cultura barocca
VAMPIRI - LAMIE

VAMPIRI - LAMIE: L'ARCAICA RELIGIONE DEL SANGUE

Variegate e molteplici sono le documentazioni su ANIMALI NERI, ANIMALI FAVOLOSI, MOSTRI, ANIMALI UMANIZZATI IN FORMA DIABOLICA ORCHI,CREATURE DIABOLICHE, UOMINI BESTIA, ZOOANTROPIA ECC. ECC. (VEDI QUI INDICE)
Per comprendere le interazioni "culturali" tra VAMPIRO e LAMIA qui da intendersi come STREGA VAMPIRO [quella del VAMPIRO DRACULA è poi una storia sette/ottocentesca tanto parallela quanto diversa] con certi lugubri PREDATORI DELLA NOTTE è comunque interessante leggere la parte conclusiva della LVIII ricetta" ("Terapia dei bambini molestati dalla dentizione o dalla strige") del "Liber medicinalis" (II-III sec.d.C.) di QUINTO SERENO SAMMONICO, dove si legge:"...Qualora una cupa/ strige incalzi i bambini e sprema sulle loro/ labbra socchiuse poppe velenose, seguire/ i suggerimenti di Titinio, autore all'antica/ di importanti commedie togate,/ che consiglia di appendere loro dell'AGLIO" [si tratta del poeta comico Vettio Titinio", forse del II sec. a.C.> Sammonico" non cita Plinio Seniore" che pure elogiò l'AGLIO nella sua Storia Naturale" XX, 23 : in effetti, su questo argomento, lo scienziato-erudito si mantenne prudentemente generico pur scrivendo che"...il suo odore tiene lontani serpenti e scorpioni e, come alcuni hanno affermato, qualsiasi animale..."]: Sammonico, a riprova della sua duratura e grande influenza culturale, deve aver condizionato - pur in mezzo a qualche fraintendimento - il tardo estensore del Bestiario medievale, detto Bestiario moralizzato [è sempre da rammentare che "Bestiari" ed "Erbari" nel Medio Evo costituivano basi insostituibili di conoscenza nel campo naturalistico] ove, alla rubrica XXII, trattando De la lanmia si allude alle tossine che sotto aspetto di latte sgorgherebbero dalle sue mammelle e avvelenerebbe "lo filiolo": concetto in cui si intersecano riferimenti biblici, dove "il figliolo" sarebbe piuttosto il "cucciolo" della Lamia o dello sciacallo, e cultura popolare pagana per cui nel "figliolo" sarebbe invece da ravvisare l'inerme "fanciullo/-a" vittima notturna e dormiente della donna demone analizzata qui anche nella sua variegata casistica iconografica": V. Bestiari medievali cit, p.504, XXII.
Queste riflessioni - ed in particolare quella di Sammonico - provano comunque in quali variegate modalità la delineazione strutturale della Lamia si sia in definitiva evoluta seguendo un interminabile tragitto (culturale, folklorico, scientifico e magico) di varia ramificazione e portata letterario-libresca (spesso non esente di contraddizioni interne), donde, per ulteriori deviazioni intellettuali e fantasmagoriche, è altresì derivata l'equazione VAMPIRO /STREGA-LAMIA", che non solo propone la storica considerazione sul potere dell'AGLIO contro le forze del male ma altresì suggerisce l'impressione che, ancora districandosi sopra la linea di correlazioni culturali mai venute meno tra paganesimo e cristianità, tale fausto giudizio sull'aglio" (dalle effettive proprietà medicamentose, visto anche che, tra altre utilissime sostanze terapeutiche, contiene un ANTIBATTERICO COME L'ALLICINA: ne sono comunque risapute da secoli le qualità ipotensiva, antisettica sia sull'apparato respiratorio che gastroenterico, balsamica ed espettorante, antielmintica ed antidiarroica) quale strumento di difesa - o, se vogliamo, di profilassi - contro il male diabolico abbia avuta la sua origine in una "diceria popolare (greco)romana [non escludendo, su questa, prestiti della tradizione mediorientale ed ebraica] più accolta in dimensione letteraria che scientifica" per cui la STRIX ATRA (uccello "mitico" ma nell'odierna nomenclatura ornitologica identificato con la CIVETTA, appunto perseguitata da una resistentissima tradizione folklorica come premonitrice di morte, specie per fanciulli e bimbi ammalati") venisse messa in fuga appunto dall'AGLIO" primieramente per l'odore aspro e sgradevole e poi [dilatandosi col tempo e le narrazioni - via via storpiate dalla trasmissione orale - la portata stessa della favola] per qualche intrinseca e misteriosa proprietà della stessa pianta.
Sulla linea di instancabili, parallele sovrapposizioni culturali, di matrice popolare e no, la STRIX ATRA, nella sua identificazione con la CIVETTA, si è contestualmente dimensionata nella tradizione mitica e favolistica romano-imperiale entro gli orrori della Strix e quindi della Lamia, da cui il Vampiro paraletterario, anche "dotto" o comunque di curiosa divulgazione, ha poi recuperato (avverso la sua ideazione primigenia) il timore della luce (capace di decomporlo) e soprattuto un'endemica, quasi "mortale avversione" per l'aglio non tanto in grado di distruggerlo ma certamente idoneo a deprimerne le potenzialità sin a metterlo in fuga (come del resto tutte le altre Bestie, essendo il Vampiro in sostanza una Bestia per quanto anomala visti i vari animali in cui, magari in forza di diaboliche ragioni, può cambiare le sue fattezze: dal Lupo Mannaro, alla Pulce od insetto parassita che si nutre di sangue, al GUFO [Plinio Seniore", X 34 al proposito scrisse: "Il gufo, uccello funebre e di sinistro augurio soprattutto negli auspici pubblici, abita in luoghi deserti e non soltanto desolati, ma anche terrificanti e inaccessibili, mostruosa creatura della notte e non emette un canto ma un gemito".
Il GUFO risulta un ponte naturale di passaggio tra interpretazioni pagane e cristiane sì che il giudizio pliniano si ritrova, per esempio, nel Bestiaire medievale di Philippe de Thaun" ("Bestiari medievali cit"., p.n 256, vv.2789-2800): "Il nicticorax, dice Davide nel suo libro è di tale natura che vuole vivere nelle grondaie, non ama la luce e preferisce le tenebre, vola e grida rivolto all'indietro e si ciba di immondizia. E' un uccello notturno, e canta in vista di una disgrazia; lo chiamiamo 'gufo' in francese").
Ma il NITTICORACE fu anche accostato alla CIVETTA ["Il nitticorace, detto anche nottola/...il nitticorace è immondo...e preferisce le tenebre alla luce" come riporta il Bestiario medievale "Fisiologo versio BIs" ("Bestiari medievali", cit., pp.20-22, VII) in stretto collegamento con le "Etimologie" (XII, VII, 40 e 41) di ISIDORO" ("Il nitticorace è anch'esso una nottola ed è un uccello che rifugge la luce e non sopporta di vedere il sole"): in queste descrizioni comunque il NITTICORACE o "corvo della notte" permette identificazioni varie, tanto con la CIVETTA" quanto col GUFO" e con altri volatili notturni compreso il PIPISTRELLO EUROPEO e l'UPUPA, che uccello notturno non è e che invece ISIDORO di Siviglia nelle "Etimologie" (XII, VII, 66) descrisse come un animale sporco, dal capo coperto da una cresta di alti ciuffi, un uccello che altresì mangerebbe escrementi umani, che vivrebbe tra le tombe ed il cui sangue esorcizzerebbe, entro i sogni di chi se ne cospargerebbe, demoni "soffocatori": il tutto contro una visione più fausta dell'Upupa alimentata in genere dai Bestiari mdievali che ne fecero un simbolo dell'amore filiale verso i genitori deboli ed invecchiati> peraltro nel complesso panorama dei tanti uccelli notturni, in qualche modo collegati col male, col misterioso e comunque coll'enigmatico, si potrebbein ultima analisi addirittura tirare in ballo la spinturnice di Plinio" X 37, il brutto e infausto uccello già menzionato da Festo - ed ascritto dagli ornitologi al gracchio - che avrebbe spesso profanato are ed altari rubandone il carbone) al Canide".
Sulla linea di tradizione e di superstizione, spesso documentate dai BESTIARI MEDIEVALI la sgradevolezza fisica attribuita ad ogni essere malvagio ed in particolare al Demonio, finì -dopo varie tergiversazioni figurative e molte incertezze descrittive, per essere -relativamente tardi- trasferita sul PIPISTRELLO ("avis pellibus alas" = "volatile dalle ali membranacee", come lo definiva SERENO SAMMONICO riprendendo ancora Plinio" X 169 ed attribuendo al suo sangue proprietà depilatorie: e come detto, per qualche Bestiario medievale, contrariamente a certe fragili interpretazioni, non potrebbe essere tal misterioso animale delle tenebre venir sovrapposto a Gufo e Civetta nell'identificazione coll'osceno/-a NITTICORACE"?.
E peraltro l'abitudine, citata da Plinio", di porre dell'AGLIO a guardia di case magazzini alimentari -contro le intrusioni di animali tra cui il pipistrello"- finì per trasferirsi nella mitologia del Vampiro respinto -proprio per la sua doppia identità di morto vivente" e di pipistrello" dall'acre odore dell'aglio").
Comunque, per metamorfosi, (oltre che all'iconografia demoniaca) i connotati del PIPISTRELLO finirono per essere decisamente attribuiti al Vampiro e la scelta definitiva, oltre che probante, del chirottero" (cioè delle varie speci di pipistrelli) come animale simbolo e nello stesso tempo somigliante" al MALIGNO" ed al VAMPIRO" (suo emissario terreno che potrebbe trasformarsi appunto in pipistrello") data in particolare dal tempo in cui, dopo le scoperte geografiche, in area mesoamericana e caraibica si rinvenne quella variante di chirottero" che è il PIPISTRELLO-VAMPIRO", pericoloso e formidabile parassita dei grandi animali e dell'uomo stesso di cui, mentre riposano e dormono, sugge il sangue per via di ferite indolori inferte con denti aguzzi e poi mantenute copiosamente aperte tramite una sostanza anticoagulante contenuta nella sua saliva): propriamente si tratta del VAMPIRO VERO DI AZARA" ("Desmondus Rotundus")>classe: Mammiferi, ordine: Chirotteri, famiglia: Desmodontidi, lunghezza della testa e del tronco: cm. 7.5-9, lunghezza dell'avambraccio: cm.5-6,5", peso: 15-50 grammi", alimentazione: sangue", gestazione: p 90-100 giorni", parto: 1 piccolo".

Di provenienza assolutamente moderna e romanzesca, e successivamente teatrale e cinematografica, è invece la fragilità costituzionale del Vampiro" a fronte degli apparati sacri cristiani", in primo luogo della Croce" (ma è una variante culturale cristiano-europea, priva di fondamento anche a livello di leggenda: molti Vampiri" sarebbero miscredenti e la Croce non avrebbe vigore nei confronti di Vampiri di altro ambiente religioso: ad istituzionalizzare la Croce quale arma contro i Vampiri è stata la produzione culturale occidentale cristiana ed il presupposto di base che il Cristianesimo costituisse l'unica vera religione. In siffatto ragionamento (violando quella sorta di ordinamento morale e in qualche maniera "deontologico" che ha guidato l'erudizione attraverso i millenni) concorre il sincretismo fra morale ottocentesca e OPPOSIZIONE ECCLESIASTICA" (ora sotto forma canonica di credenza nel vampiro e di sua persecuzione coi rimedi istituzionali se non addirittura propri della più variegata fede popolare ora sotto forma di trattati abbastanza ben esposti come quello settecentesco di G. DAVANZATI che apertamente negava l'esistenza di siffatti terrori notturni ricacciandoli nelle nebbie della superstizione) alle posizioni opposte dell'ANTICLERICALISMO FILOSOFICO", in particolare di matrice ILLUMINISTA E GIACOBINA", ed ancor oltre, entro un circuito di ipotesi troppo esteso per venir riproposto, ad una forzata pseudoidentificazione tra Vampiro" e apocalittico, giovanneo Anticristo": anche il "riso sardonico" attribuito alle Lamie" e poi, ancora una volta entro una certa letteratura e cinematografia, trasmesso tanto a Streghe" che a Vampiri" recupera la sua motivazione dalla cultura popolare e da una tradizione della farmacopea che affonda le radici in un'erboristeria" permeata di magismo.
QUINTO SERENO SAMMONICO, sulla scorta della letteratura medica e scientifica che lo aveva preceduto, già ben sapeva che, fuori di ogni malia stregonesca, il "riso sardonico" era al contrario un moto convulsivo, determinato dall'avvelenamento da "erba sardonica" (specie di ranuncolo tipico della Sardegna) che tende e separa i muscoli labiali, conferendo al volto un'espressione in apparenza ridente seppur in modo subdolo (in effetti tale forma di "riso convulsivo ed innaturale" deriva anche da avvelenamento per tetania">v.BATTAGLIA", Grande Dizionario della Lingua italiana, U.T.E.T., Torino, a.v., s.v."sardonico" 1)].

Riflessioni un pò diverse valgono invece nei riguardi del Vampirismo e naturalmente del Vampiro, figura "diabolica" in apparenza propria della cultura popolare e della superstizione dell'Europa orientale e dei popoli carpatico-danubiani: ma in realtà questa credenza è dovuta alla tradizione letteraria e cinematografica che ha confuso la leggenda dei Vampiri -propria di quasi tutte le culture mondiali di tutti i tempi- con la vicenda storica e poi romanzata di "DRACUL L'IMPALATORE" il Signore di Valacchia che combattè ferocemente ed orribilmente nel XVI secolo i Turchi invasori che glia avevano trucidata la famiglia
Il terrore di questi morti-viventi, che si risvegliano nella notte a caccia di vittime da cui succhiare il sangue, è però molto antico ed assai più esteso in senso geografico.

Sul Vampirismo si hanno documenti dell'antica Cina, di Babilonia, della Caldea, dell'Assiria, dell'Egitto (la tredicesima formula di una tavoletta di scongiuri proveniente dalla biblioteca reale di Ninive infatti dice "...il fantasma, lo spettro, il VAMPIRO...").
Anche nella SACRA BIBBIA compaiono riferimenti ad un VAMPIRO seppur sotto forma di DEMONE FEMMINILE.

Pure nella razionale Grecia classica si trova questo mito su morti che si sarebbero nutriti del sangue dei viventi: basta ricordare la tragedia Ecuba di Euripide in cui compare la figura di Achille nel sepolcro, quietato dal sacrificio di una vergine di cui il defunto eroe beve il sangue). Nel Medioevo il Vampirismo (si sarebbe diventati Vampiri per suicidio, morte violenta, caratteri ereditari, nascita con particolarità genetiche - come i denti canini acuminati - o morali e spirituali di dannazione e predisposizione verso certi delitti) acquistò diffusione globale nella tradizione europea, assumendo, questo orrore notturno, specifiche caratteristiche fisiche (labbro leporino, volto scarlatto, lingua dalla punta affilata, sembianze animalesche - dal cane al rospo alla pulce al ragno - con un'unica narice e pelle sempre gonfia e tesa) e caratterizzandosi con nuovi poteri come quello di generare carestie e siccità e rendere impotenti gli uomini (ed in ciò presentando molti punti di contatto con la figura di Streghe e Lamie) e propagare la peste (al contrario risultando in ciò prossimo al Mago che ha fatto patti con Satana ed in particolare con gli Untori e propagatori di morbi, emissari del Maligno.
Prescindendo comunque dal discorso, qui incidentale dei veri e propri "crimini d'avvelenamento", la questione degli Untori, delle pozioni stregonesche e dei diabolici veleni fu sempre causa di discussioni e contrasti interpretativi: ad esempio, nello stesso periodo, parecchi medici pur errando - peraltro in modo comprensibile vista la carenza di strumenti di indagine - ma senza mai coinvolgere Satana (sulla scorta di Claudio Galeno che aveva perfezionato il pensiero ippocratico dei "miasmi" generatori di epidemie) addebitavano le pestilenze a "corruzione dell'aria", prodotta da esalazioni di paludi e fetidi stagni, dalle contaminazioni dell'ambiente, dall'ammasso di grandi depositi di immondizie di vario genere, dall'uso d'abbandonare all'aperto alla putrefazione carogne d'animali ed anche cadaveri umani: per questa abitudine di lasciare ovunque ogni sorta di sporcizia, spesso per trascuratezza ma talora con intenti delinquenziali, gli Statuti Criminali di Genova - libro II, capo LXXXVIII, minacciavano severe pene contro chi lasciasse volontariamente dell'immondizia davanti alle porte di casa di vicini od altre persone.

Una verità di fondo, in questo caso alternativa sia al paranormale che alla spiegazione medica e scientifica, sta comunque alla radice del Vampirismo: il potere salvifico o maligno attribuito al sangue umano ed alla sua assunzione [cartaginesi, galli, certe popolazioni germaniche e barbariche, gli Unni e presso altre culture i guerrieri Masai del Kenia -che si nutrono però esclusivamente di latte e sangue bovino- i Vichinghi e gli amerindiani Dakota-Sioux assaggiavano il sangue dei nemici uccisi in battaglia per farne propri la forza ed il valore (ma i pesanti cavalieri catafratti, cioè corazzati come i loro cavalli, gli stessi Unni e gli Alani, molto più praticamente, nel corso di campagne militari che si protraevano per lande desolate e fredde non mancavano, prima dei combattimenti, di succhiare per via d'una cannula, infissa nella vena giugulare del loro cavallo o di un eventuale cavallo "d'appoggio o scorta", un pò di sangue tiepido per trarne un utile goccio d'energia vitale altamente proteica): invece tra le civiltà precolombiane, specie in MESSICO, il sangue -tanto fra i MAIA che nell'IMPERO AZTECO- serviva preferibilmente quale "strumento" esaugurale al fine di rendersi favorevoli le divinità che presiedevano alle coltivazioni].
Manoscritti e rilievi mesoamericani propongono spesso l'immagine di SACRIFICI UMANi sull'altare di pietra di un Teocalli, la Piramide a gradoni: i manoscritti, a parte le genealogie dei Re, erano prevalentemente di carattere sacro e si conservavano nei calmecac cioè i collegi religiosi in cui erano educati i figli della nobiltà> nell'epoca post-classica (1000.1500 a.C.) la scrittura acquisì sempre più un significato anche non spirituale, trovandosi, col materiale tradizionale, libri di diritto e di storia a carattere cronachistico.

Per inciso questa cultura religiosa del sangue e dei sacrifici umani non venne compresa dal mondo europeo ed altrettante persecuzioni abbatterono le grandi città e poi la cultura Maia ed Azteca: bere il sangue altrui è infatti come rubare l'anima d'un altro, così si evince dalla Bibbia e precisamente dal Levitico, XVII, 10.14 ove si legge che L'anima del corpo è nel suo sangue [tale divieto non impedì comunque, come annota la vampirologa Ornella Volta che la PRIMA TRASFUSIONE DI SANGUE di cui si abbia notizia sia avvenuta in ambito cristiano e romano per ridare salute a Papa Innocenzo VIII: per ironia della sorte l'intervento terapeutico finì per assumere i toni di un'orgia vampiresca visto che i tre giovani donatori del sangue per l'illustre malato morirono per sopraggiunta anemia fulminante.]
Nonostante lunghi, controversi DIBATTITI gli indio precolombiani per lungo tempo furono equiparati alla condizione inferiore di SCHIAVI DI NATURA.

Sul fronte opposto della questione, cioè a livello malefico, il sangue "guasto", in qualche modo corrotto ed inutile (da qui deriva peraltro l'estremizzazione di questo fatto biologico nei contorni della tarda e paraerotica leggenda secondo cui i Vampiri prediligerebbero in linea assoluta il puro sangue delle vergini) doveva al contrario evitarsi - anche sotto forma di semplice, casuale contatto - essendo ritenuto "depositario" di forze oscure e debilitanti: ad esempio - e ciò era abbastanza diffuso anche nella cultura popolare ligure dal Medioevo - si giudicava "dannoso" quello "ormai degradato e degenerato" del "flusso" della femmina mestruata cui per antica tradizione pseudomedica veniva proibito di toccare piante (soprattutto germogli) od animali (cuccioli in particolare e femmine gravide di ogni specie domestica e d'allevamento) onde, come si credeva, non farli ammalare, non procurare inconsapevolmente degli aborti o non far nascere creature deformi (né bisogna dimenticare che fra le primarie interferenze negative attribuite alle Streghe sussisteva la credenza che potessero nuocere a piante novelle e neonati, servendosi - in modo quasi abituale - delle loro urine e soprattutto del proprio sangue mestruale in combinazione con altre particolari misture (in gran parte costituite da sordes cioè residui organici umani) od in composizione con parole magiche e sguardi incantatori: anche per siffatta ragione e più in generale per la credenza in queste "energie infauste del sangue impuro" in non poche case fu costruito un locale apposito di segregazione, detto la "Camera della mestruata" dove la stessa risiedeva, tristemente isolata dal contatto coi famigliari, specie i piccoli, sino alla fine del suo ciclo. Queste convinzioni sulla "donna mestruata", che a livello popolare si son tramandate fino ai giorni attuali, trassero vigore da arcane considerazioni parascientifiche sviluppate principalmente da Senocrate ed Anassilao, ed anche da Solino, e comunque riprese da Plinio il Vecchio - XXVIII, 77-79 - che esercitò enorme influenza sulle credenze mediche sin oltre il medioevo: ".... Prima di tutto sostengono che il sangue mestruale esposto di fronte alle saette allontana la grandine ed i turbini: così si calmerebbe la furia degli elementi. Inoltre sarebbe sufficiente, allo scopo di disperdere le tempeste durante la navigazione, che una donna anche non mestruata si liberasse delle vesti restando nuda. Dalle mestruazioni, che generano effetti straordinari e di cui ho scritto in un altro passo di quest'opera, si può dire che se ne ricavano presagi negativi e terribili, tra i quali, senza troppe remore e pudore, alcuni si possono citare. Ricordo per esempio che se l'energia del mestruo coincide con una eclissi lunare o di sole non sussiste alcuna difesa contro quest'ultima; fatto che si verifica pure in occasione d'un novilunio. Il maschio rischia molto nell'accoppiarsi con una donna mestruata, e può patirne funeste conseguenze, tenendo altresì conto che quel sangue guasto è in grado addirittura, data la sua forza, di macchiare la rossa porpora.. Per quanto concerne invece il dato positivo che se una donna mestruata, del tutto nuda, attraversa un campo di grano e dalle spighe cadono morti gli insetti nocivi, gli scarabei, i vermi ed i tanti parassiti, esso fu scoperto, a perere di Metrodoro di Scepsi - soprannominato l'"odiatore dei romani", filosofo ed erudito condannato a morte da Mitridate nel 70 a.C. - , facendo ricerche su un'invasione di parassiti cantaridi [si trattò forse di un coleottero vescicatorio della famiglia Meloidi, dal nome scient. di Lytta versicatoria od alternativamente della Lytta segetum, seguendo almeno le ipotesi del Leitner nella sua "Terminologia di zoologia" a p.70] in Cappadocia: è appunto da quel tempo che le donne di tale regione usano attraversare i campi per bonificarli quando sono indisposte, tenendo le vesti rialzate fin sopra le natiche. In altri luoghi invece si riscontra poi soltanto la tradizione che le donne mestruate procedano, per i terreni coltivati, a piedi nudi, coi capelli sciolti sulle spalle e la veste slacciata. Secondo l'opinione di parecchi non debbono però far ciò al sorgere del sole perché in tal caso al contrario le sementi patiscono, le viti novelle muoiono, come la ruta e l'edera che pure sono importanti piante medicamentose. Si è detta comunque solo una parte di quanto è documentato intorno alla potenza delle mestruazioni.
Si può aggiungere che se una donna indisposta tocca un alveare le api fuggono via, che se la stessa tratta del lino durante la cottura questo annerisce, che altresì la mestruata rovina - qualora lo prenda in mano - il filo del rasoio dei barbieri: non è inoltre da dimenticare che a contatto di una femmina in simili condizioni il rame assume un fortissimo puzzo cangiandosi in verderame mentre le cavelle, se incinte, abortiscono e che, a parere di qualcuno, per ottenere questo infausto risultato basterebbe addirittura lo sguardo d'una donna in pieno mestruo, specie se trattasi della prima mestruazione dopo la perdita della verginità od ancora nel caso della prima mestruazione in assoluto d'una qualche vergine...."[in effetti Plinio, di seguito nella trattazione, elenca anche parecchie valenze positive attribuite al "sangue mestruale", persino come curativo, pur alternando convinzioni sincere ad osservazioni alquanto critiche: per l'utilità del discorso sul Vampirismo e sugli Untori ed in particolare sull'uso romano di ungere con pozioni gli stipiti delle porte od appendervi oggetti o parti di animali, per allontanare o causeare malefici, dopo aver fatto cenno all' aglio ed al pipistrello in merito al Vampiro, si può menzionare una credenza proposta contro i Magi dell'antichità, da Plinio reputati ora bugiardi ora criminali, che l'erudito imperiale registra con qualche interrogativo implicito: "Su un altro punto si è d'accordo, e non esiste nulla cui vorrei più credere: mi riferisco alla convinzione popolare che solo toccando con del sangue mestruale gli stipiti delle porte si sia in grado di render vane le arti malefiche dei Maghi, genia di bugiardi"> la riflessione è interessante, non tanto per un'efficacia, puramente fantasiosa, in parte denunciata dallo stesso Plinio, ma in quanto simile procedura costituirebbe per un verso un antidoto, senza dubbio fantasioso, contro un espediente magico-medicamentoso dei Maghi prossimo ai procedimenti della Magia nera, soprattutto per l'uso di sordes (o residui vergognosi del corpo umano, come frammenti di unghie, pezzi d'osso e di denti, cerume, urina, saliva, sudore, feci e sangue mestruale) e per altro verso, in rapporto alla "cultura paracristiana dei malefici" di streghe ed untori , rappresenterebbe uno stretto collegamento fra alcune ipotesi arcaiche, non solo greche e romane, e la discutibile "civiltà rinascimentale - controriformista dei filtri e delle unture", a protezione o distruzione dei buoni :"('a parere dei Maghi (suggerisce Plinio continuando nelle sue riflessioni) si impastino con la cera i ritagli delle unghie dei piedi e delle mani del malato e intanto si faccia solenne dichiarazione che si cerca una cura per la febbre terzana, quartana o giornaliera, quindi si appiccichi siffatta poltiglia alla porta d'un'altra casa prima che si levi il sole: ecco il rimedio da loro prescritto per simili patologie. Che impostori nel caso che si tratti di un'invenzione ma che delinquenti se, così facendo, contagiano gli altri con oscene malattie!"].
Il Vampiro, che non è un fantasma ma un morto vivente connesso al terrore della notte e che si risveglia al crepuscolo della luce morente del sole, beve dunque il sangue delle vittime per acquistare "potere" e "vivere", anzi per "sopravvivere oltre il tempo" in un culto perverso, ma umanissimo e di tradizione pure alchimistica, della ricerca di "immortalità" e di sfida profana -e laica- alle leggi di Dio e della Natura.

In senso storico la figura del Vampiro si concentra dal tardo Medioevo nell'Europa slava ed orientale, seppur con una forte penetrazione in Grecia: dopo la settecentesca riscoperta di questa leggenda (incentivata dalle discussioni seguite alla pubblicazione nel 1679 del volume Dissertatio Historico - Philosophica de Masticatione Mortuorum di Philippus Rohr), la figura del Vampiro venne "esaltata" - anche per la sua innata, e a quel tempo di moda, caratteristica anticlericale - sulla direzione di certi miti storici, rumeni e transilvanici e addirittura d'area magiara ed austriaca, legati alle figure di "Nosferatu" e in particolare del "CONTE VLAD (Vlad l'Impalatore altresì noto come Dracul, che nel 1476 il re d'Ungheria MATTIA CORVINO fece imprigionare a Medias, città transilvanica della Romania centrale, nella torre pendente cinquecentesca di ben 74 metri aggiunta alla chiesa evangelica in stile gotico del XV secolo).
Il raccapricciante esotismo del Vampiro e del vampirismo dal '700 in poi godette comunque di una sorprendente fortuna nel campo dell'immaginifico e finalmente rifulse, in maniera prima letteraria e molto più tardi cinematografica, attraverso l'immagine moderna, ed in verità rielaborata volentieri in nome di effetti di colore spesso discutibili , del Vampiro - a partire dal romanzo "The Vampyre" (1819) del medico personale di Byron, W.Polidori, per giungere al celebre Dracula, dall'omonimo romanzo scritto nel 1897 dall'irlandese Bram Stoker.
In senso esteso, però, il tema delle creature notturne che si nutrono del sangue altrui entrò con decisione nella civiltà della Caccia alle streghe, sia in ambito cattolico che protestante, tanto in Europa che in area americana e soprattutto centroamericana e caraibica. Ed è soprattutto utile ricordare che gli attributi del Vampiro sono piuttosto inseriti, nel contesto dell'Europa occidentale, cattolica e mediterranea, entro le più vaste potenzialità malefiche delle Lamie e che in definitiva tali particolari attributi si devono ricondurre, per questa estesa area geoculturale, alla solita e sempre più complessa trama del paranormale in cui la Diversità veniva continuamente alimentata, ogni volta che se ne demolivano frontiere poco prima giudicate inattaccabili, dalla sovrapposizione di nuovi teoremi del Male, ogni volta recuperati dall'inesauribile contenitore delle paure collettive. La Lamia, con cui si imparenta il Vampiro per così dire occidentale, è invece un antico termine della favolistica greca (antic. "làmmia") che stava ad indicare un "Mostro mitologico, immaginato per lo più con corpo di serpente e testa di donna che secondo antiche credenze popolari elleniche e no, riprese in età romana e quindi rinvigorite con nuova linfa favolosa in epoca medievale usciva di notte dai boschi e dai crepacci per divorare i bambini e suggerrne il sangue"[ Il termine dotto latino lamia allude esplicitamente alla figura del "vampiro", inteso nel senso di "colui che succhia il sangue delle sue vittime"(così Francesco Baldelli -Cortona XVI sec., autore peraltro molto caro all'Aprosio- in Filostrato. Della vita di Apollo Tianeo, tradotto, Firenze, 1549, p.290 poté scrivere: " Questa buona femina e novella sposa è una del numero delle lamie, chiamate da alcuni larve, da alcuni lemure e da altri streghe. Queste son molto inchinate a l'amori e alle lascivie e a disonesta lussuria"> si veda peraltro F.MILIZIA, Opere, Bologna, 1826-'27, III, p. 167: " 'Lamie' maschere spaventose degli antichi Romani, con naso e denti orribili, colle quali si faceva paura ai bambini": secondo ISIDORO di Siviglia (Etym., VIII, XI, 102: le Lamie sarebbero stati mostri così definiti dalla tradizione per la loro abitudine di dilaniare i fanciulli, mentre la Bibbia nelle Lamentazioni 4, 3 registra la profezia per cui anche le "Lamiae nudaverunt mammam, lactaverunt catulos suos" cioè le "Lamie si scoprirono le mammelle ed allattarono i loro piccoli" anche se in verità all'interpretazione mitica della femmina mostruosa o Lamia parecchi interpreti preferiscono l'identificazione naturalisticamente plausibile di Lamia = "Sciacallo"].
Per comprendere le interazioni "culturali" tra Vampiro e Strega-Lamia è comunque interessante leggere la parte conclusiva della LVIII ricetta (Terapia dei bambini molestati dalla dentizione o dalla strige) del Liber medicinalis (II-III sec.d.C.) di Quinto Sereno Sammonico, dove si legge:"...Qualora una cupa/ strige incalzi i bambini e sprema sulle loro/ labbra socchiuse poppe velenose, seguire/ i suggerimenti di Titinio, autore all'antica/ di importanti commedie togate,/ che consiglia di appendere loro dell'aglio" [si tratta del poeta comico Vettio Titinio, forse del II sec. a.C.> Sammonico non cita Plinio Seniore che pure elogiò l'aglio nella sua Storia Naturale XX, 23 : in effetti, su questo argomento, lo scienziato-erudito si mantenne prudentemente generico pur scrivendo che"...il suo odore tiene lontani serpenti e scorpioni e, come alcuni hanno affermato, qualsiasi animale..."]: Sammonico, a riprova della sua duratura e grande influenza culturale, deve aver condizionato - pur in mezzo a qualche fraintendimento - il tardo estensore del Bestiario medievale, detto Bestiario moralizzato ove, alla rubrica XXII, trattando De la lanmia si allude alle tossine che sotto aspetto di latte sgorgherebbero dalle sue mammelle e avvelenerebbe "lo filiolo": concetto in cui si intersecano riferimenti biblici, dove "il figliolo" sarebbe piuttosto il "cucciolo" della Lamia o dello sciacallo, e cultura popolare pagana per cui nel "figliolo" sarebbe invece da ravvisare l'inerme "fanciullo/-a" vittima notturna e dormiente della donna demone: V. Bestiari medievali cit, p.504, XXII.
Queste riflessioni - ed in particolare quella di Sammonico - provano comunque in quali variegate modalità la delineazione strutturale della Lamia si sia in definitiva evoluta seguendo un interminabile tragitto (culturale, folklorico, scientifico e magico) di varia ramificazione e portata letterario-libresca (spesso non esente di contraddizioni interne), donde, per ulteriori deviazioni intellettuali e fantasmagoriche, è altresì derivata l'equazione Vampiro /Strega-Lamia, che non solo propone la storica considerazione sul potere dell'aglio contro le forze del male ma altresì suggerisce l'impressione che, ancora districandosi sopra la linea di correlazioni culturali mai venute meno tra paganesimo e cristianità, tale fausto giudizio sull'aglio (dalle effettive proprietà medicamentose, visto anche che contiene un antibatterico come l'"allicina": ne sono comunque risapute da secoli le qualità ipotensiva, antisettica sia sull'apparato respiratorio che gastroenterico, balsamica ed espettorante, antielmintica ed antidiarroica) quale strumento di difesa - o, se vogliamo, di profilassi - contro il male diabolico abbia avuta la sua origine in una "diceria popolare (greco)romana [non escludendo, su questa, prestiti della tradizione mediorientale ed ebraica] più accolta in dimensione letteraria che scientifica" per cui la STRIX ATRA (uccello "mitico" ma nell'odierna nomenclatura ornitologica identificato con la civetta, forse non casualmente perseguitata da una resistentissima tradizione folklorica come premonitrice di morte per fanciulli e bimbi ammalati) venisse messa in fuga appunto dall'aglio primieramente per l'odore aspro e sgradevole e poi [dilatandosi col tempo e le narrazioni - via via storpiate dalla trasmissione orale - la portata stessa della favola] per qualche intrinseca e misteriosa proprietà della stessa pianta.
Sulla linea di instancabili, parallele sovrapposizioni culturali, di matrice popolare e no, la strix atra si è contestualmente dimensionata nella tradizione mitica e favolistica romano-imperiale entro gli orrori della Strix e quindi della Lamia, da cui il Vampiro paraletterario, anche "dotto" o comunque di curiosa divulgazione, ha poi recuperato (avverso la sua ideazione primigenia) il timore della luce (capace di decomporlo) e soprattuto un'endemica, quasi "mortale avversione" per l'aglio non tanto in grado di distruggerlo ma certamente idoneo a deprimerne le potenzialità sin a metterlo in fuga (come del resto tutte le altre Bestie, essendo il Vampiro in sostanza una Bestia per quanto anomala visti i vari animali in cui, magari in forza di diaboliche ragioni, può cambiare le sue fattezze: dal Lupo Mannaro, alla Pulce od insetto parassita che si nutre di sangue, al GUFO [Plinio Seniore, X 34 al proposito scrisse: "Il gufo, uccello funebre e di sinistro augurio soprattutto negli auspici pubblici, abita in luoghi deserti e non soltanto desolati, ma anche terrificanti e inaccessibili, mostruosa creatura della notte e non emette un canto ma un gemito".
Il gufo risulta un ponte naturale di passaggio tra interpretazioni pagane e cristiane sì che il giudizio pliniano si ritrova, per esempio, nel Bestiaire medievale di Philippe de Thaun (Bestiari medievali cit., p.n 256, vv.2789-2800): "Il nicticorax, dice Davide nel suo libro è di tale natura che vuole vivere nelle grondaie, non ama la luce e preferisce le tenebre, vola e grida rivolto all'indietro e si ciba di immondizia. E' un uccello notturno, e canta in vista di una disgrazia; lo chiamiamo 'gufo' in francese"). Ma il NITTICORACE fu anche accostato alla Civetta ["Il nitticorace, detto anche nottola/...il nitticorace è immondo...e preferisce le tenebre alla luce" come riporta il Bestiario medievale Fisiologo versio BIs (Bestiari medievali, cit., pp.20-22, VII) in stretto collegamento con le Etimologie (XII, VII, 40 e 41) di ISIDORO ("Il nitticorace è anch'esso una nottola ed è un uccello che rifugge la luce e non sopporta di vedere il sole"): in queste descrizioni comunque il NITTICORACE o "corvo della notte" permette identificazioni varie, tanto con la Civetta quanto col Gufo e con altri volatili notturni compreso il Pipistrello europeo e l'Upupa, che uccello notturno non è e che invecei ISIDORO di Siviglia nelle Etimologie (XII, VII, 66) descrisse come un animale sporco, dal capo coperto da una cresta di alti ciuffi, un uccello che altresì mangerebbe escrementi umani, che vivrebbe tra le tombe ed il cui sangue esorcizzerebbe, entro i sogni di chi se ne cospargerebbe, demoni "soffocatori": il tutto contro una visione più fausta dell'Upupa alimentata in genere dai Bestiari mdievali che ne fecero un simbolo dell'amore filiale verso i genitori deboli ed invecchiati> peraltro nel complesso panorama dei tanti uccelli notturni, in qualche modo collegati col male, col misterioso e comunque coll'enigmatico, si potrebbein ultima analisi addirittura tirare in ballo la spinturnice di Plinio X 37, il brutto e infausto uccello già menzionato da Festo - ed ascritto dagli ornitologi al gracchio - che avrebbe spesso profanato are ed altari rubandone il carbone) al Canide.
Sulla linea di tradizione e di superstizione, spesso documentate dai BESTIARI MEDIEVALI la sgradevolezza fisica attribuita ad ogni essere malvagio ed in particolare al Demonio, finì -dopo varie tergiversazioni figurative e molte incertezze descrittive, per essere -relativamente tardi- trasferita sul Pipistrello (avis pellibus alas = "volatile dalle ali membranacee", come lo definiva Sereno Sammonico riprendendo ancora Plinio X 169 ed attribuendo al suo sangue proprietà depilatorie: e come detto, per qualche Bestiario medievale, contrariamente a certe fragili interpretazioni, non potrebbe essere tal misterioso animale delle tenebre venir sovrapposto a Gufo e Civetta nell'identificazione coll'osceno/-a nitticorace?: e peraltro l'abitudine, citata da Plinio, di porre dell'AGLIO a guardia di case magazzini alimentari -contro le intrusioni di animali tra cui il pipistrello finì per trasferirsi nella mitologia del Vampiro respinto -prprio per la sua doppi identità di morto vivente e di pipistrello dall'acre odore dell'aglio).
Comunque, per metamorfosi, (oltre che all'iconografia demoniaca) i connotati del pipistrello finirono per essere decisamente attribuiti al Vampiro e la scelta definitiva, oltre che probante, del chirottero (cioè delle varie speci di pipistrelli) come animale simbolo e nello stesso tempo somigliante al MALIGNO ed al VAMPIRO (suo emissario terreno che potrebbe trasformarsi appunto in pipistrello) data in particolare dal tempo in cui, dopo le scoperte geografiche, in area mesoamericana e caraibica si rinvenne quella variante di chirottero che è il PIPISTRELLO-VAMPIRO, pericoloso e formidabile parassita dei grandi animali e dell'uomo stesso di cui, mentre riposano e dormono, sugge il sangue per via di ferite indolori inferte con denti aguzzi e poi mantenute copiosamente aperte tramite una sostanza anticoagulante contenuta nella sua saliva): propriamente si tratta del VAMPIRO VERO DI AZARA (Desmondus Rotundus)>classe: Mammiferi, ordine: Chirotteri, famiglia: Desmodontidi, lunghezza della testa e del tronco: cm. 7.5-9, lunghezza dell'avambraccio: cm.5-6,5, peso: 15-50 grammi, alimentazione: sangue, gestazione: p 90-100 giorni, parto: 1 piccolo.

Di provenienza assolutamente moderna e romanzesca, e successivamente teatrale e cinematografica, è invece la fragilità costituzionale del Vampiro a fronte degli apparati sacri cristiani, in primo luogo della Croce (ma è una variante culturale cristiano-europea, priva di fondamento anche a livello di leggenda: molti Vampiri sarebbero miscredenti e la Croce non avrebbe vigore nei confronti di Vampiri di altro ambiente religioso: ad istituzionalizzare la Croce quale arma contro i Vampiri è stata la produzione culturale occidentale cristiana ed il presupposto di base che il Cristianesimo costituisse l'unica vera religione. In siffatto ragionamento (violando quella sorta di ordinamento morale e in qualche maniera "deontologico" che ha guidato l'erudizione attraverso i millenni) concorre il sincretismo fra morale ottocentesca e OPPOSIZIONE ECCLESIASTICA (ora sotto forma canonica di credenza nel vampiro e di sua persecuzione coi rimedi istituzionali se non addirittura propri della più variegata fede popolare ora sotto forma di trattati abbastanza ben esposti come quello settecentesco di G. DAVANZATI che apertamente negava l'esistenza di siffatti terrori notturni ricacciandoli nelle nebbie della superstizione) alle posizioni opposte dell'ANTICLERICALISMO FILOSOFICO, in particolare di matrice ILLUMINISTA E GIACOBINA, ed ancor oltre, entro un circuito di ipotesi troppo esteso per venir riproposto, ad una forzata pseudoidentificazione tra Vampiro e apocalittico, giovanneo Anticristo: anche il "riso sardonico" attribuito alle Lamie e poi, ancora una volta entro una certa letteratura e cinematografia, trasmesso tanto a Streghe che a Vampiri recupera la sua motivazione dalla cultura popolare e da una tradizione della farmacopea che affonda le radici in un'erboristeria permeata di magismo: Quinto Sereno Sammonico, sulla scorta della letteratura medica e scientifica che lo aveva preceduto, già ben sapeva che, fuori di ogni malia stregonesca, il "riso sardonico" era al contrario un moto convulsivo, determinato dall'avvelenamento da "erba sardonica" (specie di ranuncolo tipico della Sardegna) che tende e separa i muscoli labiali, conferendo al volto un'espressione in apparenza ridente seppur in modo subdolo (in effetti tale forma di "riso convulsivo ed innaturale" deriva anche da avvelenamento per tetania>v.BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua italiana, U.T.E.T., Torino, a.v., s.v."sardonico" 1)].

L'arma universalmente riconosciuta contro i VAMPIRI sarebbe invece sempre l'AGLIO.
Secondo alcune tradizioni altro mezzo di repulsione sarebbe quello di spalmarsi il collo con sterco di mucca.
Ancora è citata l'usanza di cibarsi d'un poco di terra della tomba del vampiro, anche bagnandosi del suo sangue: è ipotesi molto controversa visto che per alcune culture popolari del soprannaturale questo sarebbe un modo non per proteggersi ma semmai per contagiarsi.
Un'arma in qualche modo istituzionale è poi costituita dal fatto d'avere a disposizione il nemico storico dei vampiri cioè un dhampiro (uomo nato da donna umana e padre vampiro), in pratica un cacciatore di vampiri capace di fiutarli in ogni luogo. La storia documentata cita un dhampiro della Serbia dal nome di Murat di Vrbrica> costui fu studiato nel 1858 dal folklorista e vampirologo Vukanovic e, per i documenti raccolti, si rivelò capace di cacciare i vampiri con un semplice fucile da caccia, facendosi pagare una tariffa di mille dinari o dieci capretti.
L'immaginazione popolare, naturalmente, sulle possibili armi contro i vampiri ha elaborato una incredibile casistica:

Il Cacciatore umano dovrebbe sempre esser molto vigile, aspettare il sonno del Vampiro quando durante il giorno sarebbe costretto a ritirarsi nella fossa d'origine o come i dtakul nella loro stessa bara. Sarebbe quindi necessario che per riconoscere il luogo della fossa sarebbe necessario portare un cavallo bianco o nero: questo si rifiuterebbe assolutamente di passare sopra la tomba del non porto.
A tal punto il Cacciatore umano di vampiri dovrebbe raggiungere il corpo del vampiro e piantargli nel cuore un paletto di frassino o biancospino.
Fondamentale precauzione, visto il flotto di sangue che esploderebbe dalla ferita, il Cacciatore dovrebbe star attento a non farsi contaminare dal sangue infetto e vlenoso del non morto.
Poiché non accadrebbe, secondo la vampirologia, che la luce diurna dissolverebbe il vampiro così ferito mortalmente, sarebbe in seguito necessario che il Cacciatore trascini tra le fiamme il Vampiro sì da ridurlo in cenere: mancando il tempo per questa procedura bisognerebbe piuttosto strappare il cuore del Vampiro e quindi decapitarlo.
Per evitare rischi temibili (in particolare un risveglio precoce del vampiro) si potrebbe ricorrere secondo la tradizione a vari espedienti:
1-Mettere nella bara un oggetto appuntito o tagliente (un coltello, un falcetto, un ramo spinoso di rosa selvatica o di biancospino) per inchiodare il non morto al suo giaciglio.
2-In Germania sarebbe uso quello di bloccare i temibili nachzehrer tramite una rete piena di nodi oppure con dei soporiferi semi di papavero.
3-A livello precauzionale -per chi si teme sia morto in tema di poter diventare Vampiro- si può:
A-Chiudere la bocca dei morti con una fascia, deponendo prima nella bocca una moneta nell'auspicio che il non vivo si accontenti di masticare quella e non si risvegli contro gli umani: in questo caso, confusamente, si notano le interferenze della procedura di inumazione dei pagani soliti deporre una moneta in bocca al defunto come obolo da pagare al demone Caronte, il Traghettatore, sì che questo accetti con la sua barca di trasportare l'anima nell'Averno, l'oltretomba degli antichi, senza tornare indietro a tormentare i viventi.
B-Mettere una candela accesa tra le mani del defunto durante la veglia sì da illuminargli la strada per l'aldilà (usanza tipica della Pomerania).
C-Sempre in Pomerania, ma anche secondo altre tradizioni, si usa deporre un morto sospetto nella bara a testa in giù, volto verso il mondo sotterraneo, quasi a indirizzargli la strada da percorrere onde raggiungere la pace eterna.

Per altro verso è interessante notare come un interprete di magia del livello culturale e del peso ideologico di M. DELRIO ( lib. V, sez.XVI), a riprova dell'attenzione volta dalla Chiesa e dall'Inquisizione al tema delle Streghe-Vampiro o Lamie pericolosamente connesso all'emergente, e maschile o se si vuole maschilista e per certi aspetti destabilizzante, mitologia del vampiro transilvanico e carpatico-danubiano, non a caso abbia proposto sotto forma di ragionamento scolastico (con bibliografia giuridica canonica) un confronto tra contraddittorie interpretazioni su un vampirismo di cui, viste le presunte serie attestazioni, non può far a meno di ratificare l'esistenza, badando però di inquadrarla nella tradizionale ed ortodossa visione cattolica "del mondo femminile prioritariamente traviato dal Male":
"...le Lamie confessano cose incredibili ed assolutamente impensabili, come l'aver raggiunto in volo il luogo dei raduni sacrileghi, l'essersi congiunte carnalmente col demonio, l'aver più volte suscitato contro uomini, animali e cose le terrifiche forze della natura ostile. Risposta: Siamo invece riusciti a dimostrare che tutto quanto confessato non risulta impossibile al diavolo e pertanto i buoni Cattolici debbono prestar fede a tal genere d'affermazioni. 2: I peccati delle Lamie paiono piuttosto restringibili al puro pensiero, ai desideri più oscuri ma non realizzati: la Chiesa, come del resto alcun tipo di giudici, non deve quindi addivenire ad una punizione avverso queste donne. Risposta: Ho presupposto appena adesso un falso ragionamento; come infatti ben si sa son da punire tutte quelle meditazioni che han lo scopo di finalizzarsi in azioni straordinarie, magari sotto forma dei più vergognosi crimini. 3: la congenita fragilità del sesso femminile e ancor più l'età avanzata dovrebbero essere una giustificazione onde evitare un inasprimento di inchieste, torture e pene. Risposta: Sostiene con giustezza Iulius Clarus, peraltro rifacendosi alla consueta prassi giudiziale, che la vecchiaia non costituisce ragione idonea per sminuire la severità delle pene in occasione dei crimini più gravi: tuttavia ci si sbaglia a pensare che solo gli anziani possano incorrere in tal genere di peccato e che sian lor compagne soltanto le donne da poco conto: pertanto il sesso non può rappresentare alcun tipo di giustificazione in crimini d'eresia o nel campo di delitti terribili.4 : Le Lamie si debbono in verità paragonare piuttosto alle sonnambule o forse ancor meglio a donne che, nel sopore del sonno, confessano colpe assurde, che appartengono alle farneticazioni della loro mente turbata. Risposta: In verità non son mancati casi di fattucchiera e saga che han più volte ammesso, sotto giusto interrogatorio, d'aver perpetrato da sveglie ed in perfetta consapevolezza i loro misfatti, come patti diabolici, coiti satanici, infanticidi, danneggiamento di messi ed armenti: ma del resto ritengo che siano in genere da punire anche quelle che si limitano a meditare le proprie malazioni nei sogni, tenendo altresì conto del fatto che prima d'averle sognate le hanno evidentemente premeditate e che, dopo le visioni oniriche, si son date a farne comunicazione ad altri col folle motivo di trarne guadagno, prestigio e piacere".
La letteratura ecclesiastica inquisitoriale (da fine '500 ben sunteggiata dallo stesso DELRIO), ma comunque non estranea alla trattatistica giuridica dei vari Statuti criminali dei Paesi europei e no, parlava spesso di infanticidi per magia ma curando sempre di inquadrarli nel discusso ecumene della femminilità (il crescente fenomeno di infanticidi rituali, a rigor di verità, non era estraneo a determinate superstizioni ed usanze oscene di provenienza idolatrica mai del tutto disperse nel vecchio continente specie in aree dalle condizioni di estrema arretratezza culturale e parimenti, seppur in tempi abbastanza recenti, al lugubre fenomeno che si sarebbe sempre andato ramificando, fino a sublimarsi in una sorta di religione del potere, attraverso lo sviluppo, anche anacronistico, di sorprendenti sincretismi religiosi nel nuovo continente: specie in ambito ispano-americano e soprattutto nell'area caraibica ove si fusero, per esempio nella relativamente tarda e poco nota "Santeria" ma ancor più nel magismo della religione haitiana del "Vudu", espressioni cultuali dell'ortodossia cristiano-cattolica e sopravvivenze rituali dell'Africa Nera, derivanti ad esempio dal complesso pantheon degli dèi cosmici dei Fon dell'antico regno del Dahomey od ancora dall'ambiente spirituale di divinità, come i Petro, erroneamente giudicate un tempo di ascendenza creola ma piuttosto derivanti, per via di instancabili mediazioni culturali e rituali, dal pantheon dei Kongo in Africa centrale): "...Alcune (streghe ma nel senso di Lamie ancora sottolinea con precisione intenzionale lo stesso DELRIO) si muovono del tutto apertamente, con sfrontata sicurezza, a caccia di vittime. Sono soprattutto quelle che cercano di sorprendere per via qualcuno sì da consegnarlo alle furie di un demone o che soffocano fra materassi e cuscini infanti e bambinelli colti nel sonno inermi, senza custodi. Ma esistono pure quelle forsennate che uccidono i fanciulli conficcandogli un ago dietro le orecchie, come fece quella perfida ostetrica Elvezia di cui fa menzione nel Malleus lo Sprengerio. Risultano comunque innumerevoli i malefici compiuti da fattucchiere contro i bimbi: quando si tratta di neonati esse preferiscono rapirli dalla culla per nutrirsene o far uso a pro d'unguenti delle loro misere carni....ai più grandicelli propinano invece un qualche filtro pernicioso che li uccide all'istante o li macera crudelmente di lenta consunzione [reato contemplato nel capo X del libro II degli Statuti Criminali di Genova del 1556] ed alcune di loro, come già narrarono Quinto Sereno, Ovidio e lo stesso Festo Pompeo (parlando specificatamente di figure arcane dai connotati delle Lamie ed in alcun caso di Maghi Vampiri: anche se qui il DELRIO cede alle lusinghe dei suoi studi eruditi e profani), giungono al segno di succhiare il sangue di questi poverelli...e per testimoniare che tal loro feroce costumanza è tuttora in vigore torna utile leggere quanto ha scritto il Chieza nella sua 'Descrizione delle Indie' (parte II, carta 196) su un gruppo di Malefiche (ma ancora nel senso di Streghe-Vampiro o Lamie) scoperte a Panama e ree d'aver ucciso dei fanciulli bevendone per intiero il sangue" (e quest'ultima riflessione è solo il codicillo di un incredibile teorema in cui sono correlati magismo e superstizione, misoginia e sovrapposizioni culturali così resistenti a livello di tradizione popolare da "assemblare" in una sola entità femminea i caratteri infausti della puttana, della mitica strix atra, di Lamia e Strega, di espressione femminile del Vampiro pregna di sconcertanti attributi di sensualità contorta, senza escludere gli estremi perversi di pedofilia, pederastia, zoofila e persino di coprofagia (nutrirsi di feci umane durante un rapporto sessuale contro natura) se, in un'ulteriore ipotesi di scambio tra rapporti letterario-mitologici e culturali e come in fondo suggerisce una certa ed anche medievaleggiante iconografia delle Lamie, senza neppur troppo osare si accosta la Strega-Lamia alla figura mitologica sempre femminile e sempre oscena dell'Arpia].


Alla radice dello studio di presunte manifestazioni soprannaturali malefiche, ma anche alla base di un tentativo di loro classificazione sulla base di scorrette forme di inumazioni, vi fu (soprattutto, ma non solo e basti pensare agli scritti dell'italiano GIUSEPPE DAVANZATI) l'opera dell'erudito francese DOM AUGUSTINE CALMET destinato anche contro le intenzioni a diventare per molti la massima autorità sulle infernali creature nominate VAMPIRI.
E' opportuno precisare a titolo proemiale che nell'intenzione del religioso risiedeva originariamente il programma di giustificare razionalmente alcune leggende legate al mito ancestrale dei "Ritornanti", appunti i presunti "Vampiri": si era egli fatto l'idea che molte presunte manifestazioni fossero state l'effetto di suggestioni collettive legate ad uno dei temi basilari della letteratura illuministica, le improprie tecniche di inumazione e il seppellimento di individui solo apparentemente morti [MORTI APPARENTI / CATALESSI] o dichiarati morti dopo una sommaria investigazione medica o per assoluta mancanza di oculata indagine necroscopica.




Secondo una tradizione non solo popolare indeterminate forze malefiche di presunti RITORNANTI e/o MORTI VIVENTI avrebbero attaccato nel 1731 gli abitanti del villaggio di Medvegia, in Serbia, "e fecero morire parecchie persone succhiando loro il sangue".
Così racconta l'ufficiale medico Johannes Fluchinger dell'esercito austriaco, che nel terribile inverno dello stesso anno fu inviato per ordine dell'alto comando a investigare il fenomeno in quella remota provincia dell'lmpero.
Si legge nel suo rapporto: "Ho condotto l'indagine con la consulenza di altri due ufficiali medici e in presenza del capitano della locale Compagnia di heyduk (fanteria serba), Gorschiz Hadnack, e degli heyduk più anziani del villaggio, i quali mi hanno raccontato quanto segue: cinque anni fa un heyduk locale di nome Arnold Paole si ruppe il collo cadendo da un carro di fieno. Lo stesso Paole, in vita, aveva rivelato a più riprese di essere stato morso da un vampiro, presso Gossowa nella Turchia serba. Per liberarsi dell'influsso maligno, aveva mangiato un po' di terra presa dalla tomba del vampiro e si era bagnato con il suo sangue. Tuttavia, una ventina di giorni dopo la sua morte, diverse persone dissero che Arnold Paole era tornato a tormentarle, e in effetti quattro di loro morirono. Per mettere fine al male, su consiglio di Hadnack, che era esperto in tali faccende, i paesani disseppellirono Paole quaranta giorni dopo la sua morte. Trovarono il suo corpo intatto. Sangue fresco era colato da occhi, naso, orecchie e bocca; camicia, sudario e bare erano pieni di sangue; le unghie delle mani e dei piedi erano cadute con la vecchia pelle, ma pelle e unghie nuove erano ricresciute al loro posto. Da ciò si dedusse che Arnold Paole era un vampiro. Secondo l'usanza, gli fu piantato un paletto nel cuore e in quel momento egli emise un forte gemito, e un gran getto di sangue schizzò fuori dal suo corpo. Lo stesso giorno il cadavere fu arso e ridotto in cenere".
"Secondo questa gente" continua la relazione di Fluchinger "chi è ucciso da un vampiro diventa vampiro a sua volta. Perciò dovettero disporre allo stesso modo dei cadaveri delle quattro vittime di Paole".
Ma qualcosa non dovette funzionare, perché le morti continuarono: "Quindici giorni fa, una ragazza di nome Stanacka si svegliò a mezzanotte con un urlo terribile, e disse di essere stata aggredita da un certo Milloe, che era stato sepolto nove settimane prima. Nel giro di tre giorni, la ragazza morì".
Così, il gelido pomeriggio del 12 dicembre 1731, Fluchinger e gli heyduk di Medvegia entrarono nel cimitero.
Tutte le tombe sospette furono aperte ed i cadaveri esumati: si trattava di tredici corpi in tutto.
Con orrore e meraviglia dei presenti, quasi tutti i cadaveri furono scoperti in perfetto stato di conservazione, sporchi di sangue fresco, rossi in volto, e più grassi e floridi di quando erano in vita.
Perciò, conclude il rapporto dell'ufficiale "le teste dei vampiri furono fatte tagliare a degli zingari di passaggio e poi bruciate insieme ai corpi. Le ceneri vennero gettate nel fiume Morava. In fede, Joahnnes Fluchinger, ufficiale medico reggimentale".
Oltre alla firma di Fluchinger il documento riporta quelle degli altri testimoni: è curioso il fatto che questa scrittura non appartenesse a qualche fantastica narrazione esotica dell'orrore ma costituisse parte integrante di una relazione ufficiale, una testimonianza autenticata sul presunto fenomeno del vampirismo.
Peraltro essa non costituì un caso isolato: qualche anno prima, nel 1725, in un altro villaggio serbo, Kisilova, un altro commissario dell'lmpero aveva assistito all'esumazione e all'eliminazione (con paletto e rogo) di un altro vampiro, Peter Plogojowitz, ritenuto responsabile della morte di nove abitanti del villaggio.
Prima ancora, nel 1672, questa volta in Istria, a Coriddigo, fu esumato il corpo di un certo Giure Grando, sepolto ben sedici anni prima: Grando era apparso a diverse persone del paese ed entrato persino nel letto della moglie!
Alcuni abitanti di Coriddigo si fecero coraggio e aprirono la tomba del vampiro: Giure Grando apparve loro roseo e sorridente.
Mentre il prete del villaggio alzava il crocifisso gridando: "Guarda Gesù Cristo, strigon! Cessa di tormentarci!", gli altri, tremando di paura, cercarono di piantargli nel cuore un paletto di biancospino.
Ma il paletto rimbalzava sempre dal corpo del vampiro: di conseguenza lo decapitarono ed il supposto vampiro avrebbe lanciato un urlo terribile mentrela bara veniva inondata di sangue fresco.
Le ipotetiche epidemie di vampirismo di cui si possiede qualche documentazione si verificarono in Istria (1672), Grecia (1701), Prussia Orientale (1710 e 1721), Ungheria (1725 -30), Serbia (1725-32), nuovamente Prussia Orientale (1750), Slesia (1755), Valacchia (1756), Russia (1772).
In effetti si cercava di fornire delle spiegazioni razionali di questi presunti fenomeni paranormali ma, in ambiente culturale come quello europeo occidentale alla costante ricerca di nuove suggestioni artistiche e tematiche, finirono per suscitare maggior interesse i fatti inspiegabili e le orride descrizioni.
Dappertutto, intorno alla metà del Settecento, si parlava di vampiri e la vampiromania contagiò persino i filosofi: Voltaire, nel suo satirico Dizionario Filosofico, in effetti affermò con la solita mordacità che i veri vampiri erano i preti, gli speculatori e gli esattori delle tasse.
Jean-Jacques Rousseau scrisse che tutta la società umana era basata sullo sfruttamento e il vampirismo: per ognuno di noi "il nostro vampiro sono gli altri".
Il naturalista Buffon, rifacendosi coscientemente alle sue osservazioni e speculazioni, diede il nome di vampiro ai pipistrelli succhiatori di sangue.
Ma mentre nell'Europa più moderna e civile si discorreva di vampiri con il sorriso sulle labbra, nei remoti e arretrati villaggi dell'Europa meridionale e orientale la paura era concreta.
"Tutti avevano perso la testa -scrisse il botanico francese Pitton de Tournefort, testimone di un'epidemia di vampirismo nell'isola greca di Mikonos, nel 1701.
"Era come una febbre del cervello, pericolosa quanto la rabbia e la follia. Intere famiglie abbandonavano le loro case alla periferia del paese e portavano i loro giacigli nella piazza centrale, per passarvi la notte. L'approssimarsi del buio scatenava un lamento generale".
Dopo l'"epidemia" in Slesia del 1755, l'Imperatrice d'Austria Maria Teresa, proclamando il suo disgusto per quella che giudicava la superstizione popolare dei "barbari processi riservati a poveri morti indifesi" per tutto il suo vasto dominio sancì l'illegittimità della "magia postuma" che per sua natura comportava la violazione delle tombe.
L'alto intervento pose probabilmente fine alle dissertazioni ufficiali, ma non al richiamo popolare sui "Vampiri": l'argomento rimase sospeso sulla linea abbastanza sottile che distingueva e distingue il fantasioso dall'imponderabile e per questo la discussione fu ripresa stabilmente da eruditi e soprattutto letterati, costantemente in caccia di quell'esotismo che in fondo caratterizzò per sua parte il "secolo dei lumi" prima e successivamente la temperie culturale romantica.
Nel 1816, lo scrittore Prosper Mérimée, l'autore della Carmen poi musicata da Bizet, si dichiarò testimone di un caso di vampirismo a Varbesk, in Serbia, proprio nella casa ove era ospitato.
Durante la notte una ragazza, Khava, gridando balzò dalla sua stanza ed affermando poi di aver visto la finestra aprirsi e un individuo pallido, coperto di un un sudario gettarsi su di lei per morderla al collo.
Per sua testimonianza si sarebbe trattato di un certo Wieczany, morto da una quindicina di giorni: a dire del letterato francese Khava avrebbe avuto il collo segnato da un minimo ed indecifrabile segno rossastro.
All'alba lo scrittore francese si accodò sin al cimitero agli abitanti del villaggio e verificò l'esumazione, pur fatta contro le norme statutarie.
Per rappresentare la sequenza degli eventi annotò con un certo timor panico mescolato ad una punta di esotica vanità per il suo presenzialismo ad un presunto prodigio: "Quando il sudario fu levato, un grido acutissimo mi fece rizzare i capelli sulla testa".
"E' Un vampiro! E' Un vampiro! I vermi non l'hanno divorato!: cento bocche ripeterono il grido. Poi venti colpi di fucile furono tirati alla testa del cadavere e il padre e i fratelli di Khava lo fecero a pezzi con i loro coltellacci".
Khava fu bagnata con il sangue del vampiro, per annullare il contagio, ma morì nel giro di pochi giorni: presunti, simili casi di vampirismo si sarebbero verificati per tutto l'Ottocento e persino nel XX secolo.
Nel 1909 un antico castello della Transilvania fu incendiato dai contadini: secondo essi un vampiro che vi abitava sarebbe stato causa di una moria di bambini (notizia riportata dal "Neues Wiener Journal " del 10 giugno 1909).

Giova comunque precisare che la questione delle MORTI APPARENTI non fu esclusivo appannaggio dell' EUROPA ORIENTALE.
Essa fu sentita in ogni contrada del vecchio Continente anche se invero venne affrontata in maniere diverse: certo più misteriche e fantasiose nella parte orientale e al contrario su BASI PIU' SCIENTIFICHE tanto nei Paesi del Nord europa che in Italia: ed i casi che permettono di analizzare questa interpretazione dell'impressionante fenomeno sono da collegare, sorprendentemente, ai genitori di due illustri scienziati, uno svedese, il celeberrimo Alfredo Nobel, l'altro italiano, Ascanio Sobrero che, inventando la nitroglicerina, aprì la strada alla scoperta nobeliana della dinamite: dato il collegamento ideale non solo tra questi due ricercatori ma tra i loro stessi genitori l'argomento è qui affrontato al collegamento poco prima evidenziato che rimanda appunto a visionare i rapporti di questi personaggi col tema angosciante quanto reale al loro tempo sia delle CATALESSI che delle MORTI APPARENTI.








Per ricevere i compensi di un patto diabolico (ad es. l'immortalità) gli UNTORI, come detta il loro stesso nome, avrebbero unto [con l'ausilio oltre che di DEMONI anche di STREGHE] di sostanza propagatrice di peste, le abitazioni delle città fra XIV e XVII secolo.

Sorprendentemente, a prova delle contraddizioni epocali, mentre contro la peste ci si serviva alla luce del sole, quando possibile e quindi fra altri consimili "prodotti", di un particolare SPECIFICO [nella medicina antica un FARMACO IDONEO A CURARE UNA SPECIFICA MALATTIA], per la precisione una costosa e quantomeno discutibile combinazione alchimistica , permeata di fantasie improponibili per qualsiasi disciplina empirica, come l'Olio contravveleno, sciroppo di scorpione bollito realizzato presso l'Officina farmaceutica granducale di Firenze, al contrario parecchi innocenti e severi alchimisti, colpiti da infamanti accuse caddero vittime di superstiziose paure e cacce feroci [in nome del rigore critico v'è comunque da dire che, per quanto la credenza fosse diffusa, non si son scoperte moltissime tracce documentarie sugli Untori, un pò per la dispersione del materiale ed ancor più per l'assenza di ricerche moderne a vasto raggio].
Uno SPECIFICO ritenuto un preservativo o meglio ancora un antidoto alla peste, secondo la tradizione susseguente alla pestilenza in Milano del 1630, sarebbe stato composto da cera nuova once tre, olio d’oliva once due; olio di Hellera, olio di sasso, foglie di aneto, orbaghe di lauro peste, salvia, rosmarino, once mezza per ciascuno; un poco d’aceto, il tutto doveva esser bollito si da ridurlo a una pasta con la quale si sarebbero dovute ungere le narici, le tempie, i polsi e le piante dei piedi, dopo aver mangiato cipolle, aglio e bevuto aceto.

Escludendo il milanesato ove il fenomeno persecutorio fu eclatante e peraltro sancito ufficialmente dall'autorità attraverso apposite Gride [Grida] (vedi F. NICOLINI, La peste del 1629-1632, in Storia di Milano, Fondaz. Treccani degli Alfieri, Milano 1953-1966, vol.X, pp.499-564) si hanno sì indicazioni, un pò per tutto il '500, di processi e roghi contro Untori nella città e territorio di Ginevra (E.W.MONTER, Witchcraft in Geneva, 1537-1662, in "Journal of Modern History", XLIII, 1971, pp.183-184) ed ancora nella Savoia (G.PARKER, The army of Flanders and the Spanish road, 1567-1659, University Press, Cambridge, 1975, p.66) ma altrove la mappa degli untori non è facile da disegnare anche perché, di fronte a sospetti di unture o di propagazione del contagio (esulando scientemente dalle definizioni fin troppo decise ed esplicite dei testi inquisitoriali ecclesiastici) negli atti del braccio secolare non sempre venne usato questo epiteto al fine di indicare malefici avvelenatori (un poco per non seminare "panico superstizioso" e molto di più onde non cedere spazio ed azione all'invadenza del Santo Ufficio: si veda al proposito con quanta prudenza terminologica - pur alludendosi anche a veneficij compiuti per via magica [e quindi implicitamente all'opera di UNTORI] - sia stato redatto sugli "avvelenamenti" - il capo X del II libro dei genovesi Statuti Criminali di Genova.

Eppure la giustizia penale nel '500, noto col '600 come secolo dei veleni, ebbe sempre a che fare cogli "avvelenamenti" (di cui erano state escogitate varie forme e tecniche: compresa l'usanza di prezzolare la servitù corrotta di qualche nemico perché ne spalmasse le posate od i piatti con unguenti tossici) contro cui (visto il mistero che aleggiava sull'onnipotente - e probabilmente solo fantasioso - antidoto di Mitridate, il "contravveleno per eccellenza" usato dal re orientale nemico di Roma) sino all'Ottocento, tempo in cui persistevano i "fanatici" delle sostanze velenose, si usava la Triaca o più propriamente "Teriaca", antidoto classico - dalle svariate composizioni - riconosciuto ancora validissimo dalla farmacopea ufficiale francese di fine XIX sec.: una sorta, piuttosto elementare però, di Teriaca è anche quella che tra II e III sec. d.C., in un'epoca di instabilità del governo imperiale in cui i veleni servivano per risolvere certe controversie di potere, Quinto Sereno Sammonico registrò nel suo Liber medicinalis (ora edito a c. di C. Ruffato per la "Strenna '96"-U.T.E.T.-Torino) alla ricetta 60 ("Degli Antidoti") e dove si legge che "Per tutelarsi dalla perfidia d'una ostile/ matrigna o di qualche invidioso che si arrovella/ per la tua fortuna bisogna predisporre una condotta cautelare per gli avvelenamenti/ inattesi (in effetti nel '500 i potenti ed i re, ma anche parecchi nobili ed agiati cittadini, escogitarono la formula un pò macabra del "servo assaggiatore dei cibi"). Come antipasto mangiare dunque delle noci. Le coppe d'elettro cangianti/ svelano il veleno. E' poi opportuno bere/ un decotto di corteccia di quercia/ o prendere dei fichi sott'olio. La divinità/ ha sovente prescritto come alimento/ il rafano..." anche se poi, non funzionando - come probabile - alcuna cautela, nella successiva formula del ricettario medicinale l'erudito romano annotò pure una "Terapia contro gli avvelenamenti": in qualche caso - ancora nel '500 e vista la fama di Sereno Sammonico - suggerita dai medici stessi alle vittime dei veleni: "Qualora le cautele non riescano ad evitare/ l'orribile veleno urgono le cure atte/ ad espellere la sostanza assorbita./ Si afferma l'efficacia del latte d'asina/ e di mucca tranquilla ( per Plinio seniore ed altri medici antichi - ma è altresì un espediente d'un certo reale effetto - il latte possedeva qualche proprietà contro alcuni veleni proteggendo la mucosa gastrica e limitando l'assorbimento di particolari tossine). La maggioranza/ prende l'erba betonica con poco vino./ L'assaporare il succo dell'edera, che avviluppa/ gli alberi elevati, nelle coppe, renderà/ innocue quelle che qualcuno avrà inquinato/ con erbe velenose. La rapida frenesia/ indotta da ingestione di giusquiamo/ potrà essere alleviata con latte di capra (come lo "stramonio" era "veleno di streghe", lo "GIUSQUIAMO" si definiva spesso "veleno di donne" per la sua maneggevolezza e facile reperibilità e le donne, ricorrendo all'astuzia ed alle sostanze tossiche contro varie angherie maschili, non mancarono nel '500 di ricorrervi: il giusquiamo infatti, somministrato a dosi elevate, determina frenesia, allucinazioni e fatale collasso, spesso non riconosciuto dai medici del tempo in virtù dell'usanza di soprassedere ad un'indagine oculata sul cadavere e tantomeno da un'ispezione necroscopica adeguata, specialmente quando si riusciva a mascherare il sospetto di un possibile delitto)].
Prescindendo comunque dal discorso, qui incidentale dei veri e propri "crimini d'avvelenamento", la questione degli Untori, delle pozioni stregonesche e dei diabolici veleni fu sempre causa di discussioni e contrasti interpretativi: ad esempio, nello stesso periodo, parecchi medici pur errando - peraltro in modo comprensibile vista la carenza di strumenti di indagine - ma senza mai coinvolgere Satana (sulla scorta di Claudio Galeno che aveva perfezionato il pensiero ippocratico dei "miasmi" generatori di epidemie) addebitavano le pestilenze a "corruzione dell'aria", prodotta da esalazioni di paludi e fetidi stagni, dalle contaminazioni dell'ambiente, dall'ammasso di grandi depositi di immondizie di vario genere, dall'uso d'abbandonare all'aperto alla putrefazione carogne d'animali ed anche cadaveri umani: per questa abitudine di lasciare ovunque ogni sorta di sporcizia, spesso per trascuratezza ma talora con intenti delinquenziali, gli Statuti Criminali di Genova - libro II, capo LXXXVIII, minacciavano severe pene contro chi lasciasse volontariamente dell'immondizia davanti alle porte di casa di vicini od altre persone.