual detto persista"(p.47), "T. falso deve esser punito da quel Giudice, avanti il quale dice il falso"(111), "T. convinto [catturato] si deve torturare senza le difese"(135), "T. complice da torturarsi per avere i complici del delitto da lui contro se stesso confessato, non deve aver le difese avanti le torture"(135),"T. eretico s'ammette in causa di fede" (114), "T. eretico col suo detto, senza altri ammenicoli, fa indizio solamente ad inquirere, non a catturare, nemmeno a tormentare"(114).
Nell' ultima parte del secondo capitolo e nella prima del terzo, nel suo lavoro Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (opera del 1770, la cui redazione definitiva avvenne però tra il 1776 ed il 1777 e che venne editata postuma nel 1804: "clicchi" qui sul collegamento chi ne voglia leggere integralmente il TESTO) ha dunque lasciato scritto l'illuminista milanese Pietro Verri:
Dopo una lunga attesa la Storia della colonna infame fu editata dal Manzoni nel 1842 per ricostruire il memorabile e terribile processo con cui a Milano si "punirono" degli infelici accusati di essere untori (l'opera riprendeva e completava un altro scritto fondamentale ma meno noto sulla questione di Pietro Verri).
Ponendo le basi teoriche e pratiche dell'INTERROGATORIO IN MATERIA DI STREGONERIA l'inquisitore BERNARDO GUY nel suo testo basilare (Manuel de l'inquisiteur: qui ripreso dalle edizioni p. G. Mollat, I, Paris 1964, pp. 20-25) poneva altresì le fondamenta sia della definizione di stregoneria sia delle procedure da seguire in ogni interrogatorio:
TORTURA INQUISITORIALE ECCLESIASTICA (proced. gener. secondo DELRIO Lib. V, sez. III, sez. IX, pp. 34 sgg. "avverso streghe e maghi rei di malefici connessi ad eresia):
- "SEZIONE IX (degli avvertimenti generali per le procedure inquisitoriali = Premessa)/ Sulla tortura/ In primo luogo il magistrato preposto avrà facoltà di interrogare secondo le norme generali già indicate dal Grillando, chiedendo quindi:
[1] Dovrà chiedere l'inquisitore ai sospettati di malefici ed eresia per qual motivo esercitino tal professione di fedeltà a vantaggio del Diavolo, qual siano state le occasioni e le modalità di tale PATTO SATANICO, soprattutto di quali riti e cerimonie si valgano per ossequiare il Maligno;
[2] per qual ragione si vincolino così al Demonio, qual siano inoltre le formule necessarie per stipulare l'ignobile accordo di servitù ed ancora quali siano realmente i loro obblighi e doveri nel contesto di siffatto maleficio;
[3] che premi sperino d'ottenere subito ad opera del Maligno e in definitiva cosa realmente possano augurarsi di ottenere dal Signore Massimo di tutte le forze infernali;
[4] quali siano le sostanze semplici o composite di cui si servono per comporre i loro nefandi unguenti e le perniciose unture, di che genere d'olii magici si cospargano il corpo allorquando debbono partecipare a quei giochi lascivi che s'usano altrimenti chiamare sabba, che genere di combinazioni adoprino nel formulare i loro veleni, quando, secondo quali gerarchie e soprattutto in che modo si rechino ai siti dei lor culti nefasti;
[[4] Se sia poi vero che le streghe, ma anche i maghi, si rechino fisicamente a suddetti incontri diabolici o piuttosto non sia la loro una partecipazione metafisica, per via di sortilegio, magari sotto forma di visioni ed illusioni varie: ed in particolare, recandosi in modo reale ai convegni sabbatici, se tutti questi si spostino coi loro piedi o con mezzi d'altra natura [compreso il controverso dibattito sugli spostamenti in volo, a cavallo di entità infernali o coll'intervento diretto dei demoni, N.d.A.];
[5] per ultimo quindi quali siano la ragione e le modalità per cui si fanno sacrifici al Signore degli abissi, di che genere risultino le offerte o i doni per il Demonio ed ancora che caratteristica peculiare abbiano le ritualità da compiersi in tali eventi;
...il magistrato, sia che debba procedere d'ufficio o dopo espressa denunzia di stregoneria, avrà comunque ampio arbitrio d'usare ulteriori modalità di interrogatorio e conserverà sempre l'assoluta potestà di chiedere ad ogni singolo reo "se realmente abbia perpetrato i sortilegi imputatigli, quando si sia macchiato di tali crimini, per quali motivazioni e col concorso di qual genia di correi": procedendo ad investigare sarà senza dubbio opportuno agire cautamente, spostando, con prudenza ed a gradi, l'indagine da quei delitti di stregoneria che più facilmente si confessano, per loro relativa modestia od insignificanza, onde giungere a far le domande di rito sulle colpe massime, quelle sui cui ogni inquisito fa estrema resistenza, fin ad investigare sul crimine estremo del coito carnale con qualsivoglia demone nell'ambito di un tortura se hanno qualche altra possibilità d'accedere alla scoperta del vero: la quaestio o tortura, a dir di molti autori è 'cosa fragile, insicura e pericolosa ,che spesso induce a far travisare la sostanza dei fatti', di modo che a volte 'un qualche innocente, durante l'investigazione su un delitto abbastanza incerto di stregoneria o sortilegio, finisce col subire terrificanti punizioni corporali': di solito il magistrato inquirente è costretto a ricorrere alla tortura quando, come suggeriscono Cipriano e l'usuale sentenza teologica, 'chi nega d'aver commesso quel determinato malefizio per cui sia tenuto in carcere o comunque soggetto ad inquisizione, visto che in nessun modo si lascia persuadere a parlare o dar confessione alcuna, debba esser posto nella condizione di comunicare i fatti attraverso gli spasmi del dolore fisico.
Senza dubbio si può concedere all'inquirente completa autonomia nella scelta della tortura da comminare ma, in ogni caso, è consigliabile che il magistrato sia guidato da retto giudizio e senso d'equità: è conveniente che in tali circostanze qualsiasi giudice si attenga a punti fermi di tipo inquisitoriale, cui ho già fatto cenno nella precedente 'Sezione' I, 2.
In primo luogo è doveroso che egli abbia opportuna documentazione sul corpo del delitto mentre per seconda condizione ritengo necessario che sia fornita al reo copia degli indizi e del procedimento già formato nei suoi confronti onde gli giunga facoltà di predisporsi una conveniente difesa; mi sembra poi ulteriore, necessaria condizione che il reo non risulti di già confesso e che, tantomeno, ne sia stata irrefutabilmente comprovata alcuna responsabilità di stregheria.
Di seguito non credo fattibile, perché si ricorra a procedimenti di tortura inquisitoriale, che un magistrato fondi il suo operato su dicerie e voci accusatorie alquanto vaghe, quasi superficiali se non sospette di calunniose intenzioni.
L'inquisitore potrà invece valersi dei tormenti quando risulterà in possesso di motivazioni concrete e solide, in particolare di indizi così forti che un qualsiasi reo non sia riuscito a confutare nel tempo concessogli per legge: ma qualora il magistrato inquirente si senta turbato da qualche ragionevole dubbio, secondo me e gran parte della letteratura in merito, dovrebbe soprassedere dall'applicazione dei supplizi.
Comunque sussistono in merito ulteriori cautelative: è necessario che ogni inquisitore faccia ben attenzione a non sottoporre alcuno alle torture se non dopo aver lasciato scorrere il tempo necessario perché l'inquisito abbia del tutto assimilato, senza rischio di vomito, quanto gli sia stato dato da mangiare o bere: in genere, affinché si sia in regola con le normative ufficiali, converrà aspettare un tempo minimo fra le cinque o sei ore dall'ultimo pasto del reo soggetto ad indagine corporale.
I magistrati, peraltro, dovranno procedere con estrema cautela, soppesando l'entità del crimine perpetrato, la certezza degli indizi, le caratteristiche sociali e morali dell'inquisito e, di conseguenza, sulla base di tutti questi dati, stabilire se sia opportuno o meno aggravare o sminuire tipo e intensità delle torture.
Il Farinacci fa un suo rendiconto personale su modi, tempi ed opportunità dei tormenti da infliggere: ed è avviso anche mio, come d'altri autori ancora, che gli inquisitori, pur di fronte a crimini atroci e gravi, debbano procedere colle cautele suggerite dalla legge e far sempre in modo che il corpo della persona soggetta a supplizi fisici rimanga intatto od al massimo abbia a patire lesioni di ben poco conto sì da potersi mostrare in forma accettabile sul patibolo, in caso di colpevolezza, o comunque da lasciarlo, provandosi al contrario l' innocenza dell'inquisito, in condizioni fisiche che risultino accettabili: debbo pronunciarmi in questo senso perché a qualsiasi torturato non potrà far a meno di sovvenire qualche danno corporale, dalla lacerazione della carne alle fratture d'ossa, ma facendo cenno a tali menomazioni intendo che non debbano mai risultare sì gravi da comportare lesioni permanenti e rendere impossibile l'utile applicazioni di interventi medici riparatori.
A parte il tormento dell'insonnia o
l'inquisitore, comunque, non ha diritto alcuno a far uso di tormenti straordinari, peraltro inusuali nella provincia di sua pertinenza: egli deve piuttosto attenersi al'applicazione di metodiche consuete, tra cui è abbastanza comune in molti luoghi l'uso delle trazioni di corda, senza del resto mai eccedere oltre misura.
Non sarebbe nemmeno opportuno integrare questo tormento con bagni d'acqua fredda o tramite l'applicazione, a piedi e mani, di pesi utili a mantenere continua la trazione od ancora procurando torsioni anomale ai piedi inserendo fra essi un qualche tipo di bastone: non è peraltro legale ricorrere sempre al tormento sotto molti aspetti più efficace fra tutti, quello della veglia senza limiti del reo già sottoposto a trazione [S.A.I. 131: "Tormento del fuoco pericoloso e poco usitato].
Peraltro, anche qualora sian sopravvenuti indizi piuttosto seri, non si potrà mai ripetere alcuna forma di inquisizione sotto tortura nel caso che il reo sia già stato soggetto per ben due volte a supplizi corporali: sebbene non si manchi di contravvenire a tutto ciò nella prassi comune, è da tener ben presente l'illegalità d'assoggettare qualsiasi reo a forme di tortura per ben due volte nella stessa giornata, anzi dovrebbero sempre intercorrere, fra un supplizio e l'altro, uno o più giorni sì che svanisca nel reo non solo il dolore fisico ma lo stesso terrore del supplizio.
Si è appena detto che non saranno in genere da replicare i tormenti ma qualche eccezione può sempre risultare necessaria: mi riferisco soprattutto al caso in cui siano sopravvenuti indizi formidabili di colpevolezza e contestualmente il reo sia risultato così forte da aver perfettamento sopportato nel corpo e nello spirito la precedente tortura, anche se spetterà sempre all'inquisitore vagliare se, eventualmente, i tormenti applicati non siano stati troppo lievi per le necessità del caso.
Inoltre se un qualche reo, dopo aver data piena confessione dei suoi crimini durante l'applicazione delle torture, finalmente condotto al banco dei giudici, il giorno dopo si metta a negare ogni cosa, affermando che gli era stata estorta colla violenza del supplizio una falsa confessione, sarà lecito all'inquisitore obbligarlo a nuovi tormenti e senza che siano sopravvenuti indizi ulteriori di colpevolezza.
Ma se tal reo continuerà ad opporre resistenza ed a negare la propria colpevolezza pur nel corso della seconda sequenza di tormenti, non si dovrà proseguire oltre nei suoi confronti e sarà d'obbligo lasciarlo andar via libero, senza potergli imporre una terza serie di tormenti.
Nel caso però che il giudice inquisitore sia stato in grado di provare difetti e limiti sopraggiunti durante la prima serie di tormenti, aggiungendo a tutto ciò una documentazione puntuale di rinnovati indizi di colpevolezza, in via eccezionale si potrà addivenire ad una terza applicazione di tormenti.
Qualora il reo sopporti anche queste nuove vessazioni e persista nei suoi dinieghi non sarà però possibile esimersi una volta ancora dalla sua liberazione: accadendo invece che in occasione della terza serie di tormenti, come già avvenuto nel corso della prima sequenza, il suddetto reo, dopo aver confessato tra i dolori del supplizio, al banco dei giudici si denunzi invece innocente e piuttosto vittima d' estorsione, ad opera degli inquisitori, d'una qualsiasi falsa dichiarazione di colpevolezza, non potrà mai esser torturato per una quarta volta ancora e dovrà essere liberato senza che ulteriori indizi possano contribuire ad altri interventi punitivi (in effetti sotto i supplizi egli avrà comunque parzialmente espiato eventuali responsabilità) e, del resto, anche dal lato giuridico sarà pur sempre inevitabile porre una qualche fine all'applicazione della tortura nel caso in esame (sic! seguono citazioni bibliografiche sulla questione N.d.A.).
Non è peraltro cosa risibile quella che ha registrato Marsilio a riguardo di un tizio di Milano che aveva avuto a che fare con uno stravagante ciarlatano milanese che, dopo aver confessato i suoi malefici sotto tortura, successivamente negava tutto innanzi ai giudici in tribunale.
Alla fine, interrogato su tal genere di comportamento, quel tizio, mettendosi a ridere, rispose che era molto meglio venir sottoposto a migliaia di torsioni degli arti che, anche una sola volta, allo strozzo della gola ("garrota" o impiccagione lenta).
In risposta ad un'ulteriore domanda sui motivi di questa sua risposta quel ciarlatano non potè far a meno di rammentare ai giudici che egli avrebbe sempre facilmente trovato dei medici o dei chirurghi esperti a rimettergli in sesto le ossa scempiate ma che a nessuno risulterebbe mai possibile trovare anche un solo medico così abile da riparare i danni apportati alla gola da qualsiasi genere di strozzo o forca: e così Ippolito Marsilio si trovò costretto a lasciar andar libero costui che aveva raggirato tutti con questi ed altri espedienti alquanto astuti.
Soppesando tali fatti limite, io personalmente ritengo addirittura che nessun inquisitore possa tergiversare nel lasciar andar libero chi ne abbia conseguito il diritto, senza necessità che l'inquisito debba trovarsi dei mallevadori e, soprattutto, senza che si possa lasciar nel vago la causa discussa.
Però, nella circostanza che il reo non abbia dovutamente vanificato gli indizi avanzati a suo danno o magari nel caso che ne siano stati addotti di nuovi e più chiari, si potrà addivenire, secondo la prassi di molte Curie, alla di lui liberazione soltanto su malleveria o sua fideiussione di ripresentarsi davanti ai giudici in occasione di ulteriori indagini; verificandosi appieno simili condizioni il reo possa quindi venir nuovamente sentito dall'inquisitore: da questo deduciamo che in siffatta situazione la sua liberazione non deve essere considerata, come nei casi precedenti, pienamente definitiva ma piuttosto condizionata alla presentazione di nuove prove e di indizi più esaurienti (come riportano alcuni giuristi canonici registrati dall' autore: N.d.A.).
Nel 'Maglio delle Streghe" alla pagine 3 della 'Sentenza n.14" lo Sprengerio affronta la questione di non sottoporre qualcuno ad un secondo ciclo di tormenti ma piuttosto astutamente suggerisce la facoltà dei giudici di sospendere un ciclo di tormenti per riprenderlo in un altro determinato giorno: trattandosi sempre dell' unica e primigenia serie di torture, in questo caso non interverrebbe infatti pei magistrati alcuna fastidiosa esigenza di nuovi indizi: io non sono però d'accordo e l'espediente dell'inquisitore tedesco mi pare più astuto e crudele che onesto e veritiero.
Non è giusto perpetrare illecitamente delle sevizie ricorrendo a questi inganni verbali e a siffatti sillogismi giuridici (in effetti non si vede differenza fra la ripetizione ed una nuova serie di torture: critico verso l'estensore del 'Maglio delle Streghe", l'autore delle 'Disquisizioni Magiche' ribadisce in forma prolissa ma sincera la sua pur moderata critica contro le ambiguità morali e giuridiche cui ricorrevano parecchi inquisitori onde esasperare il proprio arbitrio e violare i diritti [sic!] che la legge penale e canonica in qualche modo concedeva ai "rei sopravvissuti ai tormenti": N.d.A.).
Che senso può in fondo avere il dar nome di continuazione a quella che di fatto deve esser considerata una seconda serie di torture? e non si può forse definire realmente terribile far durare per un periodo di tempo indeterminato l'applicazione di feroci supplizi ? I giudici onesti s'astengano quindi da siffatti espedienti!
Per quanto ho detto, si può soltanto aggiungere che una seconda o terza ripetizione dello stesso tormento al limite si può verificare solo nel caso che il reo non sopporti che per un breve istante la prima tortura e sia meglio rilasciarlo per un pò, finché egli non si riprenda dal dolore terribile che l'ha prostrato.
Se si riuscisse a provare che la confessione rilasciata non sia stata veritiera per svariate motivazioni e che in particolare l'errore commesso sia di natura ben diversa o che comunque siano subentrati alcuni indizi a guisa di possibile revocazione, non si dovrebbe procedere ad investigazione della persona sospetta per via di tormenti ma gli si dovrebbe semmai concedere un periodo di tempo bastante a rilasciar prova del suo errore, ad agire con superiore licenza e soprattutto ad incontrarsi con avvocati e procuratori di propria scelta.
Queste cose certamente hanno a che vedere con quel tipo di rei contro cui non sussista irrefutabile dimostrazione.
Se però si ha contezza delle responsabilità del criminale sotto indagine, è assai meglio che l'inquisitore non lo faccia sottomettere a supplizi di natura corporale, soprattutto per la ragione che la tortura suole rimuovere gli indizi precedenti e talora addirittura le prove più esaurienti e pertanto il criminale già confesso, una volta assoggettato a tortura e magari inaspettatamente resistendo ai dolori, potrebbe mettere gli inquisitori, come suggerisce il Farinacci, nella condizione di doverlo lasciare andar libero.
E sebbene moltissimi esperti di diritto sostengano che, pur avvenendo tutto ciò, permanga piena liceità di torturare l'inquisito e così, per quanto ci conferma il Paponio, pare abbia deliberato più volte la Curia di Parigi, io preferisco affermare il contrario, sulla linea del Farinacci e del Cartari, e cioè che nemmeno si possa comminare la pena ordinaria; questi ultimi giuristi sostengono invece che sia fattibile infliggere una punizione straordinaria, di natura però non fisica, allorquando il reo confesso sia risultato tale sulla base di lievissime presunzioni di colpevolezza: nel caso invece che le colpe dello stesso criminale risultino ampiamente provate, sempre per codesti giureconsulti, sarà fattibile comminare pene del tutto straordinarie, compresa la relegazione sulle navi in qualità di galeotto.
Non mancano però delle circostanze particolari in cui la tortura non potrebbe in alcun modo sottrarre un accusato al castigo ordinario e si tratta dei seguenti casi:
...nell'evenienza che non s'abbia ad investigare sul delitto già confessato ma si debba piuttosto condurre indagini su altri reati di cui l'interrogato abbia presumibile contezza; quando i tormenti vengano comminati per acquisire ulteriori veritiere indicazioni su presumibili aggravanti; quando la punizione venga comminata allo scopo di ottenere utili dati sui nominativi di presunti complici, fautori, ricettatori ed ulteriori partecipi al reato (seguono, coll. I e II di p. 37 altre esemplificazioni ed eccezioni nate per controversie tra giuristi di scuole diverse).
Allorché qualche individuo deve essere assoggettato a delle torture, bisogna procedere in modo tale da spogliare ognuno secondo i suoi previlegi, facendo naturalmente rispetto delle diverse condizioni socio-economiche.
Infatti coloro che sono garantiti da peculiare ordine e dignità dovranno essere svestiti con moderazione ed anche quelli che non risultano tacciati d'infamia sono da spogliare con maggior garbatezza rispetto agli altri, come insegna Simanca.
Del resto v'è da oprare in modo distinto anche a secondo dell'età degli inquisiti; personalmente ritengo che qualora si tratti di ragazzini d'età inferiore ai 14 anni (come dettano anche gli Statuti penali e civili di molti Stati, compresa la repubblica di Genova) possa bastare lo spaventarli a fondo, portandoli a toccare con mano un'irrefrenabile paura: si può ottenere questo seguendo le procedure usuali per i supplizi corporali dal far mettere nudi i colpevoli, al legarli, a condurli davanti all'eculeo, pur senza sistemervili sopra.
Qualora si abbia a che fare con ragazzotti e giovani d'età che corra dai 14 anni compiuti sin ai venticinque sarà lecito ricorrere alla pratica della tortura ma avvalendosi delle forme meno gravi di tormento: anche ai vecchi peraltro siano da comminare torture meno pesanti di quelle che usualmente s'applicano contro uomini fatti, maturi e robusti.
Non mancano poi dal doversi ricordare quei personaggi previlegiati che si potranno certamente tormentare ma in modo tale che non abbiano mai a correre il rischio di morire: dovranno parimenti essere considerate in modo peculiare le donne gravide (quasi come, ancora, negli Statuti Genovesi - libro I), sì da non sottoporle a tortura sino a quando non abbiano partorito di modo che il pericolo di morte per loro ed il feto sia venuto meno; per quanto concerne invece tutte le altre donne non vi saranno particolari normative da seguire se non il fatto di avere maggior riguardo per le femmine oneste, un pò come per gli uomini ma con maggior rigore ancora, e questo ha valore soprattutto per le ragazze ancora vergini e per quelle che risultano consacrate al Padreterno.
Non manca a questo punto di farsi avanti un'altra domanda connessa al fatto che molti maghi ed altrettante streghe, per loro stessa ammissione, risultano garantiti contro le torture da un peculiare sortilegio che, più spesso, vien definito MALEFICIO DEL SILENZIO: questa malia dicono che sia composta dal cuore o da altre membra di bimbi assassinati prima del Santo Battesimo: le parti di questi infelici, ridotte in polvere, verrebbero cosparse dagli stregoni sui loro corpi sì da acquisire la capacità di resistere ad ogni angheria e mantenersi sempre zitti.
E' certo [scrive ancora il DEL RIO] che fra le torture sia i maghi che le fattucchiere hanno una sorprendente capacità di non emettere lamenti e conservare un assoluto mutismo [evitando quindi di fare qualsiasi necessaria CONFESSIONE DI REITA']: come attesta la maggior parte degli scrittori specialisti su questa materia.
Il Binsfeldius fa cenno a svariati fra questi artifici, che avverrebbero sempre dopo che sia intercorso un particolare intervento demoniaco.
Si ritiene comunque molteplice la ragione di tale silenzio.
Secondo alcuni autori, i reprobi tacciono perché non provano di fatto alcun dolore, a giudizio d'altri riescono invece a far ciò per il motivo che sono ammutoliti, come oppressi da insopprimibile sonnolenza cosa cui può concorrere facilmente una demoniaca volontà, coll'ausilio d'opportuni medicamenti capaci di procurare pesante torpore: ed in questo caso viene da pensare all'uso di varie SOSTANZE ALLUCINOGENE se non addirittura all'uso di superstiti competenze veicolate dalle ultime memorie della UNIVERSALE RELIGIONE PRECRISTIANA DEI FUNGHI MAGICI E/O FUNGHI SACRI].
Non è neppur rara la possibilità, da altri ancora menzionata, che alcuni fra costoro non proferiscano lamento alcuno per la semplice ragione che sono così forti e robusti da sopportare ogni angheria fisica e da spregiare qualsiasi interrogatoria coll'energia che proviene a loro da un animo ostinato e pervicace [come i mercenari della Corsica sulla cui resistenza a certe torture scrisse Andrea Spinola: vedi Corda (giri di - tratti di)].
Onde non provino dolore, il Demonio è solito far uso d'una sua qualche misteriosa proprietà di rendere insensibili i sensi dei propri adepti: per esser più precisi è sostenibile che il Maligno operi in modo che non sentano affatto il dolore delle torture od al contrario riesca a far sì che il tormento paia loro più lieve delle aspettative e comunque del tutto sopportabile.
Talora lo stesso Diavolo si preoccupa di sottrarre i pesi destinati a tormentare i suoi seguaci sottoposti a trazione, magari sollevandone il corpo od ancora allentando le corde che li tormentano; in caso invece di strumenti destinati a scarnificare il corpo od a procurargli piaghe di vario tipo è supponibile che il Diavolo pieghi in altra direzione siffatti strumenti o meglio ancora li depauperi d'ogni energia distruttiva prima che possano anche soltanto sfiorare il corpo di chi debba essere torturato: può comunque anche avvenire che il Demonio, all'insaputa e fuor della vista dei presenti, interponga fra la vittima e gli apparecchi usuali pei tormenti, un qualche schermo difensivo, denso, solido e quindi protettivo.
Rientra altresì fra i poteri del Maligno quello di portar via dall'eculeo o cavalletto di trazione [ma anche dal Letto per torture], la vittima da torturare, sostituendola con un altro corpo od ancora qualsiasi conveniente simulacro: e senza l'opposizione del buon Dio è fuor di dubbio che tutte queste cose riescono sempre abbastanza bene ai demoni infernali.
Personalmente ritengo tuttavia piuttosto raro che succeda questa sostituzione di persona, è più facile che il Maligno proceda per via di quegli espedienti di fraudolenza o di scudo magico cui ho appena fatto cenno.
Può darsi che io sbagli in modo grossolano ma tutto ciò mi sembra avere dei punti di contatto col caso di quel Licantropo o lupo mannaro della Westfalia di cui anni addietro, come fosse per bocca del Serenissimo Elettore Ernesto Duca di Bavaria, mi relazionò il chiarissimo nobiluomo Carlo Billheus.
Si narra che che l'uomo, soggetto per ben venti volte al più temibile genere di torture ('ecco un tipo di scelta arbitrale davvero clemente propria di quei giudici di sì lontane terre settentrionali!') abbia sopportato , senza alcuno sfinimento ma anzi sbellicandosi dalle RISATE, tutti i tormenti impostigli.
Di seguito, sempre sullo stesso caso, mi venne narrato che il carnefice si era deciso ad approntare un particolare filtro per il reo, filtro in verità arricchito di purissimo vino.
Di seguito il medesimo boia ne bevve per ingannare la vittima ma a questa, in realtà, somministrò un'altra misteriosa bevanda che teneva nascosta con sè.
Ed ecco allora all'improvviso che il reo prese a narrare ogni sua colpa, senza alcun ritegno.
Tra gli altri innumerevoli crimini che si mise a confessare egli ammise altresì d'aver praticato per alcuni lustri la licantropia.
V'è allora da chiedersi donde sia venuta siffatta mutazione di costume: il criminale rispose allora che egli aveva stretto un patto col diavolo e che quello gli aveva promesso questa condizione di insensibilità e capacità di mantener silenzio, assumendo sopra di sè qualsiasi genere di tormento fosse venuto in mente al boia di comminargli ('questo evidentemente, come dissi, per via del trucco degli schermi difensivi o della deviazione del bersaglio: sia infatti giudicato uno sciocco chi presuma che il Demonio di per sè accetti d'essere tormentato'): ma poi, una volta ch'ebbe bevuta la pozione
ben strana del carnefice, si narra che il demone si sia allontanato di colpo, o contro sua voglia o perché oramai stanco di quell'accordo, e che il reo non volendo più esser tormentato abbia infine preferito confessare ogni delitto di sua spontanea volontà.
Il Diavolo è parimenti solito generare maleficio del silenzio a fronte dei tormenti prendendo possesso del corpo del mago o della strega sì da chiudergli dall'interno le fauci e la bocca, in modo però da non soffocare il posseduto ma far semplicemente in maniera che non possa parlare.
Talora il Maligno può anche ricorrere all'espediente di ostruire il condotto uditivo affinché il tormentato non possa nemmeno ascoltare le domande dei giudici.
Il Remigio ci ha dato qualche ragguaglio sulla questione.
In alcune circostanze il Diavolo sta a fianco del torturato esortandolo a desistere da qualsiasi confessione insinuandogli, colla speranza d'una vita futura piena di benessere, la forza necessaria per sopportare ogni tormento: ma altrettanto può il Maligno raffrenare nei suoi schiavi l'intenzione di parlare con la minaccia di tormenti inenarrabili.
E' altresì capace di ricorrere all'espediente di nascondere in alcune parti del corpo dei tormentati, specialmente nelle zone erotiche od intime ricoperte da peli, delle strane membrane o consimili strumenti magici, vergati di caratteri stregoneschi ed infernali: siffatti oggetti detengono la proprietà, secondo l'accordo sancito fra demone e suo servo umano, di stemperare qualsiasi dolore (per questa ragione, come nel processo alle streghe di Triora, gli inquisitori facevano radere di ogni peluria il corpo dei torturati.
E' comunque sorprendente ed in qualche modo terribile notare le ambiguità di ragionamento di M.DELRIO come di altri Inquisitori sempre in bilico tra la superstizione e l'affannosa ricerca di spiegazioni razionali N.d.A.).
Come racconta lo Sprengerius (Malleus quest. 15) anche tramite altre streghe, prescindendo da quanto siano esse lontane, risulta fattibile compiere dei malefici in questo campo.
E' tale il caso di una malefica di Innsbruch capace di oprare (compiendo particolari malie anche su un banalissimo filo strappato all'abito d'un qualsiasi detenuto destinato ai tormenti) in modo che quest'ultimo non fosse in grado di confessare proprio nulla, per quanto le violenze patite dai carnefici lo portassero fin alla soglia della morte.
Ma tutto questo avveniva secondo uno specifico accordo stipulato col Demonio.
osa fanno in genere i giudici per ovviare a questi impedimenti infernali e renderli semmai del tutto vani?
Di espedienti ne elaborano davvero molti, alcuni da nulla in vero, altri al contrario d'una qualche efficacia.
Vi sono dei magistrati che obbligano il reo ad ingurgitare dell'acqua fredda non consacrata ma tale espediente, qualora sia adottato nel corso della stessa procedura inquisitoriale, dal momento che può causare al torturato delle pericolose convulsioni si deve ritenere parte fondamentale del tormento comminato.
Personalmente ritengo che identica riflessione valga nel caso che l'acqua fredda venga fatta assumere dopo l'applicazione delle torture, quando il corpo della vittima continua ad essere sconvolto da vampate di insopportabile calore...invece a riguardo di quanti fanno piuttosto ingurgitare acqua benedetta, poco conta se prima o durante l'applicazione dei tormenti, pongo una opportuna distinzione: penso che pecchino di vana superstizione quanti ritengono, così oprando, di indurre sveltamente i rei a confessare ogni accordo demoniaco ma non giudico stolti, approvandone anzi appieno l'operato, quegli inquisitori che per tal via pensano di poter addivenire al vero in modo indiretto, respingendo coll'acqua santa, anche tramite la sua semplice aspersione, i demoni che vanno soccorrendo le sventurate ossesse.
In ambito cattolico è ben noto quanta forza repulsiva abbia questa benedetta linfa nei confronti d'ogni sorta di forze malefiche; per tal motivo, consigliando di tener sempre a disposizione un pò d'acqua benedetta nel sito demandato per le torture, è forse opportuno dar, senza tema di contraddirsi per superstizione, il buon suggerimento di benedire con essa sia il cavalletto dei tormenti sia lo spazio circostante.
Adesso, invece, ci soffermeremo su alcuni argomenti già esposti dallo Sprengerius nel 'Maglio delle streghe' e da altri autori ancora.
Costoro in particolar modo, pensano che sia fattibile persuadere il reo a confessare usando giuste parole e ragionamenti ben organizzati, magari fatta aleggiare qualche speranza che potrebbe aver anche salva la vita, a patto di non celare proprio nulla, lasciandosi andare fiducioso incontro all'eterna gloria di Dio.
Questo espediente mi sembra più che accettabile ed anzi lodevole.
Come citano tutti questi autori, un'opportuna meditazione, le angherie del carcere e soprattutto le suadenti parole d'uomini onesti possono certamente concorrere a far sì che un reo acconsenta a svelare i suoi più reconditi segreti.
In secondo luogo è da precisare che mentre due addetti si apprestano ad applicare i tormenti, disponendo le opportune apparecchiature, altri due debbono SPOGLIARE completamente il reo (naturalmente trattandosi di una donna, questa, prima d'esser condotta in prigione, dovrà venir denudata e perscrutata soltanto da altre fidate femmine).
Questo sarà da farsi per impedire che fra gli indumenti del reo sia stato celeato qualche strumento magico utile in qualche modo, come dissi, contro le torture.
In terzo luogo si dovrà radere completamente un reo destinato ai tormenti, sì da eliminare qualsiasi forma di peluria, compresa quella che ne cela le parti più intime e le vergogne.
Certamente anche in questa evenienza saranno degli uomini a dover provvedere per i rei del loro stesso sesso e parimenti delle oneste matrone a riguardo di quelle donne che siano state imputate di stregoneria.
Sarà sempre necessario ben guardarsi dal far torto con siffatti espedienti a donne oneste sfiorando la sfacciatagine e l'impudicizia, primissima ragione per cui gli Inquisitori della Germania, come lo Sprengerus e molti altri, non hanno ritenuto opportuno ricorrere a questa sorta di rimedio precisando che lo stesso era al contrario usuale in altre contrade.
Dai loro medesimi scritti si evince che presso altri regni, comitati e giurisdizioni gli Inquisitori non ebbero simili incertezze e di frequente ricorsero alla tonsura completa o depilazione, per ogni parte del corpo, a dannificazione del reo e per tutela contro presumibili sortilegi.
E' per esempio ben noto che l'inquisitore Cumano, come lui stesso tenne a tramandare per iscritto, nell'anno 1485 aveva mandato al rogo alcune streghe dopo averle fatte completamente DEPILARE.
Il fatto si verificò nel distretto e contea di Burbia, sui confini dell'Arciducato d'Austria sulla strada verso il milanesato...l'applicazione delle tecniche di tonsura o depilazione (su cui potrei addurre almeno due esempi fondamentali, troppo lunghi però a trascriversi per interezza e soprattutto in maniera vantaggiosa ai lettori) a mio avviso conserva un'indubbia proprietà, quella di individuare l'eventuale occultamento di strumenti sacrilegi nei più intimi forami del corpo umano o comunque la presenza d'unguenti, protettivi contro le pratiche inquisitoriali, maliziosamente sparsi fra le chiome dei tanti rei sottoposti a tortura.
Per siffatta ragione ritengo altresì utile che, oltre alla summenzionata tonsura, i ministri ed aiutanti vari dell'inquisitore LAVINO ben bene con acqua piuttosto calda il corpo del reo in causa, per spurgarne, ben s'intende, la presenza d'eventuali creme ed unture protettrici.
Non sono però convinto che tale lavaggio possa contribuire a disperdere l'energia melefica racchiusa nel corpo d'un ossesso, un pò alla maniera che il taglio dei capelli permise la rovina del grande Sansone (in tal caso era infatti indubitabile l'assistenza d'una formidabile potenza divina).
Concordo semmai con Apollo di Tiana nella convinzione che sia da ritenere espressione di magia e quindi di superstizione un lavaggio ritenuto assolutamente idoneo a stemperare le disposizioni malefiche e diaboliche.
Alcuni autori, in occasione delle procedure inquisitoriali connesse ai tormenti da applicare, non mancano di citare un'ulteriore previdenza nel caso che un giudice intenda investigare se una presunta strega sia protetta o meno da una qualche malia che le permetta di mantenere il più assoluto silenzio di rimpetto alle domande di rito o le dia la possibilità di piangere nel momento estremo del supplizio.
Per diretta esperienza, oltre per antiche relazioni assolutamente credibili, si è infatti scoperto che le streghe non sono assolutamente in GRADO DI PIANGERE: esse emetteranno al massimo dei flebili lamenti e cercheranno invece di ingannare gli inquisitori spargendosi di sputo le guance e fregandosi gli occhi sì da inumidirli: su tali espedienti si dovrà sempre esercitare somma cautela per evitare che qualche giudice possa essere ingannato o commosso.
Il modo ottimale per stabilire se si tratti di pianto sincero, sì da provare l'innocenza d'una qualche sospettata, o più frequentemente per individuare le lacrime false e demoniache, può venir esercitato direttamente, nel corso stesso del supplizio, ad opera dell'inquisitore o meglio ancora d'un qualche prete lì presente che, imponendo le mani sul capo del tormentato, femmina od uomo che sia, esclami senza tema 'ti costringo in forza del giuramento per vigore delle lacrime amarissime versate da nostro Signore Salvatore'.
Come quinto punto è da precisare quanto gli autori summenzionati in sovrappiù aggiungono: 'Tagliatigli del tutto i capelli, facendo bere all' ossesso, lasciato digiuno per tre giorni, dell' acqua benedetta, (propinata di solito entro un calice in cui generalmente s'è fatta cadere a priori una goccia di cera santa ed accompagnando il rituale con un'invocazione a Dio uno e trino) siamo spesso stati in grado di sottrarre parecchi invasati dal maleficio diabolico che induce al silenzio anche sotto i più temibili tormenti".
Non pochi sostengono che sia fattibile vanificare siffatti sortilegi col concorso d'altre streghe ma quasi tutti sono contrari a mettere in atto questo estremo espediente.
A tutto ciò si contrappone in genere lo strano caso d'un Presule di Ratisbona: capitò una volta che alcuni eretici, rei confessi e già dannati a morte sul rogo, se ne stessero ben tranquilli ed illesi tra le fiamme: si provvedette allora a gettarli tra i gorghi delle acque ma per nulla ne vennero sommersi ed anzi parvero sì possenti da far vacillare parecchie coscienze tra la brava gente che, stupefatta, assisteva a quell'estremo giudizio.
Fu allora, per soccorrere quel suo gregge vieppiù titubante, che il buon pastore escogitò l'espediente di imporre un triduo di digiuno e di far levare inni e preghiere al Re dei cieli.
Neppure tre dì passarono che, con somma sorpresa e disgusto, si fece avanti un tizio a denunciare pubblicamente che uno di quei nemici della Santa Chiesa di Roma celava sotto un braccio, ben nascosto tra cute e carne, un sortilegio protettivo di origine infernale.
Alcuni non mancarono d'affermare che il denunciante fosse in realtà un potente Negromante e che lo stesso Prelato, per risolvere la drammatica situazione, avesse pensato di ricorrere ai suoi servigi.
Sono da menzionare i dubbi dello Sprengerius, restio a credere che si trattasse di un vero Negromante e meglio disposto ad ipotizzare un soccorso divino, quasi necessario, in sì grave contingenza, per togliere quel santo padre da tale situazione drammatica ed irrisolvibile.
Per mia parte non mi pronuncio affatto a favore di questo sistema eccezionale di ricognizione, tuttavia ritengo che si debbano sempre soppesare con giusta riflessione tutti i punti in questione, cercando di evitare errori superstiziosi ma anche pericolosa indifferenza e blando lassismo" [S.A.I: "Tortura ritrovata in supplemento del difetto (assenza di) dei testimoni contro il Reo"(120), "T. non isconviene alla pietà ecclesiastica"(120), "T. fa convertire i Rei e giova all'anima"(120), "T. si deve ripetere ai Rei in molti casi"(143),"T. repetita al Reo di quanto tempo deve essere"(143) "T. che si ripete quando deve essere"(143), "T. ai testimoni quali non confessano deve essere leggiera" (151), "T. di raro si dà ai complici in caput aliorum" (3), "T. non si può dare se non nove o dieci ore dopo si sarà preso il cibo" (44), "T. nelle cause d'eresia non ricerca necessariamente l'infamia del delitto"(/b), "T. che si ha da dare a molti, da chi si deve incominciare"(126)> seguono varie considerazioni sulla necessità della Tortura da farsi conformemente alle norme del Santo Ufficio (120, passim)].
Il supplizio era anche detto di Commodo dall'imperatore romano cui se ne attribuì l'ideazione: la macchina della ruota come si vede nell'IMMAGINE (tratta da un rarissimo volume sulla storia della tortura databile ai primi dell''800) comportava diverse varianti.
Escogitata secondo la tradizione per il supplizio dei martiri cristiani avrebbe avuto forme diverse sin a quella, piuttosto complessa, delle lettere B e C dell'IMMAGINE dalle quali si ricava una forma di supplizi abbastanza artificiosa, poco comune e certo costosa: una ruota fa scorrere il condannato su degli aculei che lo strazieranno o lo farà passare più volte sin alla morte su un fuoco devastante.
Altrettanto impraticata fu la tortura capitale rappresentata alla lettera D: corrisponde molto al supplizio cartaginese della botte internamente piena di aculei entro cui, al tempo della I guerra punica, sarebbe stato giustiziato il generale romano Attilio Regolo fatto precipitare, chiuso entro la mortale botte, dai suo carnefici, gettando l'involucro tondeggiante da un'altura.
E' invece estremamente realistica e molto applicata nell'età intermedia, in Italia e non (anche se non esistono dati oggettivi per il Dominio Genovese) la forma di tortura della RUOTA FISSA rappresentata nell'IMMAGINE alla LETTERA E: il condannato, dopo che gli erano frantumati gli arti, veniva incastrato fra i RAGGI DI UNA NORMALE RUOTA DA CARRO: questa veniva poi infissa su un PALO sistemato in pubblico, mediamente sempre nello stesso luogo, magari all'ingresso od alle porte della città (se non nell'area vicina a questa del contado) e lì lasciato morire tra spasimi di indicibile dolore e quindi abbandonato alla decomposizione come forma di ammonimento per tutti e quindi per PUBBLICA CATARSI.
Nei testi del diritto intermedio questa forma di tortura mortale non era citata volentieri per l'inaudita ferocia: apparteneva cioé a quel tipo di supplizi straordinari lasciati all'arbitrio insindacabiole del giudice.
Nonostante la mancanza di relazioni, questo tipo di TORTURA INQUISITORIALE fu molto più praticata in ogni paese europeo per gli effetti di dissuasione che otteneva sempre.
Molti autori della letteratura italiana ne fanno menzione ma dato che fu straordinariamente applicata dagli inquirenti nel corso della PESTE DI MILANO DEL 1630 poi oggetto di descrizione altamente artistica da parte del Manzoni ne i Promessi Sposi.
Proprio dal milanesato provengono, sulla sua disumanità, i dati più importanti e le condanne più appassionate dei presunti, sventurati UNTORI che dopo una breve SEGREGAZIONE IN CARCERE per sottoporli ad investigazione con tortura ed estorcerne la confessione erano processati e immancabilmente condannati a morte: non mancano però nemmeno nel DOMINIO LIGURE fantasiosi riferimenti anche ad UNTORI GENOVESI in merito alla grande peste bubbonica del 1579-1580.
Sul fenomeno degli UNTORI restano comunque essensiali le DOCUMENTATE CONSIDERAZIONI fatte da Pietro Verri [in OSSERVAZIONI SULLA TORTURA (leggine qui il testo integrale) e in Storia di Milano, s. d., p.362: supplizio con la ruota di un certo Vittorio Angelucci supposto UNTORE DI PESTE], e da A. Manzoni in quella straordinaria RICOSTRUZIONE DELLA VERGOGNOSA CACCIA AGLI UNTORI IN MILANO che fu la sua Storia della Colonna Infame (del 1840) laddove, quasi a perenne sanzione contro ogni forma di supertiziosa credulità, dolentemente scrisse: ...quell'infernal sentenza portava che messi su un carro fossero condotti al luogo del supplizio; tanagliati con ferro rovente per la strada, tagliata loro la mano destra davanti alla bottega del Mora; spezzate le ossa con la ROTA, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra, dopo 6 ore scannati..."
"La pestilenza andava sempre più mietendo vittime umane e si andava disputando sulla origine di quella anzi che accorrervi al riparo.
Gli uni la facevano discendere da una cometa che fu in quell'anno osservata nel mese di Giugno truci ultra solitum etiam facie, come scrive il Ripamonti pag. 110 [l'autore si riferisce all'opera del seicentesco canonico e storiografo Giuseppe Ripamonti, De peste quae fuit anno MDCXXX libri V, Milano, 1630] altri ne davano l'origine agli spiriti infernali e v'era chi attestava d'avere distintamente veduto giugnere sulla piazza del Duomo un signore strascinato da sei cavalli bianchi in un superbo cocchio e attorniato da numeroso corteggio.
Si osservò che il signore aveva una fisionomia fosca ed infuocata, occhi fiammeggianti, irsute chiome e il labbro superiore minaccioso.
Entrato questi nella casa, ivi furono osservati tesori, larve demoni e seduzioni d'ogni sorta per addescare gli uomini e prendere il partito diabolico: di tali opinioni se ne può vedere più a lungo la storia nel citato Ripamonti a pag. 77.
Fra tai deliri [aggiunge ancora l'illuminista Verri] si perdevano i cittadini anche più distinti e gli stessi magistrati e in vece di tenere con esatti ordini segregati i cittadini gli uni dagli altri, in vece di intimare a ciascuno di restarsene in casa destinando uomini probi ai quartieri diversi per somministrare quanto occorreva a ciascuna famiglia, rimedio il solo che possa impedire la comunicazione del malore e rimedio che, adoperato dapprincipio, avrebbe forse con meno di cento uomini placata la pestilenza, in vece dico di tutto ciò si comandò con una assai mal intesa pietà una processione solenne nella quale si radunarono tutti i ceti dei cittadini e trasportando il corpo di San Carlo, per tutte le strade frequentate della Città, ed esponendolo sull'altar Maggiore del Duomo per più giorni alle preghiere dell'affollato popolo prodigiosamente si comunicò la pestilenza alla città tutta, ove da quel momento si cominciarono a contare sino novecento morti ogni giorno.
In una parola tutta la città immersa nella più luttuosa ignoranza si abbandonò ai più assurdi e atroci deliri, malissimo pensati furono i regolamenti, stranissime le opinioni regnanti, ogni legame sociale venne miseramente disciolto dal furore della superstiziosa credulità, una distruggitrice anarchia desolò ogni cosa per modo che le opinioni flagellarono assai più i miseri nostri maggiori di quello che lo facesse la fisica, in quella luttuosissima epoca.
Si ricorse agli astrologi, agli esorcisti, alla Inquisizione, alle torture, tutto diventò preda della pestilenza, della superstizione, del fanatismo e della rapina, cosicché la proscritta verità in nessun luogo poté palesarsi.
Cento cinquanta mila cittadini milanesi perirono scannati dalla ignoranza...
Mentre la pestilenza infieriva più che mai dopo la processione già detta, la mattina del giorno 21 giugno 1630 una vedova per nome Catterina Troccazzani Rosa che alloggiava nel corritore [propriamente 'cavalcavia'] che attraversa la vedra de' Cittadini [via che dal corso di Porta Ticinese portava al crocicchio del Carrobbio -ora via Mora- che prendeva nome dalla canale della Vedra o Vetera che vi scorreva nei pressi] vide dalla finestra Guglielmo Piazza che dal Carrobbio entrò nella contrada e, accostato al muro dalla parte dritta, entrando passò sotto il corritore, indi giunto alla Casa di San Simone ossia al termine della Casa Crivelli che allora aveva una pianta grande di lauro, ritornò indietro.
Lo stesso fu osservato da altra donna per nome Ottavia Persici Boni.
La prima di queste donne disse nell'esame [deposizione] che il Piazza a luogo a luogo, tirava [strusciava] con le mani dietro al muro l'altra dice che alla muraglia del giardino Crivelli haveva una carta in mano sopra la quale mise la mano dritta che mi pareva che volesse scrivere, e poi vidi che levata la mano dalla carta la fregò sopra la muraglia.
Attestano che ciò accadde alle ore otto che era di giorno fatto e che pioveva.
Le due donne sparsero nel vicinato immediatamente il sussurro d'aver veduto chi faceva le unzioni malefiche le quali in processo poi la Troccazzani Rosa disse aveva veduto colui a fare certi atti attorno alle muraglie che non mi piacciono niente.
La vociferazione immediatamente si divulgò da una bocca all'altra come risulta dal processo, si ricercò se le muraglie fossero sporche e si osservò che al1'altezza d'un braccio e mezzo da terra v'era del grasso giallo e ciò singolarmente sotto la porta del Tradati e vicino all'uscio del barbiere Mora.
Si abrucciò paglia al luogo delle unzioni, si scrostò la muraglia, fu tutto il quartiere in iscompiglio.
Prescindasi dalla impossibilità del delitto.
Niente è più naturale che il passeggiare vicino al muro, allorché piove in una città come la nostra, dove [nei luoghi in cui] si resta al coperto dalla pioggia.
Un delitto così atroce non si commette di chiaro giorno nel mentre che i vicini dalle finestre possono osservare; niente è più facile che lo sporcare quante muraglie piace col favore della notte.
Su di questa vociferazione il giorno seguente si portò il Capitano di Giustizia sul 1uogo, esaminò le due nominate donne e, quantunque né esse dicessero di aver osservato che il muro sia rimasto sporco dove il Piazza pose le mani, né i siti ne' quali s'era osservato 1'unto giallo corrispondessero ai luoghi toccati, nondimeno si decretò la prigionia del Commissario della Sanità (cioè un dipendente, per giunta volontario, del tribunale della Sanità il magistrato preposto alla tutela di igiene e salute pubblica) Guglielmo Piazza.
Se lo sgraziato Guglielmo Piazza avesse commesso un delitto di tanta atrocità era ben naturale che, attento all'effetto che ne poteva nascere e istrutto del rumore di tutto il vicinato del giorno precedente non meno che della solenne visita che il giorno 22 vi fece ai luoghi pubblici sulla strada il Capitano di Giustizia, si sarebbe dato a una immediata fuga.
Gli sgherri lo trovarono alla porta del Presidente della Sanità da cui dipendeva e lo fecero prigione.
Visitossi immediatamente la casa del Commissario Piazza e dal processo risulta che non vi si trovarono né ampolle né vasi né unti né denaro né cosa alcuna che desse sospetto contro di lui.
Appena condotto in carcere Guglielmo Piazza fu immediatamente interrogato dal Giudice e dopo le prime interrogazioni venne a chiedergli se conosceva i Deputati della Parrocchia, al che rispose che non li conosceva.
Interrogato se sapesse che sieno state unte le muraglie disse che non lo sapeva.
Queste due risposte si giudicarono bugie e inverosimiglianze.
Su queste bugie e inverosimiglianze fu posto ai TORMENTI.
La COLONNA INFAME fu il macabro OBELISCO (con iscritti nomi dei presunti untori) eretto sulla distrutta casa del Mora, uno dei condannati, a perenne monito catartico quale nota di infamia: fortunatamente, per cancellare una vergogna giuridica, fu poi distrutta ed il Manzoni a tale sciagurata vicenda ha dedicato pagine illuminate:
"Ma chi può immaginarsi i combattimenti di quell' animo a cui la memoria così recente dei tormenti avrà fatto sentire a vicenda il terror di soffrirli di nuovo e l'orrore di farli soffrire! a cui la speranza di fuggire una morte spaventosa non si presentava che accompagnata con lo spavento di cagionarla a un altro innocente! giacché non poteva credere che fossero per abbandonare una preda senza averne acquistata un' altra almeno, che volessero finire senza una condanna.
Cedette, abbracciò quella speranza, per quanto fosse orribile e incerta; assunse l'impresa, per quanto fosse mostruosa e difficile; deliberò di mettere una vittima in suo luogo. Ma come trovarla? a che filo attaccarsi? come scegliere tra nessuno? Lui, era stato un fatto reale, che aveva servito d'occasione e di pretesto per accusarlo. Era entrato in via della Vetra, era andato rasente al muro, l'aveva toccato; una sciagurata aveva traveduto, ma qualche cosa. Un fatto altrettanto innocente e altrettanto indifferente fu, si vede, quello che gli suggerì la persona e la favola.
Il barbiere Giangiacomo Mora componeva e spacciava un unguento contro la peste; uno dei mille specifici che avevano e dovevano aver credito, mentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il rimedio e in un secolo in cui la
medicina aveva ancor così poco imparato a non affermare e insegnato a non credere.
Pochi giorni prima d'essere arrestato il Piazza aveva chiesto di quell'unguento al barbiere; questo aveva promesso di preparargliene; e avendolo poi incontrato sul Carrobbio la mattina stessa del giorno che seguì 1'arresto gli aveva detto che il vasetto era pronto e venisse a prenderlo.
Volevan dal Piazza una storia d'unguento, di concerti, di via della Vetra: quelle circostanze così recenti gli serviron di materia per comporne una: se si può chiamar comporre l' attaccare a molte circostanze reali un' invenzione incompatibile con esse.
Il giorno seguente, 26 di giugno, il Piazza è condotto davanti agli esaminatori, e 1'auditore gl'intima: che dica conforme a quello che estraiudicialmente confessò a me, alla presenza anco del Notaro Balbiano, se sa chi è il fabricatore degli unguenti, con quali tante volte si sono trouate ontate le porte et mura delle case et cadenazzi di questa città.
Ma il disgraziato, che, mentendo a suo dispetto, cercava di scostarsi il possibile meno dalla verità, rispose soltanto: a me l'ha dato lui l'unguento, il Barbiero.
Son le parole tradotte letteralmente ma messe così fuor di luogo dal Ripamonti:dedit unguenta mihi tonsor.
Gli si dice che nomini il detto Barbiero; e il suo complice, il suo ministro in un tale attentato, risponde: credo habbi nome Gio. Jacomo, la cui parentela (il cognome) non so.
Non sapeva di certo, che dove stesse di casa, anzi di bottega; e, a un' altra interrogazione, lo disse.
Gli domandano se da detto Barbiero lui Constituto ne ha havuto o poco o assai di detto unguento.
Risponde: me ne ha dato tanta quantità come potrebbe capire questo calamaro che è qua sopra la tauola.
Se avesse ricevuto dal Mora il vasetto del preservativo che gli aveva chiesto avrebbe descritto quello; ma non potendo avar nulla dalla sua memoria s' attacca a un oggetto presente, per attaccarsi a qualcosa di reale.
Gli domandano se detto Barbiero è amico di lui Constituto.
E qui, non accorgendosi come la verità che gli si presenta alla memoriafaccia ai cozzi con l'invenzione, risponde: è amico, signor sì, buon dì, buon anno, è amico, signor sì; val a dire che lo conosceva appena di saluto.
Ma gli esaminatori, senza far nessuna osservazione, passarono a domandargli con qual occasione detto Barbiero gli ha dato detto onto.
Ed ecco cosa rispose: passai di là, et lui chiamandomi mi disse: vi ho puoi da dare un non so che; io gli dissi che cosa era? et egli disse: è non so che onto; et lo dissi: sì, sì, verrò puoi a tuorlo; et così da lì a due o tre giorni, me lo diede puoi.
Altera le circostanze materiali del fatto, quanto è necessario per accomodarlo alla favola; ma gli lascia il suo colore; e alcune delle parole che riferisce, eran probabilmente quelle ch'eran corse davvero tra loro.
Parole dette in conseguenza d'un concerto già preso a proposito d'un preservativo, le dà per dette all' intento di proporre di punto in bianco un avvelenamento, almen tanto pazzo quanto atroce.
Con tutto ciò gli esaminatori vanno avanti con le domande, sul luogo, sul giorno, sull' ora della proposta e della consegna; e, come contenti di quelle risposte, ne chiedon dell'altre.
Che cosa gli disse quando gli consegnò il detto vasetto d'onto?
Mi disse: pigliate questo vasetto, et ongete le muraglie qui adietro, et poi venete da me, che hauerete una mano de danari.
Ma perché il barbiero, senza arrischiare, non ungeva da sè di notte! postilla qui, stavo per dire esclama, il Verri.
E una tale inverisimiglianza avventa, per dir così, ancor più in una risposta successiva.
Interrogato se il detto Barbiero assignò a lui Constituto il luogo preciso da ongere, risponde: mi disse che ongessi lì nella Vedra de' Cittadini, et che cominciassi dal suo uschio, doue in effetto cominciai.
Nemmeno 1'uscio suo proprio aveva unto il harbiere! postilla qui di nuovo il Verri.
E non ci voleva, certo, la sua perspicacia per fare un' osservazion simile; ci voile 1'accecamento della passione per non farla, o la malizia della passione per non farne conto, se, come è più naturale, si presentò anche alla mente degli esaminatori.
L'infelice inventava così a stento, e come per forza, e solo quando era eccitato, e come punto dalle domande, che non si saprebbe indovinare se quella promessa di danari sia stata immaginata da lui, per dar qualche ragione dell,avere accettata una commission di quella sorte, o se gli fosse stata suggerita da un,interrogazion dell'auditore, in quel tenebroso abboccamento.
Lo stesso bisogna dire d'un'altra invenzione, con la quale, nell'esame, andò incontro indirettamente a un'altra difficoltà, cioè come mai avesse potuto maneggiar quell'unto così mortale, senza riceverne danno.
Gli domandano se detto Barbiero disse a lui Constituto per qual causa facesse ontare le dette porte et muraglie.
Risponde: lui non mi disse niente; m'imagino bene che detto onto fosse velenato, et potesse nocere alli corpi humani, polché la mattina seguente mi diede un' aqua da beuere, dicendomi che mi sarei preservato dal veleno di tal onto.
A tutte queste risposte, e ad altre d'ugual valore, che sarebbe lungo e inutile il riferire, gli esaminatori non trovaron nulla da opporre, o per parlar più precisamente, non opposero nulla.
D'una sola cosa credettero di dover chiedere spiegazione: per qual causa non l' ha potuto dire le altre volte.
Rispose: io non lo so, né so a che attribuire la causa, se non a quella aqua che mi diede da bere; perché V. S. vede bene che, per quanti tormenti ho havuto, non ho potuto dir niente.
Questa volta però, quegli uomini così facili a contentarsi, non son contenti, e tornano a domandare: per qual causa non ha detto questa verita prima di adesso, massime sendo stato tormentato nella maniera che fu tormentato, et sabbato et hieri.
Questa verità!
Risponde: Io non l 'ho detta, perché non ho potuto, et se lo fossi stato cent'anni sopra la corda, io non haueria mai potuto dire cosa alcuna, perché non poteuo parlare, poiché quando m' era dimandata qualche cosa di questo partlcolare, mi fugiva dal cuore, et non potevo rispondere.
Sentito questo, chiuser 1'esame, e rimandaron lo sventurato in carcere.
Ma basta il chiamarlo sventurato?
A una tale interrogazione, la coscienza si confonde, rifugge, vorrebbe dichiararsi incompetente; par quasi un'arroganza spietata, un'ostentazion farisaica, il giudicar chi operava in tali angosce, e tra tali insidie.
Ma costretta a rispondere, la coscienza deve dire: fu anche colpevole; i patimenti e i terrori dell' innocente sono una gran cosa, hanno di gran virtù; ma non quella di mutar la legge eterna, di far che la calunnia cessi d'esser colpa.
E la compassione stessa, che vorrebbe pure scusare il tormentato, si rivolta subito anch'essa contro il calunniatore: ha sentito nominare un altro innocente; prevede altri patimenti, altri terrori, forse altre simili colpe.
E gli uomini che crearon quell'angosce, che tesero quell' insidie, ci parrà d'averli scusati con dire: si credeva all'unzioni e c' era la tortura? Crediam pure anche noi alla possibilità d'uccider gli uomini col veleno; e cosa si direbbe d'un giudice che adducesse questo per argomento d'aver giustamente condannato un uomo come avvelenatore? C'è pure ancora la pena di morte; e cosa si risponderebbe a uno che pretendesse con questo di giustificar tutte le sentenze di morte? No; non c'era la tortura per il caso di Guglielmo Piazza: furono i giudici che la vollero, che, per dir così, l'inventarono in quel caso. Se gli avesse ingannati, sarebbe stata loro colpa, perché era opera loro; ma abbiam visto che non gl'ingannò. Mettiam pure che siano stati ingannati dalle parole del Piazza nell'ultimo esame, che abbiano potuto credere un fatto, esposto, spiegato, circostanziato in quella maniera. Da che eran mosse quelle parole? come l'avevano avute? Con un mezzo sull'illegittimità del quale non dovevano ingannarsi, e non s'ingannarono infatti, poiché cercarono di nasconderlo e di travisarlo.
Se, per impossibile, tutto quello che venne dopo fosse stato un concorso accidentale di cose le più atte a confermar l'inganno, la colpa rimarrebbe ancora a coloro che gli avevano aperta la strada. Ma vedremo in vece che tutto fu condotto da quella medesima loro volontà, la quale, per mantener 1'inganno fino alla fine, dovette ancora eluder le leggi, come resistere all'evidenza, farsi gioco della probità, come indurirsi alla compassione.
L'auditore corsecon la sbirraglia alla casa del Mora; e lo trovarono in bottega.
Ecco un altro reo che non pensava a fuggire, né a nascondersi, benché il suo complice fosse in prigione da quattro giorni.
C' era con lui un suo figliuolo; e l'auditore ordinò che fossero arrestati tutt'e due.
Il Verri, sfogliando i libri parrocchiali di San Lorenzo trovò che l'infelice barbiere poteva avere anche tre figlie; una di quattordici anni, una di dodici, una che aveva appena finiti i sei.
Ed è bello il vedere un uomo ricco, nobile, celebre, in carica (all'epoca delle sue ricerche il Verri ricopriva la carica di vicepresidente del Regio Ducal Magistrato Camerale) prendersi questa cura di scavar le memorie d'una famiglia povera, oscura, dimenticata: che dico? infame; e in mezzo a una posterità, erede cieca e tenace della stolta esecrazione degli avi, cercar nuovi oggetti a una compassion generosa e sapiente.
Certo, non è cosa ragionevole l'opporre la compassione alla giustizia, la quale deve punire anche quando è costretta a compiangere, e non sarebbe giustizia se volesse condonar le pene dei colpevoli al dolore degl'innocenti.
Ma contro la violenza e la frode, la compassione è una ragione anch'essa.
E se non fossero state che quelle prime angosce d'una moglie e d'una madre, quella rivelazione d'un così nuovo spavento e d'un così nuovo cordoglio a bambine che vedevano metter le mani addosso al loro padre, al fratello, legarli, trattarli come scellerati; sarebbe un carico terribile contro coloro, i quali non avevano dalla giustizia il dovere5 e nemmeno dalla legge il permesso di venire a ciò.
Che, anche per procedere alla cattura, ci volevano naturalmente degl'indizi.
E qui non c'era né fama, né fuga, né querela d'un offeso, né accusa di persona degna di fede, né deposizion di testimoni; non c'era alcun corpo di delitto; non c'era altro che il detto d'un supposto complice.
E perché un detto tale, che non aveva per sè valor di sorte alcuna, potesse dare al giudice la facoltà di procedere eran necessarie molte condizioni.
Più d'una essenziale, avremo occasion di vedere che non fu osservata; e si potrebbe facilmente dimostrarlo di molt'altre.
Ma non ce n'e bisogno; perché, quand'anche fossero state adempite tutte a un puntino, c'era in questo caso una circostanza che rendeva 1'accusa radicalmente e insanabilmente nulla: 1'essere stata fatta in conseguenza d'una promessa d'impunita.
A chi rivela per la speranza dell'impunità o concessa dalla legge o promessa dal giudice, non si crede nulla contro i nominati dice il Farinacci.
E il Bossi: si può opporre al testimonio che quel che ha detto, l'abbia detto detto per essergli stata promessa 1'impunità... mentre un testimonio deve parlar sinceramente5 e non per la speranza d'un vantaggio... E questo vale anche nei casi in cui, per altre ragioni, si può fare eccezione alla regola che esclude il complice dall'attestare... perché colui che attesta per una promessa d'impunità si chiama corrotto e non gli si crede. Ed era dottrina non contradetta.
Mentre si preparavano a visitare ogni cosa, il Mora disse all'auditore: Oh V. S. veda! so che è venuta per quell'unguento; V. S. lo veda là; et aponto quel vasettino 1'havevo apparecchlato per darlo al Commissario, ma non è venuto a pigliarlo; io, gratia a Dio, non ho fallato. V. S. veda per tutto; io non ho fallato: può sparagnare di farmi tener legato.
Credeva 1'infelice, che il suo reato fosse d'aver composto e spacciato quello specifico senza licenza.
Frugan per tutto; ripassan vasi, vasetti, ampolle, alberelli, barattoli (I barbieri, a quel tempo, esercitavan la bassa chirurgia; e di lì a fare anche un po' il medico e un po' lo speziale, non c'era che un passo).
Due cose parvero sospette; e, chiedendo scusa al lettore, siam costretti a parlarne, perché il sospetto manifestato da coloro, nell'atto della visita, fu quello che diede poi al povero sventurato un'indicazione, un mezzo per potersi accusare nei tormenti.
E del resto c'è in tutta questa storia qualcosa di più forte che lo schifo.
In tempo di peste, era naturale che un uomo, il quale doveva trattar con molte persone, e principalmente con ammalati, stesse, per quanto era possibile, segregato dalla famiglia: e il difensor del Padilla fa questa osservazione dove, come vedremo or ora, oppone al processo la mancanza d'un corpo di delitto.
La peste medesima poi aveva diminuito in quella desolata popolazione il bisogno della pulizia, ch'era già poco.
Si trovaron perciò in una stanzina dietro la bottega duo vasa stercore humano plena, dice il processo.
Un birro se ne maraviglia e (a tutti era lecito di parlar contro gli untori) fa osservare chedi sopra v'è il condotto (gabinetto).
Il Mora rispose: io dormo qua da basso, et non vado di sopra.
La seconda cosa fu che in un cortiletto si vide un fornello con dentro murata una caldara di rame, nella quale si è trouato dentro dell'acqua torbida, in fondo della quale si è trouato una materia viscosa gialla et bianca, la quale, gettata al muro, fattone la proua, si attaccava.
Il Mora disse: l'e smoglio (ranno): e il processo nota che lo disse con molta insistenza: cosa che fa vedere quanto essi mostrassero di trovarci mistero.
Ma come mai s'arrischiarono di far tanto a confidenza con quel veleno così potente e così misterioso?
Bisogna dire che il furore soffogasse la paura, che pure era una delle sue cagioni.
Tra le carte poi si trovò una ricetta, che l'auditore diede in mano al Mora, perché spiegasse cos'era.
Questo la stracciò, perché, in quella confusione, 1'aveva presa per la ricetta dello specifico.
I pezzi furon raccolti subito; ma vedremo come questo miserabile accidente fu poi fatto valere contro quell' infelice.
"Degli stregoni (sortilegi), degli indovini (divini), degli evocatori dei demoni (invocatores demonum).
1. Chi sono gli stregoni, gli indovini e gli evocatori di demoni
Questa peste ed errore costituita da stregoni, indovini ed evocatori di demoni riveste, in diverse province e regioni, forme varie e molteplici in rapporto alle molteplici invenzioni ed alle false e vane fantasie di questa gente superstiziosa che prende in considerazione gli spiriti d'errore e le dottrine demoniache.
2. Interrogatorio di stregoni, indovini ed evocatori di demoni
Allo stregone, all'indovino o all'evocatore di demoni da esaminare si chiederà la natura ed il numero dei sortilegi, divina
zioni o evocazioni che conosce e che gli sono state insegnate.
Item, si scenderà nei dettagli, facendo attenzione alla condizione cd alle prerogative delle persone, perché l'interrogatorio non
deve essere per tutti il medesimo. Quello di un uomo sarà diverso
da quello di una donna. Potranno esser poste all'accusato le seguenti domande: che cosa sa, che cosa ha imparato, quali pratiche
ha compiuto per stregare o liberare dal maleficio i fanciulli.
Item, si faranno domande sulle anime perdute, cioè dannate;
item, sui ladri da incarcerare;
item, sulla concordia o sulla discordia fra coniugi;
item, sulla fecondazione delle (donne) sterili;
item, sulle sostanze che gli stregoni fanno inghiottire, come
peli, unghie ed altro;
item, sulla condizione delle anime dei defunti;
item, sulla predizione del futuro;
item, sulle fate che sono dette bonae res e che si dice vaghino
di notte;
item, sugli incantesimi o le formule magiche per frutti, piante,
corde, ecc.;
item, a chi ha insegnato queste cose e da chi le ha imparate
o udite?
Item, che cosa sa sulle formule o sugli incantesimi per guarire le malattie?
Item, che cosa sul raccogliere le piante in ginocchio, rivolti ad
oriente, recitando l'oratio dominica;
Item, che cosa sui pellegrinaggi, sulle messe, sulle offerte di ceri e sulle largizioni di elemosine imposte (dagli stregoni)?
Item, che cosa su come si fa per scoprire i furti e per conoscere le cose occulte?
Item, l'inchiesta sarà soprattutto rivolta a quelle pratiche sospettabili di una qualunque superstizione, o irriverenza o ingiuria nei confronti dei sacramenti, in particolare dell'eucarestia, nonché nei confronti del culto divino o dei luoghi consacrati.
Item, si indagherà in particolare sull'uso di appropriarsi dell'ostia consacrata e su quello di rubare in chiesa il crisma e l'olio santo;
item, su quello di battezzare immagini di cera o altro; sul modo in cui si battezza, sull'uso che se ne fa e sui vantaggi che se ne ricevono;
item, sulle immagini di piombo, sulla loro fabbricazione e sul loro impiego;
item, gli verrà chiesto da chi abbia avuto tali insegnamenti;
item, da quanto tempo abbia iniziato ad esercitare tall pratiche;
item, quali e quante persone siano andate a consultarlo, specie durante l'anno in corso;
item, se gli sia già stato proibito di dedicarsi a tali pratiche e da chi e se le abbia abiurate e se abbia promesso di non dedicarvisi più;
item, se nonostante la promessa e l'abiura sia ricaduto in queste pratiche;
item, se credesse alla realtà di quanto gli veniva insegnato;
item, quali ricompense o benefici o doni abbia ricevuto per le sue attività".