QuandoAprosio, poco prima della fine di metà ‘600, lasciò Venezia per tornare in Liguria non aveva idea di sistemare la biblioteca a VENTIMIGLIA e cercava una città meno periferica. Però l’amico Padre Basilio Bernardi, proponendo le ragioni del cuore, gli riaccese il ricordo del luogo natio: in particolare spiaceva all'erudito frate che la città avesse fama di pessimo clima e d'aria malsana (argomento su cui in seguito ritornò per dimostrarne la falsità: ma in vero le grandi paludi generate dalla tracimazione dei mal arginati Nervia e Roia erano un fatto innegabile ai suoi tempi, tanto che l'area dei "Paschei", dove oggi grossomodo sorge il sistema municipale della città, era limosa e malsana) e nei suoi scritti cercò spesso, al contrario di elogiarne i pregi (anche per non lasciar intendere -come si sussurrava nei salotti alla moda- che egli mal soffrisse quella sorta di provinciale esilio dall'amata Venezia o comunque dalla ricca Genova). Anche per questo dovette rispondere a qualche quesito, di cui non è rimasta traccia, sulla sua vita in Ventimiglia, del raffinato erudito toscano Jacopo Lapi elogiando forse oltre misura la terra natale: fatto sta che il Lapi ne dovette restar convinto perchè in una lettera di risposta, catalogata al suo nome in "Fondo Aprosio-Biblioteca Univ. di Genova" e datata del 30 aprile 1660, gli rispose: "...Mi sovviene che nella sua lettera ella mi dava avviso come se ne stava costà per queste montagne del Genovesato mangiando di buone trote e a buon mercato e bevendo alla nostra salute, al chè Le rispondo con un magnifico: Buon pro Le faccia... (Aprosio gli doveva aver elogiate le trote che si pescavano nel Roia, argomento cui alluse in vari suoi scritti, ed in particolare gli doveva aver fatto l'elogio del vino "Muscatellinus", prezioso e sofisticato e rovinato nell'Ottocento dai parassiti dei vigneti, che più volte descrisse come degno di star alla pari dei vini pregiati e celebtrati dai grandi poeti greci e latini: B.DURANTE, Idealizzazione letteraria di un ambiente geografico (un "elogio barocco" di Ventimiglia), in "Indice", 28 (1981), pp.26-28. Realizzata dopo varie traversie nell'intemelio CONVENTO DI S. AGOSTINO (nella parte bassa e paludosa della città, allora semideserta) l’Aprosiana fu da metà ‘600 la prima biblioteca pubblica della Liguria con una dotazione di varie migliaia di volumi, incunaboli e codici MANOSCRITTI (di manoscritti ne restano ora una quarantina di vario argomento, non esclusa una preziosa variante delle Obras di Gongora e la Consolatoria del Rizzo, opera ignota alla bibliografia spagnola, individuata ed edita criticamente nel II Quaderno dell’Aprosiana, Vecchia Serie da A.M.Mignone). Aprosio (vincendo le opposizione di un frate a lui ostile, forse un ex Priore, se non addirittura il Priore in carica, che nominò sempre e solo con uno pseudonimo spregiativo, quello di TRAGOPOGONO (cioè Barba di caprone) fece apportare delle modifiche al lato orientale del convento ed ottenne una sede più ampia per la biblioteca: aveva da sistemarvi anche la propria Pinacoteca di ritratti, parecchi davvero (forniti da quelli che egli chiamava "Fautori" cioé sostenitori dell’Aprosiana) e doveva ricavarvi anche uno spazio per disporvi i reperti archeologici o d’antiquariato che aveva collezionato ed in particolare i pezzi di una discreta raccolta di monete greche e romane.
Lavorò senza soste nella sua biblioteca, ospitandovi personaggi anche illustri (si veda qui la citazione sulla mensa per gli "ospiti" che fece quando scrisse del Convento ventimigliese di Agostiniani dove prese anche la consuetudine di tenere adunanze erudite). Neppure disdegnava le opere manuali e molti volumi, specie le raccolte di pubblicazioni minori fuse in grandi tomi -le miscellanee- le realizzò di persona grazie all’esperienza di legatore che aveva fatto ai tempi del soggiorno veneziano. Il suo impegno continuò fin quasi alla morte nel febbraio del 1681 quando -essendo tormentato dai postumi di una vecchia malaria- lo sostituiva sempre più spesso il nuovo, giovane bibliotecario Domenico Antonio Gandolfo poi accademico d’Arcadia col nome di "Arcanio Caraceo". Dopo il Gandolfo fu terzo bibliotecario un de Lorenzi che redasse un primo catalogo o Pandette della raccolta libraria che conobbe un degrado quando fu occupata e saccheggiata dalle truppe austriache a metà settecento durante la guerra di Successione al Trono Imperiale sì che alla fine, fortificati chiesa e convento tra 1746 e '47, l'intiera struttura divenne un avamposto contro le forze franco-ispane asserragliate in Ventimiglia alta e che non mancavano di bombardare il complesso o di tentare contro di esso delle avventurose aggressioni, anche di notte. In particolare l'ufficiale francese La Molinere tentò di prendere la base del Convento grazie ad un assalto notturno che condusse a capo di 500 fanti; egli, dopo aspre sparatorie, riuscì a forzare le difese e ad entrare nel chiostro mettendosi, pur a scapito di considerevoli perdite, al riparo dal tiro dei fucilieri austriaci dislocati sulla Loggia superiore dell'edificio e nei locali della biblioteca: non potè tuttavia di fermare un altro corpo di archibugieri nemici che, sopraggiunto alle spalle, lo falciò assieme a diversi suoi soldati sì che, a gran stento, i Francesi riuscirono a riportare nel borgo medievale intemelio il loro coraggioso ma sfortunato ed ormai esanime comandante: la biblioteca non si riprese dai danni di questi scontri armati (nel chiostro conventuale per respingere i Francesi invasori, gli Austriaci oltre che a sparare dal tetto e dalle sale della biblioteca si erano dati da fare in ogni modo pur di difendere la loro posizione, gettando sui nemici materiale anche pregiato che andavano raccogliendo, non esclusi libri e tele cui era stato dato fuoco per procurare maggior danno: B.DURANTE, Guida di Ventimiglia, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1990, pp.78-79).
Dopo la Rivoluzione francese, la soppressione del Dominio di Genova e l’istituzione della Rivoluzionaria Repubblica Ligure del 1797 la Biblioteca non riuscì a riprendersi dal degrado anche se a parziale compensazione dei danni patiti furono fatti confluire in essa i resti della biblioteca del Convento dell'Annunziata fra cui si riscontrano anche volumi di pregio come questo antifonario.
Napoleone, divenuto padrone d’Italia oltre che di mezza Europa, nel suo piano di riforme tese alla REGOLAMENTAZIONE DEL CLERO, DEI SUOI PREVILEGI E DELL'AMMINISTRAZIONE DELLE CHIESE
prese però a sopprimere ordini religiosi come quello degli Agostiniani che non fossero dediti alla carità o all’assistenza.
Così il materiale librario dell’Aprosiana venne in parte svenduto (soprattutto a nobili bibliomani come il genovese Durazzo che, tra l’altro, acquistò a poco prezzo le parti rimaste inedite del catalogo scritto da Aprosio dei suoi volumi e di cui, come noto, fu pubblicata solo la I parte: ora nella genovese raccolta Durazzo-Pallavicini) in parte fu spedito a Genova (dopo una selezione del materiale fatta del docente genovese di etica Prospero Semini/-o) per un’istituenda biblioteca centrale.
Caduto Napoleone si ebbe, fortunatamente per la città intemelia, l'interruzione di tale iniziativa ma la Biblioteca, in gran parte salvatasi per la lentezza delle pregresse operazioni di smembramento, non riebbe l’antico splendore ed anzi, dopo le leggi siccardiane anticlericali, il Convento di S.Agostino fu parzialmente espropriato: divenendo Carcere degli espulsi dalla Francia.
Passando di sede in sede la biblioteca trovò finalmente stabile sistemazione (dopo esser stata salvata da volonterosi bibliotecari come il Rolando, Callisto Amalberti e Girolamo Rossi che ne stesero il primo "Catalogo moderno" a fine secolo scorso-primi ‘900) e conobbe altri importanti bibliotecari come l’Orengo: intanto -dopo che Nino Lamboglia l’aveva salvata con vari espedienti da furti e scorribande durante la II guerra mondiale- fu sistemata (coi volumi disposti in armadi eleganti lignei in stile proposti da E.Azaretti) dove ora SI TROVA, in via Garibaldi nel sestiere Piazza della città alta o medievale di Ventimiglia.
Qui di recente, con vari contributi (comunali e regionali) e col rilevante lavoro personale di Ruggero Marro, un assistente di biblioteca che opera con un impegno che travalica i propri doveri, è stata completamente restaurata, informatizzata, protetta dal punto di vista climatologico e conservativo, fornita di centro stampa e diffusione automatica di dati, armata di ottimi strumenti di difesa e di antifurto, suddivisa organicamente in due strutture funzionali, laddove il grande fondo storico si trova al piano elevato in ambiente confortevolissimo e il fondo moderno -frequentato da un pubblico assiduo ma meno specialistico- è comodamente posto al I piano dove stanno gli uffici, in positura ideale per il controllo ed il servizio dell’utenza.
A livello squsitamente privato gli individui urtavano spesso nell'organizzato sistema di una criminalità ordinaria e straordinaria rea di vari tipi di reati contro cui non poneva esauriente protezione la giustizia preventiva dello stato. Lo Stato genovese in particolare andava dando prova di inefficienza soprattutto avverso una sorta di delinquenza associata che attualmente si potrebbe definire con l'espressione di criminalità organizzata e che all'epoca meglio si definifa delle parentelle, cioè di legami di sangue ed interfamigliari che si esprimevano verso i privati quanto verso le istituzioni nella forma anche clamorosa della violenza contadina e soprattutto della violenza locale. In merito al pubblico ed istituzionale il suddito della Repubblica di Genova maturava il suo problema anche per la struttura a mosaico dello Stato in cui sopravviveva una marea di previlegi che dava origine ad altrettante anacronistiche ingiustizie.
Aprosio ne aveva sotto gli occhi la sostanza connessa alla "questione degli OTTO LUOGHI" che proprio nel suo secolo si era andata evolvendo in una serie di aperti scontri fra le ville rurali del Capitanato intemelio e la casta egomone di Ventimiglia.
Le cose nel XVII secolo erano oramai degenarate in un contesto di aperti contrasti che sempre più sfioravano (quando non la comportavano) una sorta di insurrezione popolare sin a quando i residenti delle ville agricole del contado intemelio anche a costo di enormi esborsi a pro degli avvocati che li rappresentavano presso la Signoria genovese ottennero una separazione per l'economico da Ventimiglia che Aprosio non potè vivere essendo caduta nel 1686 ma che certamente, essendo morto nel 1681 quando l'annosa lotta era pressoché alla fine, dovette esperimentare in gran parte di persona, rendendosi conto delle spese quasi insopportabili cui si sottopeìosero i villabni per ottenere l'indipendenza economica dall'esoso lor capoluogo storico.
Quando si studia la vicenda terrena d'Aprosio non si fa, in effetti, quasi mai il dovuto riferimento alle sue diverse esperienze in rapporto al mutamento della temperie spirituale epocale.
Aprosio era sicuramente un antifemminista, un erudito non privo di vanità, un uomo intellettualmente curioso anche a scapito degli altrui interessi e soprattutto era un bibliofilo quasi maniacale oltre che spregiudicato, poteva aver partecipato acremente a delle polemiche ma non era un individuo insensibile: l'intristimento del suo animo è un fatto documentabile e collegabile all'intristimento progressivo, per varie cause, del XVII secolo.
Non leggendosi ciò, se non per cenni fugaci, nelle sue opere non sempre si valutano le sue reazioni a fronte delle calamità, come per esempio le flagellanti pestilenze e le guerre di cui mai il frate fece menzione e che pure visse da vicino, specie in merito a quella tra la Repubblica di Genova ed il Ducato di Savoia dell'anno 1672.
In questo anno Aprosio era un uomo d'età relativamente avanzata (65 anni), aveva buon nome nel mondo culturale, un certo peso nel suo Ordine religioso, una nomea di rilievo in Ventimiglia e la valenza di bibliotecario eccelso del suo convento.
In modo assai più coinvolgente di quello per cui apprese risiedendo fuori patria, senza poi per prudenza forse dissertarne, gli eventi antinobiliari intemeli della prima guerra sabaudo-genovese del 1625, Aprosio dovette in qualche modo vivere da protagonista i fatti della battaglia di S. Pietro, quella che le truppe genovesi del generale Prato vinsero nel territorio di Camporosso, territorio che però, secondo una consuetudine militaresca disprezzabile, danneggiarono oltre che per lo scontro coi piemontesi anche per le licenze del saccheggio, una costumanza indegna che si cominciò a frenare solo coi regolamenti militari penali del XVIII secolo.
I residenti di Camporosso per anni chiesero che il Parlamento di Ventimiglia, come era sua facoltà e possibilità, saldasse quanto si era dovuto da loro sborsare per colmare i danni di guerra: tale questione, che fu poi la scintilla che definitivamente sancì il separatismo degli Otto Luoghi.
Fu questa un'altra di quelle circostanze in cui i villani, notoriamente non agiati, dovettero indebitarsi per pagare i loro rappresentanti legali, talora addirittura gestendo le controversie direttamente per via dei loro consoli, sindaci e/o rappresentanti: non mancava quindi all'erudito frate la documentazione necessaria, pregressa ed a lui coeva, per affermare d'aver eretto una biblioteca allo scopo di soccorrere i meno ricchi al fine di documentarsi e reperire i testi legali necessari alle loro difese in tribunale: e peraltro tracce di una simpatia per questi ceti meno abbienti il frate, con la solita costituzionale prudenza però, li fece trapelare entro il repertorio de La Biblioteca Aprosiana parlando di altri abitanti delle ville del contado intemelio, proprio di quelli notoriamente più disagiati, gli abitanti di Bordighera (p. 43) [(giudizio positivo che peraltro si enfatizza se posto a fronte di una certa aprosiana acrimonia verso i residenti di Ventimiglia (p. 35 fine) ogni tanto sparsa, seppur con cautela ed affettazione, in alcuni settori del repertorio biblioteconomico]. E del resto non erano meno i contenziosi che potevano insorgere tanto da parte dei privati che delle Comunità o come si diceva Magnifiche Università avverso le pretese più o meno giuste dell' Apparato ecclesiastico.
La Chiesa fra XVI e XVII secolo era andato maturando enormi privilegi, che comportavano una sua peculiare autonomia giuridica verso lo Stato, sia sotto forma di Tribunale ecclesiastico, sia sotto la specie delle soluzioni giuridiche del foro misto che del foro ecclesiastico di cui Aprosio aveva potuto esperimentare qual Vicario dell'Inquisizione la sostanziale ambiguità.
Oltre a ciò nei riguardi delle istituzioni dello Stato la Chiesa continuava a vantare altri previlegi sia connessi a svariate e discusse esenzioni fiscali sia all'applicazione del controverso diritto d'asilo.
Per quanto concerne i soggetti privati però un
problema epocale era costituito dalla "questione" dei legati e specificatamente dei legati, lasciti, donativi alla Chiesa in effetti destinati a diventare una piaga sociale e causa di impoverimento anche per ceti medio-alti, al punto che si dovette provvedere partendo dalla fine del XVIII sec..
Aprosio però scrisse verisimilmente tutto ciò quale cautelativa, a titolo di garanzia e motivazione subliminare della sua biblioteca: probabilmente qualcuno anche gli credette, anche in tempi recenti qualche studioso lo giudicò benemerito per siffatta iniziativa.
Ma era una mistificazione, fatta a fin di bene e magari non priva di una qualche valenza, in fondo, una volta eretta e funzionante, la biblioteca avrebbe potuto davvero, se aperta al pubblico, servire "anche" per i meno abbienti che notoriamente non avevano mezzi per acquistare i libri, allora mediamente assai costosi e comunque prodotti elitari.
Ma, sostanzialmente, l'erudito frate aveva altra intenzione: la sua biblioteca doveva prioritariamente soddisfare pure questioni culturali: e del resto, leggendo oltre le cortine fumogene sempre sparse con abilità dall'erudito frate, occorre rammentare che i testi giuridici in essa custoditi non erano poi tantissimi e soprattutto nemmeno tanto all'avanguardia dei tempi onde soddisfare le esigenze dei "poveretti" che si volessero autonomamente difendere.
Tutto ciò tenendo anche debito conto del fatto che la globalità dei testi giuridici era in latino, lingua ignota alla globalità dei ceti non acculturati. Tuttavia l'aprosiana postulazione filantropica un fine pratico probabilmente, alla fine come si è lasciato intravedere, finì per averlo, anche se è arduo provare che ad essa solo sia da addebitare il fatto che l'APROSIANA divenne la PRIMA BIBLIOTECA PUBBLICA DELLA LIGURIA.
In effetti se Aprosio voleva dar sostanza a quella sua affermazione e tramite essa trovare sostegno ed approvazione per l'EREZIONE DELLA LIBRARIA si trovava indubbiamente nella necessità di APRIRLA ALLA PUBBLICA UTENZA: cosa che avvenne previo la SALVAGUARDIA DI UN BREVE PAPALE DI INNOCENZO X DEL 1653
[che verisimilmente Aprosio andò personalmente a Roma a sollecitare o ricevere come si può dedurre da quanto scrive a p. 545 del suo repertorio]
e la cui TRADUZIONE
permette di evincere ulteriori dati interessanti sulla biblioteca. Il breve pontificio, che è un documento contenente atti e disposizioni del papa, meno solenne della bolla, a maggior sua divulgazione, oltre che affisso nei locali della biblioteca intemelia, venne fatto stampare da Aprosio da p. 188 del suo repertorio La Biblioteca Aprosiana....
Per oggettività scientifica bisogna tuttavia precisare che siffatta iniziativa, da alcuni moderni autori estemporanei attribuita all'indefesso amore aprosiano per i suoi libri e la sua biblioteca non costituiva affatto un'eccezione ma semmai una cautelativa contro un abuso difficile da combattere e precisamente quello di depredare le biblioteche fratesche dei loro volumi: tutto ciò era peraltro giustificato oltre che dal casuale interesse di qualche singolo dall'affermarsi vieppiù del collezionismo antiquario compresa la piaga del furto su committenza.
Nella BIBLIOTHECA CANONICA, JURIDICA... di L. Ferraris oltre ad un'ampia dissertazione sui LIBRI PROIBITI si riscontra una più breve voce riservata ai LIBRI in quanto tali, con le indicazioni necessarie delle norme da rispettare per autori e tipografi: oltre a questo si legge di seguito un documentato PARAGRAFO CONCERNENTE LA SALVAGUARDIA DAL FURTO DEI LIBRI CONSERVATI NELLE BIBLIOTECHE DEGLI ORDINI REGOLARI: l'autore si premunisce addirittura di proporre vari esempi dei brevi e delle bolle papali via via prodotti in ragione di ciò: il caso aprosiano non si trova elencato (del resto l'autore stesso precisa di voler proporre una scelta esemplificazione).
Tuttavia il breve emesso a favore della Biblioteca Aprosiana (a dimostrazione che non si trattava di documenti stesi secondo un metodo standardizzato ma vagliando le dotazioni attestate delle varie raccolte librarie) ha molti punti in comune con quello datato 24 settembre 1658 ed emesso da Alessandro VII per la Biblioteca di San Martino degli agostiniani eremitani di Segni: in questo caso oltre che al furto di libri e manoscritti si parla anche di quello di quadri e d'anticaglie quasi al modo che risulta nel "breve aprosiano" [parimenti con l'indicazione di libri, manoscritti, monete, toreumata cioè bassorilievi, opere d'arte, vasi cesellati, anche d'oro o d'argento (oltre che scansie od armadi per libri = foruli e tabulae cioè "tavoli per la lettura")] rilasciato da Innocenzo X predecessore di Alessandro VII.