CRIMINI E CRIMINALI II
(COLPE, PECCATI E PENITENZE)
BANDO-BANDIRE-BANDITO >"Mettere al bando, proscrivere con l'esilio e la confisca dei beni"> "BATTAGLIA", II,s.v.,4: dal lat. medievale "bandum" (doc. nel 976), dal lat. got. "bandwa" "segno, insegna"; accanto all'alto tedesco "ban" "notifica, avviso": cfr. nel sec.IV "bannum" registrato da Gregorio di Tours. Si veda anche provenzale antico "bandir" "esiliare" e francese antico "bannir": già nel lat. mediev. del VI sec. si ha traccia di "bannire" = "mettere al bando". Correlato al verbo è il suo part. pass. "BANDITO" (da cui "Banditismo") usato come in antico quale aggettivo e sostantivo maschile per individuo "Messo al bando, condannato al bando, "esiliato"; chi vive fuori della patria, perché colpito da proscrizione" "> "BATTAGLIA", II,s.v.,1. BERLINA S.f.,deriv. forse dal ted. ant. bretling (da bret = "assicella", tavola su cui si iscriveva la colpa) >BATTAGLIA, II, s.v. I,1> "Pena infamante inflitta al colpevole, che si esponeva al ludibrio pubblico [su un palco, legato ad una colonna in mezzo a una piazza, o su una carretta portata in giro per via: anche il posto era detto 'berlina'" ("GOGNA").] BIGAMIA [e POLIGAMIA] : reato dell'uomo che ha due mogli o della donna che ha due mariti punito dagli "STATUTI GENOVESI (II, 98)" con la "pena di morte" quasi certamente per evitare alla radice un possibile scontro di competenze con l'"Inquisitore ecclesiastico" che potrebbe istituire un suo procedimento per presunzione di "eresia" [non a caso questo capitolo riprende i dettami del Concilio di Trento in merito alla piaga della BIGAMIA affrontata nella sessione XXIV del Concilio e parzialmente dedicata ai Canoni sul matrimonio].
BOIA: chi esegue la condanna a morte; "Carnefice" (termine più popol.)> deriva con probabilità (nonostante il "Tassoni", "Dieci libri di pensieri diversi", Venezia, 1636, p.548), dal lat. "boia" = "corregge" di cuoio di bue = "laccio, ceppo, catena": mezzo di tortura ed insegna del carnefice ("Festo" ed "Isidoro"). DUELLO: il capo sui "DUELLI" ("LV, libro II") degli "Statuti genovesi" ha molti punti in comune colla condanna dei "Duelli pubblici" registrata nel "cap. XIX" ("sessione XXV- 3/4 dicembre 1563" = ALBERIGO, pp.745-746) dei "Deliberati" del "Concilio di Trento", pur se in ambito ecclesiastico si insiste sull'origine demoniaca della pratica e la pena pei duellanti non comporta la morte sul patibolo ma scomunica, proscrizione e confisca dei beni mentre in chiave criminalistica, oltre al suppizio estremo dei rei e la menzione critica avverso le vendette private mascherate sotto forma di duelli, si allude ancor più apertamente all'esasperazione della criminale usanza, ricorrendo in sovrappiù da metà Cinquecento non solo l'abuso di messaggeri di morte, "padrini" e consiglieri di vario tipo (funzione condannata colla scomunica, la proscrizione e l'infamia perpetua nel capitolo conciliare) ma anche l'innovazione di sfide lanciate per via di lettere se non addirittura con cartelli ed iscrizioni offensive di sfida disposte in mostra per le pubbliche vie all'attenzione non solo dei contendenti ma anche della morbosità popolare (vedi in "Bibliografia" l'opera contemporanea del SUSIO). Il "duello", di cui esistevano tra l'altro molte codificazioni letterarie, anche per gesuitico accondiscendimento, non venne estirpato mai del tutto nel genovesato: visto anche quanto ancora detta 150 anni dopo questo capitolo criminale, il "capo 13" della "P.I" degli "Istituti Militari" dello ZIGNAGO: "Chi sfiderà, chiamerà a duello sarà condannato per due anni in Galera, e chi chiamato vi anderà, vi sarà condannato per un anno e seguendo per cagione di detto duello qualche ferita, saranno condannati alla Galera in vita, tanto il Ferito che il Feritore, e se succedesse la morte d'uno di quelli due, quello che sopravviverà, se cadrà nelle forze della Giustizia, sarà archibugiato" (fucilato)".> Peraltro la Chiesa di Roma si trovò quasi subito nella condizione di vanificare un espediente escogitato per aggirare la proibizione "contro i duelli" del "Concilio di Trento", ricorrendo i contendenti al "Duello privato" cioè svolto fuori della codificazione storica (per esempio senza la pubblica dichiarazione di sfida o l'uso di padrini) attraverso la "Bolla pontificia" di Gregorio XIII, "Ad tollendum detestabilem" del Dicembre 1582, con cui le pene della scomunica, della proscrizione e della confisca dei beni venivano estese a quanti ricorrevano a tal forma di "Duello", come ad eventuali complici ed a quanti concedessero uno spazio di loro proprietà per "duellare"; il "DELRIO" però - Lib. IV, Cap.IV, Quest. IV, Sez. II - ritiene che i Principi o comunque lo Stato non siano tenuti a reprimere od impedire i "Duelli" tra "Pagani" visto che i dettati del "Concilio di Trento" condannano questa forma di contesa solo nel caso che avvenga tra Cristiani: argomento comunque sottile e controverso per ogni Stato, che non poteva sul suo territorio far simili distinzioni, come si intuisce leggendo il "capitolo sui Duelli" degli ""Statuti Criminali Genovesi".
Un pò ovunque nel mondo occidentale l'usanza del "duellare" finì quindi per resistere magari tra mille espedienti, sin alla fine del XIX secolo: nel '700 , nonostante gli "editti di morte" contro chiunque accettasse un "duello", come scrisse il "Beccaria" nel "capo X" del suo "Dei Delitti e delle Pene", la contesa trovava energia e fondamento "in ciò che alcuni uomini temono più che la morte" (il disonore) "di maniera che l'uomo d'onore si prevede esposto a divenire un essere meramente solitario, stato insoffribile ad un uomo socievole, overo a divenire" (cosa peraltro vera)" il bersaglio degl'insulti e dell'infamia che colla ripetuta loro azione prevalgono al pericolo della pena" [a prescindere dal fatto che la persecuzione del "Duello" si è rivelata di fatto molto difficile per le legislazioni criminali (non ovunque, neppure tuttora e specie in aree depresse del meridione italiano, si sono disperse le competenze "procedurali" del feroce duello rusticano) vista la radicatezza della costumanza, la risposta del "Beccaria" non pare esente da una diffusasi giustificazione gesuitica del "Duello" e che comporta una soluzione giuridica abbastanza fragile (potendo i duellanti giustificarsi in giudizio - generando dispersione e confusione di prove con relativa vanificazione del procedimento - col testimoniare sia l'uno che l'altro, quasi sempre in perfetto accordo, preordinato sulla scorta dei pareri di legulei e confessori gesuiti, "d'esser stato aggredito proditoriamente una volta giunto sul posto scelto per lo scontro - recando armi ma solo per difesa - onde trovare piuttosto un accomodamento verbale onorifico"): "il miglior modo di prevenire questo delitto è di punire l'aggressore, cioé chi ha dato occasione al "duello", dichiarando innocente chi senza sua colpa è stato costretto a difendere ciò che le leggi attuali non assicurano, cioè l'opinione, ed ha dovuto mostrare a' suoi concittadini ch'egli teme le sole leggi e non gli uomini"]. ESILIO - ESILIARE> ESILIO (antic. essìlio, exìlio, disus. esiglio: dal latino exilium,>ISIDORO DI SIVIGLIA, 5-27-28 "Exilium dictum quasi extra solum. Nam exul dicitur qui extra solum est") da intendersi "Sanzione particolarmente diffusa nel mondo antico, ove spesso sostituiva la pena di morte, e in quello medievale e moderno e praticamente scomparsa nel mondo contemporaneo consistente nell'allontanamento obbligatorio (spesso sotto pena di morte) dalla propria patria del colpevole di un delitto (comune o politico) reputato particolarmente grave"> "BATTAGLIA",V,s.v.,1. Correlato al verbo è il part. Esiliato:"Condannato all'esilio, mandato in esilio, "bandito", proscritto, confinato, deportato"> "BATTAGLIA",V,s.v.,1. FALSARIO: [voce dotta lat. "falsarius" (Catone) = "falsificatore" da falsus = "falso": vedi però anche Alchimia-Alchimista] > DANTE, D.C., Inferno, XXX, 61 sgg.> maestro Adamo (per alcuni casantinese, per altri di Brest in Bretagna) fonditore, falsificò i fiorini per incarico dei Conti Guidi e, a causa di tal reato, fu arso vivo nel 1281 > G.VILLANI (Firenze 1280 c.a - 1348) riferendosi alla falsificazione del fiorino scrisse: "Feciono venire da Siena certi maestri falsatori di moneta, e nell'Alpe di Castro avevano ordinato e cominciato a falsare la detta moneta nuova e i quattrini e furono condannati tutti e tre al rogo come falsari" (in Cronica, Firenze, 1844-1845, 12, 53).> Non solo la lotta ai Falsari era esigenza socio-economica universale ma la genovese intransigenza, espressa negli "STATUTI CRIMINALI DEL 1556", in materia di autorizzazioni a battere moneta fuori della Zecca di Stato era forma di riordinamento amministrativo ed uniformità giurisdizionale del Dominio "a mosaico" della Serenissima (di qui la soppressione delle Zecche dei comuni conquistati e dei principati laici od ecclesiastici). Tra poche eccezioni vi è quella con cui l'Ufficio delle Monete della Repubblica, il 6 luglio 1564, autorizzò, su petizione dei Sindaci del Capitanato di Ventimiglia, la circolazione in quest'ultimo delle "monete parpagliole" del Ducato di Savoia per l'esigenza dei continui traffici fra i due Stati e l'onere di cambi non computisticamente facili (B.DURANTE-F.POGGI, pp.123.124).> Sotto F. si intendono anche Contraffatori e Adulteratori (Codice Penale, 453) di monete buone, secondo le tecniche cui si allude in questi Statuti e su cui, per Firenze, già scrisse il VILLANI (8, 56: riferendosi a un'adulterazione di monete perpetrata dai Sovrani francesi), concetto pure di NICIO ERITREO ,p.142). V. negli Stat. Crimin. del '56 i capi dal 32 su Falsificatori, Contraffatori e Adulteratori di scritture legali (v.su tal diffuso fenomeno BUONARROTI IL GIOVANE). -FLAGELLAZIONE: "Serie di sferzate inflitte col flagello (in Roma antica pena corporale inflitta agli schiavi ed ai liberi di bassa condizione) deriva da Flagello (dal latino flagellum cioè "flagello, sferza, frusta") o "Sferza composta da un certo numero di piccole funi con nodi o di strisce di cuoio o di fili metallici con palline di piombo all'estremità, usata anticamente come strumento di supplizio ed anche di penitenza > BATTAGLIA, sotto voci> in Genova gli "Statuti" riportano però più frequentemente i quasi sinonimi BACCHETTATE (punizione tipicamente militare negli eserciti antichi: Passare per le bacchette: punire un soldato facendolo passare fra due file di commilitoni armati di bacchette che lo colpiscono mentre passa: così per Genova si legge nello ZIGNAGO, passim ma le Bacchette erano usate anche contro i condannati civili in marcia verso il patibolo) FUSTIGAZIONE (inflitte con sferza o con frusta) e meglio ancora VERGATE (pena simile a quella delle bacchettate, applicata però dal boia nell'accompagnare i condannati al supplizio)> nell'uso del flagello o della frusta per "torture" o "punizioni corporali" ad arbitrio del giudice si tingevano d'aceto i fili di canapa del flagello determinando una reazione chimica che produceva lacerazioni di pelle e carne> nella massima espressione (segreta e spesso biasimata) di questa pena si spargevano di sale le ferite delle vittime per acuire il dolore o si ponevano nelle stesse dei vermi carnivori.
E' comunque da precisare che i termini flagello e/o flagelli in senso esteso stanno ad indicare piaghe, tormenti, punizioni> flagelli d'Egitto = piaghe inflitte da Dio all'Egitto che teneva in schiavitù il popolo ebreo. FORCA: (s.f. dal lat. furca, "forcone", anche "strumento di tortura" per schiavi e criminali, pure "giogo", popolarmente nota col nomigliolo di vedova)> "Patibolo usato per le impiccagioni, formato da due pali di legno piantati nel terreno e congiunti in alto orizzontalmente da un terzo a cui è appeso il capestro"(BATTAGLIA,VI,s.v.,4)> ANONIMO GENOVESE ,p.720 = Contra que[m]dam sacerdotem tenacem: (vv.8-13) "Ma pur è misero e dolento/ e degno su forche pender/ preve (prete) chi no cessa offender/ in sì greve falimento,/ a chi ma[i] s[o]na[r] no sento/ de dever partir ni render". FORNICAZIONE (FORNICARE)> Dal lat. Fornicatio da Fornicare a sua volta da fornix -icis = "volta, arco sotterraneo a volta" passato a significare "dimora di donne pubbliche, bordello": per l'usanza delle meretrici di prostituirsi in locali sotterranei coperti a volta> F.: sta per rapporto sessuale peccaminoso, adulterio, concubinato ma indica pure, con estensione del valore semantico, la colpa, il peccato commessi fornicando,i rapporti matrimoniali disonesti,la copula contro natura ("Sodomia") e l' "Omosessualità" pur senza distinzione tra quella maschile e femminile (BATTAGLIA,s.v.). IMPURITA' (di rapporti carnali fra consanguinei gia condannato con la pena capitale Codice Teodisiano in De incestis nuptiis): gli "STATUTI CRIMINALI GENOVESI" lo considerano reato gravissimo che comporta la "condanna a morte" senza esclusione, né per sesso né per condizione socio-economica.
"INCESTO" (agg. "Incestuoso") è sost.maschile ( derivato dalla voce latina "incestus -us") in stretta relazione coll'aggettivo antico e letterario "Incesto" (colpevole di "incesto", che vive nell'"incesto", "incestuoso") derivato dall' aggettivo latino "incestus", composto da "in" (non) "castus" (casto, puro).> "BATTAGLIA", VII, s.v.,1(sostantivo)> "Rapporto carnale tra parenti o affini in linea retta (ascendenti o discendenti) o tra fratello e sorella (e costituisce un grave illecito penale, oltre che religioso e morale, pressoché nelle società di tutti i tempi e di tutti i luoghi; nel diritto italiano è vigente solo se dà luogo a pubblico scandalo)": argomento delicatissimo, da sempre sottoposto ad interpretazioni cariche di ipocrisia, che tendono a "MASCHERARNE E DIMENSIONARNE L'EFFETTIVA PORTATA STORICA E SOCIALE" nonostante il riconosciuto principio che la sua persistenza sia alla radice di ataviche "ALTERAZIONI GENETICHE" con la generazione di "MOSTRI" in effetti "MUTANTI GENETICI"
"INCESTO IN RELIGIONE": "Bibbia, Levitico", 6-18 stabilisce i "sette gradi di consanguineità" che determinano "Incesto" ["Id.", 20, 11-21:sanzioni penali dell'"incesto"]: il "Concilio Lateranense IV" (1215), "Costituzioni, L-LI " ridusse ai primi "quattro gradi di consanguineità l'impedimento al matrimonio".
Poi il "Concilio di Trento" ("Sess. XXIV - 11/XI/ 1563, Canoni sul sacramento del matrimonio, 3") attribuì alla Chiesa ampia potestà d'accrescere gli impedimenti e soprattutto di dar licenza sia nei riguardi del passo del "Levitico" che di "Canoni" e "Costituzioni".
Nel Dominio di Terraferma di Genova l'incesto, per quanto presente, non costituiva però una piaga sociale a differenza di quanto avveniva in una grande dipendenza della Repubblica cioè l'isola di Corsica dove, stando ad una fonte seicentesca, costituiva uno dei "maggiori abusi che si deplorino...introdotto già da più di un secolo fra quei popoli, con la libertà di contrarre unilateralmente matrimoni tra parenti senza precedente dispensa".
Siffatta "Informazione" è stata citata in un suo studio da Romano Canosa, pp. 179-180, nota 7 che l'ha recuperata presso l'Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, busta 1404 da un documento adespota, privo di indicazione del destinatario, ma la cui redazione è verisimilmente da attribuire al Magistrato di Corsica cioè all'Ufficio preposto al governo della turbolenta isola.
Sempre il Canosa riporta altri stralci dell'atto, seicentesco, secondo cui il disordine morale (contestualmente alla dilagante criminalità) sarebbe stato condizionato "...dalla angustia e rarità dei luoghi, dal vivere i paesani e parenti in communi habitationi, tutti sotto d'un tetto; dall'absentia de' propri habitanti in gran parte banditi e lontani, dalla molteplicità dei partiti et inimicitie che v'allignano frequentissime et inconciliabili e dalla miseria".
Più che lo Stato, sempre lontano e sostanzialmente inerte, ad occuparsi dei problemi della Corsica, soprattutto di quelli connessi alla violazione dei sacramenti, era la Chiesa, che esprimeva la sua, anche discutibile, funzione regolatrice non solo attraverso l'apostolato ma anche in forza delle sanzioni dell'Inquisizione.
Il problema era davvero scottante e l'autorità ecclesiastica cercò di risolverlo non seguendo un dirigismo che avrebbe potuto incentivare il fenomeno ma piuttosto barcamenandosi tra la concessione di indulti, atti a sanare le violazioni già verificatesi nel contesto di rapporti sessuali tra parenti, e comminazione di pene.
Verso il 1667 si dovette prendere atto che la situazione in questa maniera era irresolvibile: era l'epoca in cui la Congregazione del Santo Ufficio aveva volto la sua cura all'isola genovese ed in cui il grande Inquisitore di Genova Michele Pio Passi aveva insistentemente cercato di incrementare la sua influenza sulla isola.
La Santa Sede si trovò però inibita, oltre che dalla resistenza genovese ad eccessive interferenze ecclesiastiche, da evnti interni connessi soprattutto alla morte di papa Alessandro VII.
Sotto il di lui successore Clemente IX si addivenne finalmente alla decisione che del problema si occupasse principalmente il Sant'Ufficio, cui in definitiva spettavano incombenze su questioni di simile natura, e che esso dovesse concedere senza gravami economici le dispense a quanti fossero caduti in incesto ma nei gradi quarto e terzo, terzo e quarto ed ancora terzo e terzo, tanto di affinità che di consanguineità: solo al papa sarebbe poi spettato di vagliare le suppliche di di chi avesse commesso incesto nei gradi più stretti, in maniera "...da gratiarli secondo le qualità e circostantie de' casi". INFAME-INFAMIA = VIOLATORE ESTREMO DELLE LEGGI DELL'ONORE; vedi DIGESTO = III, 2 e quindi NOTA DI INFAMIA - COLONNA DI INFAMIA: consulta APPLICAZIONE DELLA NOTA DI INFAMIA SOTTO TORTURA;
pure la CHIESA ROMANA, nella sua lunga tradizione giuridica e canonica, valutò la condizione di INFAME/INFAMI come si legge alla relativa VOCE della BIBLIOTHECA CANONICA di Lucio Ferraris anche se il termine fu valutato in senso più estensivo coivolgendo INDIVIDUI REPUTATI INDEGNI A CONVIVERE NELL'ECUMENE DELLA CRISTIANITA' quali .
Il termine deriva dall'agg. latino infamis (voce dotta, comp. da in- con valore negativo e "fama" nel senso di "buona fama") e dalla voce dotta sostantivale lat. infamia = "buona reputazione"> vedi BATTAGLIA, VII,s.v. "Infamia", 9> "Dir.Stor. Situazione sociale, giuridicamente rilevante, di una persona, caratterizzata da grave disistima, disonore, riprovazione, disprezzo, reputazione da parte della comunità, a causa del comportamento di tale persona gravemente lesivo delle regole sociali fondamentali che riguardano l'onestà, la lealtà e l'onorabilità, i buoni costumi, ecc., e il diritto romano chiamò tale situazione Infamia di fatto, e sulla sua base elaborò la qualifica giuridica dell' Infamia di diritto o Ignominia...nell'"età intermedia"...il diritto civile ha conosciuto la figura dell' Infamia come sanzione penale consistente, a seconda del ceto al quale apparteneva il colpevole, in una nota o qualifica irrogata dal giudice (Nota di infamia pei colpevoli in particolare appartenenti ai ceti superiori> v. negli Statuti genovesi i capi "1", "33", "97" del "libro II") o come Marchio, Bollo, Tatuaggio di Infamia, per cui si applicava con un ferro incandescente un segno permanente in parte visibile del corpo del colpevole (quasi sempre una mascella e più raramente la fronte perché il Marchio avrebbe potuto celarsi con una qualche "frangia" di capelli) in genere appartenente a ceti subalterni" (v. lib. II, capi "10", "20", "22", "95", "97" l' Infamia comportava anche la perdita della capacità di diritto pubblico e della pubblica stima).
Il termine deriva dall'agg. latino infamis (voce dotta, comp. da in- con valore negativo e "fama" nel senso di "buona fama") e dalla voce dotta sostantivale lat. infamia = "buona reputazione"> vedi BATTAGLIA, VII,s.v. "Infamia", 9> "Dir.Stor. Situazione sociale, giuridicamente rilevante, di una persona, caratterizzata da grave disistima, disonore, riprovazione, disprezzo, reputazione da parte della comunità, a causa del comportamento di tale persona gravemente lesivo delle regole sociali fondamentali che riguardano l'onestà, la lealtà e l'onorabilità, i buoni costumi, ecc., e il diritto romano chiamò tale situazione Infamia di fatto, e sulla sua base elaborò la qualifica giuridica dell' Infamia di diritto o Ignominia...nell'"età intermedia"...il diritto civile ha conosciuto la figura dell' Infamia come sanzione penale consistente, a seconda del ceto al quale apparteneva il colpevole, in una nota o qualifica irrogata dal giudice (Nota di infamia pei colpevoli in particolare appartenenti ai ceti superiori> v. negli Statuti genovesi i capi "1", "33", "97" del "libro II") o come Marchio, Bollo, Tatuaggio di Infamia, per cui si applicava con un ferro incandescente un segno permanente in parte visibile del corpo del colpevole (quasi sempre una mascella e più raramente la fronte perché il Marchio avrebbe potuto celarsi con una qualche "frangia" di capelli) in genere appartenente a ceti subalterni" (v. lib. II, capi "10", "20", "22", "95", "97" l' Infamia comportava anche la perdita della capacità di diritto pubblico e della pubblica stima). Nel genovesato ed in molti altri Stati ulteriori NOTE DI INFAMIA erano, in altro modo, quelle di Esser a coda d'una bestia tratto (mediamente al supplizio estremo) per le vie seguendo tragitti pubblici obbligati, portando sul petto un cartello con generalità, colpa e pena od ancora di Procedere per le pubbliche vie sotto le frustate o le vergate del boia (come nel caso di certi ladri: lib.II, "cap.20"), o d'esser frustato in pubblica piazza (come per ruffiani, lenoni e meretrici : vedi lib.II, "cap.5") e pure di venire esposti al pubblico ludibrio sulla Berlina (preferibilmente la Gogna come certi bestemmiatori ("lib.II, 1") anche in questi casi indossando una sorta di cartello con i vari dati di cui si è detto prima [in caso di reato gravissimo come quello di Lesa Maestà (lib.II, 70) l'Infamia era estesa alle proprietà dei rei con la totale distruzione a livello del suolo dei loro beni immobili come case e poderi> in caso di Falsari di monete si procedeva invece alla radicale distruzione solo dell'edificio in cui fu perpetrato il crimine di falsificazione.
Questa NOTA DI INFAMIA divenne lugubremente famosa in quanto venne applicata nella circostanza del processo agli "untori" milanesi del XVII secolo con l'aggravante che sul posto della casa distrutta di uno di loro, lo sventurato Mora, fu eretta una COLONNA DI INFAMIA o COLONNA INFAME contro cui appassionatamente scrisse Alessandro Manzoni. Seppur meno celebre di QUELLA DI MILANO (anche perché la sua erezione non godette della descrizione d'un letterato pari al Manzoni) pure nel genovesato non era ignoto, per reati gravissimi come appunto quello di Lesa Maestà dello Stato la dannazione di un reo tramite l'erezione (a guisa di NOTA DI INFAMIA) di una COLONNA INFAME: e fu questo il caso della COLONNA eretta a perpetua pubblica maledizione del nobile GIULIO CESARE VACHERO ideatore della pericolosissima seicentesca ed omonima congiura contro la Serenissima Repubblica di Genova e che fu IMPRIGIONATO IN UNA CELLA CARCERARIA della TORRE GRIMALDINA INFANTICIDIO> Secondo l'interpretazione del Bodin (nel luogo cit. della sua opera: vedi Incesto) al punto 5 dei 15 capi di accusa per stregoneria si legge "sacrificare i figliuoli al diavolo ammazzandoli con spilloni, bruciandoli e via dicendo".
L'Infanticidio nel Medioevo era praticato non tanto per superstizione demoniaca quanto per la legge della sopravvivenza secondo cui le cure di un bimbo malato o gracile, specie in miseri villaggi, potevano compromettere l'economia di un'intera famiglia [vedi comunque qui l'interpretazione che dell' infanticidio darà F. Puccinotti nelle sue celebri Lezioni di Medicina Legale]
E' poi da precisare che era diffusa convinzione medievale che i figli fossero "cosa", "proprietà" dei genitori: in questo tempo il sentimento dell'infanzia infatti non esisteva anche se ciò non vuol dire che i fanciulli non fossero amati, semplicemente non si aveva coscienza del loro peculiare status sociale, cioè l'essere appunto "bambini" e quindi "indifesi".
Al proposito si leggano le pagine illuminanti di Antonio Zencovich sul tema sia dell'INFANTICIDIO CRIMINALE che in senso più specifico e preternaturale dell' INFANTICIDIO STREGONESCO.
E' però da affermare che gli Statuti Criminali genovesi del XVI secolo indicano però un certo progresso dell'età intermedia in materia di diritto a riguardo dei minori: si vedano le eccezioni procedurali e la mitigazione delle pene contro minori rei di qualche colpa nel capo 13 del libro I (altresì per tutto il II libro degli Statuti vi sono capi criminali contro genitori, tutori, balie, nutrici ed ostetriche responsabili di trascuratezza, negligenza verso gli affidati od i figli, per non citare l'Infanticidio in senso stretto o l'aborto procurato giudicati "omicidi" e punibili col supplizio sulla forca (lib.II,c.8, vedi Lamia e NUTRICE). PARENTELLA (anche "Banditismo")> Consorterie di famiglie con stesso cognome e che si riconoscono discendenti da un nucleo originariamente investito> COSTANTINI, p. 534.: le Parentelle erano protagoniste, in senso non solo giuridico, delle controversie per uso o possesso di terre comuni, riparto di imposte, controllo di uffici e servitù. Esse si traducevano in svariati campi di vita sociale in strutture di solidarietà verticale dette Fazioni> BECCARIA, XXVI, Dello spirito di famiglia > vi si legge un' allusione ai difetti di molte Repubbliche dell'età intermedia, di cui Genova fu esempio, intese come associazioni di famiglie più che di uomini, con la prevalenza, su quelli di Stato ed individuo, degli interessi di quelle piccole monarchie che erano le famiglie. PEDERASTIA s.f.> Rapporti sessuali con bambini e ragazzi da parte di maschi adulti (tipica dell'antichità greco/orientale> Prostituzione maschile - puniti in Roma se con carattere di stupro: vedi DIGESTO in LIBRO XLVII: cfr. poi TAMBURINI in Santi e Peccatori alla rubr. 90 (Arch. Segr. Vaticano, Reg. Matr. e Div., Add. 3) registra la Supplica: "Roma, 1556 gennaio 9/ Pistoia/ Giacomo Richi di Nicola, prete di Pistoia, ha avuto rapporti carnali con molte donne, ha tenuto per concubina Dianora, moglie del maestro Francesco di Bagna, detto il Segneto, dalla quale ha avuto dei figli, ha commesso il peccato di "Sodomia" (ed "Omosessualità") con uomini e con donne e ha toccato i genitali ai fanciulli (Omosessualità). Chiede l'assoluzione nel foro penitenziale e contenzioso e di poter amministrare i sacramenti". PEDOFILIA s.f.> Deviazione sessuale in cui si manifesta un interesse erotico per fanciulli impuberi, sia maschi che femmine, talvolta limitato al desiderio od al tentativo di seduzione talaltra unito ad esibizionismo, sadismo, feticismo. Il termine, che è un grecismo, si applica comunemente oggi ad una devianza erotica di pubblico dominio, d'ampia riprovazione morale e di procedimenti giuridici con severe sanzioni penali> negli "Statuti" genovesi del '56 non v'è cenno a questa alterazione dell'erotismo ma vi compare comunque una certa sensibilità verso i minori, registrata in vari articoli di legge, onde non abbandonarli, specie se orfani, alle angherie di profittatori (che spesso li avviavano alla Prostituzione) e vagabondi che se ne servivano, più che per ragioni sessuali, per questioni di interesse, talora sfregiandoli oppure storpiandoli per farne dei patetici mendicanti da ostentare con successo alla pubblica pietà>si veda qui Bastardelli e soprattutto si rammenti la figura, evolutasi tra '500 e '700, dei vagabondi comprachicos (comprabambini), bande di varia estrazione etnica ma diffusi in tutta Europa (talora identificati coi "Mercanti di meraviglie") che rapivano i bambini, li sfiguravano o storpiavano per fabbricare Mostri da offrire come Buffoni per il divertimento, esclusivo quanto in teoria proibito dei potenti> il fenomeno, tra XVI e XVIII sec., ora combattuto, ora persino incoraggiato da un certo potere, fu denunciato (pur ambientando la vicenda in ambito inglese) da V. Hugo nel romanzo pubblicato a Parigi in 4 volumi dal titolo L'homme qui rit ("L'uomo che ride"). PENTITISMO>da cui "PENTITO"> neologismo della legge del 29-V-1982, n.304 della Repubblica Italiana o Legge dei pentiti, che comporta vantaggi per chi collabora con la giustizia nella raccolta di prove per individuare o catturare corresponsabili di terrorismo, acquisendo quanto richiesto dalla legislazione speciale. Senza poter dire che vi sia parallelismo fra questa legge e le norme criminali genovesi del '500, si può dire che una figura, vicina a quella del moderno P., la si trova nel capo 70 del II libro che detta "Del crimine di lesa Maestà dello Stato" ed in cui si prevedono perdoni e compensi per chi, pur essendo stato inizialmente partecipe di un progetto criminale contro la Signoria, si metta a disposizione della giustizia per l'arresto dei congiurati> nei correttivi posteriori (le Riforme) gli interpreti genovesi di diritto sono intervenuti richiedendo garanzie maggiori su questi "collaboratori o (se vogliamo) pentiti" visto che, piuttosto che per senso di colpa , essi spesso collaboravano per vendetta , per ottenere taglie o perchè presi dal timore di pagare pei loro reati una volta fallita qualche congiura> Calunniatore, Delazione e soprattutto Vendetta privata. PIRATA (in Genova usato per il sinonimo Predone) dal lat. pirata, a sua volta dal greco, nel valore di "provo, tento, assalto" di origine indoeuropea> "chi esercita" la Pirateria o "brigantaggio marittimo" (BATTAGLIA, s.v.)> contro i P. (e soprattutto i Corsari turcheschi) Genova organizzò o potenziò, per gran parte del litorale rivierasco, una trama di fortezze, in parte armate di cannoni in parte destinate a dar ricetto alla popolazione, a guardia del mare ed in contatto visivo tra loro per via di comunicazione con segnali luminosi> DURANTE - POGGI - TRIPODI, pp.135-140 e pp.153-156. Nonostante questo sistema difensivo ancora nel '600 l'erudito di Ventimiglia A.Aprosio (1607-1681) fu limitato nei suoi viaggi per mare dal timore di incursioni piratesche o di Corsari. In una lettera del 1673 il nobile genovese Gio.Nicolò Cavana scrisse all'Aprosio: "...Quando Vostra Paternità Molto Reverenda è in viaggio sempre sto attendendo avviso del Suo arrivo con quell'ottima salute che Le viene da me desiderata; spero quanto prima sentire sia giunta in Ventimiglia vedendo dall'amabilissima Sua come era in Savona e come li corsari si facevano sentire..."(difficile dire se il Cavana alludesse alle ultime tracce di Corsari turcheschi o d'altre potenze o se confondesse la voce Corsari con quella di Pirati: è comunque evidente che ancora a fine '600 un viaggio per mare tra Savona e Ventimiglia poteva essere un azzardo per il rischio di quegli attacchi briganteschi già denunciati e perseguiti nei capi 27, 28, 29 del libro II degli Statuti Criminali genovesi del '56> lettera datata Genova, 20-V-1673, in Civ. Bibl. Apros. di Ventimiglia in MS. 40, "scritti diversi", carta 4 recto> DE APOLLONIA-DURANTE, pp.175-176, nota 1.
La PIRATERIA sopravvisse a rivoluzioni ed a trasformazioni giurisdizionali: di essa si può ancora leggere per esempio nel Codice per la marina mercantile del Regno d'Italia del 1865. PREDONE: chi ruba ed estorce con violenza, minacce, rapine e saccheggi > brigante da strada, masnadiero di una banda organizzata (in Genova anche sinonimo di Pirata quale "brigante di mare"). PREVARICATORE> Prevaricazione: l'agire in modo contrario all'onestà, alla giustizia e alla morale, abusando del proprio potere ed autorità [in senso giuridico] > Trasgressione di una legge, di una norma giuridica" (BATTAGLIA, s.v): [questo capitolo, per vari aspetti, riprende i dettami del Concilio di Trento in merito alla piaga della PREVARICAZIONE NELL'IMPORRE O IMPEDIRE I GIUSTI MATRIMONI affrontata nella sessione XXIV del Concilio e parzialmente dedicata ai Canoni sul matrimonio]. PROSTITUZIONE (femminile e maschile)> da cui "Prostituta/-o " (Storia della P. antica)> Nella Grecia classica era tollerata la P.femminile di alto livello, quella tra l'etera ed il suo o suoi protettori, mentre la P. maschile veniva accettata se rientrava nel rapporto pedagogico, di stima, gratitudine ed affetto, tra adolescente e suo tutore. La Prostituzione regolamentata ad opera dello Stato si ebbe nel V sec. con le leggi di Solone che avrebbe istituito la prima casa di P.regolamentata (od ufficiale), condizione per cui si perdevano i diritti civili (la costituzione solonea non riconobbe invece la P.maschile ed il giovane, che si prostituiva, fuori del rapporto adolescente-tutore perdeva il diritto di cittadinanza)> In Roma antica la P.regolamentata od ufficiale era controllata da norme più precise: le Prostitute ufficiali [che operavano in BORDELLI o LUPANARI] risultavano iscritte in registri e si dovevano sottoporre a controlli sanitari (inoltre erano tenute ad indossare abiti gialli ed a pagare una tassa allo Stato).
>La Prostituzione regolamentata esistette pure nel Medioevo, entro una istituzione su cui ruotava l'organizzazione delle municipalità per il controllo delle vedove senza mezzi, delle stuprate cacciate dalla famiglia, di tante "maltrattate" che sopravvivevano col commercio sessuale nei postriboli .
>Nonostante alcuni capi degli "Stat.Crimin. genovesi" dettino regole contro "Prostitute" si nota che la preoccupazione basilare consiste nell'escludere le donne che fanno commercio della propria sessualità da rapporti stretti con gente onesta sì da turbarne e corromperne l'esistenza: lib.II, capo V per cui le P. non possono risiedere in case di civile abitazione, porta a porta con famiglie "sane"; ad esse è imposto di lasciare la casa entro 3 giorni dalla denuncia, fatta da tre buoni capifamiglia, od in caso contrario essere frustate in pubblico.> Gli Statuti sono infatti del 1556, e quindi abbastanza antichi, sì da mantenere attiva una scelta rinascimentale panitaliana per cui le autorità ancora non perseguivano l'inquadramento in città delle "P." volendo così arginare il crescere della "Sodomia" (espressione di una P. maschile espressamente non citata negli Statuti - libro II, capo II- ma condannata, qual "Sodomia" appunto, col rogo sia del Prostituto che del cliente che dell'eventuale Ruffiano o di chi concede una sua proprietà per tal rapporto carnale):le P. non erano comunque del tutto escluse dal consorzio civile anche se dovevano portare sugli abiti e nelle foggie concesse dei segni particolari che permettessero di contraddistinguerle dalle altre donne.
>La chiusura dei postriboli avvenne in Europa sotto la spinta della Riforma Protestante e della Controriforma Cattolica che perseguivano la licenza dei costumi. Alla chiusura dei postriboli, non del tutto a ragione ritenuti unici focolai dell'infezione, concorse la diffusione della temuta sifilide, portata dalle Americhe e nota come "mal franzese": proprio in Francia venne introdotta la I forma di registrazione pubblica di Prostitute (v.v. Fornicazione, Meretricio: D.M. HAPERIN). RAPIMENTI PER RISCATTO (evoluzione storica del Banditismo "tribale"): I "Rapimenti" per riscatto costituirono un reato già esistente e corposo e segnalato dagli "Statuti Criminali" del '56 (libro II, capi 71, 72, 73 e soprattutto 4 e 24). Tuttavia, anche per via di un pur lento distacco tra fazioni e banditismo, quest'ultimo dalla fine del '500 si evolse, in qualche modo si specializzò nella tecnica dei Rapimenti per riscatto ispirandosi ad un rituale costante e mostruosamente efficiente quale l'uso, per sollecitare il pagamento richiesto, di inviare alle famiglie coinvolte dita ed orecchie mozzate dei loro parenti imprigionati quale motivo di sollecitazione e persuasione. Il caso più eclatante di questo nuovo banditismo si ebbe nell'agosto del 1611 quando il più importante possidente di Fontanegli, il magnifico Francesco Ferretto che, a sfida di questo banditismo, come era uso in quel tempo s'era fatto costruire una villa ben fortificata e difesa venne rapito dalla banda (15 uomini) del più celebre e audace criminale del tempo, Battista Maragliano, figlio di un possidente della parrocchia di Calvari. Il fatto che il Maragliano per sventrare la porta "corazzata" della casa fortificata si sia servito di una certa quantità di esplosivo (un "Pettardo" come si disse, ma di rilevante potenza) suscitò panico e stupore facendo dire in Consiglio a Genova che ormai "nessuno si potrà assicurare in casa propria, né in qualsivoglia ben forte e munita torre": eppure, prescindendo dalla drammatica considerazione, il fatto nella realtà di fondo soprattutto stupiva perché segnava la fine irrimediabile del vecchio banditismo collegato con fazioni e parentelle, preannunciando un'evoluzione ben più pericolosa della criminalità che sfuggiva ormai decisamente (anche sfidandolo) al controllo occulto che in fondo le Istituzioni ne avevano fatto in passato (vedi Banditismo, Vendetta privata, Violenza contadina, Violenza locale) REATI MINORI (civili e penali, giudicati nelle Curie delle giurisdizioni di competenza secondo il diritto ordinario e i Capitoli locali, criminali e civili (vedi). REO: Il diritto intermedio sanciva che ogni accusato fosse reo, cioè colpevole, salvo che non se ne provasse l'innocenza, concetto contrario a quello tutt'oggi in vigore, per cui la reità e la colpevolezza dipendono semmai dalla sentenza di un procedimento giudiziario correttamente condotto; v. BATTAGLIA, XV,s.v,n.21:"Chi si è reso colpevole di un illecito ed in particolare chi è considerato colpevole di un determinato reato da parte della legge, dalla pubblica autorità e, come tale, è sottoposto a giudizio penale" (e in questa accezione, che ignora il garantismo del diritto per cui nessuno è reo o colpevole se prima non è stato riconosciuto tale a seguito di regolare processo, si fondono e si confondono una prospettiva di diritto sostanziale e di verità oggettiva ed una di diritto processuale e di verità come solo asserita dall'accusa). RIBELLE: ant. e con forme dialett. = "che si ribella all' autorità costituita". Nel Dir. intermedio e negli Stat. Crimin. per R. prevale l'accezione di chi è stato condannato per reati contro lo Stato e mandato in Esilio, spesso con un complemento di specificazione che indica lo Stato: V. Il Novellino (308) di Masuccio Salernitano in BATTAGLIA, s.v. RINNEGATO chi rifiuta la propria adesione ad un determinato credo religioso per un altro; nel XVI sec. "chi abbandona il cristianesimo per la religione musulmana". R. è grossomodo sinonimo di Apostata ed aggravante di Bandito, Esule, Pirata, Predone, Proscritto, Ribelle> spesso si trattava di persone catturate dai Turchi e convertitesi onde sfuggire alla schiavitù, in altri casi si trattava di delinquenti od esiliati dalla giustizia penale genovese ( e no), che cercavano presso i Turchi, "colle loro conoscenze e capacità", un'occasione di riscatto. R. fu il calabrese Luca Galerni, divenuto Ulugh Alì ammiraglio della flotta "turchesca" o "barbaresca" - in pratica la flotta imperiale turca del Mediterraneo occidentale - che dal 1543 assediò a lungo Nizza ma poi anche saccheggiò il litorale ligure>DURANTE - POGGI - TRIPODI, p.154 [fra i "Turcheschi", come eran detti i componenti della flotta, perlopiù nordafricani e R. , il 26-VI-1561 tre Rinnegati liguri - Marco di Civezza, "il Gonnella" di Riva Ligure e "Nasomozzo" di Pompeiana, forse un criminale transfuga già punito con l'Amputazione del naso (qualche studioso nella Cronaca del Calvi, che è fonte dei fatti, legge "Naso marcio") - esperti dei siti, guidarono i Turchi a devastare Castellaro, Pietra Bruna, Boscomare e altri paesi del retroterra di Taggia, per rifornirsi e catturare prigionieri da vendere come schiavi o di cui chiedere il Riscatto: DE APOLLONIA-DURANTE, pp.167-180]. ROTTI> termine gergale genovese per "persone dichiarate fallite" dalle autorità: vedi "Magistrato dei R." RUFFIANO (-A)> (v.voce "Lenone" )>Deriva dal latino rufulus incrociato con l'italiano "ruffa" = "calca di folla" [deverb. dal longobardo (bi)hroff(j)an] e con "puttana" (dal fr. antico putaine). Rufulus è diminuitivo di rufus ("tendente al rosso") variante rustica sabina rispetto a rubus ("rovo") e alla famiglia di rubere e ruber> Con due recenti ipotesi si propone la derivazione del termine dal nome proprio Rufia (con declinazione lat.-germ.) riferito all'uso delle Prostitute di portare parrucche bionde oppure al nome del gran sacerdote dei misteri di Mitra, vestito di rosso e detto Rufys cioè "il Rosso">DEVOTO, s.v.- BATTAGLIA, s.v. > "Indica chi per tornaconto si fa intermediario di convegni amorosi": anche Mezzano (-a) dal lat.volg. medjanus, classico medianus. STUPRO/ VIOLENZA CARNALE > dal lat. stuprum che forse deriva dalla rad. stup = "battere","colpire" (l'immaginazione > "stupire" dal lat. stupere passato alla coniugazione in -i; variante con s- iniziale di una rad. che significa "battere" ed è documentata, senza s-, in aree greca (typto = batto), slava, indiana). Su questa via interpretativa lo Stupro è definibile in latino eufemistico come "colpo", con estensione a "colpi" e "violenze di ordine sessuale". Negli "Stat.Crim." genovesi (lib. II, cap. 3): "Se lo S. è avvenuto in casa dell'uomo incolpato (dove, per la morale del tempo, una donna seria non avrebbe dovuto recarsi) si commina una multa da 50 a 100 lire; se dopo lo S. l'uomo avrà fatto della donna una Concubina sarà mandato a morte; si avrà Supplizio capitale se lo S. sarà avvenuto in altro luogo che l' abitazione del colpevole: solo da uomini di famiglia, su parentele precisate nel cap., è denunciabile lo S."(passività giurid. femminile). UNTORI (genovesi?)> il DELRIO (t. II,p.30,col II) parla di "avvelenatori diabolici", individui che, stretto un patto col Maligno, lo avrebbero servito avvelenando delle vittime predestinate, valendosi di filtri pei propri crimini o, al fine di propagare la peste, d' una particolare untura: come,secondo G. Cardano citato dal DELRIO, sarebbe accaduto, verso il 1536 o in anni poco posteriori, ad opera di Avvelenatori diabolici genovesi che avrebbero poi pagato con la morte sul patibolo i loro crimini [per serietà interpretativa - vista la carenza di fonti ufficiali - vien però anche da pensare ad una svista tipografica o ad un errore dell'autore in quanto nel XVI sec. le segnalazioni di morti sul rogo per Untura diabolica, all'attuale livello di conoscenza (per Milano il discorso varrà nel '600: F.NICOLINI, La peste del 1629-1632, in Storia di Milano, Fondaz.Treccani degli Alfieri, Milano 1953-1966, vol.X, p.519) risultavano piuttosto distribuite dalla Savoia al territorio svizzero di Ginevra (il cui nome latino spesso gli stampatori confondevano con quello della capitale ligure)>in effetti - durante la pestilenza del 1579/'80 - mentre il Duca sabaudo faceva procedere ad esecuzioni sommarie dei presunti Untori, la Repubblica di Genova risultò molto più tollerante e si ha soltanto menzione dell'arresto e della tortura di "tre forestieri" sospetti d'Untura ma rilasciati immediatamente appena si ebbe il debito rendiconto sulla loro innocenza: DURANTE-POGGI, pp.130-131> vedi anche: D.SELLA - C.CAPRA, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796 in Storia d'Italia, Torino, U.T.E.T., vol.XI, 1984, p. 129, nota 2]. USURA (condanna ecclesiastica)> "interesse esagerato di un capitale" dal lat.usura, a sua volta deriv. dal verbo latino uti = "usare"(Conc. Niceno I - 325)>: "CANONE XVII - Dei chierici che esercitano l'usura/ Poiché molti che sono soggetti ad una regola religiosa, trascinati da avarizia o da volgare desiderio di guadagno, e dimenticata la divina Scrittura, che dice: 'Non ha dato il suo denaro ad interesse', prestando, esigono un interesse, il santo e grande sinodo ha creduto giusto che se qualcuno, dopo la presente disposizione prenderà usura, o farà questo mestiere d'usuraio in qualsiasi altra maniera, o esigerà una volta e mezza tanto, o si darà, in breve, a qualche altro guadagno scandaloso, sarà radiato dal clero e considerato estraneo alla regola"> Principio ripreso molto dopo e con maggior violenza contro usurai eclesiastici e laici dal Concilio Lateranense III del del 1179, i cui dettami saranno però ripresi, anche contro gli Ebrei, dal Concilio Lateranense IV-1215>:"Più la religione cristiana frena l'esercizio dell'usura, tanto più gravemente prende piede in ciò la malvagità dei Giudei, così che in breve le ricchezze dei cristiani saranno esaurite. Volendo, pertanto aiutare i cristiani a sfuggire ai Giudei, stabiliamo con questo decreto sinodale che se in seguito i Giudei, sotto qualsiasi pretesto, estorcessero ai cristiani interessi gravi e smodati, sia proibito ogni loro commercio con i cristiani, fino a che non abbiano convenientemente riparato" - (Concilio di Lione II - 1274) l'attenzione si sposta più in generale sull'Usura estendendo il discorso anche ai cristiani ed agli ecclesiastici>:"26 - Dell'Usura. Desiderando impedire la voragine degli nteressi, che divora le anime ed esaurisce quanto si possiede, vogliamo che venga osservata inviolabilmente la costituzione del concilio Lateranense (III, del 1179, carta 25, COD, 223), emessa contro gli usurai: ciò sotto minaccia della divina maledizione. E poiché quanto minore sarà per gli usurai la possibilità di prestare ad usura, tanto maggiormente verrà tolta la libertà di esercitarla, con questa generale costituzione stabiliamo che né un collegio, né altra comunità o singola persona di qualsiasi dignità, dondizione o stato, permetta a dei forestieri o ad altri non oriundi delle loro terre, che esercitassero o volessero esercitare pubblicamente l'usura, di prendere in affitto, a questo scopo, case nelle loro terre, o di tenerle, se già le hanno prese in affitto, o, comunque di abitarle; devono, invece entro tre mesi, scacciare tutti questi usurai manifesti dalle loro terre, senza ammettere più nessuno, mai in avvenire. Nessuno dia in affitto, a scopo di usura una casa; neppure sotto qualsiasi altro pretesto (o colore9. Chi facesse il contrario, se fossero persone ecclesiastiche, patriarchi, arcivescovi, vescovi sappiano che incorreranno nella sospensione; persone minori, ma singole nella scomunica, se fosse un collegio, o altra comunità, incorrerà nell'interdetto. Se poi si indurissero, nel loro animo, per un mese, contro di esso, le loro terre, da quel momento siano sottoposte all'interdetto ecclesiastico, fino a che questi usurai dimorano in esse. Se si trattasse di laici siano costretti dai loro ordinari con la censura ecclesiastica ad astenersi da questo eccesso, venendo meno ogni previlegio. 27 - Ancorché gli usurai manifesti abbiano soddisfatto nelle loro ultime volontà di soddisfar, per quanto riguarda gli interessi che avevano percepito, o determinando la quantità (del denaro da restituire), o in modo indeterminato, sia negata ad essi, tuttavia, la sepoltura ecclesiastica fino a che non si sia completamente soddisfatto - nei limiti delle loro possibilità - per gli interessi stessi, o finché sia stata data assicurazione della restituzione (e ciò nel modo dovuto) a coloro, cui dev'essere fatta la restituzione, se sono presenti essi stessi, o altri che ossano ricevere in loro nome; o, se essi fossero assenti, all'ordinario del luogo, o a chi ne fa le veci, o al rettore della parrocchia nella quale il testatore abita, dinanzi ad alcune persone della parrocchia stessa degne di fede (a questo ordinario, vicario, rettore sia lecito in forza di questa costituzione accettare tale cauzione in loro nome, cosicché possano aver poi diritto all'azione [legale]) o ad un pubblico impiegato, incaricato dallo stesso ordinario. Se poi si conosce la somma precisa degli interessi, vogliamo che essa sia sempre espressa nella cauzione; altrimenti sia determinata un'altra cauzione secondo il criterio di chi la riceve. Questi, però, non ne stabilisca scientemente una minore di quella che si ritiene per vera; se si comporterà diversamente, sia tenuto lui a soddisfare il resto. E stabiliamo che tutti i religiosi od altri, che contro la presente disposizione osassero ammettere alla sepoltura ecclesiastica degli usurai manifesti, debbano andar soggetti alla pena stabilita dal concilio Lateranense [III] contro gli usurai. Nessuno assista ai testamenti di pubblici usurai o li ammetta alla confessione o li assolva, se non avranno soddisfatto per gli interessi o fornita debita assicurazione, come premesso, di dar soddisfazione loro possibile. I testamenti degli usurai manifesti redatti in modo diverso non abbiano alcun valore ma siano ipso iure invalidi". USURA (condanna laica o dello Stato)> Storia antica dell'U.> mentre la Bibbia condanna l'U. esercitata a danno della propria gente e non quella fatta a danno degli stranieri (Deutoronomio, 23, 19) nella Grecia Classica Aristotele non giustificava l'U. in linea filosofica, giudicando la moneta quale mezzo di scambio senza spiegarsi che potesse dare dei frutti: in Roma antica l'U. non comportava disapprovazione morale né provvedimenti di legge, visto che lo stesso suo nome si usava per indicare anche prestiti senza interesse (Cicerone, In Verrem, 3, 168). Nell'alto Medioevo vista l'economia curtense e di sussistenza, data la quasi totale mancanza di liquidità per un mercato che quasi più non esisteva, l'U. quasi scomparve come fatto economico; essa ricompareve con il riprendersi dei commerci e l'esigenza di liquidità, dopo il Mille, nel basso Medioevo. Nonostante le condanne ecclesiastiche (vedi) l'U. si diffuse largamente e non solo per i prestiti alla produzione (onde cioè intraprendere attività auspicabilmente produttrici di guadagni) ma anche, per le classi non abbienti, per i prestiti al consumo (cioè per la vita di sopravvivenza, dal comprare il cibo al pagare gli affitti) con la conseguenza di enormi indebitamenti delle masse popolari e rustiche. La condanna, di Chiesa e Stato, in questa società ove i prestiti erano ormai necessari per la produzione ed i commerci, ottenne il solo risultato di reegare l'U. ad una clandestinità in cui si mascheravano gli interessi con espedienti di ogni sorta: erano diffusi la vendita con patto di riscatto (ove la distinzione tra prezzo di alienazione e di riscatto costituiva in definitiva l'interesse), la registrazione sotto forma di donativo dell'interesse estorto, la fissazione di una penale per ritardato pagamento (indicando nel protocollo di restituzione una data anteriore a quella di fatto convenuta). Lo Stato (a Genova, come a Venezia o Pisa) interveniva quando accertava queste irregolarità e si poteva perdere l'intero capitale: del resto gli Usurai erano ben consapevoli del fatto che il loro mestiere non fosse lecito e, per quietare la propria coscienza in vista della vita ultraterrena, aprivano conti destinati a "Domineddio" (in pratica ad "Opere assistenziali e di carità") o redigevano testamenti a favore di opere pie o per la realizzazione di opere pubbliche e d'arte (anche per questo la condanna ecclesiastica comportò la non ratificazione dei testamenti di usurai).Nonostante le condanne di Chiesa e Stato l'U. continuò ad essere praticata con successo, sì che i Dottori della Chiesa giunsero, con argomentazioni sottilissime, a distinguere tra il prestito ad interesse illecito per il consumo (divenuto clandestino ed ambito di gravi abusi, gestito - anche per sopravvivere - da minoranze relegate ai margini della società, come gli Ebrei destinati a suscitare contro di loro avversione etnica e razziale)e quello per la produzione ed il commercio legalmente praticato per lo sviluppo dei grandi banchieri e di un efficiente mercato finanziario e creditizio di cui il genovese Banco di S.Giorgio costituì un'emanazione tanto legale da divenire espressione massima dell'intera economia repubblicana (intanto per soccorrere chi doveva ricorrere al mercato clandestino dell'U. soccorsero in qualche modo dal '400 dei ricchi benefattori del mondo finanziario con lasciti e quindi coll'istituzione dei Monti di Pietà che accordavano prestiti su pegno). Per intendere la complessità di questo periodo è utile riportare quanto scritto da Dante Zanetti nel Dizionario Enciclopedico del FEDELE, vol.XX, alla voce Usura (p.639, col.1):"Nel 1285 il comune di Venezia contrasse un prestito all'8% e tre anni più tardi un altro prestito al 12%. Nella Sicilia di Federico II l'interesse legale era del 10%; a Verona, nel 1228, del 12%; a Genova, nella stessa epoca, era del 15%. D'altra parte nel sec.XII un mercante veneziano pagò interessi varianti dal 43 al 50%: In Francia, sul finire del Duecento, un operatore privato pagò interessi che raggiungevano il livello iperbolico del 120 e addirittura del 266%. Nel sec. XV Jacques Coeur diventò banchiere della corte di Francia prestando a carlo VII somme considerevoli a un tasso che andava dal 12 al 50%. Nello stesso secolo i banchieri di Arras pretendevano interessi oscillanti tra il 12 e il 20% e i banchieri piacentini chiedevano anche il 30%. Il comune di Vigevano contrasse prestiti al 75% nel 1411, al 90% nel 1413, al 48% nel 1439. Nel Cinquecento i mercanti cristiani che operavano nel Levante [tra cui moltissimi Genovesi] pagavano interessi del 30 o 40%. Si tratta di pochi esempi ma sufficienti a darci un quadro abbastanza fedele di una situazione che era determinata da una generale penuria di capitali e da un rischio molto elevato. D'altra parte, i prestiti finanziavano spesso operazioni speculative che garantivano profitti talmente elevati da rendere sopportabili anche tassi che ci appaiono oggi sproporzionati. Poco si conosce intorno ai saggi praticati nel mercato clandestino dell'U. spicciola, ma non è difficile immaginare quali livelli potessero toccare, dato il rischio ancora più elevato e le condizioni di estrema necessità di chi vi ricorreva".[I tassi diminuirono dal Seicento in una nuova ottica finanziaria, grazie soprattutto alla scuola Inglese ed Olandese: nei Paesi Bassi si passò tra il 1660 ed il 1700 a mutui che andavano da 3% al 2,5% mentre in Inghilterra già a fine '500 si pubblicavano saggi sull'interesse e l'U. evidenziando i vantaggi di usufruire di capitali a basso tasso di interesse nel contesto della liberalizzazione del mercato finanziario]. VEGLIA : La "tortura della V." suggerita nel XVI sec. da Ippolito di Marsiglia ed ipocritamente definita "umana" [ in effetti lo sembrava, ed in certo modo lo era, a differenza per esempio dello strappado che comportava vario genere di dolorosissime trazioni e mutilazioni] consisteva nel tenere sveglio l'imputato fin a 40 ore di seguito e risultava estremamente efficace perché giostrando sulla spossatezza fisica e psichica (senza provocare all'inquisito lesioni tali da causarne la morte e vanificare tutto il lavoro dei torturatori mirante ad ottenere confessione e delazione) in maniera lenta ma inevitabile conseguiva il risultato voluto della confessione e appunto di una delazione totale. Il meccanismo era semplice (quando il torturato, legato su tavoli o sgabelli, accennava ad addormentarsi veniva svegliato con strattoni della fune colla qualei gli si erano legate le mani) e neppure comportava l'esigenza di macchine e di esperti o numerosi tormentatori; bastava una semplice rotazione, per il necessario riposo, di quanti fossero addetti al tormento ed anche l'inquisitore non era obbligato ad un'assistenza continua, poteva dedicarsi ad altre inchieste contemporaneamente poiché lo si chiamava solo quando la vittima, sfinita, in pratica lo "invocava" assieme al notaio per "confessare" [il solo problema era quello dei "tempi lunghi" a fronte di una giustizia che cercava quasi sempre di procedere in modo quanto più spedito]. Questo tipo di tortura, per quanto non menzionata negli "Statuti" genovesi - come pure in altri simili opere giuridiche di altri Stati - dipendeva dall'arbitrio (già di per sé quasi assoluto) del giudice ma di fatto, e per giunta associata ad altri tormenti, era molto spesso applicata> ad es. Francesca Borelli, nel processo per stregoneria in Triora di fine XVI sec., si lamentò che mentre in Roma una persona veniva tenuta in media otto ore sull'eculeo o cavalletto per le trazioni il giudice della Repubblica la stava tormentando da una notte e parecchie ore di giorno (e per tale tormento si guardava bene che l'inquisito restasse sveglio sì da poterne registrare qualsiasi "segnale di cedimento"): in effetti la sventurata "strega", oltre a patire i triboli della trazione muscolare dei pesi che le eran stati legati a mani e piedi, di fatto, anche se non nella forma per quello che fu registrato dal notaio nel verbale dell'interrogatorio, andava subendo la sofferenza contestuale della Veglia (vedi Tortura inquisitoriale laica).