I segni della morte e della fede nel XVII secolo:
edizione integrale tradotta de il Tractatus de sepulturis, capellis, statuis, epitaphijs, & defunctorum munimentis. Authore Floriano Dulpho i.c. Bonon...

I segni della morte e della fede nel XVII secolo

Nella cultura di ogni epoca la MORTE [ed in senso contestuale la VITA] ha costituito uno dei massimi misteri della condizione umana: assieme ad esse una particolare valenza culturale ed etnologica ebbe poi il consequenziale sviluppo delle PRATICHE DI USCITA DALLA VITA E DI INGRESSO NEL REGNO DELLE OMBRE, ed in particolare lo studio di quel MONUMENTALE APPARATO CRISTIANO DELLE CERIMONIE E TRADIZIONI FUNEBRI che mai completamente si emancipò dalle influenze delle più antiche e pagane tradizioni (ora sovvertendole, ora assimilandole seppur con estrema cautela). In nessun arco di tempo però, come nel periodo che intercorre tra l'epoca medievale e la fine del XVII secolo, la Cultura sia popolare che dotta della morte si è colorita, anche per l'avvento di veri e propri cataclismi tra cui in primo piano le GRANDI MORTALI EPIDEMIE (contro cui la MEDICINA UFFICIALE palesava tutta la sua inefficienza) di significati complessi sia nella valenza interpretativa (scientifica e spirituale) quanto nella rappresentazione iconografica.
Ancora nel pieno XVIII secolo l'argomento dell'ESSENZA DI VITA E MORTE sarà oggetto di DIBATTITI, non escluso quello, per ogni verso straordinario, delle ricerche per il PROLUNGAMENTO DELLA VITA ed ancora quello, molto più realistico, del dramma delle MORTI APPARENTI [se si vuole con la "variante paranormale" dell'ESPERIENZA DI PREMORTE [NDA] su cui si vanno tuttora confrontando POSTAZIONI ANTITETICHE, ora assolutamente AGNOSTICHE ora SCIENTIFICO-PROPOSITIVE] che tra tanti avrebbe tormentato anche un illustre ospite di Sanremo come ALFREDO NOBEL.
Dibattiti che, giova sempre precisarlo, mediamente furono (come ancora sono) affrontati entro testi di provata serietà che sostanzialmente finirono per contrapporre il pensiero classico di IPPOCRATE e GALENO a quello di PARACELSO e in maniera consequenziale la TRADIZIONE MEDICA UFFICIALE coi potenti teoremi della MAGIA NATURALE e dell'ALCHIMIA. Parimenti vari altri SPECIALISTI rimanevano alquanto vaghi nel cercare di delineare plausibilmente le caratteristiche, non solo fisiche ma anche metafisiche, di VITA e di MORTE. A tutti, prescindendo dalle possibili CONTROVERSIE EPOCALI sui CIMITERI era comunque nota l'importanza morale, religiosa e igienica di SEPPELLIRE con FUNERALI VOLTA PER VOLTA ADEGUATI i CADAVERI prima della loro decomposizione come si può leggere nella monumentale opera di Lucio Ferraris intitolata BIBLIOTHECA CANONICA..... Sulle PRATICHE DI INUMAZIONE dall'ETA' INTERMEDIA sino alle GRANDI RIFORME DEL XVIII SECOLO i Dottori ed i Canonisti della Chiesa si sono adoperati attraverso i secoli in una sequela di interpretazioni e pubblicazioni assolutamente specialistiche e quasi sempre connesse al Diritto Canonico.
Oggi, senza ricorrere a tale specialistico mare di ipotesi, deduzioni e controriflessioni, per la conoscenza delle antiche modalità di inumazione cristiana è preferibile ricorrere ai dati che si ricavano dalle seguenti, seppur ormai rare pubblicazioni: - Medici, Sebastiano <1595 m.> , Sebastiani Medicis ... Tractatus. de sepulturis, & opuscula septem, Florentiae, per Bartolomeo Sermartelli, 1580; Samuelli, Francesco Maria - Francisci Mariae Samuelli ... Praxis noua obseruanda, in ecclesiasticis sepulturis, Christi fidelibus catholicis tradendis...., Taurini. per Giuseppe Vernoni, 1678; Feltmann, Gerhard, Tractatus de cadauere inspiciendo. In cuius recessu, praeter ea quae in fronte promittuntur, varia de funeribus, sepulturis, medicis, vulneribus..., Groningae, 1673 .
Una silloge specifica e completa (specialmente per il contesto religioso italiano per quanto applicato spesso alla legge dello Stato) poi è però soprattutto quella di FLORIANO DOLFI [col nome spesso latineggiato in FLORIANUS DULPHUS] giurisperito nell'Archiginnasio di Bologna che scrisse il Tractatus de sepulturis, capellis, statuis, epitaphijs, & defunctorum munimentis. Authore Floriano Dulpho i.c. Bonon...., Bononiae, per Giovanni Battista Ferroni, che si rifece alle fonti di cui sopra (particolarmente al Medici ed a molte altre, particolarmente tutte quelle sull'argomento che gli potevano esser fornite dalla bibliografia consultabile al suo tempo). Il lavoro del DOLFI, anche per la sua rarità e quindi con vantaggio dei ricercatori, è qui di seguito proposto integralmente in traduzione [seppur talora con una quasi necessaria riduzione della citazione delle tante glosse bibliografiche], elencandone qui di seguito, preventivamente, un utile INDICE.

CAPITOLO I - MOTIVO DELLA PUBBLICAZIONE
CAPITOLO I - LA SEPOLTURA DEI SUICIDI
CAPITOLO I - LA SEPOLTURA E SUOI MOLTEPLICI ASPETTI
CAPITOLO II - SEPOLTURA "COMUNE" - "PROPRIA" - "PARTICOLARE" - "DI FAMIGLIA" - "EREDITARIA"
CAPITOLO III - VARI TIPI DI SEPOLTURA
CAPITOLO III - CIMITERO, DIRITTO DI ASILO, IMMUNITA' ECCLESIASTICA, CASI DI PROFANAZIONE
CAPITOLO IV - STORIA ANTICA E MODERNA DEI RITI FUNEBRI
CAPITOLO IV - TERMINI DI TEMPO PER LE INUMAZIONI (CAUTELE CONTRO LE MORTI APPARENTI)
CAPITOLO IV - LE MONACHE COME I FRATI POSSONO CURARE LE INUMAZIONI
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI VIANDANTI, PELLEGRINI E FORESTIERI
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI FIGLI ILLEGITTIMI, NATURALI, SPURII, LEGITTIMATI PRIMA O DOPO LA MORTE DEL PADRE
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI SPOSE ONESTE, DI SPOSE ADULTERE (CONCILIATESI O NON), DI VEDOVE RISPOSATESI, DI VEDOVE NON RISPOSATESI
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI SOMMO PONTEFICE CHE NON ABBIA SCELTO IL LUOGO DELLA SUA SEPOLTURA
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI CARDINALE CHE NON ABBIA SCELTO IL LUOGO DELLA SUA SEPOLTURA
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI LEBBROSI, MORTI DI EPIDEMIE, PESTILENZE, MALI CONTAGIOSI
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI CADAVERE DI PERSONA IGNOTA IN MERITO ALLO STATO DEL SUO RAPPORTO CON LA CHIESA CATTOLICA ROMANA
CAPITOLO IV - INUMAZIONE DI PERSONE DEFUNTE IN LUOGO DI VILLEGGIATURA O DI LAVORI AGRESTI
CAPITOLO IV - INUMAZIONI PRESSO I POPOLI ANTICHI ED ESOTICI: NOTIZIE VARIE
CAPITOLO IV - CONCLUSIONE DEL CAPITOLO: L'INUMAZIONE CRISTIANA (LICEITA' DI IMPUGNARE TESTAMENTI DI PERSONE FURIOSE IN MERITO A STRAVAGANTI RITI FUNEBRI DA LORO DESIDERATI)
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA CONCEDERSI O NON AI CONDANNATI A MORTE PER GRAVI CRIMINI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI AD INFEDELI, ERETICI, GIUDEI E PAGANI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A QUANTI SONO MORTI PARTECIPANDO A TORNEI, TAUROMACHIE, GIOCHI CIRCENSI CRUENTI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A QUANTI SONO MORTI PARTECIPANDO A DUELLI INTESI COME "SINGOLAR TENZONI"
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A QUANTI SONO MORTI SENZA ESSERSI CONFESSATI E COMUNICATI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A BLASFEMI, MERETRICI, PRATICANTI DI CONCUBINAGGIO, USURA, SCOMUNICATI ECC.
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A FETI MORTI NEL VENTRE MATERNO (COSE DA FARSI): SEPOLTURA DI NEONATI POI MORTI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A RAPITORI E VIOLATORI DI CHIESE
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA CONCEDERSI O NON AI GIUSTIZIATI SUL PATIBOLO
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A LADRI "FAMOSI" PUNTI COLL'ESTREMO SUPPLIZIO
CAPITOLO V - SEPOLTURA DI BRIGANTI E RAPINATORI
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A QUANTI SIANO STATI SOGGETTI AL RITO BLASFEMO DELL'INCINERAZIONE
CAPITOLO V - SEPOLTURA DEI PARRICIDI (ASSASSINI DEI GENITORI, MADRE O PADRE)
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI A QUANTI NON ABBIANO PAGATO LE DECIME ALLA CHIESA
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI AI COLPITI DA "INTERDETTO ECCLESIASTICO"
CAPITOLO V - SEPOLTURA DA NON CONCEDERSI AD EPISCOPI REI DI FURTI E LADROCINI
CAPITOLO V - ECCEZIONI VARIE NEL CASO DI SEPOLTURA CRISTIANA CONCESSA A PERSONE IMMERITEVOLI
CAPITOLO V - ISPEZIONE E RICOGNIZIONE DI UN CADAVERE DOPO LA TUMULAZIONE (AUTORIZZAZIONI NECESSARIE)
CAPITOLO V - CHE SI APPONGA COMUNQUE UNA CROCE AD INDICARE LA SEPOLTURA DI UN CRISTIANO, PER NECESSITA' OD ALTRO AVVENUTA OLTRE LO SPAZIO DEPUTATO DEL CIMITERO
CAPITOLO VI - INTERDIZIONE DELLA SEPOLTURA CRISTIANA DI UN DEBITORE SU PETIZIONE DEI CREDITORI
CAPITOLO VII - TECNICHE DI SEPOLTURA DEGLI ANTICHI ROMANI
CAPITOLO VIII QUANTI VENDONO LAPIDI ED ISCRIZIONI DI DEFUNTI COMMETTONO IL CRIMINE DI VIOLAZIONE DI UN SEPOLCRO, SEMPRE CHE NON SI TRATTI DELLA TOMBA DI UN NEMICO
CAPITOLO IX - RESTITUZIONE DI COSE A SUO TEMPO SOTTRATTE AD ALTRI DALLA PERSONA SEPOLTA (CASI VARI)
CAPITOLO X - LA POMPA FUNEBRE (CASI VARI)
CAPITOLO XI - CAPPELLA -CAPPELLE: COSA SIANO, LORO AMMINISTRAZIONE E CURA











Avendo constatato che ai miei tempi erano sorte varie difficoltà a proposito delle sepolture, delle cappelle e sul modo stesso di tramandare il ricordo dei defunti, ritenni di pubblicare questo lavoro che apputno, come dice il titolo, riguarda le sepolture, le cappelle, le statue e i monumenti dei defunti.
In orima istanza ritenni giusto parlare delle sepolture o pratiche di inumazione, infatti gli slanci di umana afflizione e la misericordia che promana da ogni essere razionale spingono tutti gli uomini a seppellire i cadaveri dei morti e ad attrezzare il loro corredo funebre: del resto non esiste alcuna gente tanto incivile o primitiva che non provveda a dar riposo ai cadaveri, visto anche che la sepoltura è un diritto di natura [glossa bibliografica].

Per primo argomento mi chiedo: che cosa in effetti si intende per sepoltura?.
Rispondo che la sepoltura è un luogo vuoto o concavo, che si voglia dire [glossa bibliografica] sito in un cimitero ecclesiastico e dove può riposare il corpo di un defunto già appartenente all'ecumene cattolica [glossa bibliografica].
Tale espediente è necessario per diverse motivazioni.
In prima istanza per il fatto che, essendo tal luogo consacrato, i corpi dei morti non possono essere perseguiti dagli spiriti immondi, come invece accade in altri luoghi non benedetti [glossa bibliografica].
In secondo luogo nel contesto di un cimitero i corpi dei defunti risultano affidati alla santa custodia di quei Santi cui è dedicata la chiesa e ciò in conformità in quanto menzionato dalla precedente glossa.
La terza ragione ciò accade per il motivo che la Chiesa Trionfante prega specialmente per quanti sono sepolti in un luogo sacro.
Il quarto motivo è che quanti in tal luogo son tenuti a servire messe più frequentemente e in modo peculiare sono obbligati a pregare per quelli che vi sono inumati [glossa bibliografica].
Questo specifico rispetto per la sepoltura dipende dal fatto che essa non è sacra di per sè ma per il luogo in cui essa si trova, cioè il cimitero, e contemporaneamente per il rispetto che si deve al sacro Officio del sacerdote celebrante [glossa bibliografica].
I corpi dei nostri antichi, dopo la morte, erano mediamente sepolti dentro le stesse case di abitazione ma poi, a causa del fetore generato dai corpi in decomposizione, si stabilì che essi dovessero venir inumati fuori città [glossa bibliografica] sancendosi opportunatamente che si dovesse provvedere a sistemare i corpi in sepolture in luoghi consacrati delle varie città, pur differenziati secondo le possibilità e lo stato socio-economico dei defunti [glossa bibliografica] sì che il termine sepoltura può possedere varie accezioni purché sia tenuto l'Offizio necessario per quanti devono essere posti nei sepolcri.
Per sepoltura si può di conseguenza intendere il stessa nuda terra che che modestamente ricopre un defunto quanto una tomba ornata di marmi o di pietre [glossa bibliografica].
Più correttamente si dice terra pura quella che risulta predisposta per le inumazioni; al contrario una sepoltura si nomina tomba marmorea o di pietra come suggerisce il dottissimo Giovanni di Turrecremata [glossa bibliografica].
Una cosa non è però fattibile, che qualcuno venga sepolto presso l'altare della chiesa cimiteriale o comunque sotto il gradino superiore dell'altare stesso come ha stabilito la Sagra Congregazione preposta alle cause dei Vescovi e dei Regolari il 13 ettembre 1593, l'8 febbraio 1594 ed ancora il 2 maggio 1601.
Nel caso si scopra che che presso un determinato altare si sia anticamente proceduto ad una qualche sepoltura nessun sacerdote potrà celebrare presso tale altare fino a quando i corpi non siano stati altrove traslati come la medesima Sacra Congregazione ha sancito in occasione dell'adunanza tenuta a Trani il 10 novembre 1599 e di cui ci ha lascitao la relazione Augusto Barbosa nel suo tractato de officio & potestate Parochi, cap. 26, num. 10.

Vediamo adesso di quanti tipi può essere la sepoltura.
La risposta è che sostanzialmente può essere scissa in due maniere: risultare cioè comune o propria.
La comune riguarda tutti quanti la scelgono oppure tutti quanti muoiono nella giurisdizizione della loro Parrocchia una volta fatta la scelta del luogo e del modo di inumazione [glossa bibliografica].
Ciò accade per due fondamentali ragioni giuridiche.
In primo luogo perché essendo vivi essi pagarono le decime
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In seconda istanza per la ragione che chiunque, trasferendosi di provincia in provincia, alla fine risulta emancipato dalla giurisdizione primaria per risultare soggetto a colui sotto la cui amministrazione prese ultima residenza.
Essi pertanto risultano sottoposti per lo spirituale alla seconda (ultima) giurisdizione ecclesiastica e presso di essa hanno il diritto di venire sepolti [glossa bibliografica].
Altra forma di sepoltura comunitaria si verifica poi nei casi speciali di qualche Università, intendendosi col termine Comunità di persone, che, per qualche speciale privilegio, hanno il diritto diritto di essere inumati comunitariamente come gli adereni alla Società dei Notai o a quella dei Macellai come avviene nel caso molto famoso di S. Petronio di Bologna: sempre che il singolo soggetto non abbia scelto diversamente.
Parlando invece di sepoltura propria ci si riferisce ad una forma di inumazione che avviene per gruppo di famiglia, su base ereditaria...può anche essere definita sepoltura particolare quella che uno sceglie esclusivamente per se stesso.
Esiste una differenza tra la sepoltura di famiglia e quella di tipo ereditario.
Essa consiste nel fatto che nel caso di un sepolcreto di famiglia vi possono essere tumulati solo i congiunti consanguinei o al massimo quanti sono stati assimilati per sopraggiunti vincoli di parentela nel gruppo di famiglia ma giammai vi possono venir inumati dei morti estranei al gruppo famigliare.
Trattandosi altresì di un sepolcreto su base ereditaria vi potranno essere inumati anche dei defunti non consanguinei nè essa può spettare ad uno solo per un'eventuale divisione dei beni.

Comportano reciproche differenze le sepolture, i sepolcri, i monumenti, i cimiteri, i sarcofagi, i cenotafi e i depositi.
La SEPOLTURA è costituita da un luogo concavo realizzato in un cimitero ecclesiastico alla maniera che si è precedentemente detto [glossa].
Il SEPOLCRO invece è il sito ove sono deposti il corpo e/o le ossa di un uomo [glossa] ed ha la caratteristica di un ospizio perenne dove cioè i resti terreni del defunto debbono custodirsi sin al giorno del Giudizio finale al modo che ha annotato ilReverendissimus Odofredus Eminentissimi atque Reverendissimi Archiepiscopi Bonon. Vicarius in suo responso de sedulibus in Ecclesia retentis, n. 48.
Inoltre, sebbene il diritto di sepolcro sia una grazia particolare, v'è da precisare che una volta che esso sia concesso risulta trasmissibile agli eredi del defunto e non può esser revocato né per intervento di Rettori né per volontà di Vescovi ut post Canonistas in capitulo penultimo ext. de sepult. dixit Giovag. cons. 8, n. 21, lib.2: di modo che non soltanto il luogodeputato alla sepoltura assume valenza religiosa ma con esso anche il corpo che vi risulta inumato.
E' noto che può verificarsi il caso che un corpo, evidentemente smembrato per varie ragioni, può risultare sepolto in luoghi diversi: ebbene, in tale circostanza, non si hanno più sepolcri cioè più luoghi religiosi ma uno solo e questo sarà il sito in cui si custodirà il capo del defunto ed ancora se, malauguratamente lo stesso capo dovesse risultare scisso in più parti, sarà da attribuire valenza santa e religiosa a quel luogo particolare in cui risulterà custodita la porzione più significativa della testa del defunto. Se poi si riscontra che non esiste una parte predominante nessuna di esse ha valenza religiosa come sostiene Marco Mantua in Singul. 409 nu. 1 Rimin. Iun. conf. 780, nu. 81, lib. 7. Tutte queste valutazioni non derivano dal diritto Canonico ma altra letteratura di materia religiosa [glossa bibliografica ed in particolare Matheus Mathesilanus] ha sostenuto che il sepolcro si distinque soprattutto dalla sepoltura per la ragione che esso può anche esser realizzato fuori di un cimitero [Host. in eius summa in tit. de sepulturis, in § quid sit sepultura nu. 1].
Si è poi anche affermato che che il termine "sepolcro" viene utilizzato per indicare il significato "senza polso" nel senso cioè che in esso sono inumati tutti coloro che non hanno all'auscultazione più alcun battito del cuore [Florian de S. Petro in l. vel quod pater familiae § si adhuc nu. 1 ff. de relig. & sumpt. fun.].
Per MONUMENTO si intende quel tipo di edificio funebre che è stato edificato allo scopo di conservare ai posteri la memoria di un estinto: da alcuni invece si intende che il significato del termine sia da collegare all'intento di "munire" cioè di fortificare e difendere la tomba contro le devastazione al modo che sostiene rebuff. in l. cum in testamento, ff. de verborum signif..
I nostri antichi, ma l'usanza è tuttora continuata, erano soliti onorare i cadaveri inumandoli in splendidi edifici.
Tali consuetudini si riscontrano particolarmente a Roma come rammenta Asin. in d. l. 2 in § monumentum.
Ogni monumento viene realizzato per ricordare attraverso i secoli la persona estinta e non perché in esso siano deposti e custoditi dei cadaveri: e questo lo sostengono S. Agostino nel De Civitate Dei lib.I ed anche Giovanni de Turrecreamata nu. 4 & alii in capitulis cum gravia 13 quaest. 2, Medices d. q. 3, nu.4.
Quando un antico Imperatore veniva eletto gli venivano subito presentate le lapidi marmoree sì da poterne scegliere la preferita per il suo sepolcro e subito essa veniva sistemata in memoria della morte e per tal ragione era detta monumento [Alberic. in l. quidam, ff. de condit. instit. Boer. decis. 297, nu.4: inoltre qualora in un un monumento venga introdotto il corpo di un defunto ed il monumento non risulta più grande di un sepolcro, esso assume di conseguenza il titolo di sepolcro mentre conserva quello di monumento per tutto il periodo di tempo che in esso non vi sia inumato alcuno e di questo si legge nei Santi Vangeli sia ex Ioan. cap. 19 dove è scritto V'era nell'orto un monumento nuovo, in cui ancora nessuno era stato deposto sia ex Mattheo cap. 26 E depose quello in un Monumento nuovo.
Giovanni Sicardi in Rub. C. de religios. & sumpt. funerum num. 5 sostiene in conclusione che il sepolcro differisce dal monumento come la specie si differenzia dal genere.

Per CIMITERO si intende quindi il luogo che è deputato ad ospitare le sepolture come ci scrive card. in Clement. I de sepulturis.
Lo si definisce deputato alle inumazioni ecclesiastiche in quanto ha ricevuto la benedizione di un Vescovo e non lo si può definire tale prima che sia avvenuta tale benedizione: perchè sia cimitero non è comunque obbligato ad ospitare una chiesa come si legge in alcuni autori come medices d. quaest. 3, nu. 5.
Più chiaramente ancora a parere di Dominiscus de Sancto Hieminiano in cap. unico de consecrat. Eccles. vel altaris, nu. 5 il CIMITERO prende nome dal termine CIMIS che in lingua greca è interpretato quale dolce luogo di riposo delle anime o più pertinentemente dei corpi dal momento che lì i corpi si trasformano in cenere.
Si ipotizza anche che il termine possa derivare da Cimone che equivale a "dormo, riposo" visto che in siffatto luogo i corpi sono affidati all'eterno riposo.
Ancor più qualcuno ipotizza che Cemen sia in greco da correlare a al concetto di terra aurifera visto che quella dei cimiteri è terra, prossima all'oro in quanto per i defunti più preziosa di qualsiasi altra cosa (e su ciò si esprime la glos. in cap. sacris, in verbo in coemiterio, extra de spulturis) e detiene il medesimo principio di immunità che spetta ad ogni chiesa e di questo si legge in vari autori: cap. si quis contumax & cap. quisquis inventus & ibi glos. 17, q.4, cap. consuluisti, extra de consecratione Ecclesiae vel Altaris & probat titulus extra de Immunitat. Ecclesiarum coemiterij & rerum ad eas pertinentium & ibi DD. Lap. allegat. 12, nu. 4 vers. Idem de coemiterio, Alex. cons. 145 in fine, lib. 7, qui dixit exemptum nedum coemiterium, sed & hortum, arcam & totum mansum, iuxta ecclesiam Pisanella in summa in verbo in Coemiterium, in princ. & in verbo comunitas Ecclesiae, in vers. Utrum Coemiteria, Fumus in summa Armilla, in verbo coemiterium, in princ..
In sostanza tutti color che per evitare persecuzioni di qualsivoglia natura si rifugiano in un CIMITERO godono del medesimo tipo di immunità ecclesiastica [a giudizio non solo del Dulfi ma dei Canoni] di cui potrebbero fruire nel caso si fossero rifugiati in una chiesa: principio che peraltro è sancito da alex. d. cons. 145, lib. 7, num. 13. Pertanto sebbene la Santa Chiesa, ex cap. sicut antiquitus, 17, q. 4, attribuisca ad una chiesa matrice un diritto di immunità per lo spazio di 40 passi ed alle altre chiese per 30 passi (che il passo è composto di cinque piedi e il piede ora di quindici ora di sedici dita) come afferma il Turrecremata non per nulla si può inibire al cimitero di godere dello stesso diritto di immunità.
Nel caso poi che il Cimitero sia prossimo alla chiesa una volta che questa sia stata profanata anche il cimitero ne subisce la medesima sorte: contrariamente qualora il cimitero sorga lontano dalla chiesa, ut in Armill. n.1, non avviene automaticamente che se il cimitero risulti oltraggiato la stessa sorte toccfi alla chiesa: secondo il d. cap. unico & ibi DD. de consecrat. Eccles. vel Altaris, lib. 6 non sembra giusto che quanto è meno degno abbia il vigore di infanfare ciò che è più degno, al modo che affermano Doctores atque Sunmmistae nei luoghi predetti e che nessuno sia lì swpolto prima che il luogo sia stato riconsacrato per via dell'aspersione con l'acqua benedetta: e leggiamo anche glos. in cap. consuluisti, extra de consecrat. Eccles. vel Altaris, Pisanella loco, quo supra, Silvester in verbo coemeterium nu.2.
Nell'evenienza poi che un muro divida due cimiteri contigui e vi sia in quel muro una porta di comunicazione, per la quale possa avvenire il reciproco accesso, come a Bologna accade in merito alla chiesa di San Giovanni battista del Mercato sia ben chiaro che non si tratta di un solo cimitero ma di due.
verificandosi che uno di questi risulti profanata e la stessa cosa non accada per l'altro, come prova il testo in detto capitolo unico e se ancora la profanazione si verifica nel mezzo esatto della porta di comunicazione risulterà profanato solo quel cimitero a ragione ed uso del quale saraà stata realizzata la parete divisoria e sarà stata aperta la porta come ancora riporta Io Andr. in detto capitolo unico.
Può comunque accadere che non sia possibile chiarire quale dei due abbia realmente patito la sconsacrazione, cosa di cui si legge ad opera di Silvestro nella Summa sotto la voce 'cimitero', numero 3 il quale autore afferma che le forme di profanazione sostanzialmente sono di quattro tipi: oltre che come sopra si è detto, quando cioè non si rispetti l'immunità ecclesiastica, una chiesa può essere profanata quando sia sporcata del sangue mestruale di una donna che non sia sposata (e di ciò detta la glos. in cap. Ecclesijs, dist. I de coscecrat. in verbo semine, in terzo luogo quando per violenza vi sia stato sparso del sangue ed ancora, in quarto luogo, allorgando nell'edificio sacro sia stato sepolto un miscredente od un profano (Armilla nu.4 & Pisanella in fine in verbo Coemierium).
Per quanto una chiesa non sia edificio parrocchiale può avere un suo cimitero in base alla tradizione locale o secondo una episcopale concessione e di ciò hanno scritto Archid. de sepulturis c. I, lib 6, Federic. de Senis, cons. 135, in fine.
Nel caso poi che in un cimitero sia stato sepolto uno scomunicato è lecito riesumarne il corpo a meno che le sue ossa ormai non siano mischiate con quelle di altri defunti non scomunicati a tal punto da rendere infattibile qualsiasi giusto discernimento: così è scritto nei cap. sacris; ext. de sepult. Goffr. eod. tit. in Summa, nu. 5, Silvester in d. § Coemeterium, num. 4.
Si ebbe anticamente l'abitudine di utilizzare al posto di un sepolcro un SARCOFAGO.
L. funeris, ff. de relig. atque sumpt. fun. l. Libertis, § cibaria atque ibi glos. ff. de alim. atque cibaria leg.: è infatti il SARCOFAGO a detta di Plinio un genere particolare di pietra di vena fissile che ha la proprietà di consumare i corpi dei defunti in essa deposti nel giro di circa quaranta giorni fatta sola eccezione per i denti e si dice che di ciò abbia fatto memoria anche S. Agostino (lib. 18, cap. 5 de Civitate Dei: uno dei due termini della parola è infatti Caro e l'altro phagos che significa mangiare in lingua greca: infatti la carne dai vermi viene consumata in tale arco di tempo pressapoco.
Alberico nel suo Dizionario sotto la parola Sarcofago sostiene peraltro la medesima opinione, che cioè il termine derive dal meccanismo di consunzione della carne ad opera dei voraci vermi e per tale ragione con il tempo si assunse la consuetudine di inumare i defunti nei sarcofagi come nei sepolcri cimiteriali.
Sussiste su ciò ampia letteratura che corre dal De Civitate Dei di S. Agostino (libro 18, capitolo 5) laddove ha detto Si tratta più pertinentemente di un'Arca in cui si depongono i morti che tutti volgarmente definiscono SARCOFAGO e che dalla gente è spesso usato in luogo del sepolcro ecclesiastico: lo stesso riporta Asinio in l. funeris, ff. de relig. nu. 4 e quanto detto dal Medici nel suo trattato De sepulturis, questione 3, numero 6.
Si definisce poi CENOTAFIO un sepolcro che è vuoto, che cioè non custodisce alcun defunto come ancora il Medici al numero 7 della Questione appena citata ha affermato.
Il CENOTAFIO non è quindi altro che un semplice monumento come si legge in altre interpretazioni: approbat glos in l. vel quod in § si adhuc in verbo cenotaphium ff. de relig. & sum. funer. Boer. decis. 275, nu. 5.
Per DEPOSITO si intende invece una cassa posta in un luogo elevato in cui si conservano i corpi degli estinti.
A dire il vero i DEPOSITI furono vietati in funzione della Bolla papale di Pio V datata alle Calende di Aprile del 1566, al punto VI laddove si legge :Ed affinché nulla di indecente possa lasciarsi nelle chiese vedano i preposti, i rettori ed i parroci che tutte le CASSE ed i DEPOSITI o comunque tutte le altre forme con cui si conservano sopra la terra i resti dei defunti vengano rimossi ed in merito a tutto questo abbiamo noi sancito che i corpi dei defunti vengano inumati nella terra ad opportuna profondità e al proposito Angelo da Ferrara avverte in un suo opuscolo di non seppellire i morti neppure nell'Arca alla maniera che scrive il Medici in detto suo trattato sulle sepolture alla questione 5, segnata dal numero 4 ed alla questione 9, indicata dal numero 10.
Nonostante ciò tuttora a Bologna si possono vedere i DEPOSITI del glossatore Accursio II, di Rolandino Romanzio, di Rolandino Passagerio, di Egidio de Foscerario, tutti quanti illustri giureconsulti ed ancora i DEPOSITI di altri individui meno celebri o noti di costoro.
Qualche volta il sepolcro prendo anche il nome di POLYANDRION, talora di MAUSOLEO, in altre circostanze di DORMITORIO, TUMULO, ERGASTOLO, PIRAMIS, BUSTO, URNA, SPELONCA, ARCA LIBITINA, SANDAPILA ed infine di FERETRO.
Il POLYANDRON in pratica è un antro quasi funestato dalla gran quantità di corpi ivi inumati: Lavor., in tract. de prisco atque recenti funerandi more, tit. 2, cap.6, num.4. Dal momento che si tratta però di un luogo dove, seppur in tempi lontani, sono stati sepolti i corpi di molti uomini alla fine il termine è quasi diventato un sinonimo di CIMITERO.
Il MAUSOLEO veramente prenderebbe nome da un tale personaggio [il pagano Mausolo] al quale la moglie fece erigere un sepolcro straordinario per bellezza e dimensioni. Il nome di MAUSOLEO è stato dato al primo di questi edifici dal nome del defunto, appunto Mausolo.
Per tale convenzione morte mausolea viene definita ogni morte caratterizzata da grandi apparati funebri e da una sepoltura particolarmente preziosa parimenti detta Mausoleo come afferma anche Lavor., ibi, nu. 12.
Il DORMITORIO, che prende nome dal verbo dormire, sarebbe il luogo in cui riposano in armonia col Signore i corpi dei Santi alla maniera di cui parla S. paolo al capitolo 4 della sua Lettera ai Tessalonicensi dove dice Non vogliamo che vi dimentichiate dei fratelli che dormono.
E' detto TUMULO il tipo di inumazione che ha relazione coi termini Tumen e soprattutto Tellus, cioè alla latine 'terra'.
Con siffatto termine si indica un particolare genere di sepoltura per cui il defunto giace sulla terra e su di esso è stata posta altra terra che risulta alquanto sollevata. Del TUMULO fa cenno Iob. cap. 10 scrivendo Dall'utero fu traslato al Tumulo.
ERGASTOLO è un termine combinato dall'utilizzazione del termine statio che deriva dalla forma verbale a stando. Si tratta di una forma di sepoltura propria di quanti sono morti fermi nel nome del Signore.
PYRAMIS è termine di origine greca che sta in luogo di PIRA nel senso che su di essa i corpi vengono dati alle fiamme e ridotti in cenere.
Il senso del nome è del tutto particolare: così come il fuoco prende alimento dal basso ed ascende verso luoghi sempre più aerei alla setssa stregua per PYRAMIS si intende una struttura a guisa di altissima sepoltura del tipo di quella che è a Roma e dove furono deposte le ceneri di Giulio Cesare.
Dopo la trasformazione e la corruzione del termine oggi quel luogo è detto Acus S. Petri che piuttosto anticamente si diceva Iulia: a riguardo delle Piramidi tratta in modo esauriente Lavor nello stesso luogo cui si è fatto prima cenno della sua opera ma la numero 9 [ovviamente l'autore fa alquanta confusione fra il concetto di 'Pira' quale 'Rogo funebre' e quei particolari monumenti di fattura medio-orientali che furono le Piramidi e di cui in Roma si trovavano dei surrogati di non poco rilievo: ad esempio la 'Piramide di Cestio'].
Per BUSTO, che ha correlazioni di significato con Busta, si allude invece al sito ove si conservano i resti dei corpi umani come se fossero stati pienamente ed efficacemente dati al fuoco purificatoro: e così si scrive in glos. in c. convenior in verbo Busto 23, quaest. 8, Boer. decisi. 287, nu.4.
Il termine URNA deriva dall'antica usanza di abbruciare i resti dei defunti e poi di deporne le ceneri entro dei vasi di terra.
Per SPELONCA si intende una forma peculiare di sepolcreto in base alla quale si hanno due ricettacoli e precisamente uno destinato ad ospitare, di una coppia coniugale, lo sposo e l'altro la consorte: si legge qualcosa in merito in ca. Ebron 13, q. 2 e sostanzialmente l'identico concetto viene ribadito da Flor. de S. Petro in libro vel quodo § adhuc eod. titulum ff. de relig. & sumpt. funeris num. 1.
Il termine ARCA corrisponde in pratica a quello prima discusso di Monumento come viene registrato in l. is qui intulit ff. eodem: anche se oggidì l'appellativo di ARCA nel caso della città di Bologna vien piuttosto dato a quel luogo in cui si seppelliscono comunitariamente i cadaveri.
La LIBITINA è invece un sepolcro nobile o per maggior precisione è il sepolcro tipico degli infanti. LIBITINA è peraltro un termine classico che si adatta a quei locali in cui si procedeva all'allestimento e alla vendita di tutto quanto aveva a che fare con le pompe funebri: ciò lo si apprende grazie all'antico Plutarco nei luoghi che riferisce Lavor. in dicto tract. de prisco atque recenti funerandi more tit. 2, cap. 1, nu. 37 laddove si legge che Libitina era ritenuta dagli antichi romani la dea Venere che a Roma ebbe un suo tempio vicino all'edificio nel quale si vendevano gli apparati funerari così che, in chiave cristiana, gli uomini che si concedono alle libidini terrene ed ai piaceri abbiano sempre a rammentarsi donde derivi tal nome e che il loro comune destino è quello di morire dopo la vita, per quanto lunga essa sia.
Col termine SANDAPILA ci si riferisce invece al sepolcro che si usa per l'inumazione dei lattanti o meglio di quelli che defunsero non avendo ancora completato il decimo giorno di vita al modo che ce ne ha lasciato memoria Boer. dicta decis. 287, num. 6.
In ultimo luogo il nome di FERETRO vien comunemente dato al sepolcro dei plebei e della gente di modesta condizione stando ancora alle notizie tramandate da Boer. d. decis. 287 nu. 4 & seq. Medices d. q. 3, nu.9.

Gli antichi, sin dai tempi di cui è rimasta qualche memoria, erano soliti inumare i loro morti nei pressi dei loro luoghi sacri entro vasi di grande dimensione.
La loro consuetudine religiosa li indusse poi a riprodurre le effigi dei defunti, divenuti Lari, ed a custodirli in un luogo della casa di abitazione che prendeva il nome di Larario: in questo tenevano inoltre le immagini degli Dei Penati e degli uomini insigni che erano consueti venerare.
Proprio per siffatta tradizione l'Imperatore Settimio Severo prese a venerare nei templi le immagini di Cristo, di Abramo, di Orfeo e di apollonio come se si trattasse di divinità, consuetudine che ai giorni nostri si è perpetuata tra le popolazioni barbare come ci ha lasciato scritto, prendendo spunto anche dall'autorità del divino martire Pietro, nel Comendio delle delle Indie Occidentali l'autore Io. Bapt. Asinius in l.2, § in locum alterius, nu.1 & pluribus seq. ff. de relig. & sumpt. funer.. Asinio racconta al proposito che vige la consuetudine di deporre le le ceneri dei loro Re e Signori in vasi di terracotta od in altri vasi ancora decorati con la rappresentazione dei templi più antichi e che hanno anche altre maniere di custodire le ceneri.
Continuando questo discorso Asinio (numero 23 del suo lavoro) si rifà a quanto accadeva nell'Urbe, ai tempi di Roma imperiale, dicendo che nella grande città non si poteva seppellire alcuno se non coloro che si erano segnalati per qualche eccezionale ragione.
Per tale ragione si racconta che l'imperatore adriano avesse fissato una pesante ammenda di quaranta aurei contro coloro che si fossero fatti seppellire entro il recinto dell'Urbe: a tale proposito si può consultare ex Crinito lib. I, cap. 12 dixit Ioannes Ravisius Textor in eius officina, in tit. de vario inhumanandi more, in vers. Antiquitus, fol.229.
Platone consigliò invece di seppellire i morti in un campo sterile ed inutile sì che i cadaveri in disfazimento non potessero nuocere ai viventi: in base almeno a quanto riferisce mantua in suo Gymnasio Scholastico, in verbo Sepulcrum laddove riferisce delle costumanze di inumazione degli antichi.
E l'antico costume funerario fu, per lungo tempo anche, che una volta che l'anima fosse spirata ed avesse lasciato il corpo, l'inerme cadavere sollevato dal letto di morte venisse sistemato sul davanti o presso la porta stessa dei templi: alla stregua anche di ciò che insegna Giusto Lipsio nel lib. primo electorum cap. 6, il quale adduce varie prove di tutto ciò.
Gli antichi inoltre, nel luogo del sepolcro, avevano l'abitudine di sistemare accanto al cadavere molti oggetti, anche di valore, come dimostra Joseph, cap. 16 de antiquitate Iudaica: a proposito dei sepolcri David fece queste parole. Sepelivit enim filius eius Salomon in Hierosolymis decenter nimis atque aliss rebus, quae solent circa Exequias Regis ministrari atque multa divitias cum eo recondit.
All'incirca dopo milletrecento anni Hyrcanus Pontifex, mentre la città di Gerusalemme era assediata dal re Antioco figlio di Demetrio che fu poi denominato Pio, volendo dare del denaro perché si ritirasse da quell'assedio, non avendo i mezzi per pagare l'accettato riscatto, fece aprire il sepolcro del re David e, tolti all'incirca tremila talenti, ne diede parte ad Antioco sì da rimuovere l'angosciosa vicenda dell'assedio.
Molto tempo dopo che si verificarono queste vicende il re Erode, facendo aprire quel sepolcro, ne trasse altri denari: argomento di cui parla lo stesso Lavorius nel De prisco atque recenti funerandi more, cap. I, nu. 85.
Una simile consuetudine caratterizzava anche gli Albani stando almeno a quanto narra Strabone nel suo XI libro: lo stesso disse poi Asinius in d. l. 2 d. § si in locum alterium atque in § praetor ait, nu. 63, ff. de religios. atque sumpti. funer..
Asinio in siffatta parte del suo lavoro narra molte cose in merito al rispetto dei defunti e alla loro cremazione da parte degli antichi: ancora più attentamente ne scrive Lavorio nel suo menzionato Trattato sull'uso antico e recente di procedere nel culto funebre (tit. 2 cap. 4 nu. 53 ad finem).
In base alle norme del loro diritto gli antichi non avevano facoltà di seppellire i defunti entro le città, i castelli o i vici in quanto non si voleva che la putrefazione dei corpi corrompesse l'aria ma anche perché non si intendeva correre il rischio che, nell'evenienza di una guerra, i cittadini atti a portare le armi ed impegnati a respingere gli eventuali nemici invasori non finissero per devastare le sepolture dei padri e degli avi.
Inoltre a parere di Cicerone, per rendere sicure le città dagli incendi, mentre i corpi dei defunti venivano dati alle fiamme del rogo incineritore, si prese la consuetudine di procedere a siffatte pratiche funebri in territorio esterno alle città ed ai villaggi: di questo si legge in Thom. de Castilione, de funeribus antiq., in tab. 7.
Chi contravveniva a tale imperativo di legge veniva punito con l'ammenda di quaranta aurei: l. tertia, § Divus Adrianus, ff. de sepulchro violato, Baptista de S. Blasio in tract. de actione atque eius natura in actione 116.
Queste consuetudini degli antichi non caddero in disuso e proprio in base al loro insegnamento fu stabilito che venisse preparato un luogo separato e sacro e adibito ad accogliere i resti mortali dei defunti.
Nel caso della chiesa principale l'area, per sanzione degli antichi Santi Padri, doveva essere di quaranta passi mentre nelle chiese minori come nelle Cappelle di trenta soltanto (cap. sicut antiquitus 17, quaest. 4): a siffatto luogo fu conferito il nome di CIMITERO.

Secondo l'interpretazione di Oldrad. cons. 4 ad sepulturis [scrive il seicentesco Dulfi rifacendosi a usanze e convinzioni radicate] per molte ragioni [di natura igienica, soprattutto, sarebbe da dire: n. del traduttore] è opportuno che il defunto venga sepolto nel periodo massimo di 24 ore dal tempo in cui abbia esalato l'ultimo respiro.
Tale principio non deve valere tuttavia per quelle donne che sono defunte trovandosi in stato di puerperio.
Nel caso che muoia una di queste se ne deve vegliare il corpo per un periodo maggiore, di almeno 40 ore: l'esperienza ha infatti dimostrato che, per qualche grave e inspiegabile mancamento, alcune di loro furono ritenute ormai prive di vita mentre in seguito rinvennero del tutto: Lavor., ibi, cap I, nu. 214 riporta addirittura l'evento di alcune donne che furono erroneamente ritenute morte, prima di rinvenire, per 7 giorni ed ancora il caso di diciassette fanciulli greci ritornati alla vita da uno stato di catalessi mentre se ne allestivano già le esequie.

Benché a giudizio dei nostri anntenati fosse lecito inumare i defunti nelle chiese e proprio nel luogo ove si si officiano i Sacramenti, ritenendola turpe usanza è ad essa contrario Giovanni Battista Asinio quando ne tratta nel capitolo 13 alla questione 2, nel libri 2, all'altro numero 72 ff. de religiosis & sumpt. funer.: nondimeno non ci si può scegliere qual luogo di sepoltura una chiesa non consacrata, senza la presenza di un cimitero benedetto alla maniera che si legge in Innoc. in cap. abolendae de sepulturis, Abb. in Rub. eodem.
E per quanto una chiesa non consacrata goda degli stessi privilegi di una chiesa consacrata (cap. fi, ext. de consecrat. Eccles. vel Altaris, cap. penult. extra de immunitate Eccles.) bisogna tuttavia essere ben consapevoli di agire in tale evenienza sulla base di casi ben circostanziati come si dimostra affernmando che non si può ricorrere a tale espediente nell'eventualità di dover ricorrere all'inumazione in luogo assolutamente consacrato: così scrive Card. in Clem.4 & 5 de sepulturis che, pur adducendo questo argomento e che cioè una chiesa non consacrata si avvale dello stesso previlegio di una consacrata, conclude il suo ragionamento affermando che comunque la chiesa non consacrata non costituisce luogo idoneo di sepoltura cristiana se non vi sorga accanto un cimitero deputato alle inumazioni con la dovuta solennità e previa benedizione, poiché senza quest'ultima l'eventuale campo non può definirsi cimitero.
Per quanto una persona possa scegliere il luogo onde venir sepolto in base a cap. primo de sepulturis atque cap. licet eodem tit. in 6 a nessuno tuttavia resta concesso optare per una inumazione in un luogo privato sulla base del cap. fraternitatis & ibi Abbas in 3. notab. eodem. tit..
Per quanto in base al diritto civile un luogo possa venir deputato religioso dal fatto che vi sia stato cristianamente sepolto un estinto (L. 2 C. de relig. & sumpt. funerum, l. in tantum, & sacrae, ff. de rerum divisiones lo stesso principio non vale per il diritto canonico atteso che un determinato luogo, per essere deputato a cristiana sepoltura, deve godere della sanzione del Vescovo (Mathesil. sing. 75, nu.1), principio peraltro seguito a Bologna in occasione della Peste del 1630 su mandato dell'Eminentissimo Cardinale Ludovisi al tempo meritevolissimo e vigilantissimo Archiepiscopo di Bologna glos est in cap. in Ecclesiast. 13 q.2 Innoc. atque alii in d. cap. abolendae, de supult. Ant. de Butrio, atque Abb. in cap. ad haec ext. de relig. domibus, Aret. in § religiosum, de rerum divisione, Imola in l. quid ergo, l. 1 § si haeres in fine, ff. de leg. 1.

Tutto ciò però non ha vigore nel caso che la chiesa detenga per privilegio particolare il diritto di esser lugo adibito alle inumazioni come scrive Archidiac. in cap. primo. de sepulturis, in 6 Abb. in cap. fraternitatis atque in cap. certificari ext eodem titulo.
Questa eccezione assume vigore non soltanto per i frati mendicanti ma anche per le monache: ed infatti sebbene le donne non possano predicare od insegnare pubblicamente, né abbiano facoltà di ascoltare le confessioni come di toccare i sacri vasi e di spandere l'incenso attorno agli altari od ancora di ordinare alcuno né da alcuno esser ordinate agli ordini ecclesiastici (cap. mulier atque cap. sacratas 23. distinct. cap. 9 de poenit. atque remiss. cap. mulierem quaest.) tuttavia non si trova in alcun canone che ad esse possa venire negato di condurre a sepoltura i corpi dei fedeli defunti nelle loro chiese ed anzi sembra doversi permettere che presso di loro ciunque possa venir sepolto stando al cap. ubicumque ibi vel santimonialium religiosa Congregatio 13 quaest. 2.
E tutto questo trova conforto dal fatto che null'altro vi possonono inumare, in un luogo concavo, che non sia un cadavere umano che l' possa trovar quiete secondo la definizione cella quale ho fatta citazione nel capitolo I al principio.
Questo rito funebre naturalmente può essere eseguito tanto da una donna che da un uomo poiché in tale ritualità non si deve operare in base alle doti di riflessioni ed intelligenza, che notoriamente sono superiori negli individui di sesso maschile, né si deve agire con quella peculiare solennità e con quella forma di cerimonia che comportano piuttosto uno stato di deferenza della femmina all'uomo; pertanto, venendo meno questi presupposti, le donne si debbono porre sullo stesso piano del maschio: è peraltro da far notare che, in relazione alle cose che riguardano i riti funebri, le femmine possono esercitare il servizio di inumazione col soccorso di altri e in merito a ciò constatiamo che, per quanto la cura delle anime non possa competere alle donne, nell'occasione di un funerale, trattandosi di un esercizio fisico lo stesso diritto di cura può competere ad un Monastero di Monache a condizione che a siffatto esercizio concorra un uomo che detenga lecitamente quella potestà di cura delle anime (Natt. cons. 432 nu. 9 atque post sacram Rotam tenuit Felyn in cap. dilecta, extra de maioritate atque obedient. nu. 4 atque in cap. cum venerabilis. de except. quem ibi allegat Natta num. 11).
Ai giorni odierni vige peraltro la costumanza che qualcuno si faccia seppellire anche in una chiesa non consacrata della quale dopo Antoninum in summa attestatur Sylvester in Summa in verbo sepultura, nu. primo in fine atque melius idem Natta d. cons. 432, nu. 12).
Lo stesso Natta, nel luogo citato, precisa per di più che di diritto uno può esser inumato in un cimitero non consacrato a patto però che questo sia stato benedetto (c. nemo, de consecrat., distinct. prima): tale cimitero di conseguenza non lo si può definire consacrato, se non in modo ampio e generico come afferma Abb. in d. c. abolendae, dove anche, il medesimo interprete, lascia trapelare che per siffatta motivazione il cimitero soltanto benedetto risulta meno degno della chiesa (cap. 1 de consecrat. Eccles. vel Altar. in 6 atque sequuntur praedicti Felyn atque Modern. in cap. I de iudicijs).
Qualcuno può anche deliberare che la sua sepoltura avvenga, purché su livenza del Curato o del Vescovo, fuori della giurisdizione della sua Parrocchia di appartenenza; cosa sulla quale esiste una vasta letteratura: Calvas in Summa, in verbo sepultura, nu.4 versic., Sed ego teneo Io. Andr. in cap.1 nu. 3 de sepulturis in 6; nel caso poi che si tratti di un minore soggetto a patria potestà il tutto deve avvenire su decisione del genitore come si legge in cap. licet. § 1 de sepulturis, lib. 6 atque ibi avertit Dominicus de S. Geminiano num. 2 atque Anchar. nu.1.
Altri autori fondano invece le loro considerazioni sul fatto che il diritto di sepoltura è mutevole, connesso alla volontà di colui della cui sepoltura si affronta il problema e poiché il figliolo non è soggetto alla potesà paterna per ciò che concerne la scelta della sepoltura e neppure in merito ad altre cose di ordine spirituale (vedi Bertach. de Episc. § videmus, nu.28. Idem Dominic. in d. cap. licet num.1 e a maggior ragione se si tratta di un figlio già emancipato (Asin. in l. familiaria, nu. 43, ff. de reliq. atque sumpt. funer., Medices in d. tract. de sepulturis, quaest 2, nu. 19, Cravet. cons. 10) e qualora non sia stata testimoniata una qualche personale scelta di sepoltura questa deve avvenire nella Parrocchia in cui sono inumati i suoi antenati (Rota decis. 187, parte 2, nu. 2, in noviss. Barbos. in tract. de offic. atque potest. Paroch. cap.26, num. 32 atque 33.
Se poi il defunto non ha un luogo di famiglia deve essere inumato nel cimitero della chiesa parrocchiale come apertamente sancisce la glos. in cap. 1 de sepulturis, in sexto.
Può accadere che, sforzandosi negli spasimi della morte, qualcuno riuscisse a comunicare ad un altro il compito di scegliere per la sua sepoltura: qualora però il moribondo spirasse prima che la persona cui avesse conferito l'incarico potesse fare una scelta e decidere sul luogo dell'inumazione, la persona incaricata non avrebbe più alcuna facoltà di scegliere atteso il principio che per la morte di chi ha conferito un incarico di scelta, vien meno anche la stessa facoltà di eleggere una particolare sepoltura piuttosto di un'altra.
E' infatti una cosa ben precisa affidare il compito di scegliere il luogo della sepoltura e ben altra cosa è il scegliere come sostengono quasi tutti i testi: le ragioni profonde le dimostrò Lapus in cap.13 qui num. 5 eod. tit. de sepult. in sexto quando scrisse che uno che si trovi in siffatta situazione può essere sepolto solo nella chiesa parrocchiale od in quella cui appartenevano i suoi antenati.
Questi antenati si classificano partendo dal Padre e dal Nonno come è sostenuto nel Cap. Ebron 13, quaest. 2, cap. primo de sepultur.): non sono da computarsi per primi come maggiori del defunto i Proavi e gli attavi secondo quanto ha annotato Domin. de S. Geminian. in vero dopo una lunga serie di valutazioni in d. c. is qui nu. 10 de sepulturis lib. 6 de veriori attestatur Angel. Calvas. in dicto verbo de sepultura, num. 15 atque dixit Oldrad cons. 25, num.2).
Del resto si è affermato giustamente che se si dovesse investigare fra tutti gli antenati di un qualsiasi defunto si dovrebbe risalire a scandagliare l'intero agro Damasceno, dove fu creato Adamo (Sperellus decis. 88, nu. 7 il quale aggiunge anche quod melius dixisset se expressisset quaerendum montem Calvarium, ubi Adam sepultus fuit).

I Viandanti di passaggio ed i pellegrini che non hanno lasciato indicazione alcuna sul luogo in cui intendono essere inumati debbono essere sepolti nel territorio della chiesa parrocchiale sotto la cui giurisdizione hanno esalato l'estremo respiro di vita: così riportano Ugon. Vincent. & Rayn. senuit Archidiac. in cap. I de sepultur. in 6 num. 4 & approbat Lap. in cap. religiosi, eod. tit. in 6, num. 4 sostenendo che questa è la soluzione più logica sebbene Goffred. & alij plures dixerint che si dovrebbero piuttosto inumare nella chiesa cattedrale.
Tuttavia Io. Andr. in cap. 1, cod. lib.6, num.4 & in cap. in nostra nu. 18 ext. de sepultur. riferisce che siffatta questione si pose a Siena in merito alla persona persona di un Magnifico Soldato forestiero, forse Giovanni Assonio degli Ubaldi Capitano Generale delle Armi del Signor Conte, esempio di virtù nella guerra dei Fiorentini, che morì nella giurisdizione della Parrocchia di San cristoforo e fu poi sepolto nella chiesa cattedrale ed i cui funerali furono magnifici ed estremamente costosi. Il narratore di questi eventi aggiunge che detta Parrocchia non aveva ricevuto in pagamento dei suoi diritti sulle onoranze funebri se non la quarta parte di quanto dovuto per il fatto che il defunto, nel territorio di sua pertinenza, aveva sì preso in affitto una casa ma senza abitarvi e per il fatto che era Capitano Generale delle Armi come sopra si è detto.
Nondimeno prevalse l'opinione dell'Arcidiacono e degli altri, come dimostrano Domenico di S. Gemignano nel capitolo primo De sepulturis in 5, n.4, Silvester in verbo sepultura nu.8 vers. Secundum, Peregrini atque advenae: tuttavia Sylvester assieme ad antonio fa in merito questa precisazione: 'qualora il pellegrino sia un religioso deve essere seppellito in un Monastero del suo Ordine, nel caso invece si tratti di un laico se risiedette per un po' di tempo sotto la giurisdizione della Parrocchia ove morì o vi giunse con l'intenzione di fermarsi per un certo tempo sarà inumato nel territorio di pertinenza di detta parrocchiale nello stato di suo secolare, accdendo invece che l'estinto non soggiornò nel luogo né espresso l'intenzione di soggiornarvi sarà sepolto nella chiesa cattedrale a meno che non abbia preso i Sacramenti da un Sacerdote della parrocchia medesima.
Silvester, tenuto conto di tali distinzioni e rimossene altre, approva tuttavia che ci si attenga alle consuetudini del luogo mentre Anchar in d. cap. in nostra disse che i dubbi in merito, su cioè come agire, sono considerevoli e a prova di essi allega Feder. de Senis che afferma i diritti della Parrocchia nel consiglio 214 al numero 7.

I Figli illegittimi, se sono soltanto naturali vengono inumati assieme al padre, a meno che il padre non avesse ricoperto qualche carica di alta dignità (Angel. in dicto verbo sepultura, nu. 21 atque Silvest. nu.8 vers. Quartum. Silvester aggiunge poi chese i figli sono spurii non debbono in alcun modo esser sepolti con il padre: Petr. de Ubald. de Canonica, Episcopali & Parochiali q. 9, nu. 15 aggiunge poi che tali figli spurii, per tradizione popolare, sono da inumare assieme alla madre sempre che lo stesso padre non esprima la volontà che siano deposti con lui nella tomba e dopo che sono stati legittimati per sua volontà mentre qualora siano stati legittimati dopo la morte del padre possono esser sepolti soltanto nella tomba della nadre come sostiene il Medic. in d. suo tractato. de sepultura q.7 nu.22.

Una donna sposata, condotta a casa del marito, qualora non abbia scelto una particolare sepoltura sarà inumata nel sepolcro del suo uomo visto che, in vigore del coito e cioè dell'accoppiamento sessuale, son diventati ormai una sola carne unita da Dio e che quindi l'uomo non può né deve separare (vedi Cravett. cons. 10 nu.6, Asin. in l. familiaria nu. 13 ff. de religios. Angel in dicto verbo sepultura, num. 22, atque Silvester num.8, vers. quintum. Nel caso invece che si tratti di donna separata dal suo sposo per aver commesso adulterio non sarà sepolta con lui se non si sarà giunti ad una riconciliazione (cap. plerumque ext. de donat. inter vir. atque vx atque ibi affirmant Ant. de Butr., Abb. atque alij, Clar. in praxi in § adulterium in verbo caveat, num. 18, Angel & Silvester, in locis praedictis, & Medices dicta quaest. 7, num. 16. La motivazione di ciò è legata al motivo che la donna, oltre che per il fatto che a causa del suo adulterio smise di far parte del domicilio del marito e perse i suoi beni dotali (Clar. in dicto § adulterium, nu. 15), in più perse anche ogni onore e dignità che gli proveniva dall'autorevole figura dello sposo. Tiraquel in p. l. connubialem, glos. 1, par. prima, num. 45 cita più Dottori e ragioni. Se poi una donna avrà più uomini dovrà essere sepolta con l'ultimo con cui avrà vissuto ed in relazione a ciò sono chiare le parole del testo in cap. is qui, § mulier, de sepulturis in 6: ad integrazione di tutto questo Ioan. Andre. aggiunge che lo stesso principio vale anche se una donna, rimasta vedova, ritornò alla casa paterna, poiché siffatti privilegi vengono concessi al luogo e non alla persona ed anche se si trsferisce in altro sito, affermazione che peraltro risulta confortata da quanto ha scritto il dottissimo Petrus Ubaldus in dicto tractato de Canonica Episcopali atque Parochiali, d. quest. 9 num. 20 & 11. Io de Turre Cremata in cap. facultates § nunc quaeritur 13, quaest. 2, num. 18 & novissime post alios Sperel dicta decis. 88, nu. 13.

Quando il Sommo Pontefice non abbia lasciato alcuna indicazione sul luogo ove egli intenda esser sepolto dovrà esser inumato nella chiesa cattedrale del sito in cui all'epoca della sua dipartita sorgeva la Curia pontificia: le modalità funebri in tal circostanza seguiranno le procedure in auge a riguardo dei Vescovi che vengono istituzionalmente inumati nella cattedrale di loro competenza al modo che scrive Petr. de Ubald. loco quo supra n. 28.

Si verifica altresì il caso che qualche Cardinale della Santa Chiesa non abbia preventivamente scelto il luogo idoneo alla sua tumulazione.
Mediamente si provvederà quindi alla sua inumazione nella chiesa cattedrale dove risiederà il Papa, e presso cui abbia eretto il proprio domicilio nel caso che assista con costanza il Pontefice nell'attività conciliare: così si legge in cap. fundamenta, § decet, de elect. 6.
Qualora invece un Cardinale dovesse abbandonare la Curia pontificia per una sua qualche malattia, a causa di un'epidemia di peste o per qualche calamità naturale e/o metereologica, il suo corpo dovrà essere traslato sin alla Curia e quindi sepolto nella chiesa in cui avrebbe dovuto venir tumulato nell'evenienza che si fosse del tutto staccato dalla Curia Romana.

Un Legato pontificio in missione, qualora sia venuto meno al consorzio dei viventi, sarà da inumare nella cattedrale della città in cui avrà esalato l'ultimo respiro come se ne fosse stato il Vescovo. Così scrive Petr. Ubald. loco de quo sup. n. 29 atque seq. ubi plura habentur.
Nel caso della città di Bologna però io stesso ebbi occasione di vedere che il Reverendissimo Domino Zanotti, Vicelegato all'epoca dell' Eminentissimo Domino Cardinale di Monte Alto ed a quel tempo operante per quest'ultimo a Bologna, venire tumulato nella famosa chiesa di San Petronio nella quale è solito che i Paontefici che si recano a Bologna ed i loro Legati, nei giorni stabiliti, svolgano tutte le funzioni ecclesiastiche ed ascoltino i divini Uffici.

I Lebbrosi e tutti quanti son tormentati da qualche morbo contagioso, come quelli che per esempio hanno perso la vita a causa di qualche epidemia, dovranno invece essere sepolti in un luogo non pericoloso per gli altri, donde i miasmi pestilenziali dei loro corpi contagiati e in disfazimento non possano far danno ai vivi ed ai sani: secondo quanto scrivono Abb. in cap. sacris nu. 6 extra de sepulturis, Medices de sepulturis, quaest. 7, nu. 36 queste vittime di gravi malattie dovranno comunque e sembre usufruire di una sepoltura ecclesiastica.

Se non si ha cognizione in merito al cadavere di qualche sconosciuto scoperto per via o in residenze pubbliche e/o private, se cioè si trattasse di persona vivente in cristo oppure di individuo scomunicato sembra davvero il caso di procedersi nella maniera più misericordiosa sempre che non si avanzi, con motivazioni, qualche considerazione in contrario: vedi Pisanell. in verbo sepultura 4 § quid fiet.

Quanti, una volta trasferitisi momentaneamente in un luogo rurale per svolgrevi lavori agresti o per trascorrervi la villeggiatura, vi vengono sorpresi da imprevista morte senza aver avuto il tempo di scegliere il luogo dove esser sepolti non saranno inumati nel territorio di quella villa rurale, ove non hanno domicilio, ma nella parrocchia o piuttosto nei sepolcri dei loro avi se vi possono esser condotti senza gravi incommodi e pericoli (cap. is qui de sepultur. lib.6) secondo, tuttavia, il rispetto delle distinzioni prima menzionate come da Armilla, in verbo sepultura, nu. 20.

I popoli del passato avevano comunque una straordinaria varietà e tipologia di riti funebri e di modi di inumazione.
I Lotofagi per esempio erano usi gettare in mare i loro defunti ritenendo che non avesse grande importanza il fatto che i corpi fossero disfatti dall'acqua o dal fuoco.
Gli Albani un tempo remoto ritenevano nefasto praticare i riti funebri.
I Sabei conservavano i corpi dei morti in mezzo ai liquami e quelli dei re li gettavano nelle latrine.
I Trogloditi legavano invece i corpi dei morti sì che la testa fosse congiunta ai piedi e li trascinavano via fra lazzi, risa e giochi fin a seppellirli casualmente senze giustificare in alcun modo il luogo dell'inumazione.
Gli Ircani non allevavano i cani ad altro scopo che a diforare quanti fossero usviti dalla vita.
Gli Ateniesi ebbero al contrario una cura estrema dei sepolcri e se qualche condottiero fosse stato negligente nell'onorare coi riti funebri i soldati caduti in guerra lo punivano con il supplizio estremo; grossomodo si comportarono allo stesso modo i Macedoni e presso gli Ebrei si ebbe cura di non lasciare insepolti nemmeno i corpi dei nemici.
Gli Egizi, che si rivelarono piuttosto modesti nell'architettura civile ad uso dei viventi, erano invece soliti edificare sepolcri superbi e a dir poco magnifici. Straordinario fu tra loro il caso delle piramidi destinate ad essere abitazioni sempiterne dei loro morti, in pratica vere e proprie sontuose abitazioni quasi destinate ad offrire rifugio per chi fosse destinato a soggiornare un poco prima di passare ad uno stadio più evoluto o comunque diverso dell'esistenza. Anche ora i medesimi egiziano curano i funerali in modo particolare e custodiscono in casa i propri morti.
I Persiani seppelliscono i loro morti dopo averli interamene cosparsi di cera poiché ritengono che in tal modo i cadaveri possano resistere più lungamente alla decomposizione.
I Sindi mettebano tanti pesci nei sepolcri dei morti secondo il numero dei nemici che questi avevano abbattuto; questo lo sappiamo sulla base dell'autorità di celio e di Cicerone grazie al lavoro di Io. Ravisius Testor in officina in tit. de vario inhumandi ritu fol. 227 dove si possono cogliere molte straordinarie notizie di vario genere e peraltro esistono, con altre ecezionali documentazioni, notizie di uomini che tornarono alla vita grazie all'opera del Cassaneo e precisamente il suo Cathalogus gloriae mundi in 2. parte, in 5. consideratione.

Oggi in verità, come possiamo facilmente vedere, i corpi dei defunti vengono condotti alla sepoltura ecclesiastica col concorso di litanie e canto di salmi: a ciò si aggiunge la processione dei fedeli e le loro preghiere a pro dei defunti stessi come si legge nel cap. quia divina & c. ubicunque 13, quaestione 2., Ias. in l. furiosum, C. qui testamenta facere possunt nu. 4.
Da quest'ultima fonte apprendiamo la vicenda insolita di un tizio di Padova che aveva ordinato per testamento che una volta che fosse morto il suo corpo, senza lamentazioni ma piuttosto con manifestazioni di giubilo, fosse portato in chiesa: l'ordine suo non venne affatto rispettato e la persona fu ritenuta averlo dato in quanto folle (Gratian., novissime in discept. forens., cap. 298, nu. 6) e di conseguenza il Cassiano (in d. consideratione 5, in fine, cum Castren,) sancì pubblicamente che il testamento di quel cittadino di Padova, che pure era un dottore e che ordinò di fargli un funerale di lazzi e burle sino alla chiesa, era documento non degno di uomo ma di una bestia e quindi privo di valore.

Si è sempre disputato a lungo nell'ambito di ogni Stato costruita su salde fondamenta e permeato fortemente della fede cristiana se si possa negare la sepoltura a quanti per gravi crimini siano stati condannati al supplizio estremo.
Una motivazione di tali dispute risiede nel fatto che molto spesso i cadaveri non inumati di questi criminali rimangono allungo sospesi sui patiboli quale pubblico spettacolo e ammonimento dei cattivi: è peraltro noto che a chiunque venga somministrato il Sacramento della Penitenza debba essere concessa la sepoltura [glossa bibliografica].
Peraltro il Sacramento della Penitenza giammai si può negare ai condannati alla morte capitale nel caso che abbiano dato prove di vero pentimento anche se si sono resi colpevoli dei crimini più atroci [glossa bibliografica].
Lo stesso vale peraltro a proposito del Sacramento dell'Eucarestia secondo che viene approvato dai testi [glossa bibliografica] ed anche in tempo e condizione di interdetto ecclesiastico [glossa bibliografica].
In molti casi però, in base ad uso e costamanze, si è ottenuto di non somministrare, poco tempo prima dell'esecuzione, a quanti sono stati condannati a morte il Sacramento dell'Eucarestia così come neppure vien loro concesso il diritto di usufruire dell'Estrema Unzione sulla base della considerazione che quest'ultima si deve somministrare solamente a coloro che sono tormentati da estrema malattia del corpo, a causa della quale sono ritenuti in estremo pericolo di perdere la vita: e tutto ciò alla maniera che insegnano [diversi autori - glossa bibliografica].
Sulla base di siffati autori però se è vero, come risulta approvato dallo stesso diritto, che non si può negare a questi condannati a morte il Sacramento della Penitenza nè si può legittimamente negare la sepoltura, visto che queste due concessioni si danno contestualmente: ed anzi non può giustamente in alcun modo darsi la consuetudine di non concedere inumazione ecclesiastica ai giustiziati.
Addirittura si ritiene che i giudici che privino di questo beneficio i condannati a morte restino immuni dall'aver commesso un peccato [alla maniera che riportano altri autori ancora - glossa bibliografica].
Sulla base di altre interpretazioni [glossa bibliografica] nondimeno questi giusdicenti sarebbero in qualche modo da scusare e giustificare: nei testi di diritto criminale [glossa bibliografica] è peraltro spesso indicato che i cadaveri di Ladri tristemente famosi debbono essere uccisi su una forca eretta in quei luoghi dove perpretarono i loro crimini sì da costituire un esempiom e distogliere altre persone da commettere simili reati.
Peraltro l'interpretazione giuridica [glossa bibliografica] solitamente ritiene che non si debbano restituire ai congiunti i corpi dei giustiziati a morte: tale principio è altresì sanzionato da Cesare Augusto nel De vita sua al libro 10.
Non si negano però, in caso di richiesta esplicita, le ossa e le ceneri, in caso di rogo dei resti umani: è importante tuttavia che sussista il permesso dei giudici.
Infatti spesso per la gravità di determinati crimini è opportuno che i corpi in disfacimento di costoro rimangano esposti a guisa di ammonimento per quanto gli autori principali ritengono che non sia il caso di prolungare tale dimostrazione per un periodo di tempo superiore alla durata di un giorno [glossa bibliografica].
Si sostiene peraltro che anche quanti siano stati condannati all'esilio non possano essere condotti in quella città o stato donde furono cacciati da morti per esservi sepolti [ampia glossa bibliografica].
Si possono però, per una qualche benevola concessione del Principe offeso, riportare le ossa e /o le ceneri dell'esiliato nel luogo donde fu bandito, tenendo conto che le ossa e le ceneri non corrispondono all'essenza fisica del cadavere.
Altri interpreti però [glossa bibliografica] condannano questa opinione basandosi sul fatto che la pena permane inevitabilmente anche dopo la morte della persona esiliata [glossa bibliografica].
Per simile ragione si ritiene da alcuni di non doversi concedere sepoltura ecclesiastica ad alcun usuraio fino al momento che i suoi eredi non abbiano restituito quanto da lui maltolto, anche se l'usuraio in punto di morte li abbia obbligati a tale restituzione [glossa bibliografica].
Alla stessa maniera è colpevole un Monaco, se contrariamente al voto di povertà nel tempo della sua morte, di nascosto, abbia detenuto dei beni mondani: di conseguenza tale rligioso deve essere sepolto con le sue ricchezze in un letamaio [glossa bibliografica] a pubblica testimonianza del suo tradimento verso i voti alla maniera che ha scritto il Divo Gregorio nel I libro, dap. 55 dei Dialoghi.
Non si deve però privare allo stesso modo della cristiana sepoltura un religioso trovato morto ed in possesso di una borsa di denaro secondo che scrive il Barbosa [glossa bibliografica]; quest'ultimo autore afferma infatti cheche si può eccepire che quei denari non fossero suoi o che fossero lì accanto per qualche dimenticanza o negligenza. In effetti la maggior parte dei trattatisti concorda con tale opinione [glossa bibliografica] sostenendo che il religioso defunto potrebbe aver ricevuto il denaro in deposito da qualche secolare, non seguendo l'dea di chi [glossa bibliografica] reputa che, trovandosi una grossa somma di denari, si deve sempre pensare che ne sia stato proprietario colui presso il quale essa risultasse custodita.

Il suicida non deve essere sepolto in chiesa [glossa bibliografica]: tuttavia è consento pregare per lui in forma privata visto che forse nell'ultimo anelito di vita ha provato afflati di dolore e pentimento come afferma qualche autore [glossa bibliografica] o alternativamente tenendo conto che può aver agito sotto l'effetto del furore, di qualche insostenibile tormento o per un'esplosione di follia al modo sostenuto da vari autori [glossa bibliografica] ed in siffatte circostanze, se comprovate, si deve concedere il diritto alla sepoltura ecclesiastica alla maniera che sostiene Giovanni Gallo [glossa bibliografica].
Se poi un defunto, sospettato di essersi suicidato, viene trovato in un pozzo non si può negargli il diritto ad una sepoltura in terra consacrata visto che non si può dedurre in alcun modo se vi sia caduto accidentalmente o per scelta di morte come affermano alcuni interpreti [glossa bibliografica].
Pertanto la sepoltura ecclesiastica si nega, giustamente, a colui che si è ucciso per la grave colpa del delitto perpetrato anche se una persona si è data morte per fuggire od evitare uno stupro o qualche altro consimile offesa: si concede piuttosto di sopportare ogni sorta di male che cedere al peccato di togliersi la vita. La giustificazione del crimine di perpetrare il proprio omicidio non può in alcun modo essere giustificata dalla volontà di alienare qualsiasi altro crimine capitale così come provano tanti autori [glossa bibliografica]

Parimenti vengano privati di sepoltura ecclesiastica, cioè in terra consacrata, gli infedeli, gli eretici, gli ebrei ed i pagani anche se fossero svelati per tali solo dopo la morte [glossa bibliografica].
Non solo costoro non devono venir inumati in terra consacrata ma alla loro stregua ci si deve comportare avverso i cadaveri di quanti, variamente, siano stati loro complici e conniventi alla maniera che sostengono gli interpreti [glossa bibliografica].
Nell'evenienza però che un eretico, prima della sua morte, abbia dato segni manifesti di contrizione e conversione alla vera fede cattolica, per quanto non possa essere scagionato dal delitto di eresia, può tuttavia venire seppellito in un luogo sacro. Però, onde evitare qualsiasi forma di scandalo ed altri incommodi per la Chiesa, bisogna tuttavia ammonire il vescovo che, nel caso che lo voglia, è in grado di assolvere chiunque dalla scomunica in cui incorse come afferma Paulo Layman nella sua opera moralis Theologia sotto la voce Sepultura sacra, vers. 'Si haereticus', f. 784, cap. I, num. 82.

Può altresì accadere che qualcuno perda la vita partecipando ad un torneo come si detta nel cap. I de Torneamentis affermando come è stato sancito nel Concilio Lateranense da Innocenzo ed Eugenio: in tal evenienza non è da concedersi la cristiana sepoltura e si ordina che si deve procedere in siffatta maniera anche nel caso che qualcuno abbia chiesto e ottenuta la penitenza [glossa bibliografica].
Si esclude questa proibizione solo nel caso di chi sia caduto da cavallo facendosi avanti per esigere il dovuto da qualche debitore e che per tale accidente sia morto: resta condizione fondamentale che il defunto non si sia accostato al suo debitore coll'intenzione di combattere.
I Dottori della Chiesa in merito ai duelli ed ai tornei hanno sanzionato un'assoluta proibizione visto che a nessuno resta lecito praticare l'arte del duello o del torneo allo scopo di far dimostrazione della propria forza fisica e della sua guerresca virtù.
Tale pratica non si concede neppure se per ciò può derivare un qualche estremo pericolo del corpo e dello spirito ed anzi la sepoltura la si nega stando a certi autori [glossa bibliografica] anche a chi si pente per il terrore procurato agli altri.
La stessa fonte giuridica ritiene che sia da negare l'inumazione in terra consacrata pure nel caso che l'eventuale duellante destinato a soccombere, poco prima della morte, contrito per la sua mala impresa, abbia preso il Sacramento dell'Eucarestia.
Grossomodo lo stesso principio ha vigore nei confronti di chi muore partecipando ad una tauromachia, cioè combattendo nell'arena contro un toro secondo quanto suggerisce la Bolla papale Quinquagesima prima di Pio V che appunto inibisce la lotta circense contro tori od altre fiere: bolla che peraltro rende vano qualsiasi voto o giuramento fatto in merito alla partecipazioni a tali gare sì che se qualcuno dei partecipanti sarà morto non potrà in alcun modo fruire di cristiana sepoltura.

Anche a coloro che muoiono in singolar tenzone, cioè in un duello fra due persone, non è concesso il seppellimento in terra sacra secondo quanto dicono i dettami del Concilio di Trento (de reform. cap.19). Secondo siffatta sanzione il duello è ritenuto illecito per la fede in Cristo e di conseguenza si procede anche con la proibizione dell'inumazione ecclesiastica: tuttavia nel caso che qualcuno mostri un segno di contrizione almeno nell'interpretazione di Laur. Portel. in resp. moral. par.3, cas. 10, num.3 si ritiene di non dover procedere all'applicazione di tale sanzione e si dà anche la facoltà di celebrare delle messe per tali defunti, vittime pentitesi di duelli, al modo che scrive Antonino Diana in tract. 4, Miscellanea resolutionum 192, prope finem.

La sepoltura ecclesiastica non deve somministrarsi a vantaggio di quanti abbiano perso la vita senza essersi confessati e comunicati [glossa bibliografica] sempre che di tali colpe non si fossero emendati in articulo mortis [S. Antonin. 3, par. tit. 10, cap. 5, § 9].

Nei confronti dei Blasfemi o perpetratori di bestemmie nel caso non si siano emendati con la dovuta penitenza [glossa bibliografica] non si deve concedere alcuna sepoltura cristiana in terra consacrata. Lo stesso principio vale poi per tutti i peccatori abituali tra i quali sono da ascrivere le donne di malaffare e le meretrici [scrive ancora il Dulphus], quanti praticano il concubinaggio, tutti gli usurai e via dicendo [ampia glossa bibliografica] sempre che, per tempo e tramite la dovuta penitenza, non si siano riconciliati con la Santa Chiesa. Lo stesso dicasi anche per gli scomunicati [ampia glossa bibliografica] per cui la letteratura precisa tuttavia che un'ingiusta scomunica non può obbligare nè Dio nè gli uomini. Nel caso degli scomunicati è ancora da precisare che se in articulo mortis essi abbiano dato qualche segno di pentimento ed abbiano fatto penitenza possono venire sepolti in terra consacrata [vedi Barbosa in tract. de offic. & potest. Parochi, cap. 26, num. 40]. Lo stesso Barbosa sostiene che tale giudizio venne dato in occasione della Sacra Congregazione dei Cardinali in merito ai doveri dei vescovi e dei prepositi regolari: Giovanni Battista Mastrilus essendo stato ucciso nella condizione di scomunicato fu dapprima inumato dai parenti in terra non consacrata ma poi, essendosi saputo che in articulo mortis aveva egli dato segni palesi di penitenza ed essendo anzi stato dimostrato che nello sfiorire della vita esclamò in confessione Madonna Santissima aiutami!, ne fu concessa l'esumazione e la sepoltura ecclesiastica. Nel caso però di pubblici aggressori di chierici, pur nel caso che non sia stata fatta alcuna denuncia o dichiarazione, ed anche che siano stati inopportunatamente scomunicati, non si ritiene dover procedere alla sepoltuta ecclesiastica dei loro cadaveri stando almeno a quanto suggeriscono vari autori [glossa bibliografica]. Resta da menzionare il caso che la sentenza di scomunica di cui spesso si parla a riguardo di debitori insolventi non ha vigore [ampia nota bibliografica]: secondo l'interpretazione corrente del diritto canonico quando qualcuno è nell'impossibilità materiale di saldare i suoi debiti non può essere scomunicato, anche nel caso che proprio per colpa sua non sia avvenuto il giusto pagamento di quanto ricevuto

Nel caso di un bimbo venuto alla luce vivo dal ventre della madre e poi defunto si può certamente procedere alla sepoltura cristiana.
Se però il feto risulta morto e non venuto alla luce è opportuno aprire il ventre della donna, estrarre il feto e quindi inumarlo fuori del cimitero [ampia nota bibliografica].

Esistono dei rapitori e violatori di chiese od altri edifici sacri al culto che giammai si pentono per le loro colpe [glossa bibliografica]: se sino al momento dell'esecuzione capitale si comportano in modo da non dare alcun segno di pentimento e neppure sono in grado di restituire il maltolto, senza dubbio debbono essere privati di ogni forma di sepoltura ecclesiastica sì da rappresentare una terribile ammonimento per tutti. Se però qualcuno maturi la volontà di restituire quanto rapinato in loro vece, peraltro gli eredi possono anche esser costretti a far ciò [glossa bibliografica], i Chierici non sono però in siffatta circostanza essere obbligati ad interessarsi della loro sepoltura come si specifica nel repertorio bibliografico sopra citato, a differenza di quanto può verificarsi in merito ad altre forme di delitto.

Quanti son stati giustiziati sulla forca per i loro delitti e son morti senza essersi pentiti delle loro malazioni, stando ai decreti del Concilio di Magonza (quaesitum 13, quaest.2, non possono godere di sepoltura cristiana.
Questa si deve invece concedere a quanti si siano pentiti ed abbiano confessato le loro colpe: in tale evenienza il loro corpo non può essere tenuto alla pubblica vista per più di un giorno ma deve essere deposto e quindi tumulato in un cimitero cristiano.

Non è da concedersi la sepoltura in terra cristiana a ladri famigerati, visto che costoro debbono essere puniti oltre la stessa morte fisica ed i loro corpi sono da abbandonare alle fiere ed ai volatili sì che ne facciano scempio [glossa bibliografica].

Parimenti quei briganti e rapinatori che vengono uccisi allorché son stati trovati a perpetrare il loro crimine non debbono fruire di gristiana sepoltura, così come dettano le scritture dei dottori della Chiesa [ampia nota bibliografica]. Alcuni fra questi interpreti però sanzionano che, nel caso in cui siffatti criminali abbiano fatto prova di contrizione, si può soprassedere a tale punizione e concedere l'inumazione in terra consacrata: ad aggiunta di ciò precisano che, per l'eccezionalità del momento, non trovandosi un sacerdota che possa raccogliere la loro confessione, resta valida quella fatta nei riguardi di abbia raccolto i loro ultimi respiri e le loro estreme volontà.

E' usanza barbara quella di riesumare dei cadaveri e di arderne i resti di modo che le ossa vengano separate dalle carni liquefatte. In questo caso, stando a quanto suggerisce la letteratura in merito, non si deve in alcun modo concedere la sepoltura di tali resti in terra consacrata. Il corpo di chi sia stato così bestialmente trattato non può essere sepolto alla maniera degli onesti cristiani e questo costituisce il caso in cui, come la stessa letteratura canonica suggerisce, ad un defunto tocca una punizione senza che si sia macchaito di alcuna colpa.

Alla stessa stregua i parricidi debbono essere privati di qualsiasi forma di cristiana sepoltura [glosse bibliografiche]...a loro riguardo è stato sancito che il parricida, frustato a sangue, sia quindi rinchiuso entro un sacco di cuoio assieme ad un cane e ad un gallinaceo evirato (perché questo con maggior forza combatte contro il Serpente, secondo il modo che cita la glossa prima riportata), con una vipera ed ancora con una scimmia.
Di poi il sacco di cuoio dovrà esser scagliato nelle profondità del mare o, qualora il mare non sia vicino, lo si getti alle bestie alla maniera sancita la Legge unica, Codice a riguardo di quanti hanno ucciso i parenti od i figli.... e ciò si applica nei riguardi di chi abbia ucciso il padre, la madre, un nonno od una nonna come risulta scritto nella sopra citata legge.

I laici che non ottemperano al dovuto versamento delle decime alla Chiesa debbono essere privati di ogni forma di inumazione in terra sacra stando alla letteratura canonica in merito.

Non si conceda inumazione in terra consacrata a chiunque sia stato colpito da interdetto e conseguentemente sia risultato escluso dalla vita religiosa in seno alla Chiesa: in base agli interpreti [glossa bibliografica]. Gli stessi autori reputano quindi che un identico principio valga nel caso di un interdetto generale sì che il privilegio della sepoltura cristiana non si può nemmeno concedere ad uomini di una qualche collettività che siano stati interdetti per i peccati di altri, Qualora però sulla soglia della morte essi abbiano dato segni di contrizione, una volta che sarà cassato l'interdetto generale, si potrà procedere ad una cristiana inumazione.

Neppure è da seppellire cristianamente quell'Episcopo che nel corso di qualche sua visita spirituale abbia preso denaro illecitamente, giusto quanto sostengono alcuni interpreti. Potrà essere però inumato cristanamente solo se nel tempo stabilito non abbia reso il doppio di quanto illecitamente preso [glossa bibliografica].

E' da precisare che qualora una fra tutte quelle persone di cui si è detto sia stata sepolta in maniera cristiana, si deve procedere di maniere che se i suoi resti sono in qualche modo distinguibili dagli altrui debbono essere gettati oltre la cinta dal sacro cimitero. E secondo alcune interpretazioni questi resti umani di individui immeritevoli di cristiana inumazione non possono venir sepolti nemmeno in luogo tanto vicino al cimitero che in esso si possano sentire le voci dei chierici mentre cantano. Se però non si è in grado di distinguere le ossa degli immeritevoli si cristiana sepoltura da quelle degli innocenti non si dovrà fare assolutamente nulla come avverte una certa bibliografia critica: però trattandosi di un infedele di cui non si riesce a discernere il corpo si procederà, alla maniera che suggerisce il Concilium Agrippinensis nel cap. Eccelsiam il 2 de consecrat. dist. prima, alla totale distruzione sino alle fondamenta della sua residenza con tutti i muri.

Una volta che il cadavere di un individuo è stato tumulato non lo si deve più ispezionare a meno che non intercorra autorizzazione della Curia episcopale [glossa bibliografica]; solitamente si concede tale facoltà al solo giudice laico al fine di acquisire utili informazioni per svelare l'arcano di un eventuale delitto [glossa].

In qualsiasi luogo, oltre i limiti sacri di un cimitero cristiano, sia stata inumata una salma, prescritta dalla sepoltura in terra sacra, in capo ad essa dovrà sempre apporsi una croce a denotare che il defunto lì custodito fu comunque un cristiano. Il Diavolo infatti teme avvicinarsi ad un luogo ornato e difeso dal simulacro della Croce alla maniera che si legge nei libri canonici [glossa]. Al tempo della terribile epidemia del 1630 [quella che colpì il milanesato ed altre contrade italiane: in Liguria sarebbe giunta anni dopo] per ordine dei sedici preposti a tutte le esigenze della popolazione, in cooperazione coll'Eminentissimo Cardinale Spada di Bologna, all'epoca meritevolissimo, vigilantissimo, oculatissimo e mai abbastanza lodato, Legato pontificio. Nella fattispecie, a riguardo di questi sedici eletti per concorso di tutto il popolo, si trattava per il quartiere di S. Franceso dell'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Ottavio Amorino, dottor collegiato, lettore primario e dei parimenti illustri signori Giacomo Palmero parimenti dottore in legge, Giuseppe Raineri e Carlo Faccio; per il Quartiere di S. Pietro erano stati nominati l'eccellentissimo signor Geronimo Bonfiglioli Dottor collegiato, l'illustrissimo dottor collegiato Alessandro Bentivoglio, il Reverendissimo Signor Giovanni Platesio, il Signor Giovanni Battista Mandino; per il Quartiere Ravennatense l'eccellentissimo Signor Carlo Antonio Manzini dottore in filosofia, gli illustri signori Alessandro Vitale, Giovanni De Zani e Alessandro Salaroli; per il Quartiere di San Proculo l'eccellentissimo signor Annibale Menzani, l'iilustrissimo conte Pompeo Marsili ed il conte Alessandro barbasia ed io stesso Floriano Dolfi come ultimo, la cui elezione, a fronte di quella degli altri, è degna di stupire visto che dal popolo è stata fatta senza alcun rapporto di parentela e di amicizia, come succede negli altri casi, ma solo per i meriti acquisiti, di cui si può leggere una testimonianza nella Cancelleria dello stesso Eminentissimo Legato Pontificio allorché furono fatti dei lasciti in denaro per la sovvenzione della fabbrica della chiesa di S. Isaia in questa città di Bologna.

Se la sepoltura in terra consacrata possa venir interdetta ad un debitore defunto su petizione dei suoi creditori si sono espressi molti autori [segue ampie glossa bibliografica].
Una volta nel caso che morisse qualche religioso onerato di debiti i suoi creditori chiedevano che dai suoi lasciti fosse esatto quanto necessario per soddisfare il loro credito: però nel caso che non si trovasse abbastanza danaro costoro impedivano che la persona in oggetto usufruisse di inumazione in terra consacrata. In seguito per sanzione pontificia si stabilì che i in tal caso i consanguinei del religioso morto, essendo debitore, dovessero prestare la cauzione di pagare il dovuto e finché non si trovasse un modo qualsiasi per soddisfare i debiti i resti terreni del religioso morto non venivano vristianamente sepolti: tuttavia si sostiene che il Pontefice abbia interpretato e sancito non sulla base del nostro corrente diritto ma secondo quello degli inglesi come anche affermarono alcuni interpreti [breve glossa bibliografica]. Sulla base invece del diritto comune e consuetudinario il corpo di un defunto non può essere interdetto da qualsiasi forma di cristiana sepoltura ed in effetti non si può nemmeno proprogarla fin tanto che i suoi congiunti abbiano saldato i creditori [glossa bibliografica].
Non si può non convenire con questa ultima interpretazione: se infatti è logico comunicare un vivente non è proibito fare lo stesso con chi sta per morire e in secondo luogo se a tal individuo, per quanto in stato di debitore, sono concessi tutti i Sacramenti non è fattibile negargli una cristiana sepoltura [varie glosse bibliografiche].
In terzo luogo le leggi di natura, l'umanità stessa, il pudore ed il benessere ambientale dello stesso Stato impongono che si debba procedere all'inumazione di un cadavere.
Se infatti è abbastanza facile privare qualcuno del sepolcro, tuttavia i superstiti giammai debbono esser tanto barbari da non dar prova di alcuno slancio d'umanità e con la buona volontà si trova sempre la cauzione per far sì che il corpo di un debitore non rimanga senza inumazione o questa venga dilazionata nel tempo, nel caso che il debito non sia stato pagato, sotta

Gli antichi Romani [scrive ancora Floriano Dulfi pur destreggiandosi tra molte incertezze ed una bibliografia non sempre esatta]nel seppellire i loro defunti si servivano di modalità su cui ci rende edotti Plinio (lib. 11, cap. 37) il quale riporta che giammai a Roma si è proceduto ad ardere i cadaveri direttamente sulle pire di fuoco.
In un primo momento erano sepolti, ma quando in seguito videro che i morti i quali erano stati sepolti, in periodi di guerra, per mero gusto di profanazione, venivano riportati alla luce quasi sradicandoli dai sepolcri, essi presero l'abitudine di bruciarne i resti.
In tale pratica non si seguiva un'identica costumanza: si racconta per esempio che nel contesto della famiglia Cornelia nessun individuo sia mai stato dato alle fiamme del rogo funebre prima del Dittatore Silla, che, personalmente, lasciò scritto che così si procedesse al suo rito funebre avendo pauro che nei confronti del suo corpo venisse fatto ciò che lui stesso aveva procurato ai miseri resti del rivale Mario.
Il corpo del re Numa Pompilio venne invece inumato in un Cenotafio, chiuso per via di una lapide, che, molto tempo dopo sul Gianicolo, Gneo Tarentio fece estrarre dal terreno essendo passati quattrocento anni dalla morte di quello: il Colle del Gianicolo a causa di piogge incessanti e violente era infatti stato quasi aperto da una grande fenditura.
Plinio e Plutarco, quest'ultimo in problematis, asseriscon che siffatta consuetudine fu sempre rispettata dagli antichi Romani sino al tempo degli Imperatori Antonini quando nessuno più si prese cura che i corpi non venissero inceneriti ma semplicemente sepolti.
Si faceva inoltre notare dagli autori antichi che tra i Romani, quando qualcuno si ammalava gravemente e alla fine si trovava sul punto di morire, i parenti più stretti aspiravano colla propria bocca il suo estremo alito di vita. Inoltre costoro gli chiudevano gli occhi cosa che oggi come oggi si sostiene fosse proibite soprattutto ai figli secondo i dettami della legge Maevia come almeno sostengono Varo e Marcello quando appunto scrivono che essi non debbono chiudere gli occhi ai loro padri quando emettono l'estremo alito di vita: lavor. de prisco atque recenti more funerandi tit. 2, cap. primo, num. 26.
Comunque sia, una volta spirati i Vespillones cioè i becchini dei poveri e i lavatori dei cadaveri procedevano all'ultimo bagno dei corpi e li ricoprivano di unguenti.
Se si voleva procedere al rito dell'incinerazione conducevano un cenotafio fatto di legno o di altro materiale atteso che gli ottimati, i plebei, i nobili e le persone di modestissimo rango certamente non si avvalevano delle identiche usanze.
Quindi nel condurre il corpo del defunto, lavato ed unto, al cenotafio, come ancora ci rammenta Plutarco in problematis, ricoprivano questo di vesti candide che cospargevano di grassi profumati e di altre essenze.
Facevano i riti funebri con un'uso considerevole di vari apparati ed i figli, a capo nudo, dovevano seguire il padre: cosa che peraltro tuttoggi si rispetta in diverse parti del mondo conosciuto come si è potuto verificare in occasione dei funerali del supremo imperatore Carlo V, quindi di suo nipote, figlio del re Filippo II sovrano di tutte le Spagne ed ancora a riguardo di altri esimi personaggi che, con solenni apparati funebri, furono accompagnati sin al loro sepolcro.
Alle cerimonie funebri dei Romani partecipavano anche le figlie che procedevano con le chiome sparse: era una consuetudine di cui ha scritto Plutarco in problemate incipiente, quid est quod filij, atque in alio problemate inchoante, quid est, quod in luctu, apta est ad fletum excitandum.
Sulle ragioni dell'introduzione di simili cerimonie hanno poi discusso Asinio ed altri autori come precisa lavor. in d. tract. tut.2, cap. 3, nu. 81.
I Romani avevano poi la consuetudine di tagliare un dito al defunto e seppellivano quello per finalizzare il rito. A tal punto i becchini, che avevano prima lavato ed unto il cadavere e che successivamente lo avevano condotto sino al cenotafio, lo ponevano a terra.
A questo punto il consanguineo più stretto o in alternativa il migliore amico dell'estinto prendeva dal rogo una fiamma ed accendeva il fuoco destinato all'incinerazione.
Peratltro, a riguardo dei più anziani, era consueto suonare le trombe, mentre solitamente il rituale era accompagnato dalla musica dei flauti come almeno si apprende da Macrobio (in Somnis Scipionis lib2, cap.3) il quale sostiene che gli antichi in particolare erano convinti che le anime, ormai libere dal vincolo terreno del corpo, di nuovo si elevassero verso il cielo, donde giunsero, seguendo la melodia della musica.

Una lapide posta ad ornamento di un sepolcro non può esser venduto se non da una chiesa ad un'altra [glosse bibliografiche] e se vengono portati via i sassi dei sepolcri come delle tombe, gli epitaffi, le colonne, le statue o qualsiasi altro genere di immagine sepolcrale, coloro che fanno ciò si rendono colpevoli del crimine di violazione di sepolcre al modo che sostengono i dottori della chiesa [glossa bibliografica].
Quanti si rendono responsabili di ciò non devono venire solamente puniti ma debbono essere obbligati alla restituzione, ai superstiti del defunto, di tutto quello che abbiano sottratto alla sepoltura.
Fa eccezione il solo caso che costoro abbiano sottratto qualsiasi oggetto alla tomba di qualche nemico di guerra [glossa]: in merito la letteratura sostiene che le lapidi sottratte alle tombe dei nemici si possano utilizzare in qualsivoglia maniera [altra glossa].
Quando invece si viola il tumulo sepolcrale di qualcuno che non sia stato un nemico ci si rende rei di un doppio crimine: in primo luogo si porta offesa ai vivi, custodi di tale sepolcro, ed in seconda istanza si manca di rispetto ai morti [altra lunga glossa].
Le fonti del diritto civile e quelle del diritto canonico sostengono tutte quante che contro chi commette questo tipo di furto è giusto procedere di legge.
Chi poi detiene il diritto di sepoltura in un determinato luogo possiede anche il diritto di impedire che altri siano sepolti nella stessa tomba [varie glosse].
Come altri autori ancora sostengono, visto che la tomba non è un albergo, se qualcuno vi è inumato illecitamente è giusto e lecito riesumarlo sempre che qualcuno dei sopravvissuti non paghi il giusto prezzo dell'inumazione [altre glosse].
Perciò non è giusto che nel luogo di cui qualcuno ha l'usufrutto come sepolcro venga inumato un altro defunto [glossa]: per questo non ci si deve meravigliare che se i sacri Imperatori, con loro editti, hanno ammonito a non disturbare il quieto riposo di qualsiasi defunto affidato ad una giusta sepoltura [varie glosse]: del resto sebbene seppellire i morti, scavare e ricoprire una fossa non sia un vero e proprio atto spirituale, ciò tuttavia risulta connesso ad una procedura che rimanda allo spirituale [glossa].

In molte circostanze ho sentito dibattere se la restituzione di qualche cosa che sia stata da lui sottratta ad altri possa in qualche modo giovare ad un defunto.
In qualche caso è anche stato detto che alcune anime sono apparse ai viventi per chiedere che in loro vece restituiscano quel maltolto che non ebbero il tempo di ridare ai legittimi proprietari o di cui si dimenticarono.
A siffatta questione risponde Sotus in 4. distin. 45 quaest. 2, art. 3 sostenendo che una restituzione di siffatto genere non può giovare ad alcun defunto qualora avvenga come non può danneggiarlo qualora al contrario non risulti espletata.
Dio infatti non punisce un individuo defunto se non in funzione di una colpa realmente commessa nella vita terrena: di conseguenza il defunto peccò non restituendo quando ancora era vivo o non peccò per qualche peculiare motivazione.
Se non peccò, ad esempio perché casulamente non fu in grado di restituire o possedette le altrui cose in buona fede, egli non risulta da punirsi nell'ultramondo.
All'opposto qualora scientemente si rese colpevole di un peccato, il defunto sarà punito per la pena di negligenza nel urgatorio: quindi dopo che avrà pagato il fio delle sue colpe potrà salvarsi sia che le altrui cose siano state rese ai legittimi proprietari sia che ciò non sia affatto avvenuto, atteso il principio che il reo è stato reso dalla morte inetto a colmare la sua colpa terrena e dato che la sua eterna salvezza non deve affatto dipendere dalla volontà di un'altra persona, vivente e in qualche modo delegata.
Del resto l'anima potrebbe risultare perpetuamente imprigionata nel Purgatorio se l'erede non si impegnasse a restituire: per la qual cosa nella circostanza che si potesse restituire il dovuto e non lo si facesse la responsabilità sarebbe da attribuire al sopravvissuto erede e non all'anima del defunto che non avrebbe nulla da temere.
E' tuttavia da precisare che la restituzione degli averi altrui ai legittimi proprietari non potrà giovare spiritualmente all'anima colpevole visto che la restituzione non costituisce una risoluzione di colpa e pena.
La soddisfazione è infatti un'opera buona, è per la precisione donare quanto è proprio ad altri che ne abbisognano, non restituire ad alcuno quello che di fatto è suo.
Le presunte apparizioni ai viventi di anime dei defunti sono forse da intendere richieste di anime afflitte e pentite che non chiedono tanto una restituzione in quanto tale ma una restiztuzione sotto forma di elemosina ai bisognosi [glossa bibliografica].
Le Sacre Scriture enumerano per la precisione tre generi di suffragi per i morti: l'Orazione, il sacrificio della Messa e l'Elemosina, aggiunte anche le buone opere e le Indulgenze che si riassumono sotto il titolo di Orazioni [segue vastissima bibliografia pp.80 - 81].
Da tutte queste considerazione e dalle letture degli interpreti ecclesiastici si evince con chiarezza che la restituzione del maltolto non rappresenta un suffragio e che pertanto non può essere di vantaggio spirituale ai defunti se almeno non segue a tutto ciò un'orazione, un sacrificio, un'elemeosina o qualche opera penitenziale.

Sono da condannare quelle spese, a volte senza misura, che vengono fatte dagli uomini nel contesto di una cerimonia funebre, nella quale invece è da conservare sempre un alto grado di modestia [glossa bibliografica].
Non vi sarà quindi da avanzar meraviglia se S. Agostino, nel libro I del suo De Civitate Dei al capitolo 12, biasima quelle grandi ostentazioni di lusso che fanno i ricchi nel corso dei loro funerali, dicendo che la pompa funebre costituisce in effetti un sollazzo per i superstiti più che un qualche aiuto per i defunti.
Vediamo infatti che secondo la letteratura non si deve concedere la facoltà di reiterare una pompa funebre se colui che ne gura la gestione si lascia andare a spese senza senso (glos. il l. si quis, § sumptus, ff. de relig. atque sumpt. funer.) o se l'apparecchio esteriore del funerale è più sontusoso di quanto sia ritenuto giusto (l. pen. ff. de eodem) ed anzi anche nel caso che sussista un considerevole credito della dote, colui che senza esplicito mandato del testatore o del suo erede abbia smodatamente spedo nell'organizzazione di un funerale è tenuto a rendere conto della sua attività sussistendo il legittimo dubbio che non abbia fatto tutto quanto per senso di cristiana pietà come dice il l. si quis § idem labeo, eod. de tit. de relig. & de sumptibus fun..
In merito a ciò ha assoluto vigore lo statuto del Principe che proibisce a riguarda della pompa funebre di indossare panni lugubri, di rivestire di stoffe nere le abitazioni di fare ostentazioni di altre solenni manifestazioni di cordoglio che non abbiano alcuna correlazione col rito dell'inumazione ecclesiastica e da cui non provenga nessun vantaggio spirituale o di altro genere alle chiese ed agli stessi chierici: principio che è stato chiaramente sostenuto da Felin. in c. Eccl. S. Mariae de cost. n. 12, Marta de Jurisditione par. 4 cent. 1 casu 54, nu. 467, Nald. in summa in ver. Statutum n.2, Antonin. Diana in tractat. de immunitate Eccl. resol. 64.
Pare comunque doveroso che tale forma di pompa funebre particolarmente sontuosa non debba essere condannata nel caso che essa possa in qualche modo giovare alle anime dei defunti, soprattutto quando gli uomini vi partecipano con sincerità per compatire il tragico evento della morte e onde pregare per i defunti, contribuendo anche ad ornare le chiese (c. defunctorum 13 q. 2.
ALOE, del peso di quasi cento libbre: tutto ciò venne lodato ed anche consigliato dagli Evangelisti e si narra nei testi sacri (in Evang. Matthei c. 26 & Marci c. 14) che lo stesso nostro Signore abbia esclamato Quid molesti estis huic mulieri, opus enim bonum operata est in me, nam sempre pauperes habebitis vobiscum, me autem non semper, mittens enim haec unguentum hoc in Corpus meum ad sepeliendum me fecit.
Per quanto poi concerne la cultura delle pompe funebri presso gli antichi romani ho poi già trattato al capitolo 7 di questo mio lavoro.
Quelli che si fanno redigere in merito dei testamenti, in questa nostra città di Bologna, hanno la consuetudine di farsi inumare indossando un saio di frati Cappuccini oppure, a seconda delle chiesa e dell'Ordine che l'amministra, di un altro Ordine religioso ancora.
La glos in c. dudum de sepult.Bullai particulari Sixti quarti di cui scrive il Lavor. de prisc. atque recenti funer. more tit. 2, cap. 1, nu. 112.
Nel caso invece che il testatore abbia inviato per il suo seppellimento il corpo del congiunto entro una semplice stuoia intrecciata di paglia e di giunchi, senza alcun vestimento e con soltanto una candela e contemporaneamente avrà imposto al suo erede di far la penitenza della privazione, anche se il morto contrariamente a tutto ciò sarà invece fatto inumare in modo onorifico secondo il livello della sua condizione socioeconomica, l'erede in causa non verrà privato della sua eredità stando a l. servo. § sin. ff. de leg. 1 Paul. Castrens. in l. quidam in suo ff. de condit. instit. num.3.
Identica cosa si farà nell'evenienza che il morto non sia sepolto nella chiesa che scelse per sua elezione: Alba, cons. 48, n.6 afferma infatti che simile atto non risiede in una contravvenzione ai mandati ma ad una semplice omissione.

Un tempo con la definizione di CAPPELLA [sostiene nel suo volume al capitolo XI il Dulphus] si era soliti nominare una CHIESA MINORE di quelle per la precisione che nel corso di spedizioni, viaggi e quindi realizzazione di accampamenti di tende erano fatte col tetto di pelli di capre ed in cui si celebravano le Messe: per essere più precisi era detto in verità tugurio il tetto realizzato con pelli caprine e di lì quelle particolari strutture religiose presero la nominazione di Capelle. Per conseguenza i loro amministratori sono tuttora detti Cusstodi e Ministri Cappellani (glossa c concedimus de consecrat. distinctione I $ ibi Turrecremata n.4 & melius in cap. Ecclesia ead. distinctione I n.10, Paulus de Cittadinis in tract. de Iure patronat. in r, parte n. 43).
Secondo altre etimologie col termine CAPPELLA si vorrebbe indicare Cappella questa Chiesa perché contiene il Laos che al modo dei Greci indica il popolo, od ancora per il fatto che è destinata a capere cioè contenere le lodi a Dio od ancora, secondo altra versione, la si dovrebbe chiamare più pertinentemente CAPANNA per il fatto che può contenere solo poche persone e su tale ipotesi si legge in d. c. concedimus stando a quanto afferma Archidiaconus n.2.
Secondo molti il termine deriva dal fatto che col termine CAPPELLA si indica un luogo di proprietà privata eretto entro una CHIESA, luogo che deve essere consacrato a Dio e che dipense come elemento accessorio dalla stessa fabbrica religiosa che lo ospita: quando la Chiesa si arricchisce di tale struttura o per edificazione o per donazione a siffatta CAPPELLA spetta il diritto di GIUSPATRONATO alla maniera che scrivono gli interpreti del diritto canonico: Paulus de Cittadinis de Iure Patronatus 3, parte nu. 43, Borell. in controvers. 25, n. 2, Lambertinus de iure patronat. lib I, 6 art. 11 quaest. quaest. princi. 1 par. n.2.
Data tale condizione una CAPPELLA può essere dificata pure in un'abitazione privata come sostiene Innoc. in c. ex litteris, extra de Iure patronatus: è tuttavia necessaria l'autorità del vescovo come sostiene Lambertinus praedicto loco.
Nel caso che una CAPPELLA sia stata edificata per saldare una qualche forma di debito non potrà giammai esser venduta dai suoi edificatori e/ o dai rispettivi eredi secondo l'interpretazione di Bart. in l. Aufidius, ff. de previl. credit.
Ai giorni odierni sono dette CAPPELLE queste strutture architettoniche che si riscontrano all'interno delle Chiese e vengono concesse dai Religiosi e sono definite parti della Chiesa (così dopo Rotam Bertachin. in repert. in verb. Ecclesia): in svariate circostanze esse vengono utilizzate come un luogo sacro in cui effettuare una sepoltura al modo che sostengono tanti autori: Petrus de Ubaldus de Canonica Episcop. & parochiali in cap. decimo Canonicae Parochialis, n.5, Medices in tract. de sepulturis p.1, quaest. 18, nu. 2, Angel. Calvas. in verbo sepultura nu. 41, vers. Utrum illi qui habent Capellas, Armil. in verbo sepultura nu. 24 e finalmente Grilezonius cons. 154 nu. 13.
In tempi successivi i Religiosi non avranno alcuna facoltà di sopprimere tali cappelle e di stornare la loro dunzione quale luogo di sepoltura visto che questa nostra prerogativa in alcun modo ci può esser tolta senza nostra autorizzazione (l. id quod nostrum ff. de reg. Iur. atque Petrus de Ubaldus d.c. 10, nu. 4, Medic. in d. p. I quaest. 9, num 4, Paul. Layman. in Morali Theolog. in verbo sepultura vers. si quispiam pag. 782, Calvas. et Armilla locis supra citatis).
Ciò ha vigore anche maggiore nell'evenienza che nelle Cappelle loro concesse dei laici abbiano fatto un sepolcro per sè e per i loro di casa: la loro Insegna od il loro stemma di famiglia giammai potranno vinir erasi, Bart. in l. qui liberalitate ff. de oper. publ. precisando in merito a tale argomento che bisogna registrare che i Frati o i Religiosi non possono attribuire altra nominazione alla cappella di alcun defunto. Cepol. in tit. de servit. urb. praediorum cap. 71, n. 10, Lambert. in d. tract. de iure patron. lib.3, 4 art., quintae quaestionis princip. in fine dove così risulta scritto: 'troppe volte ho visto e ne sono rimasto impressionato che i resti dei fondatori di qyalche Cappella vengono esumati e dispersi senza alcun rito e nella mancanza di ogni diritto. Questo autore sostiene quindi che coloro i quali compiono tali azioni incorrono in quel tipo di censure in cui cadono tutti coloro che esumano illecitamente le ossa dei defunti dai sepolcri di lloro pertinenza.
Una volta poi che il Testatore avesse ordinato di erigere una Cappella si deve presumere che allude che tale onere debba essere sostenuto dai suoi eredi, al modo che interpretano Alex. post alios in l. com servis nu. 4, ff. de verb. oblig., Mantica de tacitis et ambiguis lib. 12, tit. 16, nu, 3.
Si riscontra altresì in decis. 598 p. I, divers. num. 6 che è cosa di estrema giustezza che le insegne e/o gli stemmi dei primigeni fondatori non vengano mai tolti da una cappella, come di comune accordo approvò dopo Anehar., Medices in d. tract. de sepulturis p. I, quaest, 16, nu. 38 sin alla fine del testo, laddove si afferma parere avverso contro quanti ritengono che si possano rimuovere le insegne dei Nobili per concedere il sito religioso ai non Nobili.
Per ultimo si può ancora menzionare Giovagn. cons. 8, lib.2, nu.22 nel punto in cui dice che tale operazione è severamente proibita agli stessi Rettori di tutte le chiese.
Nel caso dunque che ai membri di un casato sia stato concesso di avere le loro Insegne o stemmi dipinti nella cappella di una chiesa o di una cappella, la rimozione di siffatti ornamenti deve essere considerata alla stregua di un'ingiuria. Tutto questo si legge in una vasta letteratura: Roman. sing. 480, Menoch. in tract. de praesumpt. praesumpt. 59, n.2, lib.2, Barbos. de officio atque potest. Parochi cap. 26, num. 15, Lavor. de prisco atque recenti funerandi more tit.2 cap. 18, nu.19 che, in dettaglio, afferma che non solo tali insegne debbono rimanere onde permettere attraverso i secoli il riconoscimento della famiglia e per commemorarne i meriti ma anche allo scopo che quando amici e consanguinei vadano a visitare tale cappella presso Dio possano giustamente elevare le loro preghiere tenendo ben saldo il nome del casato e i suoi connessi diritti. E si vedano, per le identiche conclusioni sull'argomento, anche Menoch. de recuper. possess. remed. 15, nu. 48, quaest. 7 in fine, Gratian. in discept. c. 210, nu 32, 44, 49 e 49.
Approvano il concetto di dominio autori come Butr. cons. 6, nu. 13, Cassan de gloria Mundi p. I, quaest. 55, Seraphin. decis. 652, nu.2 inoltre affermano che in forza dell'Araldica e delle Insegne di famiglia sussista per i fondatori primigeni il diritto di tramandare il proprio ricordo fra le genti altri scrittori ancora come Molina post plures de primogen. lib. 2, cap. 14, num, 5, Fusar. cons. 175, nu. 10, Rpta penes Mart. And. decis. 5, nu. 11.
Dunque, nella circostanza che una CAPPELLA sia stata concessa quale sito di sepoltura entro una chiesa, resta lecito a chi ha ricevuto in godimento tale concessione di realizzarvi una sepoltura decorosa ornata anche con statue e immagini onorifiche anche nell'evenienza che nell'atto di concessione ciò non sia stato specificatamente espresso, alla maniera che sostengono vari interpreti tra cui Odofr. & Castr. in l. statuas, C. de relig. & sumpt, fun..
Tutto ciò può esser fatto per meoria di siffatto o siffatti benefattori come ancora si annota in l. I § sed & si servus, ff. de ventr. insp. Io. de Anania cons. 86, nu.2.
Sulla questione il Bolognin. in addition. nu. 3 aggiunge che tutto quanto deve essere perseguito tenuto conto dell'aspetto dell'architettura dei Templi eretti a Dio: Rustic. in tract. an & quando liberi in condit. positi sint cocati lib. 2, cap. 6, nu. 2.
Ancora più recentemente si è espresso sulla questione Baptista Charlinus in contr. forensibus cap. 37, nu. 17: e peraltro dalle antiche iscrizioni si può dedurre il suddetto diritto di giuspatronato alla maniera che viene ripresa in altri volumi di diritto canonico come glos. in c. cum causam, de probat. cap. ad audientiam de praescript. Lambert de Iure patr. lib. 2, p. 2, quaest. 10, ar. 9, Medic. d. quaest. 16, nu. 28, Mart. And. d. decis. 5, nu. 11.
Di conseguenza non risulterà giammai consentito al Rettore della chiesa od a chiunque altro alterare il prospetto della Cappella gentilizia o togliere da essa quelle insegne araldiche che rammentano attraverso il tempo la memoria dei defunti e quindi dei suoi edificatori: così almeno scrive Genuens. in praxi Archiepiscopali cap. 109, nu. 2 & 3.
Nelle Stature, negli Epitaffi possiamo constatare che restano documentate le dignità, le onoranze, le eccellenti gesta e le importanti imprese dei defunti, così ci ricorda Frac. Porcachus de funeralibus antiquis cap.7: in tale opera sono registati molti antichi epitaffi.
Presso Ezechiele cap. 26, n. 11 si legge che 'Le tue nobili statue sono disposte in varie parti della terra conosciuta. Cicerone all'inizio della seconda Orazione sulla Legge agraria, che riporta Tiraq. de nobilt. cap. 6, nu. 15, rammenta che non a tutti presso i Romani spettava il diritto di essere punbblicamente effigiati e ricordati tramite statue e dipinti ma soltanto a quelli che avessero meritato di ricoprire qualche magistratura.
Tiraquel nel luogo prima citato della sua opera così scrive e ciò sembra da iontendersi secondo i dettami del tex. in l. si staua, ff. de iniuria & famosis libellis e lì in particolare tenendo conto della glos. & DD: & in l. Iniuriarum la prima, § si quis in honoribus ff. eod..
Stando a queste menzionate fonti era lecito muovere causa per ingiuria contro chi asportasse dai sepolcri siffatti ornamenti commemorativi.
Per quanto una CAPPELLA non fosse dotata di un altare, per tutelarne i sacri diritti ed oneri sarebbe solo bastante che di altare risultasse fornita la chiesa ospitante come si evince da Io de Anan. cons. 24 e nelle stesso luogo Bologn. nu. 7, Roch. de Curte de Iure patr. in verbo construxit, nu. 11: queste fonti narrano che ha vigore la regola -a proposito di dette Cappelle e di siffatti altari- che aveva vigore al tempo della fondazione ad opera dei Patroni o comunque dall'epoca della costruzione od ancora della dotazione, quando non richiedano dotazione alcuna e possano essere realizzati senza alcuna dote: come scrive Lambert. de Iure patronatus, lib. I, 3 principali quaest. primae partis nu. 5.
I monaci al pari degli altri religiosi non hanno facoltà alcuna di impedire che in una qualche chiesa vengano riposti o ridipinti non solo il Santo Crocifisso ma anche qualsiasi altra venerabile pittura che concerna l'ornamento e non l'alterazione estetica della chiesa medesima: come bene precisa Cepol. de servit. urban. praed. cap. 71, nu. 6.











Per GIUSPATRONATO (regionalistico GIUSPADRONATO) si intende nel Diritto canonico l'insieme dei diritti e dei doveri che competono ad una famiglia che a proprie spese abbia eretto una chiesa o fondato un'opera pia o un beneficio ecclesiastico: si tratta di una voce semidotta -come scrive il Battaglia- composta dal latino giuridico JUS PATRONATUS:













Sulle condizioni istituzionali dell’esercizio della medicina nell’Italia del Seicento e sul ruolo subordinato della chirurgia cfr. Elena Brambilla, La medicina del Settecento: dal monopolio dogmatico alla professione scientifica, in Storia d’Italia, Annali 7. Malattia e medicina, a c. di Franco Della Peruta,Torino, Einaudi, 1984, Carlo M. Cipolla, Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 267-285, Gianna Pomata, La promessa di guarigione. Malati e curatori in Antico Regime. Bologna XVI-XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 129-198, David Gentilcore, The organisation of medical practice in Malpighi’s Italy, in Marcello Malpighi anatomist and physician, Domenico Bertoloni Meli (ed.), Firenze, Olschki, 1997, pp. 77-110, e, più specificamente sulla situazione napoletana, Aurelio Musi, Disciplinamento e figure professionali: l’articolazione della medicina nel Mezzogiorno spagnolo, in Sapere è potere. Discipline, Dispute e Professioni nell’Università Medievale e Moderna. Il caso bolognese a confronto. Dalle discipline ai ruoli sociali, a c. di Alessandra De Benedictis, Bologna, CLUEB, 1990, pp. 203-221, D. Gentilcore, Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester-New York, Manchester University Press, 1998, Alessandro Pastore, Il medico in tribunale. La perizia medica nella procedura penale d’antico regime (secoli XVI-XVIII), Bellinzona, Casagrande, 1998.
PAOLO ZACCHIA, il più autorevole trattatista italiano di medicina legale del Seicento, nei casi di interventi chirurgici a rischio di vita, raccomandava che il chirurgo ricorresse al physicus, il quale, sulla scorta della sua peculiare dottrina libresca, custode dell’ortodossia tanto deontologica quanto religiosa, doveva valutare l’eventuale intervento del prete che impartisse i sacramenti.
Il mancato adempimento di tale procedura configurava grave reato contra alterutram legem: "Sed in indagandis reliquis Chirurgorum erroribus, qui punitionem ab alterutra lege reportare deberent, satius est eundem ordinem sequi, quem in Physicorum erroribus servavimus. Primo ergo dubitari potest, an Chirurgus, ut Physicus, teneatur aegrotantes suos ad poenitentiae Sacramentum hortari, dicendumque videtur in eadem obligatione illum quoque esse, cum & juramento in doctoratu consequendo ad hoc sese obstringat; quod intelligendum quando solus curat, nam si adsit simul Physicus, videtur ab ea obligatione immunis; & ratio est, quia major videtur esse obligatio Physici ex hoc, quia morbi, qui Physici praesentiam requirunt, sunt magis periculo proximi, quam ii, quibus solus Chirurgus sufficit; cum ergo Physicus & sit primus in dignitate, & multo melius quam Chirurgus morborum pericula cognoscat, magis ad ipsum spectare videtur aegros ad confessionem hortari, quam ad Chirurgum, ubi ambo in eadem cura sint eodem tempore vocati; alias videretur incumbere hoc onus ei, qui primus vocatur" (Paolo Zacchia, Quaestiones Medico-Legales, Avenione, Ex Typographia Ioannis Piot, Sancti Officij Typographi in foro Sancti Desiderij, 1655, VI,I,ix, p. 398a.