, LUIGI RE, TOMMASO MATTEI e CAMILLO BENSO DI CAVOUR, che si firmava direttore ed estensore-capo.
L'APPELLO così drammaticamente suonava:
"Sire ! Non sudditi di Vostra Maestà, ma Italiani d'altre province ed interessatissimi così al bene dei vostri popoli, della vostra corona e della nostra Patria comune, noi ci accostiamo in intenzione al Vostro trono, o Sire, per supplicarvi di volere accedere alla politica di Pio IX, di Leopoldo e di Carlo Alberto; alla politica italiana, alla politica della Provvidenza, del perdono, della civiltà, della carità cristiana.
"Sire, l'Italia vi aspetta, l'Europa vi guarda, Iddio vi chiama oramai. Noi non entriamo in memorie d'altri tempi; noi sappiamo che Iddio misericordioso tiene conto di ciascuno delle sue difficoltà, degli stessi incitamenti, e delle buone intenzioni nell'operare o anche errare. E sappiamo che in terra, come in cielo ogni uomo rimane poi giustificato o no, secondo se furono gli ultimi fatti determinanti della sua vita.
"Ed ora, o Sire, Voi siete giunto al punto culminante, all'atto sommo della vita vostra, al fatto principale in quella che vi resta; ora non può rimaner dubbia la vostra coscienza, poiché dubbio non è il volere della Provvidenza.
Guardate su, lungo tutta l'Italia, alla gioia dei popoli risorti, alla soddisfazione dei principi autori delle risurrezioni, alla unione reciproca, alla pace, alla innocenza, alla virtù di tutti questi fatti nostri, benedetti dal Pontefice, ribenedetti dal consenso di tutta la Cristianità; e giudicate Voi se noi facciamo una stolta ed empia rivoluzione, semmai anzi una buona, santa, felicissima mutazione assecondante i voleri di Dio !
"Sire, il vostro obbedire a tali voleri, il vostro accedere a tale mutazione, la farà più facile, più felice, più moderata che mai; ed aggiungendo un secondo al primo terzo di Italiani già risorti costituirà risorta in gran maggioranza la Nazione nostra; la farà inattaccabile dai nemici, indipendente dagli stessi amici stranieri, libera e tetragona in sé; le darà forza e tempo di svolgere pacatamente tutta l'ammirabile opera sua; farà, insomma, i destini d'Italia, quanto possa farsi umana cosa, assicurati.
"Ricuserete Voi, all'incontro, di seguire la fortuna, la virtù d'Italia ? Allora, o Sire, rimarrebbero sbarrati sì nella loro magnifica via, ma non tolti di mezzo per ciò, i destini Italiani.
Non può, non può l'Italia rimanere addietro, diversa, contraria dalla civiltà cristiana onnipotente e trionfatrice, non che di tutti questi piccoli ostacoli interni, ma di tutte le potenze umane, di tutti i popoli, di tutte le civiltà cristiane.
Quali che siano, ora o domani, i nemici o i freddi e falsi amici d'Italia, l'Italia piglierà il suo posto nel trionfo delle nazioni cristiane.
Ma forse, come già avvenne, gli ostacoli abbrevierebbero la via; forse (che Dio nol voglia!) il rifiuto Vostro troncherebbe immediatamente con la violenza le questioni più importanti del risorgimento Italiano !
Se non che questo ne resterebbe forse guastato; forse non rimarrebbe più, come è finora, incolpevole, santo, unico al mondo e nel corso dei secoli !
E, perciò, o Sire, noi gridiamo dall'intimo del cuore e dell'anima nostra: Dio nol voglia ! Dio nol voglia ! E perciò noi, Italiani, indipendenti da Voi, ci facciam supplici a pregare, dopo Dio, Voi che nol vogliate".
Nel Dizionario Biografico degli Italiani sotto la voce relativa leggesi :
"BRIANO, Giorgio. - Nacque a Carcare (Savona) il 5 genn. 1812 in una famiglia di umili origini, molto devota, ultimo dei tre figli di Bernardo e Felicita Seghino.
Compiuti i primi studi presso gli scolopi, il B. si trasferì a Torino, nel 1830, con l'intento, presto abbandonato, di prendere gli ordini ecclesiastici. Qui si inserì rapidamente nell'ambiente colto della città partecipando all'Accademia letteraria promossa nel 1832 dal canonico Pino e frequentando la casa del Pellico, col quale strinse un'amicizia, durata tutta la vita, che ebbe importanza determinante nella sua formazione politica e culturale. Il B. espresse l'intento di educazione civile e di propaganda patriottica condotte all'insegna del cattolicesimo, che assimilò in questi anni, nella partecipazione attiva all'Eridano, rivista scientifico-letteraria di intonazione riformistico-moderata, pubblicata a Torino nel 1841-42, sotto la direzione di L. Rocca, e con il dramma Cristoforo Colombo rappresentato in tutta Italia e pubblicato a Torino nell'estate del '42.
Nel 1847 il B. entrò a far parte della redazione del Risorgimento per cui preparava le "notizie d'Italia"; successivamente sovrintese ai resoconti delle sedute della Camera.
Con la sua ambiziosa volontà e il tenace impegno, in breve riuscì a conseguire una posizione di preminenza, tanto da figurare tra i nomi di maggior autorità e rilievo del giornale.
Delle differenti correnti che, pur nel rispetto di un indirizzo moderato, esistevano allinterno del periodico, il B. apparteneva all'ala più cauta e conservatrice.
Quando nel Risorgimento prevalse la linea più progressista e il Cavour prese ad avviare il Centro-sinistra sia in Parlamento sia nelle pagine del giornale, il B. se né allontanò (7 dic. 1849).
Con l'opuscolo Mali presenti e pericoli avvenire (Torino 1850) iniziò la sua opposizione, chiusa e intransigente, condotta tutta la vita, contro lo svolgersi e il progredire delle libertà costituzionali.
Le esortazioni al ripristino dell'ordine e dell'autorità, i timori per le minacce dell'estremismo e l'irriverenza alla religione erano gli stessi di quella parte della Destra che il Cavour volle abbandonare al momento del connubio.
Secondando dunque l'aspirazione del Revel e di altri conservatori, il B. fondava il 26 maggio 1852 il quotidiano politico-economico La Patria, di cui era direttore e redattore capo.
Il giornale riprendeva la nota formula azegliana: "Lo Statuto, nulla di più, nulla di meno dello Statuto", attribuendole però un significato il più possibile ristretto ed escludendo dalla intangibilità dello Statuto le leggi organiche sulla stampa, sul diritto di associazione, e di voto.
Le accuse continue e sempre più pesanti contro le "intemperanze della stampa", "l'onnipotenza parlamentare", e contro la politica ecclesiastica ed economica del governo, determinarono il tentativo ministeriale di far tacere il B. allontanandolo dalla Patria alla fine del 1852.
Il B. accettò un impiego governativo, e La Patria cessò le pubblicazioni.
Dopo aver cercato senza successo di ridar vita al giornale nel '55 (aveva rinunziato all'impiego governativo), l'anno seguente, in vista della consultazione elettorale fissata per la fine del '57, il B. iniziò la pubblicazione di una serie di opuscoli, riuniti sotto il titolo Apparecchio alle elezioni generali (Torino 1856-57), che comprendeva, in un disegno organico e ordinato, le sue concezioni politiche e le sue accuse alla condotta ministeriale.
Qui il B. ribadiva la propria condanna del sistema parlamentare, che serviva soltanto all'ambizione e all'egoismo dei ministri; di essi metteva in evidenza le divergenze e le differenti posizioni nel periodo precedente il "connubio" per mostrare come fosse forzata e stridente la loro successiva convivenza in uno stesso ministero.
L'adesione della maggioranza alla politica del Cavour veniva indicata come il risultato delle pressioni governative sugli elettori, di un'autentica corruzione operata alla Camera da più o meno illusi "faccendieri" e delle frequenti nomine di nuovi senatori.
Conseguenza degli errori politici dei ministri e del trattamento di favore che si faceva agli emigrati erano i sempre nuovi e inutili sacrifici imposti al paese.
La campagna condotta dal B. si differenziava da quella dei clericali, che speravano in un'alleanza con l'Austria, soltanto nel sogno romantico di una confederazione dei principi e dei popoli della penisola, indicata come unica soluzione possibile del problema italiano.
Condotta con abilità e coerenza, facendo leva su ogni risentimento che il governo potesse aver suscitato durante la sua amministrazione, e affiancata dal 6 ott. 1857 al 3 gennaio dell'anno successivo dall'Italia conservatrice, giornale politico-letterario e scientifico, moderato, di cui egli divenne direttore e redattore capo, la polemica del B. ebbe certo una parte non trascurabile nel rendere esigua la vittoria del ministero.
Egli stesso, avendo presentato la propria candidatura, pur non eletto, ottenne un certo successo.
Caduto definitivamente in disgrazia presso il Cavour, negli anni successivi il B. fu spesso in difficoltà economiche e alla ricerca di una stabile sistemazione; solo dopo la morte del ministro ottenne la carica di revisore degli stenografi al Senato.
Giunto a Firenze nel 1865, dopo il trasferimento della capitale, il B. aderì al gruppo dei "cattolici transigenti" o "clerico-moderati", di cui conobbe personalmente almeno V. Marchese e C. Guasti.
Testimonianza di questi anni è la sua collaborazione fin dal 1866 alla Rivista universale, in cui sosteneva la partecipazione dei cattolici alla vita pubblica con funzione conservatrice, nonché la necessità di rinunziare a Roma capitale per non compromettere il futuro politico dell'Italia, di cui il Papato rappresentava il nerbo e la gloria.
Giunto a Roma nel 1871, sempre a seguito del Senato, il B. tentava, nell'aprile del '73, di dar vita ad un nuovo periodico, L'Eclettico, giornale letterario-artistico, divenuto in seguito L'Avvenire del popolo, che cadde però dopo poche settimane e in cui il B. appariva sempre più indignato per il malcostume del paese e pieno di apprensione e timore per le sorti del cattolicesimo che gli appariva ovunque minacciato e spodestato.
Il B. morì a Roma nel febbraio 1874.
Opere: Poesie di G. B. da Carcare, Torino 1836; Società letteraria Pino, Torino 1840; Piccolo catechismo costituzionale ad uso del popolo (insieme con M. Castelli), Torino 1848; Lo Statuto e i suoi interpreti: sulla competenza del voto delle Camere per le leggi d'imposta, Torino 1851; Della vita e delle opere di Silvio Pellico: notizia storica corredata da documenti inediti, Torino 1854; La congiura di Genova e il ministro Rattazzi: brano di storia contemporanea, Torino 1857; Giuseppe Luigi Lagrangia, Torino 1861; Roberto d'Azeglio, Torino 1861; Silvio Pellico, Torino 1861; Cesare Alfieri di Sostegno, Torino 1862; Della vita e delle opere del conte Alberto Ferrero della Marmora, Torino 1863; Lettere su Firenze, Firenze 1865; Massimo d'Azeglio: ritratto morale e politico, Firenze 1866; Il principe Odone Eugenio Maria di Savoia,duca di Monferrato, Firenze 1866; Il conte Ottavio Thaon di Revel,ministro di Stato e senatore, Genova 1868; A Pio IX: canzone, Firenze 1868; Annali del Parlamento Malpino, Torino 1870; Lettere di Massimo d'Azeglio al fratello Roberto, Milano 1872.
Fonti e Bibl.: S. Pellico, Epistolario..., a cura di G. Stefani, Firenze 1856, nn. 162, 190; C. Cavour, Lett. ed. e ined., a cura di L. Chiala, Torino 1886, II, p. 270; V, p. CCXL; VI, p. 161; M. A. Castelli, Carteggio politico..., I, Torino 1890, pp. 3, 17, 23, 60; S. Pellico, Lettere famigliari ined...., acura di C. Durando, Torino 1903, nn. 143-145, 159, 196; G. Gorresio, Poesie di G. B., in Il Subalpino, II(1836), pp. 536-542; A. Brofferio, Teatro D'Angermes, in Il Messaggiere Torinese, 22 genn. 1842; G. Valla, Not. teatrali, ibid., 5 marzo 1842; P. Giuria, S. Pellico e il suo tempo, Voghera 1854, parte II, p. 24; L. Rocca, Acc. letteraria Pino, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, Torino 1879, pp. 480-88; R. Ricotti, Ricordi..., a cura di A. Manno, Torino-Napoli 1886, pp. 62-64, 308309, 318, 349; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II, I, Torino 1889, p. 197; G. Bustico, Giornali e giomalisti del Risorgimento, Milano 1924, p. 105; F. Lemmi, Giornali e giamalisti torinesi dei tempi di Carlo Alberto. Il Messaggiere del Brofferio, in Torino. Rassegna mensile della città, 1934, n. 9, p. 9; D. Massè, Un cattolico integrale del Risorgimento, Roma 1959, pp. 180, 189; O. Maiolo Molinari, La stampa Periodica romana dell'Ottocento, I, Roma 1963, pp. 102, 328."