cultura barocca
Ingrandisci Espansionismo sabaudo nei secoli verso il mare di Liguria: vedi anche qui le trasformazioni dal '600 a fine '700 dei tempi nuovi per effetto della Rivoluzione Francese e dell'epoca Napoleonica: la rivoluzionaria e filofrancese Repubblica Ligure = la Colonna nella sintesi dell'iscrizione fa intendere le colpe qual congiurato (per lo Stato Sabaudo a pro del suo espansionismo a danno della Repubblica di Genova) e specie le pene per il Vachero e i coalizzati (con le differenze, per i "privilegi" vari, di fronte alla legge epocale anche nei casi di massima severità) = ad integrazione in merito ad altra congiura filosabauda, di Raffaello della Torre, nel contesto della guerra del 1672 vedi l'importanza strategica della piazzaforte di Savona

La condizione di INFAME oltre che da un marchio a fuoco (assolutamente "da non celare essendo marchio identificativo" = ecco perché volgendosi specie alle donne (ma non solo) Aprosio condannò in un capitolo del suo primo Scudo di Rinaldo la moda di coprirsi la fronte con una frangia di capelli che potevano valere a nascondere il terribile marchio, "funzionale" invece come forma di riconoscimento di "malvagità") e da qualche amputazione a carico della persona giudicata Infame, nei casi reputati estremi poteva esser testimoniata dall'apposizione di una TARGA, OBELISCO O COLONNA. Celebre, anche per gli scritti di Alessandro Manzoni, fu la "COLONNA INFAME" DI MILANO ERETTA A DANNAZIONE PERPETUA DEI SUPPOSTI "UNTORI DI PESTE" di cui si può leggere qui, con testi digitalizzati di Verri e Beccaria oltre appunto che di Manzoni, una rara pubblicazione coeva della
SENTENZA CON INDICAZIONE DELLA VICENDA A TUTTO TONDO E DELLE TREMENDE TORTURE, COMPRESA QUELLA DELLA RUOTA, INFLITTE AGLI INQUISITI
Pure presso la SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA (come in altri Stati) non era ignota, per reati gravissimi come appunto quello di " Lesa Maestà dello Stato ", la dannazione perpetua e pubblicamente rammentata di un reo tramite l'erezione (a guisa di NOTA DI INFAMIA) di una COLONNA INFAME: e fu questo il caso della COLONNA COME QUI SI VEDE ERETTA A PERPETUA MALEDIZIONE
di
************GIULIO CESARE VACHERO************
ideatore di una pericolosissima seicentesca ed omonima congiura filosabauda
[peraltro ulteriore espressione del citato storico espansionismo pedemontano verso il mare variamente contrastato da Genova (vedi per approfondire dati basilari)]
contro la Serenissima Repubblica di Genova e che prima di giudizio ed esecuzione fu IMPRIGIONATO IN UNA CELLA CARCERARIA della TORRE GRIMALDINA
La COLONNA venne eretta in piazza Vacchero, presso via del Campo verso Porta dei Vacca, la famiglia Vachero aveva le case che furono demolite dopo la congiura di Giulio Cesare Vachero.
In seguito la Famiglia Vachero fece costruire una
FONTANA per sottrarre alla pubblica vista tale COLONNA INFAME o COLONNA DI INFAMIA
che pure si conserva a Genova (in piazza Vacchero, presso via del Campo, in prossimità della Porta dei Vacca) con un'
LAPIDE DALLA CUI ISCRIZIONE SI EVINCONO TUTTI I PROVVEDIMENTI SIN ALL'ESECUZIONE CAPITALE PRESI AVVERSO IL VACHERO, MA ANCHE ASSUNTI CONTRO IL SUO CASATO ( CLICCA E VEDI, COMPRESO IL BASILARE TESTO MULTIMEDIALIZZATO ),



Informatizzazione e testo a cura di Bartolomeo Ezio Durante


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Vedi "DE MARINI, Vincenzo Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990) a cura di di Maristella Cavanna Ciappina = DE MARINI (Marini), Vincenzo. - Nacque a Genova nel 1583 da Pietro Francesco di Goffredo e venne ascritto alla nobiltà l'8 dic. 1608. Ebbe un solo fratello, Marco Antonio, che non risulta iscritto; risultano invece iscritti nel 1611 (mentre lo zio del D., Giovan Giorgio, era ambasciatore a Madrid) i quattro cugini Paolo Maria, Goffredo, Francesco e Alessandro, gli ultimi due poi sacerdoti. Dagli alberi genealogici della nobiltà non risulta invece alcuno stretto legame di parentela con Claudio De Marini (dato invece per scontato dagli storici), alla cui vicenda quella del D. risulta strettamente collegata. Il D. infatti, direttore generale delle Poste della Repubblica, nel 1625, venne accusato di alto tradimento proprio perché collegato alle, vere o presunte, trame franco-sabaude contro Genova, che sarebbero state orchestrate appunto da Claudio. Il D., definito dal Casoni "nato in tenuità di fortuna di una chiara famiglia, intollerante dello stato dalla Divina Provvidenza affidatogli", avrebbe acconsentito a fornire informazioni politiche e militari a Claudio De Marini, in quel tempo ambasciatore del re di Francia a Torino, in cambio di una pensione annua di 500 scudi d'oro pagatagli dal re di Francia. La sua posizione alle Poste, che gli avrebbe permesso di leggere e decifrare la corrispondenza ufficiale proveniente dalla Spagna, e il cognome di Claudio, fecero probabilmente del D., al di là della consistenza delle sue colpe, il capro espiatorio cercato in quel momento dalla Repubblica, ansiosa di soddisfare la dignità offesa della Spagna e di "dare un esempio" di fermezza al Piemonte e alla Francia e a quanti in Genova potevano simpatizzare per la potenza d'Oltralpe. Certo la situazione internazionale era molto tesa, quando nel 1625 (con la Spagna impegnata contro i Franco-Sabaudi nello scacchiere italiano della guerra dei Trent'anni e, per Genova, la guerra alle porte, nonostante la proclamata neutralità) il governo genovese, sospettando che il duca di Savoia, accantonata la via militare, cercasse di impossessarsi della Repubblica attraverso trame e congiure, arrestò tre borghesi (Giulio Cesare Vachero, Giovan Girolamo Russo e Giovan Tomaso Maggiolo), che però in questa circostanza furono presto rilasciati, e appunto il De Marini. L'accusa sarebbe venuta da una sua serva, insospettita dalle lunghe ore notturne trascorse dal D. a scrivere messaggi, e sarebbe stata confermata da una perquisizione in casa del D., dove sarebbero state scoperte molte lettere compromettenti. Venne subito istruito il processo "con solennità spaventosa", affidato al senatore G. B. Saluzzo e ad Opicio Spinola, mentre la difesa del D. era assunta da Ottavio Sauli e Leonardo Spinola. Sottoposto a tortura, il D. confessò di aver consentito a Matteo Tarcone, ingegnere francese, di ricavare il modello delle fortificazioni della città; di aver comunicato ai nemici notizie pregiudizievoli per la Repubblica; di aver approfittato del suo ufficio di direttore delle Poste per intercettare la corrispondenza del re di Spagna e dei suoi ministri e fornire informazioni ai Francesi; di aver ospitato negli ultimi tempi nella sua casa alcuni ernissari del duca di Savoia, inviatigli da Claudio De Marini, per spiare "gli arcani della Repubblica"; aver accettato, in cambio di questi servigi, la citata pensione di 500 scudi d'oro dal re di Francia. Messa ai voti la dichiarazione di alto tradimento, i Collegi, la sera del 7 maggio 1625, lo condannarono a morte. Conosciuto il verdetto, Claudio De Marini fece intervenire il conestabile di Francia duca di Lesdiguières, che con una infelice lettera di minacce chiese la sospensione della condanna del D., al che il governo genovese rispose con l'immediata esecuzione della stessa. Il D. venne decapitato nella torre il 12maggio e il suo cadavere, vestito del saio dei cappuccini, fu esposto al popolo nel cortile di palazzo ducale. Le scene di violenza popolare (secondo il Casoni, più volte le guardie sarebbero dovute intervenire per impedire lo scempio del cadavere) consigliarono di seppellire nello stesso pomeriggio il D. nella vicina chiesa del Gesù, di cui si dovettero subito chiudere le porte per impedire al popolo furibondo di entrare. Anche questi particolari confermano l'impressione che il processo e la condanna del D. abbiano avuto un fine politico e propagandistico: prima di tutto, accontentare finalmente la Spagna (che tramite il D. dimostrava le presunte responsabilità dell'odiato Claudio De Marini) e in secondo luogo mostrare al popolo, agitato dalle recenti esperienze belliche alle porte della città, i subdoli tentativi dei nemici franco-sabaudi e l'efficiente e inesorabile sistema di controllo del governo. Venticinque anni dopo la sua morte, il D. venne depennato dal Libro della nobiltà con sentenza 29 giugno 1650, con la clausola che, se avesse lasciato figli, questi non potessero essere iscritti. E probabilmente lasciò qualche discendente, poiché ancora molti anni dopo, il 25 ag. 1683, un biglietto anonimo metteva in guardia i Collegi contro l'ascrizione di Ferdinando e Vincenzo Marini, perché si riflettesse sui loro padri e ascendenti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 454, cc. 38 s., 62v, 80;F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, V, Genova 1800, pp. 102ss.; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1836, pp. 258 s.; M. E. Vincens, Histoire de la Republique de Gênes, Paris 1849, III, pp. 151 ss.; G. Arias, La congiura di G. C. Vachero, Firenze 1897, pp. 31 s.; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, pp. 272ss.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, p. 282;G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis"..., Firenze 1965, p. 331

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