Giovanni Andrea Moniglia (a volte anche scritto Moneglia) nato a Firenze (ma discendente da una famiglia originaria di Sarzana come si legge sotto il suo nome precedentemente qui riportato ed ascritto con commento bio-bibliografico entro le Notizie degli Arcadi Morti) nel 1624 ( ma nel Dizionario Biografico Treccani, sotto voce, il documentatissimo Marco Catucci
ne data la nascita al 22 marzo 1625 ) ed ivi scomparso nel 1700 fu medico e docente presso l'Università di Pisa e compose diversi trattati scientifici tra cui abbastanza celebre fu il De aquae usu medico in febribus, Firenze, per il Vangelisti, 1684.
A fianco degli studi professionali si occupò però, alla moda del tempo, anche di letteratura ed in particolare di teatro divenendo poi membro dell'Accademia della Crusca.
Tra le sue numerose composizioni si possono ascrivere il dramma civile Il conte di Cutro, Firenze, Vangelisti, 1682, drammi in musica quali Giocasta Regina d'Armenia (Ibid. 1682) ed Enea in Italia (Venezia, per il Nicolini, 1677), i libretti Ercole in Tebe, Firenze, All'Insegna della Stella, 1651), l'Hipermestra, Firenze, Stamperia di S.A.S., 1658, la commedia messa in musica da J. Melani intitolata Il potestà di Colognole, Firenze, per il Bonardi, 1657.
Presso l'intemelia biblioteca aprosiana si trovano tre sue opere, con altre di altri autori, tangibile dimostrazione dell'amore di Aprosio per il Teatro [ nonostante gli eccessi di moralizzazione seicentesca avverso il mondo del Teatro e dei suoi componenti (cui "il Ventimiglia" aderisce più nella forma che nella sostanza blandamente rispettando il suo ruolo di censore e vicario dell'Inquisizione) ed in particolare la feroce epocale condanna misogina dell'opera delle donne operanti nel mondo dello spettacolo, ritenute maliarde se non prostitute specie nel caso delle cantanti, per alcuni da sostituire con evirati cantori sì da giungere nel caso dell'Adimari e della sua feroce Satira quarta intitolata Contro alcuni vizi delle Donne, e particolarmente contro le Cantatrici a scriversi crudemente Pudica esser non può Donna vagante,/ La cantatrice è tal, dunque è puttana: sì che il poeta divenne in qualche modo esponente di punta, pur tra mille problemi personali poi divenuti giuridici atteso il rapporto con la moglie, di quell'antifemminismo il quale chiedeva di surrogare sempre le cantanti con i
castrati dotati, per quanto innaturalmente e tramite la medicina del dolore, di splendide voci bianche ] = passione aprosiana quella per il Teatro, nelle sue varie forme, variamente attestata
dall'analisi del grande numero di contatti con teatranti, sia uomini che donne, quanto della raccolta delle loro opere fatta non senza fatica per la sua Biblioteca (scorri il lungo elenco = e vedi anche l'ammirazione aprosiana per le "virtuose del canto" Barbara Strozzi e soprattutto Anna Renzi)
Ritornando al Moniglia si trovano dunque presso la Biblioteca Aprosiana le seguenti opere teatrali:
1 - Ercole in Tebe festa teatrale rappresentata in Firenze per le reali nozze de' Serenissimi sposi Cosimo terzo principe di Toscana e Margherita Aloisa principessa d'Orleans, [Giovanni Andrea Moniglia]. - Impressione seconda. - In Fiorenza
2 - Risposte del Dottor Gio. Andrea Moneglia alle repliche voarcadumiche del Sig. dottore Innocenzio Valentini In Firenze : alle scale di Badia, 1663. - 116 p. ; 4°.
3 - Tacere et amare, dramma civile musicale rappresentato nell'Accademia degl'Infuocati ..., In Firenze : nella stamp. di S.A.S. per il Vangelisti e Matini, 1674. - 70 p. ; 8°: modernamente vien scritto
che il nome dell'autore, Giovanni Andrea Moniglia, è ricavato dal National Union Catalogue della British Library.
Questa opera (qui INTEGRALMENTE PROPOSTA DIGITALIZZATA) quale autonoma pubblicazione la si studia anche nella raccolta postuma Delle poesie drammatiche (parte prima, Vangelisti, Firenze, 1689; parte seconda, Bindi, Firenze, 1690).
Occorre dire che Angelico Aprosio, pur, ai suoi tempi, risultando anonima dai testimoni a stampa, ne aveva attribuita la paternità al Moniglia come lui stesso scrive nella Visiera Alzata precisamente alle pagine 61 - 62.
A questo punto in merito agli aggiornamenti scientifici ed eruditi a pro di Aprosio anche in merito al Teatro non si può far a meno a questo punto, dopo la necessaria puntualizzazione qui subito di seguito proposta a titolo di breve premessa, parlare della figura di Jacopo Lapi alias Jacopo del Lapo.
E questa acquisizione come tantissime altre è connessa ad un fiorire recente di studi su "Il Ventimiglia" = in effetti le investigazioni su Angelico Aprosio hanno avuto un incremento a partire dal 1981 anno segnato dalle celebrazioni della ricorrenza del trecentesimo della sua morte in Ventimiglia (con una significativa rivisitazione nel 2008 in correlazione con il quattrocentesimo anno della sua nascita)
Prima di tale data, in effetti Aprosio (come il suo discepolo e successore Gandolfo ma del pari tanti altri autori seicenteschi), relegato tra gli esponenti del morente marinismo ortodosso, era stato assai poco studiato per gli aspetti estranei al suo ruolo di ormai superato polemista antistiglianeo: così così poca attenzione si prestò mediamente anche ad altri lati della sua indefessa attività compreso, in certi casi, il ruolo di bibliotecario, pur capace di erigere in Ventimiglia la prima biblioteca pubblica della Liguria ma anche di bibliofilo, di scrittore moralista, di accademico ed agitatore culturale come pure di collezionista, antiquario e "archeologo" e, certamente non per ultima postazione, di corrispondente con una miriade di intellettuali italiani e non.
Sulla linea dei pochi studi finalizzati in settori estranei al polemismo letterario ecco dunque che Jacopo Lapi, fondamentalmente, era stato relegato ad una figura di contorno: io stesso lo avevo utilizzato quale corrispondente aprosiano nel contesto di una celebrazione aprosiana della Ventimiglia seicentesca in merito ad una lettera scritta dal Lapi ad Aprosio in cui si celebravano certi aspetti del clima e della gastronomia ligure ponentina.
Una mia personale scoperta di Jacopo Lapi (che pure Aprosio aveva elencato tra i sostenitori della sua biblioteca intemelia, vale a dire i Fautori dell'Aprosiana ed al quale aveva dedicato questo capitolo della sua Grillaia) avvenne però qualche tempo dopo allorquando per la rivista "Critica Letteraria", 1987, a. XV, n° 56 pp. 563 - 580 pubblicai questo articolo, che comportava anche la trascrizione di 6 lettere di F. Redi ad A. Aprosio ed in cui il Jacopo Lapi rivestiva un ruolo centripeto per i contatti epistolari e culturali tra Aprosio e lo scienziato toscano.
Qualcosa di più e di meglio in tempi recenti ha poi fatto Nunzia Melcarne, per la rivista che ho coordinato e poi diretto per anni -nel contesto della sua evoluzione e dei diversi titoli via via assunti- Aprosiana Rivista Annuale di Studi Barocchi, precisamente in forza del'articolo: Il Principe giardiniere e il suo vero autore: Giovanni Andrea Moniglia (Nuova Serie, Anno XIII, 2005, pp.55 - 58).
La brava autrice ha dimostrato che Jacopo Lapi era assai più che un piacevole corrispondente per Aprosio od un utile attore per la sussistenza della sua continua attività epistolare.
Dall'indagine della Melcarne si intende bene come Jacopo Lapi fosse un referente bibliografico di prima scelta, utilissimo ad Aprosio, oltre che per le informazioni culturali, anche per il discernimento, cosa mai facile nell'epoca, tra autori veri e/o presunti di opere al momento in auge.
La lettera (naturalmente proveniente dall'epistolario genovese custodito presso la locale Biblioteca Universitaria in Ms. E.VI.21) che qui si riprende dalla trascrizione, mediata da G. Sparacello, della studiosa emblematicamente dimostra che Jacopo Lapi, a differenza di altri interlocutori epistolari, non solo inviava informazioni, spesso, purtroppo, incomplete se non scorrette, ma già di per se stesso le sottoponeva a valutazione e giudizio.
Infatti vi si legge (33r):
"Agguagliamento delle notizie e delle opere d'Autori Fiorentini domandatemi da Vostra Paternità Molto Reverenda nella sua lettera delli 23 d'Ottobre 1664, e ricevuta da me la sera del 3 di Novembre corrente".
E di seguito ancora (36r):
"E queste son tutte le Commedie stampate dal Signor Moniglia. Resti che io noti quelle in Prosa, due delle quali vanno sotto nome del Signor Cicognini di felice memoria quantunque siano veramente del signor Moneglia [...]
3° La Forza dell'Amicizia opra scenica del D. Giacinto Cicognini. Al molto Illustrissimo Signore Filippo Carlo Peverelli. In Bologna Giacomo Monti 1664 in 12 [...]
4° Il Principe Giardiniero opra scenica del D. Giacinto Cicognini. All'Illustrissimo Signore Cesare Gioseffo Becattelli. In Bologna presso Giacomo Monti 1664 in 12. Fò conto che se il Signor Moneglia lo sà, mi metta in Commedia alla scuola di qualche Pedante, e e mi faccia dare un Cavallo.
5° La Dispositione e forza del destino. Commedia del Signor D. Giacinto Andrea Cicognini. All'Illustrissimo Signora D. Angela Palazzoli Paoletti [sic!] de' Marchesi di Ceva. In Bologna presso Carlo Antonio Peri. All'insegna dell'Angel Custode 1664 in 12.
E queste sono le Commedie in versi e in prosa stampate dal Signor Moniglia, resta che io le dia notizia delle non stampate."
L'autrice chiarisce, in modo ineccepibile, l'assoluta plausibilità delle informazioni addotte da Jacopo Lapi: e questo si può valutare in altro contesto.
Tuttavia su Jacopo Lapi la Melcarne non apporta significative informazioni se non, a fine saggio, un auspicio a meglio investigare la corrispondenza tra questo ed Aprosio, nell'ipotesi concreta di altre utili informazioni bibliografiche.
Eppure Jacopo Lapi costituisce un piccolo rebus culturale: personaggio spesso nominato, ma di cui si sa poco, uomo di cultura ma giammai produttore di opere a stampa, quasi sospeso in un limbo documentario.
Il motivo di certe lacune mi è stato risolto soprattutto dalla consultazione del sito informatico on line "www.francescoredi.it" ma altresì da ulteriori segnali documentari, per quanto sempre sparsi se non talora pressoché dispersi.
Jacopo Lapi in effetti si valeva od era noto con un nome fittizio per quanto molto prossimo a quello reale, cioè l'esito
Su vari documenti contrassegnati da siffatta forma nominale, ancor più che sotto la forma nominale Jacopo Lapi, risultava amico, collaboratore ed uomo di fiducia di Francesco Redi che gli scriveva in modo molto intimo e spontaneo, senza le cautele dell'epoca, come quando in in una lettera del 5-V-1682, dalla villa dell'Ambrogiana, gli confessava l'angoscia di lavorare infdefessamente ma nella più totale solitudine: "Oh quanto io lavoro! Oh quante belle notomiuzze io fo! […] Ma, Dottor mio, mi conviene menar le mani, perché son solo, e senza aiuto veruno, e bisogna, che io faccia ogni cosa da per me da capo a piedi".
Su queste constatazioni si procede, così, ancora oltre nella conoscenza del personaggio Jacopo Lapi alias Jacopo Del Lapo.
Approfondendo, sul poco che rimane, le investigazioni e si evince che oltre che postazione di amico del Redi egli ricopriva un ruolo di rilievo nel contesto dell'operosità intellettuale rediana risultando contestualmente un esponente assolutamente credibile ed attivo dei fermenti epocali della Scienza Nuova.
Di conseguenza non sembra affatto casuale che il Del Lapo (vale a dire il Lapi) sia stato gratificato da Francesco Redi di alcune epistole in cui la notizia generica per quanto approfondita era sostituita da precise comunicazioni scientifiche, specie di anatomia, caratterizzate da una specificità terminologica propria di individui legati sì da amicizia ma anche dal collaborazione professionale.
Per esempio in una epistola del 30-IX-1682, dall' "ozio beato" della villa di Artimino, il Redi lo ragguagliava minutamente delle sue indagini, svolte "per passatempo", su ghiri e scoiattoli da cui aveva elaborato l'idea della "poca credenza che si può dare agli scrittori delle cose naturali" al segno che vieppiù andava rafforzando la sua "antica opinione, che chi vuol ritrovar la verità, non bisogna cercarla a tavolino su' libri, ma fa di mestiere lavorar di propria mano, e veder le cose con gli occhi propri".
Giungono altresì molto interessanti tre successive lettere del 6, 9 e 31- XII - 1682 sempre indirizzate al Del Lapo ma redatte sia nella villa di Cerreto Guidi e che in quella dell'Ambrogiana e redatte "a nome di Pietro Alessandro Fregosi".
Costui esprimendosi in luogo del Redi lo ragguagliava su come fosse entrato, grazie alla guida dell'Archiatra granducale appunto F. Redi "in un mondo nuovo".
Grazie a siffatta Guida il Fregosi informava il Del Lapo che, dopo che era stato ammesso nel laboratorio di Redi, aveva "tocca[to] con mano" non solo "la differente struttura delle viscere degli uccelli, e de' quadrupedi", ma addirittura la circolazione sanguigna nei pesci, grazie all'osservazione dei tanti fossili marini reperiti sui monti del circondario.
Queste rivelazioni assodata l'equazione Jacopo Lapi = Jacopo Del Lapo assumono contorni sempre più decisi allorquando si compulsano gli annali di Firenze città in cui sempre visse ed operò il personaggio alternativamente noto con queste due forme nominali.
In particolare risulta celebrato per aver allestito nella propria abitazione, sita nel quartiere di Santo Spirito, una ricca biblioteca scientifica ed aver organizzato un'accademia aperta aglistudenti dell'Università di Pisa e della Scuola medica dell'Ospedale di Santa Maria Nuova.
La sua presenza alla Corte di Cosimo III risulta più volte comprovata da documenti ufficiali e privati dell'epoca.
Nulla scrisse, per quanto finora noto, né come Jacopo Lapi né quale Jacopo Del Lapo ma il suo ruolo intellettuale fu soprattutto quello di agitatore e promotore culturale.
Fu sua cura principale quella di mantenere e corroborare contatti con numerose e importanti figure di scienziati italiani e stranieri (ma evidentemente non solo, atteso il suo lungo rapporto epistolare con Aprosio: anche se l'erudito intemelio era abbastanza famoso per i suoi interessi scientifici) ed in particolare fu il primo a far giungere a Firenze il De motu animalium di Giovanni Alfonso Borelli.
Morì a Firenze il 6 dicembre 1693.
Ed ecco allora che, nel contesto di queste osservazioni, le quali permettono di evidenziare l'effettiva rilevante portata del patrocinio di Jacopo Lapi alias Jacopo Del Lapo, assume una rilevante portata documentaria, anche per puntualizzare alcuni momenti poco chiari dell'esperienza esistenziale e culturale di Aprosio, analizzare criticamente nel contesto della Grillaia del 1668 il
che, analizzato scientificamente, si evolve in autentica fucina di notazioni sull'attività di Aprosio.
Dopo gli usuali convenevoli assumono un peso notevolissimo le riflessioni delle pagine 342 - 345.
La prima osservazione che deve colpire è la data in cui (a questo punto l'oggettività aprosiana appare indiscutibile) Jacopo Lapi cercò l'amicizia intellettuale di Aprosio: essa è espressamente indicata nel 13 ottobre 1665.
E quello che sembra un puro dato cronologico diviene, lentamente, un termine cronologico post quem, una datazione cioè dopo la quale la vita culturale e intellettuale d'Aprosio raggiunge l'apice delle mutazioni: il frate, che notoriamente aspirava a cariche accademiche e titoli onorifico-cavallereschi, contemplava oramai il degrado della sua impalcatura ideologica e dell'accademismo in cui si identificava come in particolare quello degli Incogniti di Venezia e vieppiù si fortificava nell'idea di poter valicare il tempo fisico e fugace della vita terrena "eternandosi nella sua biblioteca e nella basilare funzione d'esser Tromba delle glorie altrui, risultato estremo per qualsiasi agitatore culturale e per ogni bibliotecario che meriti tal nome, non riducendosi a mero custode ma ergendosi a divulgatore e "tramandatore" delle acquisizioni altrui, anche di quelle a rischio di dispersione.
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