Secondo il Bernardini (La Provincia di Imperia cit., p. 59) la NAVE "DI DIANO MARINA" (del I secolo d. C.) verosimilmente il relitto più significativo al momento ascrivibile tra i reperti navali rinvenuti lungo l'arco marittimo ligure per l'eccezionale carico (stimato del peso di mille tonnellate) avrebbe obbligatoriamente dovuto
seguire la rotta di cabotaggio del Tirreno settentrionale anziché quella più pericolosa
delle BOCCHE DI BONIFACIO.
I bolli a rilievo dei dolia (Felix Pacat., Hilarius M. P., Ciprianus Primus) indicherebbero i commercianti.
Secondo lo stesso autore le migliaia di
anfore avrebbero portato, dall'Iberia a un porto campano, vino da tavola mentre gli ziri o dolia fissi del carico avrebbero portato mosto; questi ultimi sono di tre tipi: oblunghi
(h. 187 cm., cap. 1200 It.), sferici (diam. 180 cm., cap. 3100 It.), sferici piccoli (80-90
cm., diam. 70-80 cm.).
I dolia, come quelli del relitto navale di Diano Marina [ uno dei punti nodali del SISTEMA VIARIO TERRESTRE e dei TRAGITTI COMMERCIALI MARITTIMI della Liguria all'interno dell'immenso MERCATO APERTO IMPERIALE ROMANO (SIA STRADALE CHE MARITTIMO)] portavano del "mosto": tuttavia questi grandi contenitori non servivano solo per il "vino".
Il ritrovamento di un relitto di nave romana che portava
vino spagnolo, in concorrenza col pregiato ma carissimo vino campano del I sec. d.C., non deve indurre a pensare che altri dolia di altre navi non potessero trasportare merci
diverse come i cereali o l'olio, ancora più importanti del vino per l'economia imperiale: come ha invece ben evidenziato V. CAMPANELLA nel suo articolo Il dolio di epoca romana, in "Provincia di Imperia ", VI (1987), n. 22, p. 2.
L'agronomo imperiale
Columella (De r.r., XII) pose un quesito scientifico su questi dolia [
Quelli in cui si conservava l'olio venivano impermeabilizzati con uno strato di cera
prima dell'impiego e ogni anno ben puliti e cerati di nuovo.
A fine impiego venivano
lavati con lisciva tiepida per asportare tracce d'olio rimaste aderenti alle pareti, senza
però intaccare la ceratura.
La tradizione voleva che ogni 6 o 7 anni si rifacesse la ceratura ma secondo l'autore latino non aveva senso logico l'inceratura di una superficie
profondamente pregna di olio e cera superstiti.
Columella consigliava di far sovrapporre
alla prima ceratura una lieve spalmatura di gomma vegetale sulla quale una fumigazione
di vapori di cera bianca, dopo l'annuale lavaggio, sarebbe stata sufficiente per garantire
un igienico rinnovo dell'impermeabilizzazione.
Le finalità degli ziri erano quindi varie e soggette a tecniche diverse = per un approfondimento testuale leggi qui: Columella (vedi) nel suo trattato agronomico De Re Rustica
entro il fondamentale libro XII, con altre colture, variamente parlando anche dell'olivicoltura risulta assai
interessante laddove parla della produzione e conservazione dell'olio fornisce anche dati vari sull'uso di dolia e seriae (queste ultime in pratica grandi vasi per conservare anche l'olio = equivalenti di "giarra" - "giara" = a titolo documentario e conclusivo giova qui rammentare su testo digitalizzato che, pur senza le precise documentazioni di Columella, anche Catone nel suo più antico De Agri Cultura
trattando diffusamente
dell'olivicoltura
tra le dotazioni basilari della "Cella Olearia" come qui si vede ascrisse in primis il Doleum Olearium)].
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Anche se ogni umana ricerca è suscettibile di integrazioni, il volume Navigia fundo emergunt (1987), edito dal Ministero dei beni culturali e dalla Soprintendenza
archeologica di Genova in collaborazione con l'Ist. Intern. di Studi Liguri di Bordighera, costituisce oggi la massima chiave di lettura dei traffici marittimi di epoca preromana e romana lungo le coste liguri.
Per qualsiasi discorso sui commerci viari e marittimi bisogna, comunque, sempre segnalare l'importanza di Vado (Vada Sabatia peraltro nodo stradale importante della via Julia Augusta), quale scalo commerciale verso l'interno (Statielli e Bagienni) e la fortunata logistica di Genova, nel cui territorio sulla via Aurelia si inseriva la via Postumia; tutte
prove dei destini commerciali molto antichi della Liguria
"Ai Balzi Rossi, a Ventimiglia, si trova la prosecuzione di una piattaforma costiera che risale al paleolitico superiore.
A Capo Mortola si hanno segnalazioni di frammenti di anfore al largo degli scogli delle Mose, a circa 9 metri di profondità, e tracce di laterizi d'epoca romana.
Tra Vallecrosia e Riva Ligure, sono stati recuperati vari reperti, tra cui anfore dell'età imperiale, vasi in ceramica di origine medievale e pezzi di ancora in ferro tra i 45 e i 70 metri.
Davanti a S. Stefano al Mare, a poca profondità, il recupero di un' ancora romana da ponte di nave fa credere che nella zona si trovi un relitto.
Tra S. Stefano e Imperia si sono scoperte altre anfore sui fondali: alcune furono catturate dalle reti dei pescherecci.
Recentemente (mattina del 21-9-2002 - ore 13:52), due subacquei dilettanti hanno segnalato alla Capitaneria di Porto di Imperia la presenza di almeno 6-7 anfore nella zona di mare a circa 2 miglia da Porto Maurizio. Secondo quanto riferito, le anfore, parzialmente sepolte sotto il fondale marino, sarebbero integre. La presenza di tali reperti potrebbe far sperare nel ritrovamento di un relitto di nave in quel braccio di mare.
Nel mare di Diano Marina, il RELITTO INTERO di una nave oneraria romana (carica di anfore) e a un miglio e mezzo dalla costa (a 40 metri di profondità) chiamata Felix Pacata, dal supposto nome di un commerciante o del costruttore dei coperchi dei dolia.
Recentemente è stato recuperato uno dei dolia ("ziri") che si trovava nella stiva.
A Cervo si sono rinvenuti frammenti di anfore: si ritiene che appartenessero al relitto di Diano.
Davanti ad Albenga, attorno all'isola Gallinaria, numerosi sono i reperti.
Si pensa che molti siano ancora nascosti nella sabbia.
Ad un miglio a (42 metri di profondità) si trova il relitto di una nave di età repubblicana (?) contenente molte anfore.
Sempre ad Albenga (nell'alveo del fiume Centa) sono sommerse macerie di edifici suburbani, e a 150 metri dalla spiaggia di S. Francesco, resti, anche umani, trovati sul fondale fanno supporre una necropoli.
Tra Finale Ligure e Bergeggi, i fondali sono ricchi di resti dal neolitico all'età del ferro.
Vado costituisce una miniera di reperti: è stato scoperto il relitto di una nave oneraria romana di età imperiale.
Poi frammenti di anfore, e oggetti in ceramica, provano lo sviluppo portuale della cittadina nei secoli.
A Genova Pegli è stato trovato il rottame di una nave romana di età repubblicana, carica di anfore, vicino allo scoglio di Pria Pula.
A Quarto dei Mille, si rinvennero ceppi di ancore in piombo e frammenti vari di materiale più antico.
Tra Recco e Camogli si trovarono anfore etrusche e galliche.
Nella baia di S. Fruttuoso un'antica ancora, forse appartenente a una nave della Repubblica Genovese.
Nei fondali di Portofino (dove si pensa sia il relitto di una nave romana) sono stati rinvenuti pezzi di anfore di stile greco-italico (scarpata a nord del fanale rosso: a 20 metri di profondità), medievali e romane (in fondali di 40 metri).
Altra anfora romana fu recuperata a Rapallo, mentre a Sestri Levante il mare nascondeva un ceppo d'ancora piccola in piombo.
A Riva Trigoso, 20 miglia al largo di Punta Manara, si rinvenne altra anfora di tipo gallico.
Non lungi da La Spezia, a Monterosso (a 15 metri da Punta Mesco) è stata trovata un'anfora romana di età repubblicana, a Portovenere un altro relitto carico di laterizi, embrici e antefisse davanti al porto (a circa 8 metri di profondità).
A Bocca di Magra, sono state ricuperate un'ancora in ferro (età incerta) a mezzo miglio dalla foce del Magra, frammenti di anfore e di ceramica (tra i 6 e i 10 metri di profondità) e un ceppo di ancora in piombo su un fondale di 20 metri in località Punta
Bianca.