Dati catastali : 667 Li/Im
Provincia : Imperia
Comune : Pigna
Località : Monte Comune-Valle Rio Pozzo
Quota ingresso : 1120 m slm
Sviluppo : 84 m
Profondità : 43 m
Cenni geo-morfologici
La cavità si sviluppa nei calcari nummulitici del Luteziano (Eocene Medio, circa cinquanta milioni di anni fa).
Itinerario
Raggiunta dalla statale di costa l'alta val Nervia e quindi la Gola di Gouta si deve poi voltare verso sinistra all'ultimo tornante: per uno sterrato si giunge poi a una piccola costruzione.
La cavità si apre sotto strada presso un affioramento calcareo.
Descrizione
La grotta inizia con un ripido scivolo a cielo aperto che porta a un pozzo di circa 40 m. dove una macchia di muschio disegna la sagoma dell'ingresso: al fondo di questo un breve strettoia immette al fondo della cavità. Il rigagnolo che percorre il fondo della grotta potrebbe alimentare in parte la Tana degli Strassasacchi.
COMMODO (propriamente MARCUS LUCIUS AURELIUS COMMODUS ANTONINUS) fu figlio dell'imperatore filosofo Marco Aurelio e di Faustina Minore.
Vide la luce a Lanuvio nel 161 d. Cristo e dopo la morte del padre (17 marzo 180 d.C.) egli fu acclamato imperatore venendo a violare la consuetudine istituzionale degli IMPERATORI DI ADOZIONE che erano scelti dal loro predecessero sulla base delle capacità dimostrate (e non succedevano, come da tradizione, per via dinastica).
Uomo fondamentalmente crudele e vizioso delegò ai suoi validi generali la tutela dell'Impero (furono trionfalmente debellati i Britanni, i Parti e i Daci) e si dedicò alla vita di estremo gaudente concedendosi l'unico diletto "guerresco" dei gichi circensi.
Dotato di notevole forza fisica, fattosi appellare Ercole Romano, si cimentò davanti alla folla nel Circo Massimo trionfando in vari scontri cruenti: ma è pensabile che abbia infierito su vittime in qualche modo predestinate e variamente preparate (o drogate) per subire la sua furia.
Alla fine, scontentati tutti i potenti che avevano legittimato la decisione di Marco Aurelio e resosi inviso alla stessa guardia pretoriana, Commodo venne fatto strangolare dal gladiatore Narciso il giorno 31 dicembre del 192 d. Cristo: gli successe appunto Publio Elvio Pertinace giusto imperatore originario del Piemonte (ma anche San Biagio della Cima si vantò di avergli dato i natali) parimenti destinato a morte crudele, seppur contrariamente a Commodo, per il suo grande rigore morale
Le origini di Savona risalgono all'insediamento dei Sabatii sul promontorio del Priamar nel IV secolo a.C.
La prima citazione storica è di Tito Livio che definì la località come Savo Oppidum Alpinum nel 205 a.C. e la definì alleata di Cartagine .
L'importanza di SAVONA venne rapidamente meno da quando Roma fondò la citta' di Vada Sabatia.
Tuttavia un qualche tipo di insediamento ed una certa attività sociale, collegata ad un complesso demico, vi sopravvisse: è quanto sostennero (contro una certa miopia interpretativa di archeologi e storici accreditati) Giorgio Rossini, Maria di Dio e Elvio Magnone in una loro collegiale tesi di laurea: grazie anche all'aiuto del relatore Giuseppe Caniggia, concentrando le loro attenzioni su una mappa del 1870 dell'Archivio dell'ufficio tecnico del Comune di Savona, mappa che riproduceva l'aasetto di Savona prima delle grandi trasformazioni urbanistiche della città nel II Ottocento, individuarono nella zona detta dei CASSARI un andamento del territorio su assi ortogonali che si individua generalmente allorquando un qualche complesso medievale è stato impiantato su una preesistente castramentazione di epoca romana, come è stato recentemente confermato da alcuni RITROVAMENTI.
Dopo le invasioni barbariche SAVONA divenne poi un importante insediamento bizantino contro le pressioni degli invasori Longobardi.
VADA SABATIA fu scelta, come centro realizzato ex novo in alternativa alla ancora poco fida Savo storica "capitale" dei liguri Sabatii come punto terminale costiero della consolare Via Aemilia Scauri (109 a.C.), ma quasi certamente solo in età augustea il centro assunse caratteristiche urbane anche in funzione della realizzazione della grande via commerciale Julia Augusta e quindi dell'inserimento di Vada Sabatia nella complessa ramificazione del mercato apero imperiale.
La planimetria di Vado romana è comunque tuttora sconosciuta: anche se si sono rintracciati i resti di una casa romana negli scantinati del municipio di Vado, in Piazza S. Giovanni Battista (II secolo a.C. - IV secolo d.C.).
Sulla base delle fonti, dell'antica cartografia romana tardo imperiale e di alcuni autori tra cui Plinio Seniore è facile supporre tuttavia l'importanza del ruolo della località per i traffici essendo un crocevia di incontri tra strade importanti: vi perveniva, scendendo da Tortona, e poi Acqui, la Julia Augusta e contestualmente vi terminava il suo lungo viaggio la via Aurelia la cui ultima tappa significativa era stata la località ligure costiera di ALBA DOCILIA: contestualmente era nota la vitalità dell'approdo marittimo di Vada Sabatia dove sorgevano i terminali di molte aziende commerciali, tra cui, con estrema probabilità, il legname che dall'area pedemontana alimentava l'importante azienda di esportazione di Publio Elvio Pertinace.
Nonostante la carenza di rinvenimenti archeologici un contributo rilevante sull'analisi della romanità nell'agro di Vado romana lo offre lo studio dei ponti della Val Quazzola.
Questa valle, denominata nel Medio Evo Tre Ponti, è tuttora da una mulattiera (chiamata strada romana) che quasi certamente insiste sul percorso antico della Via Aemilia Scauria (il cui tragitto in effetti era più arduo di quello della Julia Augusta specie in prossimità di Capo Noli) e lungo la quale si allineano SEI PONTI ROMANI DI CUI DUE ANCORA TRANSITABILI.
SAVONA fu distrutta nel 643 da Rotari re dei Longobardi, ma durante il IX e X secolo diventa capitale della Marca Aleramica e successivamente un libero Comune.
Savona ha poi combattuto una lunga battaglia con Genova e ha raggiunto la sua massima espansione quando due cittadini di Savona diventarono Papa: Sixtus IV e Giulius II.
In epoca romana sorse, nella pianura di Albisola, un centro di notevole importanza.
ALBA DOCILA è ricordata in alcuni documenti romani e si trova segnata sulla più celebre carta delle strade dell'Impero Romano, compilata nel IV secolo e conosciuta col nome di Tavola Peutingeriana, dal nome del suo scopritore.
Sulla "Tavola Peutingeriana" Alba Docilia è segnata come stazione della strada romana tra Genua (Genova) e Vada Sabatia (Vado), che era allora un nodo stradale di estrema importanza.
La strada romana, l'antica via Aurelia, il cui percorso si può ricostruire sulla base di alcune scoperte di tombe e di monete, e che coincide col percorso dell'antica strada a monte, rimase in funzione fino all'epoca napoleonica e fu abbandonata soltanto con la costruzione della litoranea in età napoleonica.
La strada romana, per quanto si è potuto dedurre dal lato topografico, doveva fare il suo ingresso in Albisola dalla parte di Genova al Ponte dei Siri, per poi scendere alla Cappella di San Sebastiano, raggiungere le falde del Castellaro, attraversare la contrada Villa di Albisola Superiore e il torrente Sansobbia, toccare la frazione di Grana e quindi proseguire verso Vado, per il Bricco Spaccato.
In seguito alle invasioni barbariche, la popolazione di Alba Docilia abbandonò le abitazioni della 'pianura e si ritirò su posizioni più facilmente difendibili, secondo un processo storico che si nota, non soltanto qua, ma in tutto il mondo romano.
Sorsero allora e si svilupparono due distinti, centri, corrispondenti ai due futuri comuni delle Albisole.
La Via Aurelia Antica era la strada romana che attraversava l'Etruria collegando Roma con l'odierna Torre di Vada in provincia di Livorno.
Il prestigioso asse consolare fu realizzato dal censore Caio Aurelio Cotta, della gens Aurelia, nel 241 a.C., allo scopo di collegare le colonie di Cosa, Alsium e Fregenae.
A questo primo tracciato che tagliava fuori gli antichi centri etruschi, in quanto seguiva la costa tirrenica, fu aggiunto, nell'entroterra, la Via Aurelia Nova, costruita forse nel 116 a.C. dal console L. Aurelio Cotta.
Nel 109 a.C. fu aperto il tratto compreso tra Luni e Genova.
L'Aurelia partiva da Ponte Emilio (Ponte Rotto) e attraversava tutto Trastevere, in parte sopraelevata, lungo un viadotto alto più di 5 m. (ritrovato nella zona di San Crisogono) fino al Gianicolo.
Il viadotto doveva aiutare a tenere l'Aurelia in quota per evitare gli impaludamenti, che sarebbero stati inevitabili durante le alluvioni provocate dallo straripamento del Tevere.
L'attuale Via Aurelia, che unisce Roma al confine francese di Ventimiglia, segue quasi costantemente l'antico percorso.
Quasi certamente i Liguri, in qualche maniera condizionati da intrusioni celtiche (galliche) si deve la genesi toponomastica della VAL BORMIDA.
L'idronimo, cioè il nome del fiume che caratterizza tale valle, pare legato al culto di Bormanus, o Bormo, il dio celto-ligure delle "acque calde e spumeggianti" venerato in un ambito geografico molto vasto che va dalla Francia al Portogallo: basti esaminare, per una comparazione critica abbastanza semplice, il caso ligure costiero del Lucus Bormani.
Le tribù liguri che abitarono il territorio furono probabilmente quelle dei Ligures Epanterii Montani, degli Statielli e degli Ingauni, le quali furono coinvolte nel 205 a.C. nelle guerre puniche.
Gli Epanteri Montani, insediatisi nell'entroterra savonese, dovettero sostenere l'urto delle forze del cartaginese Magone, reduce dal saccheggio di Genova, unite a quelle dei Ligures Alpini e Ingauni.
Allontanata la minaccia cartaginese, Roma volse lo sguardo verso le genti liguri: fiere e gelose della propria indipendenza, esse resistettero valorosamente alla conquista, ma furono costrette a piegarsi di fronte alla macchina bellica del nemico.
Nel 180 a.C. il console Lucio Emilio Paolo sconfisse gli Ingauni.
Poi, nel 173 a.C., Marco Popilio Lenate sottomise di nuovo i Liguri.
Nonostante le disfatte, il popolo ligure non si piegò e fu necessaria un'altra campagna, nel 163 a.C. da parte del console Sempronio Gracco, per debellarne definitivamente la resistenza.
Completata la conquista militare, i Romani riorganizzarono giuridicamente e amministrativamente il territorio dell'odierna VAL BORMIDA, che venne inquadrato nella IX Regione e sottoposto alla giurisdizione del municipio di Alba Pompeia, iscritto alla tribù Camilla.
È probabile che le zone dell'alta valle, attigue alla VALLE DEL TANARO, fossero invece sottoposte al dominio del municipio di Albigaunum, iscritto alla tribù Publilia.
Anche la rete viaria venne ridisegnata dai Romani: la via più importante della Val Bormida fu la Aemilia Scauria, fatta costruire nel 109 a.C. dal console Emilio Scauro, che univa il centro di Aquae Statiellae a Vada Sabatia passando per Piana, Cairo, Ferrania e Altare.
Unici centri dei quali resti documentazione di questo periodo parrebbero essere le mansiones stradali di Crizia e di Canalicum.
La prima si ritiene localizzata a nord di Piana, in un'area pianeggiante chiamata Pareta, dove si sono rinvenuti numerosi frammenti ceramici e tracce di un insediamento.
Del centro viario ma anche di ristoro (mansio stradale romana) detto di CANALICUM si hanno solo ritrovamenti sporadici, che potrebbero farne individuare la sede nei pressi della pieve paleocristiana di San Donato di Cairo Montenotte.
Sul sovrastante Colle di Santa Margherita fu rinvenuto un busto marmoreo.
Altra testimonianza dell'epoca è un cippo in arenaria, attualmente murato nella torre di Porta Soprana, sul quale si legge: ENNIUS L(UCII) F(ILIUS) FAUSTI(NUS).
La presenza romana viene poi segnalata a Carcare, dove sono state trovate tombe a tegoloni.
Più interessante è la piccola ara votiva di Millesimo, conservata presso la Biblioteca comunale.
Si tratta di un altarino di pietra sul quale compare l epigrafe: M(EMOR) V(OTI) S(USCEPTI) C(AIUS) METTIUS C(AII) F(ILIUS) CAM(ILIA TRIBU) VERECUNDUS ALBA C(ENTURIO) LEG(IONIS) D(ECIMAE) GEM(INAE) P(IAE) F(ELICIS) L(AETUS) L(IBENS) M(ERITO).
Sarebbe quindi un altare fatto erigere da un centurione della X Legione Pia Felice in scioglimento di un voto.
Nei pressi di Piana è stata rinvenuta una terza epigrafe, anch'essa a seguito di un voto fatto da un certo Flavio Clemente, militare nella XV Legio Apollinaris, come suggerirebbe il testo: FLAVIUS CLEMENS MIL(ES) LEG(IONIS) XV APOL(LINARIS) M(EMOR) V(OTUM) S(OLVIT) L(AETUS).
Infine va ricordata la presenza di una lapide mutila, murata all'interno del Santuario di Nostra Signora del Todocco, sulla quale si legge: L(UCIUS?) MARIUS.
La decadenza dell'Impero Romano d'Occidente aprì la strada alle orde barbariche che percorsero la Via Aemilia Scauri portando ovunque distruzione e rovina.
Le convulse vicende dell'epoca non permettono una chiara visione della situazione storica.
Unico punto fermo fu la riconquista delle coste liguri da parte dei Bizantini, che le inquadrarono nella Provincia Maritima Italorum, difesa sui crinali appenninici da robuste fortificazioni.
Questo LIMES arginò l'invasione longobarda dal 568 al 643, quando la Maritima Italorum cadde sotto il dominio di Rotari che saccheggiò la Liguria da Luni a Ventimiglia.
Completata la conquista, i Longobardi imposero i loro ordinamenti, gettando le basi del sistema feudale.
Pochissime le testimonianze archeologiche di questo periodo: abbiamo praticamente solo il rudere di un castrum bizantino presso la chiesa di San Nicolò di Bardineto, poi occupato dai Longobardi. Labili tracce di influssi culturali bizantini si potrebbero trovare nelle dedicazioni a San Nicolò di Bari e a San Giorgio, il più venerato tra i santi di quelle genti.
Ad essi si contrappose in seguito il culto di San Michele, patrono delle popolazioni longobarde.
La conversione dei re longobardi al Cristianesimo diede nuovo impulso al monachesimo benedettino: rinacque, nel 707 per opera di Ariperto II, il monastero di San Pietro di Savigliano e sorse, per volontà di Luitperto, l'abbazia di Gesù Salvatore a Giusvalla.
Queste prime fondazioni monastiche sono il prologo di una parte importante della storia medievale valbormidese.
La presenza monastica si accrebbe dopo la conquista franca del 774: a Carlo Magno si attribuisce infatti la costituzione del monastero di San Pietro in Varatella, che ebbe ampi possedimenti a Bardineto e Calizzano, con le chiese di San Giovanni e Santa Maria.
Ma dopo l'889 i territori liguri subirono nuove devastazioni: le orde saracene, favorite dalle discordie feudali, misero a ferro e fuoco Acqui e l'Albese, distruggendo l'abbazia di Giusvalla nel 936 e attestandosi nella regione di Tortona intorno al 950.
L'invasione costrinse Berengario II di Ivrea, re d'Italia, a riorganizzare amministrativamente la Liguria suddividendola in marche. I frutti non tardarono a venire: nel 967 le truppe di Guglielmo di Provenza espugnarono il covo saraceno di Frassineto e in tal modo posero fine alla minaccia dell'Islam sulla Liguria e sulla Provenza.
La VALLE DEL TANARO è sempre stata caratterizzata dalla replicazione di vari insediamenti umani e da un'intensa utilizzazione agricola, tanto nella piana vera e propria che prende denominazione dall'idronimo ("Tanaro") quanto nei primi rilievi collinari immediatamente a sud di essa.
Le prime testimonianze certe riguardo al territorio risalgono all'età romana: si cita vantare una "villa rustica" utilizzata lungo tutta l'età imperiale e poi abbandonata in seguito alle invasioni barbariche; ha un'estensione di circa 2000 mq. e si trova in loc. Boana, presso il cavalcavia di c.so Savona.
Fu scoperta nel 1983, ma i primi scavi risalgono al 1997.
Altra testimonianza importante di questo periodo è il ritrovamento, nel 1891, durante i lavori per la costruzione della linea Asti - Ovada, di una tomba romana.
Nella stessa località, sempre per gli scavi della ferrovia, son stati riesumati altri oggetti relativi a sepolture ancora di epoca romana.
Tutti i reperti esaminati e catalogati da G. Fantaguzzi, ispettore degli scavi, furono a suo tempo inviati al Museo di Antichità di Torino.
Un ritrovamento archeologico è avvenuto in Valle o Prato della Morte, Val d'ra Mort, (attuale Valle Rivi) e di conseguenza si è proposta la teoria secondo cui la valle venisse percorsa da una strada romana di collegamento tra Asti e la val Tiglione: e da qui il tragitto avrebbe poi condotto con Acqui e poi al mare.
La mancanza di una sistematica indagine archeologica non ci permette di avere notizia per i primi secoli dopo le invasioni.
Solo dalla data 875 ricompaiono testimonianze sulla zona: in un atto dell'Archivio Capitolare di Asti compare per la prima volta il nome di Nante, paese che fu di rilievo anche se ora risulta scomparso e che occupava verisimilmente un areale nella zona di Bricco Gianotti.
Nel X secolo sono testimoniati località la cui sussistenza si è tramandata alla contemporaneità: S. Dionigi (presso il Trincere, oggi C.na S. Dionigi), Monte Antero (presso Serra S. Domenico), Sclavino (Rocca Schiavina).
I documenti, non scarsi, mostrano il territorio come un complesso a mosaico di piccole proprietà terriere: manca una signoria bannale.
Soli proprietari di rilievo risultano gli ecclesiastici, che saranno titolari di queste terre fino all'età napoleonica.
Nel XII secolo risulta menzionato poi un piccolo villaggio: S. Marzano di Rocca Schiavina.