cultura barocca
 
 
 
 

BOIA

IL BOIA

Cliccando qui analizza (con la visualizzazione di un apparato di immagini antiquarie) la figura del BOIA - CARNEFICE nell'ambito del diritto intermedio.


LA PIAZZA UNIVERSALE DI TUTTE LE PROFESSIONI DEL MONDO
OPERA DI TOMASO GARZONI
DISCORSO CVLI
DE' SBIRRI O ZAFFI O AGOZINI

"Quantunque il mestiero de' BIRRI o ZAFFI sia per se stesso vile e infame [quasi quanto quello del boia], e per tale giudicato dalle leggi universali, nondimeno per mantener la giustizia in piedi e per servare il ben commune, è riputato non solamente utile, ma necessario appresso a tutti, imperò che senza esso impossibil sarebbe viver quietamente e goder l'amata pace, con piacer degli altri e suo proprio contento particolare.
Però in ogni stato, in ogni reggimento e governo s'è costumato sempre d'aver copia di tai ministri, che quando il tempo e gli eccessi lo richiedono, possino condurre altrui dinazi a' tribunali sforzatamente e contra voglia loro.
Furon per questo chiamati, secondo Aulo Gellio, anticamente da' Romani LITTORI [Noct. Att., XII, 3,1-2 = vi è citato anche da Cicerone il Pro Rabirio, 13 = "Littore, legagli le mani"], perché al lor mestiero s'appertiene di ligar le persone in modo che non scappino, e condurle in prigione, onde a questo proposito, nell'orazione di Marco Tullio [Cicerone] per Caio Rabirio, son scritte queste parole: "Lictor colliga manus".
Nella qual cosa (come dice Fritada [personaggio di servo furbacchione della Commedia dell'Arte]) son peggiori del diavolo, perché esso piglia l'anima, ma loro prendono l'anima e'l corpo insieme.
Ebbero anche il nome di VIATORI dal chiamar che facevano nella via, da parte de' consoli o d'altri, le persone di rispetto senza legarle.
Però disse Tito Livio in un luogo, ragionando d'un di costoro: "Consul viatorem misit, qui patri nunciaret, ut sine lictore ad consulem veniret" [Ab urbe condita, XXII, 11,5].
[Stupisce un poco -ma ai suoi tempi l'investigazione archeologica e letteraria in merito aveva dato ancora pochi risultati- che il Garzoni in questa sua ricerca di collerazione tra SBIRRI e SERVENTI DELLA GIUSTIZIA ANTICA non abbia tirato in ballo il romano CORPO DEI VIGILI o MILITIA VIGILUM la cui primaria funzione di reprimere gli incendi fu estesa in Roma imperiale anche da attività di sorveglianza e repressione della delinquenza cittadina, attivia specie durante la notte]
Di questa turba vile e inetta si servivano presso a' loro i dittatori, gli interregi, i consoli, i pretori e tutti chli altri magistrati, che non solamente avessero ufficio, ma imperio.
E la più parte (come riferisce Aulo Gellio [in Noct. Att., X, 3, 19] furono de' popoli Bruzzi, o Abruzzesi, i quali s'accostarono a Annibale mentre fece guerra a Roma, mentre vinti i Cartaginesi, furon da lor sforzati a far questo mestiero, e indi tutti i BIRRI furon chiamati a quel tempo per cognome "BRUZIANI", come oggidì in Italia alcuni costumano chiamarsi CALAVRESI e MARCHIANI, essendo che Fermo, per altro città onorata, e CAGLI nella MARCA, e così la CALAVRIA da' loro territori producono di questa semente in maggior copia ch'altri paesi.
I pretori (come attesta Appiano nell'Historia siria] e così i propretori n'ebbero sei deputati a' lor comandi, ma i consoli e i proconsoli (come vuol Carlo Sigonio, nel secondo libro De antiquo iure provinciarum, allegando Marco Tullio [Cicerone] in un luogo dove parla di Pisone proconsole della Macedonia) n'ebbero dodici destinati al loro servizio [vedi De antiquo iure civium romanorum, II,1, vol.2, pp. 123-124].
Sono costoro [i BIRRI] nell'ufficio loro di terrore a tutti, perché, rappresentando il prencipe, quanto all'essecuzione della giustizia, comandano sotto pena della disgrazia sua, che si vada con essi, e, toccando solamente con la BACCHETTA (come s'usa in Napoli) [BACCHETTA, vedi Francesco da Barberino in Documenti d'amore; der. del lat. BACCUS da BACULUM, variante di BACULUM = BASTONE, CON -ETTA femminile = bastoncino di legno, metallo o altro materiale usato per percuotere, indicare, sorreggere, ecc.: bacchetta del maestro, BACCHETTA DE' BIRRI donde l'espressione punir con tot numero di BACCHETTATE forma teoricamente minore di tortura e/o pena corporale per piccoli reati: originariamente BASTONE DI COMANDO ma poi in questo ultimo caso antesignano di MANGANELLO come arma peculiare e sfollagente] le persone di rispetto, sono ubiditi.
Usano di ZAFFAR [acciuffare, imprigionare] la plebe fra le braccia, menar per il DITO GROSSO (ch'è la PRESA DA SBIRRO) [portar legati per il pollice], legar con le funi, incatenare, porre in prigione, metter le manette, ficcar ne' ceppi, cacciar ne' fornelli, ne' camuzzoni [CAMUZZON voce veneta per PRIGIONE SEGRETA ove si perpetravano tutte le forme di vessazione e donde mai si uscivi da vivi], nelle forti, dar la corda con contrappesi di piombo o di ferro, con la camiscia bagnata, col scuoter della bacchetta, il fuoco a' piedi, il tormento della celata, i dadi infuocati, l'agucchie nelle unghie, il bolgicchino [BORZACCINO o STIVALETTO = strumento per tormentare i piedi], il cavallo, la cordella per bocca, la vegghia, l'eculeo o la capra, e mille altri martirii che, negli eccessi gravi, e massime ne' peccati di lesa maestà, sono adoprati contra i malfattori protervi e ostinati.
Sono accarezzati [blanditi, comprati] da' PRIGIONI, perché han bisogno di loro; e qualche volta convitati, acciò col mezzo dell'ebrietà possino uscir di PRIGIONE quando gli piaccia.
Sono onorati da' villani estremamente, perché sempre han paura d'andar prigioni per qualche cosa e, quando van da loro, mettono del meglio c'hanno in tavola per fargli carezze; benché per questo i furfanti non portan rispetto loro, anzi non basta essergli gravi con le spesse cavalcate a casa, ché sono i primi a esser visitati quando accade a tor de' pegni, o correr dietro a' banditi, o scorrer per le feste, o far qualche PRIGIONE appresso alla villa.
In alcune cittadi e castella ancora, vengono istimati particolarmente come DONZELLI del Signore, dove che a Bergomo [Bergamo] l'usa che loro apparano in chiesa le sedi del magistrato; e in alcuni castelli di Romagna servono per compagni de' podestà quando vanno a spasso per la terra, mentre le genti son soddisfatte assai bene della melonaggine [stupidaggine] loro.
Ma l'onor principale ch'hanno vien da' signori, quando gli fanno assistenti alle barriere e ai steccati - con gran vergogna della MILIZIA che manca di risentirsi in tal disonore- e quando son mandati contra BANDITI in compagnia delle FANTERIE, degli ARCOBUGIERI A CAVALLO, e de' CAVI LEGGIERI, quasi che la SBIRRARIA infame debba far concorrenza con l'arte militare così onorata.
E pochi si trovano che, cupidi di gloria, voglian seguir l'essempio de' tedeschi di Milano e dei CAVAI LEGGIERI di Ravenna che, alcuna volta, per voler essi portar le lancie e l'alabarde, arme pertinenti alla milizia loro, gli han fatto rilevar brutte ferite per la testa, con vergogna di quelli e onor grande della loro professione [casi di SOLDATI che hanno picchiato degli SBIRRI].
Il PROPRIO UFFICIO del BIRRO è circondar d'intorno e raggirar per tutta la città, sol per veder se si trova chi rubba, o chi porti arme senza licenza, o chi uccida, o chi facci contrabbando, o chi vada spiando, o chi perverta in qualunque modo le leggi communi overo municipali.
Dove che il giorno prattica per le bettole, per le piazze, per gli ridotti, per le baccane, e scorre per le campagne alla foresta; e di notte va attorno le MURA, per gli chiassi, su le feste, per le strade, per le calli, cercando d'inciampare in qualche legno, o d'urtare in qualche palo che li rompa le spalle.
E' malizioso veramente in ogni azione quanto dir si possa, perché, per buscare, si fa amico de' furbi, porta il lume dinanzi a tutte le ladrarie, tien compagnia con loro, serve a essi per spia, dissimula i latrocini, e s'allontana per non pigliare i ladri a bellissimo studio.
Se vien dimandato degli OMICI finge di non esser stato presente, o non aver conosciuto le persone, o che i BRAVI erano in troppo numero, o che son scappati troppo presto, o che non ha potuto ritrovargli; anzi li avisa, gli raguaglia, gli fa animo, tradendo per dinari la giustizia occultamente.
Nel DAR LA CORDA stringe ben chi gli piace, e mal chi egli vuole; racconcia le braccia a alcuni, ad altri le stroppia; avvisa uno in prigione, un altro lo stenta; aiuta di cibo questi e lascia morir di fame quest'altro.
Nel cercare i contrabandi overo che troppo minutamente mette sossopra ogni cosa, mostrandosi curioso e presontuoso insieme, overo che con due gazzette si fa tacere; e benché faccia vista di fermar la robba, di gridar se v'è cosa da GABELLA, nondimeno nell'aprir della borsa s'acheta a un tratto, e, come rana, ammutisce subito col boccone.
Mentre si corre dietro a FUORUSCITI gioca da largo col cavallo: non è il primo a dar l'assalto, si discosta più che puole, si trattien da parte più che volentieri, e per salvar la pelle per i fichi fugge ogni rischio del corpo contra di loro.
Nel caminar di notte usa da buon furfante di SMORZARE I LUMI a posta a qualcuno per farlo trarre i soldi, acciò non sia condotto in PRIGIONE; overo affronta un altro e fa mostra di cercar per l'ARMI, e gli piglia la borsa con soperchieria.
Tiene prattica con le MERETRICI.
Per cogliere, se può, qualcuno ch'abbia in SPIA, ha commercio con gli osti perché dà ricetto a' furbi dentro all'ostarie.
Ed è compagno del MAGNIFICO BOIA, perché la simpatia de' mestieri gli ha legato il budello insieme a tuttadue.
Sono infinite le malizie d'un SBIRRO , perché s'alleva fra le FORCHE e le BERLINE; prattica co' PRIGIONI c'hanno il diavolo addosso; conversa ne' palagi dove ascolta molte furfanterie; ode i tratti de' furbi e mariuoli, i colpi de' TRADITORI e ASSASSINI, gli atti delle PUTTANE e de' RUFFIANI, gli inganni e stratagemi de' FUORUSCITI, le malizie di QUEI CHE ROMPONO LE PRIGIONI: talché, in processo di pco tempo, diviene come volpe astuto e malizioso.
Fra l'altre sue malizie ottengono il principato queste: che molte volte favorisce i ghiotti (GALEOTTI), con lasciarli fuggire, apre lor le prigioni, disserra i cadenazzi e gli spicca per forza dalla forca; altre volte s'accorda co' REI ed esce insieme con loro a RUBBARE; qualche volta tien mano a ruffianesmi, lascia stracorrer le LIBIDINI a suo piacere; talora stenta i miseri nel riscatto, facendosi pagare la CATTURA di soverchio; tal volta dà MARTORO molto maggior che non gli è comandato; e , alcuna volta, come ebio di crudeltà, amazza chi non ha colpa né peccato.
I vizi di questi ZAFFI passano la misura da ogni parte, perché essi son compagni del GIUOCO, fratelli della CRAPULA, parenti stretti dell'EBRIETA', amici cari della BESTEMMIA, servitori della disonestà, schiavi del vitupero, e un nodo istesso con la viltà, con la vergogna e con l'infamia.
Le parole scorrette, le dissoluzioni compite, le furbarie perfette, tutte le furfanterie del mondo hanno fatto un chaos in loro.
Però non è maraviglia se sono essosi appresso a tutte le persone d'onore, e se ogn'uno ha vergogna di pratticar coi ZAFFI, essendo macchiati d'una pece così brutta e vergognosa.
E par che il mondo a tante lor sciaguratezze abbia trovato assai degno castigo, perché ogn'uno gli odia, ciascun gli sprezza, chi gli chiama furfanti, chi gli dice poltroni, chi li nomina bricconi, chi canaglia, chi schiuma di gaglioffi, chi gli ordisce qualche trappola da fargli traboccar di notte e rompersi le gambe.
Ma son TRE SORTI DI PERSONE, sopra tutto, che son veramente la salsa de' ZAFFI: cioè i SCOLARI, i BRAVI e i FUORUSCITI.
Da' primi [cioè gli SCOLARI (o STUDENTI)
] non ricevono essi altro che burle strane, di lacci tesi di notte per fargli precipitare, di dargli una corsa buona per fargli sudare, di serrarli in qualche stretto per poterli commodamente a lor modo stringare.
Da' secondi [BRAVI: nel genovesato si usava però l'espressione SCAVEZZI] non acquistano altro che SFRISI [sfregi] in sul mostaccio, PUGNALATE in su la testa e ferite nella vita.
Dagli ultimi [FUORIUSCITI] non tranno altri avanzi che buone ARCOBUGIATE, altro guadagno ch'esser' uccisi, altro premio che restar vituperosamente per la gola appiccati.
Con costoro non vaglion denoncie, non querele, non lamenti dinanzi ai podestà, non relazioni o riportamenti, non invenzioni o bugie (delle quai son pieni communemente), perché qui non si risponde se non con le mani, non si parla se non con la SCOPETTA, non si favella se non coi colpi di SIMITARRE o PISTOLESI.
Per questo i BIRRI fuggono d'andar contra BANDITI e d'impacciarsi contra BRAVI e SCOLARI, né il capitan mancino, né il Moretto, né Fontenovo, né Tartaglia, né il Capitan Sfrisato, né il Grighetto, né il Bassano [personaggi della Commedia dell'Arte] ardiscono di tentare il DIAVOLO di costoro, perché son come furie scatenate contra d'essi, e nemici loro mortali per natura e professione.
Saran buoni da fare una CATTURA addosso a un povero meschino che non possa muoversi, andandoli di dietro e ZAFFANDOLO strettamente per le braccia; o torre un pegno a una povera villana; o farsi dar da cena a un grammo [povero] contadino; o pigliar su una festa, in sessanta o settanta, un pover'uomo di nascosto, ove allora mostrano la valentigia loro.
ma alla caccia de' FUORUSCITI gli treman le viscere nel corpo, impallidiscono i volti per timore, hanno la febre fredda per spavento e si lordano tutti per paura che non gli tocchi a loro.
E quando tornano a dietro, chi suda per il fuggire, chi ansia per lo scampare, chi smania per l'affrettare, chi ha il CAVALLO stracco come un asino. chi è senza PICCA o senza LANCIA, chi è stroppiato d'una gamba, e chi è portato alla città dentro a una barella.
Or questi sono i frutti che ricevono i BIRRI del lor mestiero, a' quali è necessario sopra tutto aver buona fortuna, perché molti di loro essendo compagni del BOIA, passano per le sue mani o alla FORCA o almeno alla BERLINA; alla quale gli lascieremo attaccati, sotto pena che, chi gli spicca, debba esser da loro alla forca accompagnato.
Annotazione sopra il CLI discorso
Circa questi zaffi dice qualche cosa Alessandro d'Alessandro a carte 43 [del cap. 27, libro I]



















La messe più ricca di dati su TOMASO GARZONI da Bagnacavallo (1549/1589) proviene dalla seguente Prefazione con cui Bartolomeo, fratello di Tomaso, editò postumo il Serraglio degli stupori del mondo, adducendo testimonianze di prima mano sull'esperienza esistenziale precocemente interrotta del poligrafo che per le sue opere conseguì fama nel suo secolo sì che i suoi lavori vennero tradotti in francese, tedesco, castigliano:

Pregato e ripregato da diversi a formar come in compendio la vita dell'autore, ne potendomi così di leggero sottrarre da tanta istanza: ecco che io D. Bartolomeo fratello vero di esso a ciò mi accingo ad incominciare.
Nacque il P. D. Thomaso (così nominato all'ingresso in Religione, poiché nel secolo fu detto Ottaviano), l'anno del Signore 1549 nel mese di marzo in Bagnacavallo, Terra molto nobile e illustre, o per il territorio fruttifero, o per gli uomini in arme e in lettere famosi, sì che nella Romagna ove risiede, tiene luogo celebratissimo.
I genitori suoi e miei furono per beni di fortuna deboli, ma generosissimi oltre il loro grado nel provvedere ai figli ogni buona educazione.
Il Padre si chiamò Pietro di casa Garzoni, la madre Altabella di casa Lunarda.
Dalla natura si vide dotato di gran vivacità d'ingegno...
Nelle lettere umane fece prestissimo profitto sotto la disciplina di quella veneranda memoria di M. Filippo Ossano da Oriolo Castello dell'Imolese e di 14 anni cominciò a studiar legge, andando prima a Ferrara e dopo a Siena, ma non finì appena il terzo anno, che cambiò pensiero dandosi a studiare alla facoltà di logica, e tocco da particolar illuminazione si mise a far vita ritirata con disciplinarsi e mortificarsi, frequentando a più potere i Santissimi Sacramenti... ascoltando (il predicatore) dottissimo e eccellentissimo P. Predicatore D. G. F. Gori da Bagnacavallo... entrò nella Congregazione Lateranense nella celebre Canonica di Santa Maria in Porto di Ravenna il giorno di S. Luca del 1566 in età di 17 anni e mesi tre, dal molto venerando D. Vitale de Mercati di Ravenna fu con allegria vestito.
[...] In questo stato non è facile raccontare quanto apparisse mirabile ora in dispute, ora in prediche, ora in letture, ma senz'altro fu ragguardevole nel comporre Hinni, Salmi e Cantici spirituali; possedé più di una lingua, così bene parlava lo spagnolo, e con grande ardore si mise ad imparare la lingua ebraica, e fece stupire gli insegnanti per il gran progresso.
Non fu storico tra i latini e i volgari (che) da lui non fosse studiato, non oratore, non poeta sicché in queste professioni fu singolare e pochi gli furono eguali.
La sua memoria fu tenacissima: l'apprensione acutissima e la disposizione tanto vigorosa, che non solo componeva a lungo senza cancellazioni, ma in brevissimo tempo portava a compimento ogni suo discorso.
Quindi non è meraviglia se per le stampe vola la sua fama in ogni lato con ali d'oro e sommi applausi e con eccelsa gloria.
Ma non voglio tacere, che se ben spinto dall'altrui compagnia giovanile, e da una sua particolare inclinazione alle cose umane, proprie a soggetti accademici, acconsentì alla formazione di quelle opere, cioè: "Del teatro dei cervelli umani", "Dell'hospedal de' Pazzi", "Della sinagoga universale", "Della Piazza universale".
Nondimeno non essendo affatto gravi, egli usò maturità et grande giudizio, mentre non volle apporre al suo nome il titolo di religioso, qual in altre più accomodate a tal stato egli non negò, come: "Le vite delle donne illustri e laide della Sacra Scrittura", "Traduzione dei novissimi di Dionisio Cartusiano", "Revisione delle opere di Ugo di S. Vittore", "Discorso curiosissimo dell'huomo astratto".
S'affaticò inoltre nel comporre altre opere, ma in particolare la presente da lui promessa sotto il nome di "Palagio"; ma è parso bene a me intitolarla così.
Et nel fine di tutte le opere chi può negare che non aspirasse a cose alte?
Egli qual altro S. Tomaso vicino alla morte incominciò a comporre sopra la Cantica di Salomone.
Pertanto con queste scelte preminenti giunse il P. D. Thomaso all'ultimo dei suoi giorni, era l'anno del Signor 1589, avendo finito il quadragesimo di sua età agli otto di giugno fra le 18 e 19 ore, intendendo sempre quanto egli diceva e ragionando egli in proposito fin all'estremo, chiuse molto contrito gli occhi alla presenza mia et de' cari Genitori in Bagnacavallo con gran concorso nella Chiesa di S. Francesco; et honorandolo con bellissima orazione funerale M. R. P. Fra Francesco da Tussignano nobilissimo soggetto franciscano
.

i testi di questo sito sono stati scritti dal Prof. Bartolomeo Durante
Si precisa inoltre in particolare che questo lavoro non è a scopo commerciale ma di divulgazione culturale e per uso documentario
- Professor Bartolomeo Durante