Nell'antico Egitto: Le notizie sull'accoglienza dello straniero sono fortemente documentate a partire dal periodo del nuovo impero sec. XVI a.c., quando numerosi stranieri, soprattutto commercianti, banchieri, artigiani, si stabiliscono nelle città egiziane. Queste categorie di stranieri erano protette dalle autorità centrali e locali, sia nelle loro persone che nei loro beni. Diplomatici e funzionari di Stato erano ancor più al sicuro. Il testo biblico parla di mercanti ismaeliti incamminati verso l'Egitto (Gn37,25). Ciò significa che essi erano sicuri di trovare buona accoglienza. I fratelli di Giuseppe che tornano in patria dall'Egitto si fermano in un luogo dove pernottare (Crn42,27 ;43,21). Tuttavia la Bibbia presenta l'Egitto come un oppressore anche se gli ebrei lo rimpiangeranno (Nu 1 I,5-9 ; 16,13; 20,3-5). L' Egitto e la terra promessa dei poveri, dei reietti, fin dal medio regno la protezione del povero e un elogio quasi obbligatorio e banale. Amenophis IV il più liberale di tutti i faraoni ( ca. 1370-1350 a.c.),aprì il regno ai rifugiati provenienti dall'Asia. 'Tra le persone che il re e i grandi del tempo si sentono in dovere di soccorrere vi sono anche i forestieri. L' egiziano si richiama sempre alla propria fede religiosa anche nelle scelte quotidiane e tra queste l’accoglienza.
Nell'antica Grecia: L'unità del popolo greco è data, oltre che dalla lingua, dall'appartenenza alla città (polis). Ma la situazione rigida delle origini cambia, sia pure lentamente. La colonizzazione e l espansione commerciale hanno messo le città greche in contatto con altre popolazioni. Le guerre e le attività sempre crescenti creavano nuovi posti da riempire e molti vi affluivano spinti dalla speranza di trovarvi fortuna. Le preferenze razziali o culturali dovevano cedere il posto alle esigenze reali. Cosi anche le città greche, fatte poche eccezioni, si riempivano di forestieri. Lo xenos era chi per qualche ragione si trovava fuori dalla propria terra di origine. Dopo un certo periodo, in genere un mese, egli doveva scegliere di rimanere o di andarsene. Se rimaneva, diventava un metoikos ( da meta = con, e oikos =- casa. quindi, coabitante) o un paroikos (para = presso). Il metoikos e il paroikos sono gli stranieri domiciliati. Bisogna arrivare all'epoca di Alessandro Magno( 356-323 a.C.), ossia al periodo ellenistico per vedere equiparata la presenza straniera con quella indigena. La Grecia e la terra ospitale per eccellenza . Sia in età arcaica, come nel periodo storico, il dovere dell'ospitalità è esaltato da poeti, filosofi e dai vari scrittori. Non sono mancate eccezioni nell'età preistorica e nell'età storica, come il caso di Sparta che prima fu molto ospitale e poi a partire dal VI secolo a.c. diventa un esempio classico di chiusura perché vi si praticava la xenelasia ( allontanamento dello straniero ).
A Roma: L' accoglienza dello straniero non arriva ad eguagliare quella greca. I romani, essendo vissuti in un continuo stato di guerra, avevano un atteggiamento antagonistico con le popolazioni del mondo mediterraneo con cui venivano a contatto. Stabilivano rapporti culturali e commerciali, ma sempre da vincitori a vinti, quindi quasi sempre con reciproca insicurezza e diffidenza. L'ospitalità greca è umana, cordiale, sacra anche a motivo dei presupposti culturali, che mancano invece a Roma, dove tutto si sostiene con il diritto e con la forza. L’ospitalità romana è più vicina a quella spartana che ateniense. Tuttavia bisogna riconoscere che essa ha occupato sempre un largo posto nella vita cittadina e nella stima dei vari scrittori.
Ovidio (43 a.c.-17 d.c.) il poeta che esperimentò i mali dell'esilio, afferma senza mezzi termini. "E' turpe non accogliere in casa un ospite, più turpe e scacciarlo'". Virgilio, Giovenale, Vitruvio, testimoniano l'accoglienza che Roma riserva allo straniero.
Roma è alle sue origini chiusa, come una qualsiasi città antica, ma man mano che estende la sua dominazione ingloba popolazioni diverse. Con la costituzione dell'impero sarà sempre gradualmente più aperta nell'accoglienza: sulla scorta di queste considerazioni sempre più cresciute con l'esigenza di ospitare un flusso crescente di viaggiatori si sviluppano le forme di ospitalità a pagamento e quindi sulla scorta del cristianesimo dell'opitalità caritatevole sublimata nell'espressione degli ospizi per viandanti.
Tuttavia per ben intendere la valenza dell'ospitalità giova ricordare sulla base di un volume antiquario dei tempi aprosiani (e del resto questo settore dell'antiquaria era sondato anche da amici e corrispondenti stessi d'Aprosio come Tomasini, Giacomo Filippo <1595-1654>) quali espedienti utilizzassero i Romani per rendere l'ospitalità un fatto pratico e sicuro, sin ad elaborare nel complesso sistema dei messaggi scritti su tessere (per le più svariate funzioni di vita pubblica) anche delle apposite tessere di ospitalità.
Tommaso Porcacchi [autore peraltro noto all'Aprosio e da lui apprezzato e citato oltre il repertorio biblioteconomico: pur se Angelico non mancava di opere geografiche molto valide] fra quanti parteciparono all'iniziativa di editare i cinque ultimi canti del Furioso è da considerare l'autore più poledrico.
Nato a Castiglion Fiorentino [Arezzo] nel 1530 non ha lasciato di sè notizie probanti almeno sino al 1559 allorquando, dopo soggiorni a Firenze e Bologna, si trasferì a Venezia divenendo intimo dell'editore Giolito per il quale, fra molti altri prodotti culturale, editò le opere di G. Camillo (Tutte le opere del 1566), del Sannazzaro (Arcadia del 1566), del Guicciardini (Storia d'Italia del 1574: la sua versatilità si scopre nelle progettazioni che portò avanti con il Giolito come una collana di classici greci e latini ma anche in funzione di altri suoi scritti molto particolari come la Prima parte delle prediche di diversi (Cavalli, Venezia 1565), i Funerali antichi di diversi popoli e nazioni (Gambigliani, Venezia 1574), Istoria dell'Origine et successione dell'illustrissima famiglia Malaspina (Discepolo, Verona, 1585), La nobiltà della città di Como (Giolito, Venezia 1569).
Per quanto le sillogi letterarie moderne insistano, anche giustamente, su questi aspetti della sua produzione, la fama attuale in gran parte gli deriva da un'opera spesso non menzionata vale a dire
la pubblicazione a Venezia nel 1572 dell'opera L'isole più famose del mondo in tre volumi di 47 carte incise su rame da Gerolamo Porro, ampliato e riedito dopo quattro anni e ristampato più volte entro il 1686.
L'opera, tuttora estremamente ricercata specie da bibliofili ed antiquari, descrive posizioni e distanze , varianti dei nomi, descrizione del territorio, con una cartografia che propone una visione globale del mondo conosciuto insieme a varie osservazioni sull'arte di navigare ma che scende nei dettagli sin ad offrire visioni anche delle terre da non molto scoperte dall'antica Ispagnola ormai detta Isola di Cuba, alle vaste terre dell'America Settentrionale, all'isola di Giamaica, ad interessanti aspetti del Messico amerindiano e precolombiano per sondare contrade sempre poco conosciute come l'Isola di San Lorenzo, analizzare nella sua immensità l'Asia e di questa scoprire contrade variamente divenute crocevia di commerci come le Isole Molucche per poi riavvicinarsi all'Europa attraverso Costantinopoli e finalmente raggiungere quell'Arcipelago greco che sarà vanamente difeso dalla cristianità (in particolare dai Cavalieri Gerosolimitani
Alla civica Biblioteca Aprosiana si trova un'opera, altrimenti irreperibile, di un erudito giurista Filippo Mengarello, verisimilmente vissuto tra XVI e XVII secolo e di area veneta, che Aprosio cita una sola volta, riportandone tre versi, a pagina 119 della parte edita dello Scudo di Rinaldo.: i tre versi appartengono ad una composizione poetica in italiano del Mengarello riportata a pagina 45 dell' opera
Delle rime et prose di Filippo Mengarello ... In Venetia : appresso Gio:Batta Ciotti, 1614 [ 79 p. : ill. ; 12°].
[Si può cliccare qui per leggere l'intiero testo digitalizzato dell'opera