VIOLENZA POPOLANA> Fenomeno tipico, non solo in Liguria, tra XVI -XVII sec. per il generale e mediterraneo "dramma della fame" che comportò rivolte popolari contro Genova e il potere dello Stato: A. SPINOLA, Dizionario filosofico, ms. B.VIII, 25-29, s.v. "Fattioni" (v. Banditismo, Fazioni, Magistrato contro Banditi, Parentelle).
Evidenziano peraltro la storia autonomia delle CURIE LOCALI nell'affrontare anche la criminalità estrema le riflessioni fatte al Senato genovese da un giusdicente di Chiavari ("Arch. di Stato di Genova", Senato, Lettere, f.1010, 20/XI/1511) su una condanna a morte da lui comminata per un delitto efferato.
Premesso che le genti del Levante davano prova di crudeltà e falsità, egli fece cenno al fatto di violenza contadina che aveva giudicato:
"Ho processato doi fratelli di "parentella" di Fontanabona li quali al tre di ottobre di notte antigiorno amazzorno un loro cugino carnale de XVII o XVIII anni per VII leze di feno...Conosco che questo assassinamento traditore fra in el suo sangue...meriterebbe acerba et aspra morte, ma per salvamento delle anime e per non dare spesa a questa terra, ho promesso de farli impiccare".
E' difficile dire a quale alternativa esecuzione lo "schifato" giudice avesse pensato visto che, secondo gli Statuti Criminali del '56, libro II, capo 20", le pene ufficiali di morte, al 1511, dovevano essere tre, le due storiche, all'impiccagione e alla decapitazione, e la "nuova per eretici" al rogo, dopo impiccagione: avrà forse pensato a quest'ultima, ma "da vivi" come intendevano gli assertori più intransigenti della condanna al rogo? v. anche Rapimento per riscatto,Vendetta privata, Violenza locale).
Queste considerazioni non debbono però far ritenere che nel PONENTE LIGURE non si verificassero atti criminosi sia individuali che collettivi: per esempio il Manoscritto Borea (qui digitalizzato e multimedializzato) cita un caso di omicidio nel XVII secolo a Sanremo e parimenti menzione una rivolta popolare duramente repressa ancora a Sanremo nel 1639 (non meno "celebri" furono comunque il misterioso assassinio di M. Striglioni, geniale incisore di Badalucco, ed ancor prima l'insurrezione antinobiliare a Ventimiglia nel 1625)
VIOLENZA LOCALE> Difesa individuale dei diritti, sancita più o meno palesemente dal Diritto penale e criminale dell'Età Intermedia, attesa una sua strutturale deficienza del sistema giudiziario epocale = fu un fenomeno connesso peraltro ad un feroce banditismo da strada e/o banditismo organizzato di proiezione continentale seppur con diversificazioni strutturali
Nella Liguria dell'epoca, presa qui a campione di uno stato di cose che coinvolgeva tutta l'Italia, nel XVI - XVII secolo si prese tuttavia ad abusare di questa eccezionale concessione (COSTANTINI, p.190), magari proteggendosi, ben muniti, entro veri e propri FORTILIZI guardati da uomini fidati.
Nelle controversie per le più disparate ragioni (controllo delle "terre comuni", "riparto delle imposte", "controllo degli uffici" ed altro ancora) per tutto il '500, e ben oltre, continuò a funzionare il sistema delle parentelle che si esprimeva nel meccanismo delle fazioni le quali finivano per diventare espressione di potere per alcuni e falsa ragione di speranze per i più.
Appunto le fazioni stavano in un rapporto quasi osmotico col banditismo di cui si valevano per scontri di potere, specie nelle campagne, ormai superati dalla realtà storica: anche per questo gli Statuti Criminali (i quali per altro verso usavano a propri fini anche di una certa violenza locale) comminavano (e continueranno a comminare nelle successive Riforme periodiche) pesanti sanzioni avverso il banditismo (libro II capi 28, 29, 71, 72, 73, 74, 81 degli STATUTI CRIMINALI).
Ma ciò dovette servire sempre poco se Andrea Spinola, nel luogo prima citato della sua opera, ancora nel Seicento scrisse: "Non è cosa che nel nostro Paese mantenga più la peste de' banditi di quel che fanno le fattioni. Imperoché i partigiani (delle diverse fazioni) danno lor denari, portan loro provvigione da vivere, li avisano delle diligenze che la giustizia fa contro di loro e li tengono nascosti nelle case, nelle cassine et in altre nascondaglie"> in termini solo più letterari, ma a distanza di anni, ciò che vanamente avevano tentato di combattere gli Statuti Criminali del '56.
E d'altronde è singolare come a distanza di 50 anni dalla "Riforma doriana del 1528" (che aveva risolto storiche contrapposizioni faziose ) e neppure a venti anni dalle "Leggi Criminali del '56" nelle campagne o comunque fuori città l' aggressività delle fazioni, in un clima di violenza che sarebbe giusto indagare più approfonditamente, interagisse col banditismo al punto che la val Polcevera e la villa di Sestri Ponente, ed anche tutta la valle del Bisagno sino a Chiavari, per ragioni diverse, ma sempre connesse a rivalità faziose coniugate col banditismo, fossero praticamente avulse dal contesto del Dominio ed occupate, tra il '56 ed il '57, da bande armate di centinaia di ribelli che scorrazzavano a fronte di una tangibile incapacità d'intervento statale (v. Banditismo, Rapimenti per riscatto, Vendetta privata, Violenza contadina).
E peraltro le cose, nonostante i tentativi delle autorità, non migliorarono affatto con il tempo: ed ancora nella prima metà del XVIII secolo, specie nel Ponente ligustico, i contrabbandieri del sale finivano per fare il bello ed il cattivo tempo, costituendosi in bande armate così forti da sconfiggere oltre che l' organizzazione di polizia le stesse forze governative.
FAZIONE> Risultanza del sistema delle Parentelle, la Fazione era potenza per alcuni e speranza per altri>SPINOLA sui "capifazione" in Dizionario Filosofico (B.U.G., ms.B.VIII. 25-29,s.v."Fattioni") scrisse: "Ho conosciuto alcuni i quali professando di dar moto in questa bassezza e miseria di fattione, io non dirò amici fra loro, perché l'amicizia non è se non fra buoni, ma molto domestici, ridendosi della semplicità e balordaggine de lor partiggiani, attendevano d'aiutarsi l'un l'altro in tener ingannati quei meschini, et a spolparli di capretti, di ricotta e di formaggio, giocandone alla palla sotto manto di favorirli" ed aggiunse "...non è cosa che nel nostro Paese mantenga più la peste de' banditi di quel che fanno le fattioni. Imperoché i partigiani danno lor denari, portan lor provvigioni da vivere, li avisano delle diligenze che la giustizia fa contro di loro e li tengono nascosti nelle case, nelle cassine et in altre nascondaglie">Stat. Crimin.: Ribelli,lib.II,cap.71,74,81.
PARENTELLA (anche "Banditismo")> Consorterie di famiglie con stesso cognome e che si riconoscono discendenti da un nucleo originariamente investito> COSTANTINI, p. 534.: le Parentelle erano protagoniste, in senso non solo giuridico, delle controversie per uso o possesso di terre comuni, riparto di imposte, controllo di uffici e servitù. Esse si traducevano in svariati campi di vita sociale in strutture di solidarietà verticale dette Fazioni> BECCARIA, XXVI, Dello spirito di famiglia > vi si legge un' allusione ai difetti di molte Repubbliche dell'età intermedia, di cui Genova fu esempio, intese come associazioni di famiglie più che di uomini, con la prevalenza, su quelli di Stato ed individuo, degli interessi di quelle piccole monarchie che erano le famiglie.
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MAFIA ITALIANA
COSA NOSTRA (MAFIA SICILIANA)
STIDDA (MAFIA SICILIANA)
'NDRAGHETA (MAFIA CALABRESE)
SACRA CORONA UNITA (MAFIA PUGLIESE - LA QUARTA MAFIA : anche LA ROSA)
CAMORRA
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COSA NOSTRA è l'organizzazione mafiosa più importante d'Europa e tra le più importanti del mondo. Ha una struttura gerarchica, paramilitare, con precise regole di comportamento.
Sul territorio esercita funzioni di sovranità ed impone una fiscalità illegale generalizzata, il cosiddetto" pizzo".
Le sue principali sedi sono in Sicilia (Palermo, Trapani, Marsala, Agrigento, Catania), ma ha ramificazioni, oltre che in molte regioni italiane, negli Stati Uniti, in Canada, in Germania, in Svizzera, in Francia, in Gran Bretagna ed in Russia.
Conta circa 5000 affiliati ed almeno 20.000 fiancheggiatori.
Il vertice è costituito dalla Cupola, una sorta di commissione che raccoglie i capimandamento.
Gli attuali capi di Cosa Nostra appartengono al gruppo dei Corleonesi , i viddani, così definiti dai mafiosi di Palermo per i loro modi rozzi e violenti: Totò Riina, Bernando Provenzano, Leoluca Bagarella.
Questa organizzazione è responsabile di omicidi che hanno scosso tutto il mondo civile, come le stragi di Capaci e D'Amelio, nelle quali, tra gli altri, hanno perso la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ha scritto Luciano Violante, ex presidente della commissione parlamentare antimafia : "La mafia si comporta come un potere politico totalitario : ha ucciso politici, magistrati, poliziotti. Ma ha ucciso anche giornalisti : ed è questo il segno più evidente del totalitarismo. Solo lo stalinismo e il nazismo hanno ucciso chi combatteva con lo strumento del pensiero e delle parole".
Cosa Nostra nasce nella Sicilia occidentale ai primi dell'Ottocento.
Le sue origini sono strettamente legate a quelle del latifondo che domina la struttura produttiva della Sicilia fino ai primi del Novecento. Da una parte ci sono i contadini miserabili ; dall'altra la nobiltà terriera, erede assenteista di uno degli ultimi sistemi feudali d'Europa.
Fra gli uni e gli altri, c'è un ceto spregiudicato e violento di massari, campieri, gabellotti, fattori che svolge funzioni di controllo, gestione ed intermediazione della proprietà e della produzione, tenendo a bada la latente violenza di quella smisurata platea di nullatenenti che popola le campagne siciliane.
Cosa Nostra nasce nel momento in cui i gabellotti, spesso circondati da scherani dal passato di gesta violente, smettono di lavorare a nolo e, attraverso la privatizzazione della violenza, danno vita a sette, confraternite, gruppi, cosche.
Il primo documento in cui si allude a una cosca mafiosa è del 1837 : il procuratore generale, presso la gran corte criminale di Trapani Pietro Calà Ulloa, scrive ai suoi superiori a Napoli, per segnalare strane fratellanze impegnate in attività criminali, come il riscatto di bestiame rubato, che corrompono anche impiegati pubblici.
È comunque la rappresentazione del dramma popolare "I mafiusi di la Vicaria", scritto nel 1863 da Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca, poi tradotto in italiano, napoletano e meneghino, a fare del termine mafia un'espressione corrente, usata per indicare un gruppo di individui spavaldi e violenti, legati da rapporti misteriosi e temibili, dediti ad azioni per lo più criminose.
Cosa Nostra cioè la mafia sicilana ha una struttura a sviluppo verticale.
Il capofamiglia nomina il "sottocapo", i consiglieri ed i capidecina che hanno il compito di coordinare gli uomini d'onore, i picciotti.
L'organizzazione base è la famiglia, non quella di sangue, ma un gruppo mafioso che controlla un pezzo di territorio, in genere un paese o un quartiere di una grande città, oppure più paesi se questi sono piccoli.
È una funzione vitale, quella del controllo del territorio, che si snoda attraverso forme di contiguità con ambienti della politica e delle istituzioni.
In Cosa Nostra si entra per cooptazione o chiamata, attraverso una specie di giuramento che consiste nel farsi bruciare sulla mano un santino.
Così Tommaso Buscetta ha raccontato ai giudici le varie fasi dell'iniziazione a Cosa Nostra:
Il neofita viene portato in un luogo appartato (che può essere anche un'abitazione), alla presenza di tre o più uomini d'onore della famiglia e, quindi, il più anziano dei presenti lo avverte che "questa cosa" ha lo scopo di proteggere i deboli ed eliminare le soperchierie ; quindi si buca un dito di una mano del giurante e il sangue viene versato su una qualunque immagine sacra.
Quindi, l'immagine viene posata sulla mano dello stesso e le si dà fuoco.
A questo punto il neofita, che deve sopportare il bruciore passando l'immagine sacra accesa da una mano all'altra fino a totale spegnimento, giura di mantenere fede ai principi di "Cosa Nostra", affermando solennemente "le mie carni devono bruciare come questa 'santina' se non manterrò fede al giuramento".
Questo, almeno nelle linee essenziali, era il modo di prestare giuramento quando io sono entrato a far parte di Cosa Nostra... Dopo il giuramento - e solo allora - l'uomo d'onore viene presentato al capo famiglia, del quale prima non doveva conoscere la carica, ne', tanto meno, l'esistenza di "Cosa Nostra" in quanto tale.
Prima del giuramento l'interessato veniva cautamente sondato per vedere se era disponibile per partecipare a un non meglio identificato sodalizio volto a proteggere i deboli ; solo dopo il giuramento viene spiegata l'organizzazione di Cosa Nostra (Testimonianza di Tommaso Buscetta resa al giudice istruttore di Palermo Giovanni Falcone et alii, luglio-agosto 1984, 3 volume, pag. 98).
Le disponibilità di Cosa Nostra sono illimitate.
Le attività nelle quali Cosa Nostra è impegnata sono il traffico internazionale di droga (le rotte controllate dalla mafia siciliana sono ancora oggi quelle più sicure), le speculazione finanziarie ed immobiliari, il riciclaggio del denaro sporco, l'estorsione, il traffico di armi, lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e industriali ed il traffico di armi.
STIDDA
Organizzazione criminale di matrice mafiosa costituitasi in provincia di Agrigento e ramificatasi nel nisseno (Campofranco, Mussomeli, Sutera), nell'ennese (Barrafranca, Pietraperzia), nel catanese e nel siracusano.
Ma anche al Nord (Milano, Genova, Torino) ed all'estero.
Uno dei presunti assassini del giudice Livatino, per esempio, è stato arrestato a Roma al suo arrivo a Fiumicino con un volo proveniente da Toronto, in Canada, dove aveva trascorso parte della sua latitanza.
È un'associazione semisconosciuta.
Pare che abbia radici antiche.
Il primo a parlarne con il giudice Falcone è stato il pentito Francesco Marino Mannoia nel 1989.
Nei paesi intorno a Caltanissetta sono conosciuti come stiddari, nella provincia di Agrigento come stiddaroli.
L'organizzazione non è centralizzata, non ci sono commissioni, non si sa chi sono i capi, qualche volta fanno affari con le "famiglie" mafiose e qualche altra volta le fronteggiano con le armi, come di recente è accaduto nella piana di Gela con lo scontro tra Piddu Madonia e Salvatore Iocolano.
Molti fuoriusciti di Cosa Nostra, quelli che non hanno accettato il diktat di Totò Riina [fino al suo relativamente recente arresto capo indiscusso di Cosa Nostra] sono entrati a far parte della Stidda.
Il simbolo di riconoscimento è una piccola macchia scura, cinque segni verdognoli disposti a cerchio fra il pollice e l'indice della mano destra.
Loro li chiamano i punti della malavita.
Hanno anche un rito di iniziazione, ma senza santini che bruciano o particolari formule da ricordare.
Nel 1991 uno degli affiliati al clan Cavallo-Ianni s'è presentato a Milano a un altro componente della setta e dopo averlo salutato gli ha detto : "tu m'accanusceri intra e fora stu paisi" (tu mi devi riconoscere - come membro di questa organizzazione, nda - dentro e fuori questo paese).
'NDRAGHETA
La 'ndrangheta è oggi una delle organizzazioni criminali più potenti.
Non priva di rapporti con uomini politici e servizi segreti deviati, è meno esposta, rispetto a Cosa Nostra, alle infiltrazioni esterne ed al fenomeno del pentitismo, ma soprattutto ha ramificazioni in mezzo mondo : dalla Lombardia, al Piemonte, dalla Valle d'Aosta alla Liguria, dalla Toscana al Veneto, dall'Emilia Romagna alla Francia, dalla Germania alla Russia, dalla Spagna alla Svizzera, dalla Bulgaria all'ex Jugoslavia, dalla Bolivia agli Stati Uniti, dal Canada all'Australia.
Una delle più efficaci definizioni sulla mafia calabrese l'ha data Julie Tingwall, sostituto procuratore dello Stato della Florida a Tampa : "È invisibile, come l'altra faccia della luna".
Se alla capacità di mimetizzarsi, soprattutto all'estero, si aggiunge la sottovalutazione del fenomeno, soprattutto in Italia, si può capire come la 'ndrangheta sia riuscita a prosperare, quasi indisturbata.
Fino a qualche anno fa, infatti, molti la ritenevano un'accozzaglia di criminali, dedita al pizzo ed ai sequestri di persona.
Secondo una recente relazione della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, conta 155 cosche e circa 6.000 affiliati.
Il rapporto tra popolazione/affiliati ai clan è del 2,7%.
Nelle altre regioni il rapporto è rispettivamente di 1,2% in Campania, 1% in Sicilia e del 2% in Puglia.
Per quanto concerne le sue origini si sa che nasce e si afferma nella seconda metà dell'Ottocento la 'ndrangheta in Calabria, una regione dal tessuto economico fragile, priva di un significativo apparato industriale e con deboli ceti imprenditoriali.
Clan di picciotti, da cui il nome Picciotteria vengono segnalati nel circondario di Palmi (Maropati, Gioia Tauro, Sinopoli, Iatrinoli, Radicena, Molochio, Polistena, Melicuccà, San Martino di Taurianova, la stessa Palmi), nella Locride (San Luca, Africo, Staiti, Casalnuovo) e nella cintura di Reggio Calabria (Fiumara, Villa San Giovanni, la stessa Reggio Calabria).
Uno dei documenti più interessanti di quel periodo è una denuncia anonima inviata nel 1888 al prefetto di Reggio Calabria, Francesco Paternostro, che rivela l'esistenza a Iatrinoli, uno dei tre borghi che poi dettero vita a Taurianova, di una "setta che nulla teme"
In merito alla struttura della 'Ndrangheta
occorre dire che essa, rispetto a Cosa Nostra, è una struttura a sviluppo orizzontale.
Ogni famiglia ha il pieno controllo del territorio sui cui opera ed il monopolio di ogni attività, lecita o illecita.
La cosca mafiosa calabrese si fonda in larghissima misura su una famiglia di sangue ed i vincoli parentali tra le varie famiglie vengono rinsaldati con matrimoni incrociati.
Essendo tutti parenti, è difficile trovare pentiti.
Negli ultimi tempi, dopo la sanguinosa guerra, apertasi nel 1985 con la secessione degli Imerti-Condello dall'alleanza di cosche guidata da Paolo De Stefano, la 'ndrangheta, in provincia di Reggio Calabria, si è dotata di un organismo (Santa), di cui farebbero parte i rappresentanti delle famiglie più importanti.
Non è una commissione come quella di Cosa Nostra, ma un primo tentativo per cercare di sedare gli endemici contrasti che scoppiano puntualmente tra le varie cosche (le così dette faide), altra tipica espressione della mafia calabrese.
Rigidissima è la gerarchia all'interno di ogni famiglia, regolata da un codice che prevede rituali in ogni momento della vita associativa : dall'affiliazione all'investitura del nuovo adepto, al giuramento che deve essere prestato con solennità, al passaggio al grado successivo, fino ai processi a cui il tribunale della cosca può sottoporre i propri affiliati qualora si dovessero rendere responsabili di eventuali violazioni alle regole sociali.
I gradi nella gerarchia di ogni cosca della 'ndrangheta, che altrove possono essere ricordati in maniera diversa, nella Piana di Gioia Tauro (ed è qui che alligna la mafia più organizzata e più forte), secondo quanto Pino Scriva ha raccontato ai magistrati che hanno raccolto le sue "confidenze", sono i seguenti : 1) Giovane d'onore. Non è un vero e proprio grado. È una affiliazione per "diritto di sangue", un titolo che viene assegnato al momento della nascita e che tocca in pratica ai figli degli 'ndranghetisti come buon auspicio affinchè in futuro possano diventare uomini d'onore ; 2) Picciotto d'onore. È il primo vero gradino della "carriera" nella 'ndrangheta. Si tratta di un gregario, esecutore di ordini, il quale deve cieca obbedienza agli altri gradi della cosca con l'unica speranza di ottenere benefici tangibili e immediati. I picciotti, in pratica, sono la fanteria, o meglio il corpo dei caporali delle cosche calabresi ; 3) Camorrista. È un affiliato già di una certa importanza ed è arrivato al grado dopo un "tirocinio" più o meno lungo. A lui sono affidate funzioni che il picciotto non può svolgere (può essere, per esempio, capo di una 'ndrina nelle piccole frazioni dei comuni). In altre zone risultano distinzioni in questa stessa "qualifica" ; 4) Sgarrista o Camorrista di sgarro. Si tratta di un affiliato incaricato di riscuotere le tangenti ; 5) Santista. È colui che ha ottenuto la "Santa", cioè un grado ancora più elevato per esclusivi meriti criminosi ; 6) Vangelo. Viene detto anche vangelista perché ha prestato giuramento di fedeltà all'organizzazione criminale mettendo una mano su una copia del Vangelo. Grado di altissimo livello, si ottiene "per più meritevole condotta delinquenziale". 7) Quintino. Grado apicale che uno 'ndranghetista può raggiungere. È attribuito a un ristretto numero di mafiosi che all'interno dell'organizzazione vanno così a costituire una oligarchia con diversi privilegi e altrettante responsabilità e che si riconoscono perché hanno un tatuaggio con la stella a cinque punte ; 8) Associazione. Di questo grado è Scriva a parlare per la prima volta. Rappresenta il più alto potere della 'ndrangheta e viene esercitato in forma collegiale. Sarebbe, in sostanza, una sorta di consiglio di amministrazione di tutto il sistema criminale. A questo grado accedono i capi delle famiglie che per numero di affiliati, forza di fuoco, alleanze e protezioni anche politiche, sono in grado di condizionare sul piano pratico la vita della 'ndrangheta non solo nella loro zona e nella provincia, ma ovunque l'organizzazione sia presente, quindi, anche all'estero (Pantaleone Sergi, La "Santa" violenta, Storie di 'ndrangheta e di ferocia, di faide, di sequestri, di vittime innocenti, Edizioni Periferia, Cosenza, 1991, pagg. 61-62: un'ulteriore figura tipica della 'ndrangheta è quella della sorella d'omertà che è affidata ad una donna, la quale ha il compito di dare assistenza ai latitanti. Ma il ruolo delle donne nella mafia calabrese non si limita a questo. Né è un fatto nuovo. A Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, sul finire dell'Ottocento, le donne erano ammesse nell'organizzazione. Scrivono i giudici : "Vestite da uomini, prendevano parte alla perpetrazione de' furti ed altri reati". Oggi, le donne, come hanno accertato le più recenti indagini sulle principali cosche calabresi vigilano sull'andamento delle estorsioni, riscuotono le tangenti, sono intestatarie di beni appartenenti al sodalizio e curano i rapporti con i latitanti e con l'esterno del carcere [vedi anche: Archivio di Stato di Catanzaro, Corte d'Appello delle Calabrie, Sentenze Penali, 1892, vol. 336, 9 settembre ]).
Centro storico delle attività della 'Ndrangheta
è
la Calabria che (come ha sottolineato il dottor Nicola Gratteri, uno dei magistrati di punta della procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria) galleggia sopra un grande traffico di armi.
Sembra esserci in Calabria una sorta di accumulo di armi potenti e micidiali, alcune delle quali sono state utilizzate durante l'ultima guerra di mafia (missili terra-aria e lanciarazzi Mpg del tipo di quelli scoperti in un arsenale della 'ndrangheta in provincia di Modena).
Gli altri due grandi business della mafia calabrese sono il traffico internazionale di droga e l'estorsione : quest'ultima, come ha affermato nel 1993 l'Avvocato Generale di Reggio Calabria, colpisce nel capoluogo reggino ogni attività produttiva di reddito, senza escludere neppure i liberi professionisti.
In calo risultano invece i sequestri di persona che, a fronte di ricavi modesti, costringono le cosche a fare i conti con massicci dispiegamenti delle forze dell'ordine sul territorio.
SACRA CORONA UNITA
E' stata battezzata la quarta mafia e, secondo alcuni dati resi noti dall'Osservatorio sui fenomeni criminali dell'Eurispes, conta 47 clan e 1561 affiliati.
È un'organizzazione minore rispetto alle altre mafie, per presenza sul territorio e per giro d'affari.
Quasi tutti i suoi capi conosciuti sono stati arrestati.
In merito alle origini bisogna dire che
È Raffaele Cutolo ad allungare per primo sulla Puglia i tentacoli della Nuova Camorra Organizzata.
Il boss napoletano affida a Pino Iannelli e Alessandro Fusco l'incarico di dare vita ad una organizzazione chiamata Nuova Camorra Pugliese che, di fatto, nasce nel 1981.
E almeno fino al 1982 ci riesce.
Poco più tardi arriva lo sganciamento dalla camorra.
Prendono corpo così le prime organizzazioni mafiose pugliesi : la Sacra Corona Unita nel Salento e La Rosa a Bari.
La Sacra Corona Unita viene fondata da Giuseppe Rogoli nel carcere di Lecce la notte di Natale del 1983.
Rogoli, di Mesagne, condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio del titolare di una tabaccheria di Giovinazzo, in provincia di Bari, era stato iniziato alla 'ndrangheta nel carcere di Porto Azzurro da un esponente di primo piano della mafia calabrese, Umberto Bellocco, di Rosarno.
Ma, come sottolinea Guido Ruotolo, nel suo libro La quarta mafia, c'è anche chi fa risalire la scoperta dell'esistenza della mafia pugliese a qualche mese prima.
Esattamente al 5 ottobre del 1983, quando uno spacciatore di eroina, Vittorio Curci, confida ai magistrati di Bari di aver assistito, in piena notte, in una casa di Acquaviva delle Fonti - piccolo centro alle porte di Bari, conosciuto in tutta Italia come la capitale delle bandi musicali - ad una strana cerimonia di affiliazione a una associazione segreta.
Il capo cerimoniere si chiamava Oronzo Romano, il "battezzato", Giovanni Dalena.
Dal 1987, con la "benedizione" di Rogoli, si afferma a Bari "La Rosa" che, sotto il controllo del clan dei Romano di Acquaviva delle Fonti, mantiene rapporti con la famiglia Fidanzati, per il commercio della cocaina. Il Salento, comunque, resta l'epicentro della così detta quarta mafia.
La Sacra Corona Unita è
organizzata orizzontalmente, con una serie di clan autonomi nella propria area di influenza ma tenuti a rispettare gli interessi comuni.
L'ordinamento che il boss Giuseppe Rogoli dà alla Scu è simile a quello della 'ndrangheta, dalla quale mutua gradi, gerarchie e formule di affiliazione, che vengono opportunamente adattate alla realtà pugliese.
A capo del crimine Rogoli mette il suo braccio destro Antonio Dodaro.
L'investitura avviene con una lettera dell'aprile '86 : "Sei tu", scrive Rogali, "il capo Crimine che devi dare conto solo a me e a nessun uomo al mondo".
E' un pentito Cosimo Capodieci a spiegare il perché di quella denominazione mistico-religioso che evoca il Rosario della liturgia cattolica, i cui grani sono legati l'uno all'altro, come i membri del sodalizio : "L'organizzazione è Sacra, perché la Sacra Corona Unita, se si leggono i suoi statuti, quando si riunisce o affilia qualcuno, consacra e battezza (tipo il prete durante le sue funzioni religiose); Corona, perché è come la corona, cioè il Rosario, quello usato in genere in chiesa per fare la Via Crucis, uno accanto all'altro; Unita perché si doveva essere uniti come gli anelli di una catena"...
È emerso dalle indagini giudiziarie che gli associati danno a tali riti "un valore ed un significato effettivo e non solo simbolico".
Simile a quello della 'ndrangheta è il giuramento che consiste perlopiù nella recitazione un po' melodrammatica di domande e risposte e nell'evocazione di personaggi immaginari (Giuro su questa punta di pugnale, macchiata di sangue di essere fedele a questo corpo di Società formata da uomini attivi, liberi, franchi e affermativi, con tutte le regole e le prescrizioni sociali - recita il nuovo adepto al momento dell'iniziazione - Giuro di disconoscere padre, madre, fratelli, sorelle fino alla settima generazione. Giuro di dividere centesimo per centesimo, millesimo per millesimo come lo divisero i nostri tre vecchi fondatori della camorra : conte Ugolino. Fiorentino di Russia e Cavaliere di Spagna"(Alessandro Coletti, Mafie, storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno, pagg. 201-202.)
Caratteristiche peculiari della criminalità pugliese sono anche quelle relative al ruolo delle donne e alla giovanissima età degli affiliati.
Scrive Gianluigi Pellegrino su "L'Espresso" : "È grazie ad una donna, la sorella del boss Giosuè Rizzi, che nei primi anni '80 nel Foggiano prende avvio il grande commercio di stupefacenti. La signora canta nel quartetto piuttosto affermato dei Milk and Coffee. Le esibizioni all'estero, e soprattutto in Sud America, sono l'occasione buona per dedicarsi all'import-export di droga. È ancora una donna dalla tempra d'acciaio e dai pochi scrupoli, la moglie di Giuseppe Rogoli, Domenica Biondi, che in seguito all'arresto del marito ne ha permesso con un impegno diretto la permanenza ai vertici della Sacra corona".
Tra le Attività della Sacra Corona Unita sono da citare spaccio di stupefacenti, estorsioni, gioco d'azzardo, immigrazione clandestina.
CAMORRA
È l'unico fenomeno mafioso che ha origini urbane.
Pervasiva, controlla in modo ossessivo il territorio ed ha un altissimo rapporto di integrazione con gli strati più poveri della popolazione.
Ha solidi legami con gli ambienti politici come dimostra l'alto numero di richieste di autorizzazione a procedere nei confronti di importanti uomini politici della I repubblica.
Attualmente in Campania opererebbero complessivamente circa 111 famiglie ed oltre 6.700 affiliati.
Insediamenti della camorra sono segnalati in Olanda, Germania, dove opererebbe il gruppo Licciardi-Contini-Mallardo, in Romania (Alfieri), in Francia, con il gruppo che fu di Michele Zaza, in Olanda e Scozia (La Torre), in Spagna e Portogallo, dove sono presenti i "Casalesi" ed a Santo Domingo, dove opererebbe un gruppo del clan Bardellino.
Le origini della Camorra datano agli inizi del secolo scorso, nella città di Napoli.
In un archivio di polizia è stata trovata la documentazione di un processo svoltosi davanti al tribunale della camorra, la cosiddetta Grande Mamma, risalente al 1819.
Estesasi ai quartieri cittadini, la camorra è richiesta a chi pratica l'usura, la prostituzione, il gioco d 'azzardo.
La "protezione" dietro pagamento di tangente sarà poi imposta a cocchieri, facchini, venditori ambulanti, commercianti, tavernieri.
Viene così formandosi, nel panorama sociale napoletano, un particolare associazionismo criminoso, imperniato sul comune interesse degli affiliati alla spartizione dei proventi dell'estorsione generalizzata.
Il termine "camorra" giunge infine a designare un'organizzazione, la Bella Società Riformata, retta da uno statuto, il frieno, che prescrive anzitutto l'obbedienza agli ordini dei capi e il mantenimento del segreto su quella che è chiamata onorata società.
La Società maggiore raggruppa i veri e propri camorristi, mentre gli affiliandi ("giovanotti onorati", "picciotti", "picciotti di sgarro") fanno parte della Società minore.
In ognuno dei dodici quartieri di Napoli agisce una società rionale divisa in paranze (gruppi con diverse specializzazioni), retta da un caposocietà o capintrito, coadiuvato dal contaiuolo, che funge da segretario-tesoriere.
Il contaiuolo riscuote i proventi delle estorsioni, che ripartirà in base alle norme societarie.
Collegati tra loro, ma di fatto indipendenti, i capisocietà rispettano l'autorità del capintesta, una sorta di supremo capo della camorra, che governa il quartiere della Vicaria.
Sembra che il frieno, agli inizi tramandato oralmente, sia poi stato redatto in forma scritta intorno al 1840.
La copia pervenutaci stabilisce i gradi della gerarchia interna, regola i rapporti tra consociati, sancisce le pene irrogabili dai "tribunali" camorristi.
Questi si articolano in Mamme (con giurisdizione limitata al quartiere) e Gran Mamma, competente per l'intera città e presieduta dal capintesta, in questa sua funzione chiamato Mammasantissima. (Alessandro Coletti, Mafie, storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno, Sei, Torino, 1995, pagg. 24-25).
La camorra è stata più volte utilizzata dalla politica, sin dal secolo scorso : dai Borboni contro i liberali, prima ; dai liberali contro i Borboni dopo.
Costituitosi lo Stato Unitario, è stata chiamata più volte in campo per condizionare risultati elettorali.
È l'unica organizzazione criminale che su espresso invito politico è addirittura riuscita a far parte di un corpo di polizia per decisione del prefetto di polizia e poi ministro borbonico degli interni Liborio Romano che in questa maniera motivò a posteriori la sua criticatissima scelta:
""Pensai prevenire le triste opere de' camorristi, offrendo a' piú influenti loro capi (Michele 'o Chiazziere, Schiavetto, Persianaro, De Crescenzio ) un mezzo di riabilitarsi: e cosí parvemi toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze in quel momento in cui mancavami ogni forza, non che a reprimerle, a contenerle. Laonde, fatto venire in mia casa il piú rinomato fra essi, sotto le apparenze di commetterli il disbrigo d'una mia privata faccenda, lo accolsi alla buona, e gli dissi che era venuto per esso e pe' suoi amici il momento di riabilitarsi dalla falsa posizione cui aveali sospinti, non già la loro buona indole popolana, ma l'imprevidenza del governo, la quale avea chiuse tutte le vie all'operosità priva di capitali. Che era mia intenzione tirare un velo sul loro passato, e chiamare i migliori fra essi a far parte della novella forza di polizia, la quale non sarebbe stata piú composta di tristi sgherri, e di vili spie, ma di gente onesta, che, bene retribuita de' suoi importanti servizi, avrebbe in breve ottenuto la stima de' proprii concittadini. Quell'uomo, da prima dubbioso ed incerto, si mostrò tosto commosso dalle mie parole, smise ogni diffidenza, volea baciarmi la mano; promise anche piú di quello che io chiedeva, soggiunse che tra un'ora sarebbe tornato da me alla prefettura. E prima che l'ora fosse trascorsa, venne con un suo compagno, mi assicurarono d'aver date le debite prevenzioni ai loro amici, e che io potea disporre della loro vita. E mantennero le loro promesse, per modo convincermi, che se gli uomini purtroppo non sono interamente buoni, neppur sono interamente perversi, se tali non si costringono ad essere. Improvvisai allora, ed armai, senza por tempo in mezzo, una specie di guardia di pubblica sicurezza, come meglio mi riuscí raggranellandola fra la gente piú fedele e devota ai nuovi principii ed all'ordine; frammischiai fra questi l'elemento camorrista in proporzione che, anche volendolo, non potea nuocere; disposi che si organizzasse in compagnie; posi a capo di essi coloro che ispiravano maggior fiducia; ed ordinai che, divisi in pattuglie, scorressero immantinente tutti i quartieri della città. Questo provvedimento istantaneo, ed istantemente attivato, sconcertò i disegni de' tristi, colpiti assai piú dall'attitudine, che dall'imponenza della forza; e cosí l'ordine, la città e le stesse libere istituzioni furono salvi dal grave pericolo che li minacciava. Si condanni ora il mezzo da me adoperato; mi si accusi di aver introdotto nella forza di polizia pochi uomini rotti ad ogni maniera di vizii ed arbitrii. Io dirò a cotesti puritani, i quali misurano con la stregua dei tempi normali i momenti di supremo pericolo, che il mio compito era quello di salvare l'ordine, e lo salvai col plauso di tutto il paese
" (
Liborio Romano, Memorie politiche, Napoli, 1873, pp. 19 sgg.).
Nel corso della sua storia la Camorra ha comunque avuto un andamento carsico.
Ha scritto la Commissione Antimafia nel 1993 : "La sua duttilità, la sua stretta integrazione con società, politica ed istituzioni, le hanno consentito, in momenti di difficoltà lunghi periodi di mimetizzazione nella più generale illegalità diffusa che caratterizza la vita dei ceti più poveri di Napoli al termine dei quali è emersa con forza".
Un importante studio di fine Ottocento (G. Alongi) la considera un relitto storico.
Nel 1915 l'allora capo della camorra Del Giudice la dichiara sciolta ed il fascismo si vanta della sua soppressione.
La camorra è strutturata da un insieme di bande che si compongono e si scompongono con grande facilità.
Questa struttura pulviscolare, come scrive ancora la commissione antimafia nella sua relazione sulla Camorra (1993) è stata sostituita da una organizzazione gerarchica solo in due occasioni negli ultimi decenni.
"Prima, nella seconda metà degli anni Settanta, dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e poi, verso la fine degli anni Settanta, dalla Nuova Famiglia di Bardellino-Nuvoletta-Alfieri, sorta, d'intesa con Cosa Nostra, per contrastare Cutolo, e perciò modellata sugli stessi caratteri dell'organizzazione cutoliana. Nel 1992 Alfieri tentò di costruire un'organizzazione unitaria, secondo lo schema siciliano, chiamata significativamente Nuova Mafia Campana".
Tutti gli esperimenti sono cessati dopo pochi anni.
Spiega la commissione anti-mafia : "La NCO è finita nel 1983, per l'indebolirsi delle alleanze politiche, la riduzione delle fonti di finanziamento ed i colpi ricevuti dagli avversari. La Nuova Famiglia cessò nello stesso periodo per il venir meno della ragione dell'alleanza dopo la sconfitta di Cutolo. La Nuova Mafia Campana fu più un'aspirazione che una realizzazione".
A differenza di Cosa Nostra e della 'ndrangheta, nella camorra non ci sono particolari criteri di selezione, né strutture rigide o rituali di iniziazione.
L'unico a delineare uno statuto ed a dare all'organizzazione una gerarchia interna è stato Cutolo.
Lui nella Nuova Camorra Organizzata era il "Vangelo", i componenti della direzione strategica erano detti "santisti", "sgarristi" e "capizona", mentre alla base c'era i picciotti.
La cerimonia di affiliazione (o fedelizzazione) doveva rafforzare lo spirito di gruppo soprattutto nei giovani chiamati a contrastare l'espansione di Cosa Nostra che, come avvertiva Cutolo, voleva colonizzare la camorra.
Illimitato è l'ambito degli affari delle organizzazioni camorriste e va dall'usura, al contrabbando di sigarette, dal traffico e spaccio di droga alle truffe ai danni della CEE, dalle estorsioni alle rapine, dall'importazione clandestina di carni al traffico di armi, dalle scommesse clandestine al monopolio del calcestruzzo.
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LIBORIO ROMANO fu uno di quegli incredibili politici di metà ottocento che segnarono la difficile transizione del MERIDIONE ITALIA dal REGNO BORBONICO DELLE DUE SICILIE al moderno REGNO UNITARIO D'ITALIA (1861).
Nato a Patù (Lecce) nel 198 studiò diritto a Napoli ottenendo presto la nomina di professore di diritto civile presso l'Università partenopea.
Ispirandosi ad idee liberali e costituzionali si impegnò a favore della rivoluzione napoletana del 1820/'21 e per tale ragione, seppur brevemente, venne privato della cattedra ed obbligato alla residenza coatta in Patù: presto comunque ottenne di potersi recare a Lecce per esercitarvi la professione di avvocato.
Nel 1826 venne colpito da un nuovo provvedimento della magistratura e fu arrestato con l'accusa di far parte della liberale associazione degli Ellenisti: dopo aver passato oltre un anno nelle patrie galere egli ottenne ancora di poter esercitare l'avvocatura (1828) anche se sotto il controllo costante delle autorità di polizia.
Fu quindi (1848) tra i firmatari della petizione inoltrata a Ferdinando II di Borbone allo scopo delle concessione di una moderna Costituzione.
In dipendenza di questa egli si presentò come candidato al parlamento napoletano per la provincia di Terra d'Otranto ma non venne eletto.
Non partecipò ai fatti del 15 maggio 1848 ma, riaffermato l'assolutismo nel REGNO DELLE DUE SICILIE, venne ancora imprigionato e quindi cacciato in esilio in terra di Francia ma con l'obbligo di non potersi recare né a Parigi né in alcuna città portuale transalpina donde potesse fuggire alla volta della patria.
Dapprima rispettò le consegne risiedendo a Montpellier ma in seguito si portò a Parigi per entrare in contatto con importanti personalità politiche come Thiers, Guizot, Thierry.
Allorché nel 1854 gli morì la madre fu autorizzato a rientrare in Napoli.
Nel 1860, all'alba dell'invasione garibaldina, il nuovo re borbonico Francesco II tentò la carta estrema di rimettere in vigore con atto sovrano del 25 giugno la Costituzione del 1848 sì da formare il ministero liberale Spinelli; nel contesto di questo disperato tentativo di salvare il trono dei Borboni di Napoli a Liborio Romano venne conferita la carica di prefetto di polizia (27 giugno).
Poco dopo Liborio Romano (15 luglio) venne chiamato a sostituire il ministro dell'interno Del Re ma non abbandonò la direzione dei corpi di polizia e, nel disperato progetto di rinforzarne l'efficienza, fece l'ardito passo, onde controllare l'ordine pubblico, di inserire fra gli stessi corpi di polizia i capi della Camorra.
Nel generale collasso delle istituzioni Liborio Romano divenne la più autorevole personalità del decadente stato borbonico e, di fronte all'avanzata dei garibaldini, consigliò a Francesco II di abbandonare Napoli, prendendo contestualmente contatto con Cavour grazie ai servigi del barone Nisco.
Quando miseramente fallirono i progetti piemontesi di suscitare in Napoli un moto filosabaudo ed essendo ormai partito il re alla volta di Gaeta (5 settembre) Liborio Romano si trovò nell'obbligo di ricevere Garibaldi che di persona accompagnò a palazzo reale.
Resosi conto dell'autorevolezza del personaggio, Garibaldi scelse di conferirgli la nomina di presidente del consiglio e di ministro dell'interno: Liborio Romano si mostrò sempre favorevole ai principi di un'annessione incondizionata ed una volta che il Bertani, segretario generale della dittatura, con lui in contrasto, venne riconfermato decise prontamente di dimettersi.
Fu tuttavia richiamato al governo il 17 gennaio 1861 e ricoprì le vesti di consigliere del luogotenente principe di Carignano: quindi nel corso delle elezioni dell'aprile 1861 risultò eletto deputato in ben 8 collegi meridionali.
Era però un personaggio per molti versi compromesso sia per il sostegno dato nel 1860 a Francesco II che ancor più per essersi valso come capo supremo delloe forze di polizia dell'aiuto alquanto interessato della Camorra.
Si cercò quindi di farlo dichiarare inelleggibile ma riuscì ad evitare tale infamia e scelse il collegio di Tricase, andandosi poi a sedere tra gli esponenti del centro-sinistra.
Da quel momento cercò di segnalarsi all'opinione pubblica quale strenuo difensore delle autonomie locali: però, nonostante il conquistato seggio di deputato, Liborio Romano non svolse più ruoli significativamente importanti in ambito politico nazionale, tanto che giudicò inopportuno ripresentarsi alle elezioni del 1865.
Optò per il ritorno alla terra natia, a Patù, ove si ritirò a vita privata impegnandosi nella stesura di quelle Memorie politiche che furono pubblicate dopo la sua morte (1867) a Napoli nel 1873 (per una rassegna più esauriente vedi: R. Moscati, Liborio Romano in "Rassegna Storica del Risorgimento", 1959)
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