IL CONCILIO DI TRENTO

TRENTO, Concilio ecumenico (19°) di T. svoltosi dal 1545 al 1563.
Vista la lotta di supremazia tra Carlo V (Spagna ed Impero) e Francesco I (Francia) fu rinviato più volte l’apertura di un concilio ecumenico in grado di comporre lo scisma aperto da Lutero nel lontano 1517 e che ormai contrapponeva apertamente Cattolici e Riformati di varia estrazione teologica. Finalmente si riuscì a dar vita ad un grande concilio della Cristianità scegliendo (dopo molte controversie) Trento quale città ideale in quanto cattolica e soggetta all’Impera ma vicina alle influenze del mondo germanico e quindi sentita dai protestanti molto più amichevole delle temute città italiane. L’apertura del concilio, con auspici favorevoli vista la forte presenza di vescovi favorevoli ad instaurare un dialogo coi Riformati, si ebbe il 13 dicembre del 1545. Durante le prime sessioni si affrontarono soprattutto questioni dottrinali come la definizione della Sacra Scrittura e della tradizione a fondamento della Rivelazione, la dottrina cattolica del peccato originale ed i decreti sui sacramenti. In un secondo tempo (marzo 1547) la sede del concilio fu trasferita in Bologna ove la discussione si limitò a riflessioni sui sacramenti e ad una condanna della teologia protestante.
Carlo V intuendo un irrigidimento, a lui comunque sfavorevole visti gli interessi che aveva in una Germania pervasa da forti correnti protestante (visto che la sede di Bologna era pericolosamente esposta all’intransigente influenza del Papato) avendo trovato un qualche accomodamento coi luterani, ottenne da questi la solenne promesse di prender parte alle discussioni conciliari purché l’assemblea si fosse ritrasferita a Trento.
Paolo III non gradì affatto l’intromissione del Sovrano e nel febbraio del 1548 ordinò l’interruzione dei lavori: occorsero ben tre anni, di varia diplomazia, prima che il successore Papa Giulio III riaprisse il concilio a Trento nel 1551: qui venne sancito il principio della transustanziazione (miracolo basilare dell’eucarestia nell’interpretazione cattolica contro il principio luterano della consustanziazione) ma tuttavia, pur fra dispute di non poco conto, diversi teologi protestanti parteciparono con assiduità alle riunioni del concilio.
Poiché andavano aumentando i vescovi favorevoli ad instaurare comunque un dialogo coi protestanti, anche perché si temeva apertamente la diffidenza che andava tra loro crescendo col rischi di perdere per sempre la fede cattolica nei paesi germanici, l’intransigente Pontefice Paolo IV (1555-’59) temendo questi atteggiamenti come un’ammissione indiretta delle responsabilità della Chiesa di Roma interruppe ancora lo svolgimento dei lavori conciliari, iniziando piuttosto una campagna apertamente persecutoria contro i prelati propensi a dialogare coi riformati.
La delusione fu enorme perché andava a disegnare un grave solco nella storica compattezza della falange cristiana: tuttavia risorsero delle speranze sotto il successore Pio IV: anche per l’intercessione dei vescovi francesi, che fin a quel tempo non avevano preso parte al concilio, e dell’arcivescovo milanese Carlo Borromeo il concilio venne riaperto nel 1562 sotto la presidenza del cardinale Morone che rivelò notevoli doti di mediazione fra le diverse correnti (francese, romana e spagnola).
Tuttavia i risultati sperati non furono raggiunti ed il concilio chiudendosi (6 dicembre 1563, con la pubblicazione della Professio fidei Tridentinae nel 1564) finì col fissare la condanna del protestantesimo e di un dialogo realmente costruttivo: anzi, il segno del graduale, definitivo, irrigidimento si ebbe con una successione di atti ufficiali, come il solenne riconoscimento del primato del pontefice, la pubblicazione dell’Indice dei libri proibiti ed ancora la stesura, nel 1566, del Catechismo tridentino.
L’irrigidimento e l’incremento della severità dell’Inquisizione ecclesiastica segnò uno dei punti estremi dell’intolleranza religiosa cattolica: cui per parte protestante, soprattutto in ambito calvinista corrisposero atteggiamenti di non minore severità e persecuzione contro quanti praticassero il credo romano-cattolico.






*********************************************************************************************************************************



Si tratta di un COLLEGIO ECCLESIASTICO cui è demandata la formazione del clero diocesano.
La vera istituzione del Seminario data alle deliberazioni del
Concilio di Trento ma, sin dai primordi del Cristianesimo, l'istituzione ecclesiastica si impegnò nella formazione dei suoi ministri.
Si sa per esempio che già nel IV secolo S. Eusebio di Vercelli organizzò una scuola per il clero e che poco dopo analoghe strutture formative furono erette a verona, Aquileia e Milano.
Fra tutte queste una menzione peculiare viene fatta a riguardo del monastero istituito da S. Agostino il cui scopo era a quello di fungere da scuola per il clero raccolto a vita comune presso l'episcopio: tale esempio è celebre per aver suggerito ad altri vescovi vari processi di emulazione.
I concili Toletani II del 527 (can.1) e III del 633 (can.24) prescrivono l'educazione dei chierici in scuole episcopali.
Poi Papa alessandro III nel concilio ecumenico Lateranense III del 1179 (can. 18), e Innocenzo II nel concilio ecumenico Lateranense IV del 1215 (can. 11 e 27), decretarono per tutta la chiesa l'erezione delle scuole cattedrali, a carico dei rispettivi capitoli.
Con il sec. XII cominciarono a sorgere le università o Studia generalia, le quali per solito non offrivano un ambiente adatto alla formazione spirituale dei candidati al sacerdozio.
Di qui un secondo rifiorire delle scholae o collegia, destinati esclusivamente a detti aspiranti.
Furono fondate le scuole accolitali di Verona, per opera del cardinale Gabriele Condulmer (poi papa Eugenio IV, 1431-47); le scuole Eugeniane a Firenze; a Roma il collegio Capranica (1457) dal cardinale Capranica, il collegio Romano (1551), ora detto collegio Germanico-Ungarico, da sant'Ignazio di Loyola.

Il decreto Cum adolescentium aetas del Concilio di Trento (sessione XXIII, can. 18: de reformatione) del 15-VII-1563, che impone l'obbligo dell'istituzione dei Seminari in tutte le diocesi, fu ispirato soprattutto dal cardinale Reginald Pole, il quale, come legato pontificio in Inghilterra, aveva redatto per il concilio plenario inglese di Lambeth presso Londra (10/13-II-1556) la Reformatio Angliae, che nell'art. XI decretava l'istituzione presso ogni chiesa cattedrale di un collegio per chierici, che fosse tamquam seminarium ministrorum: tutto ciò costituì una fondamentale trasformazione della tradizionale antichissima istruzione religiosa.
Impegnato in un grande sforzo di controllo sui religiosi (che si erano indubbiamente lasciati coinvolgere in passato da quelle piacevolezze mondane che Lutero avrebbe poi scagliato come un abominio di peccaminosità contro la Chiesa di Roma) il Papato si impegnò in un fiero controllo sulla morale e l'opera dei religiosi, oltre che con l'insegnamento nei Seminari presto affidato all'Ordine dei Gesuiti, con una serie di interventi atti a correggere ogni possibile forma di devianza dall'ortodossia anche più intransigente.
Basta a questo proposito citare di Papa Clemente VIII le importanti seppur non abbastanza studiate Institutiones ad novitiorum religiosorum educationem pertinentes edite nel 1601 Romae, adud Impressores Camerales che costituiscono un ulteriore tassello sulla particolare cura che la Chiesa uscita stremata dal concilio di Trento continuava a prestare sui giovani religiosi, cioè su quanti ne avrebbero dovuto perpetuare la funzione sociale, civile e spirituale.
L'esecuzione delle disposizioni tridentine non fu facile, soprattutto per gli eventi politici che turbarono l'Europa in quel periodo. In Francia, Gran Bretagna, Germania la creazione dei Seminari fu rallentata da diverse circostanze sfavorevoli.
Più rapido invece ne fu lo sviluppo nella Spagna e soprattutto nell'Italia.
San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, fu tra i primi a istituire il Seminario diocesano (1564); allestì pure le Institutiones ad aniversum seminarii regimen pertinentes, che furono prese a modello per i regolamenti disciplinari di quasi tutti i seminari (dalla lettura delle Istituzioni si evince la superiore attenzione nel vagliare la disposizione, l'indole, la cultura dei NOVIZI, fissando con precisione le età di ascrizione dei giovinetti e quelle di passaggio nelle varie fasi evolutive della formazione spirituale, religiosa ed intellettuale ).

I Seminari si distinguono oggi in minori e maggiori: nei primi vengono compiuti gli studi medi inferiori e superiori secondo i programmi in vigore nelle varie nazioni (indirizzo umanistico) nei secondi si compiono gli studi piùpropriamente ecclesiastici: filosfia scolastica (2 anni) e teologia (4 anni).
Detti studi sono regolati dalla Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (Lettera dalla sacra congregazione per l'educazione cattolica alle conferenze episcopali, 1970), che contiene anche le norme generali della formazione degli aspiranti al sacerdozio.
Alla regolamentazione generale dei Seminari provvede la sacra congregazione per l'educazione cattolica.
Alla disciplina dei Seminari sono dedicati i canoni 232-264 del codice di diritto canonico, i quali dettano un'ampia e ben articolata normativa: stabilita la regola che i Seminari debbono, di norma, essere diocesani, si ammette che, con la previa autorizzazione della Santa Sede, possano erigersi anche dei Seminari inter-diocesani, qualora le circostanze lo suggeriscano (can.237), se ne determina l'ordinamento interno con un rettore, un eventuale vicerettore, un economo, un direttore spirituale, e i docenti delle varie discipline (can. 239), si stabiliscono le modalità di ammissione (can. 241), 1'ordinamento degli studi dettato dalle singole conferenze episcopali secondo le diverse esigenze delle varie nazioni (can. 242), lo speciale ordinamento per i diaconi permanenti (can. 236), si indicano i mezzi economici per il loro funzionamento (can.264) e si enuncia la regola, per cui ogni Seminario legittimamente eretto possiede la personalità giuridica (can. 238).
Per quanto riguarda la legislazione italiana, nel passato i Seminari, in mancanza di pubbliche scuole, accoglievano anche i laici, e pertanto dalle leggi fondamentali 22-VI-1857 e 13-XI-1859 (legge Casati) essi vennero considerati come istituti privati soggetti alla vigilanza governativa, pur lasciando completa libertà ai vescovi per le scuole e per gli istituti riservati esclusivamente ai chierici.
Con la riforma di Pio X, però, i S. sono stati richiamati al loro carattere originario, così che non possono più essere frequentati dai laici.
L'art. 29 del concordato del 1929 confermò la personalita giuridica agli enti ecclesiastici già riconosciuti dalle leggi italiane, e tra questi furono compresi i Seminari; l'art. 39 stabilì che questi ultimi, come pure altri Istituti d'lstruzione religiosa, continuassero a dipendere dalla Santa Sede senza alcuna ingerenza dell'autorità scolastica governativa, esclusa peraltro la vigilanza, che sussiste sempre nell'interesse della sanità pubblica, dell'igiene, dell'ordine pubblico, della morale e del buon costume; e l'accordo di modifica del 1984 confermò integralmente tali principi rispettivamente all'art. 7, n. 2, e all art. 10, n. 1.







Canone XVIII

Gli adolescenti, se non sono ben formati, sono inclini a seguire i piaceri del mondo e se non sono orientati, fin dai teneri anni, alla pietà e alla religione prima che cattive abitudini si impadroniscano completamente dell'uomo, non sono capaci di perseverare completamente nella disciplina ecclesiastica, senza un aiuto grandissimo e s~ngwa~asimo di Dio onnipotente. Per questo il santo sinodo stabilisce che le singole chiese cattedrali, metropolitane, e le altre maggiori di queste, in proporzione delle loro facoltà e della grandezza della diocesi, siano obbligate a mantenere, educare religiosamente ed istruire nella disciplina ecclesiastica un certo numero di fanciulli della stessa città e diocesi, o, se non fossero abbastanza numerosi, della provincia, in un collegio scelto dal vescovo vicino alle stesse chiese o in altro luogo adatto.
Siano ammessi in questo collegio quelli che hanno almeno dodici anni e sono nati da legittimo matrimonio, che abbiano imparato a leggere e a scrivere e la cui indole e volontà dia speranza che essi sono disposti ad essere sempre a servizio della chiesa. Il concilio intende che vengano scelti specialmente i figli dei poveri, senza escludere i figli dei ricchi, purché si mantengano da se e mostrino inclinazione a servire con zelo Dio e la chiesa.
Il vescovo dividerà questi fanciulli in tante classi quante a lui sembrerà, secondo il loro numero, la loro età, il progresso nella disciplina ecclesiastica. E quando gli sembrerà opportuno, ne destinerà una parte al servizio delle chiese, una parte ne lascerà nel collegio perché siano istruiti, sostituendo altri al posto di quelli che sono stati formati, di modo che questo collegio sia un perpetuo seminario di ministri di Dio.
Perché, poi, possano essere istruiti più facilmente nella disciplina ecclesiastica, prenderanno subito la tonsura e indosseranno sempre la veste clericale; impareranno la grammatica, il canto, il computo ecclesiastico e le altre conoscenze utili; attenderanno con ogni attenzione allo studio della sacra scrittura, dei libri ecclesiastici, delle omelie dei santi, al modo di amministrare i sacramenti, specie per ascoltare le confessioni, e impareranno le regole dei riti e delle cerimonie.
Il vescovo procuri che ogni giorno assistano al sacrificio della messa; che almeno ogni mese si confessino, e secondo il giudizio del confessore, ricevano il corpo del nostro signore Gesù Cristo e che nei giorni festivi servano in cattedrale e nelle altre chiese del luogo: cose tutte, insieme ad altre opportune e necessarie a questo riguardo, che i singoli vescovi stabiliranno col consiglio dei due canonici più anziani e di maggior criterio, che essi eleggeranno come lo Spirito santo suggerirà loro. Questo consilio si darà da fare con visite frequenti perché tali prescrizioni vengano osservate. Essi puniranno severamente i caratteri difficili e incorreggibili e quelli che propagano cattivi costumi. Se necessario, li cacceranno, toglieranno ogni impedimento e porranno ogni cura nel realizzare qualsiasi cosa che sembri possa essere adatta a conservare e far fiorire una istituzione così pia e così santa.
Per costruire l'edificio del collegio, per dare un compenso ai professori e al personale, per mantenere la gioventù e per altre spese, oltre ai mezzi che in alcune chiese e luoghi sono destinati all'educazione e al mantenimento dei fanciulli, che il vescovo avrà cura di devolvere a favore di questo seminario , saranno necessari dei redditi fissi. Per questo, gli stessi vescovi, col consiglio di due membri del capitolo, di cui uno eletto dal vescovo e l'altro dal capitolo e similmente di due membri del clero della città, la cui elezione spetti per uno al vescovo e per l'altro al clero, detrarranno una parte delle rendite della mensa vescovile, del capitolo, di qualsiasi dignità, perso nato, ufficio, prebenda, porzione, abbazia e priorato, di qualsiasi ordine, anche regolare , qualità o condizione essi fossero; ed inoltre degli ospedali che vengono dati in titolo o in amministrazione, secondo la costituzione del concilio di Vienne "Quia contingit" , di ogni beneficio, anche regolare, di qualsiasi diritto di patronato o esente o di nessuna diocesi o annesso ad altre chiese, monasteri, ospedali, o a qualsiasi altro luogo pio, anche esente. Detrarranno una parte anche dalle fabbriche delle chiese ed altri luoghi pii e da qualsiasi altro reddito e provento ecclesiastico, anche di altri collegi (in cui, tuttavia, non vi siano attualmente seminari di alunni e di maestri per promuovere il comune bene della chiesa: il concilio, infatti, ha voluto che questi fossero esenti, salvo per i redditi eccedenti al conveniente sostentamento degli stessi seminari), o di corporazioni o confraternite che in alcuni luoghi sono dette scuole di tutti i monasteri, ma non dei mendicanti; anche dalle decime in qualsiasi modo appartenenti ai laici, da cui sogliono essere pagati sussidi ecclesiastici, e ai soldati di qualsiasi milizia ed ordine (eccettuati soltanto i frati di S. Giovanni di Gerusalemme).
Essi applicheranno e incorporeranno a questo collegio la parte cosi detratta, assieme ad alcuni benefici semplici, di qualsiasi qualità e dignità, o anche i prestimoni, o quelle che sono dette porzioni prestimoniali, anche prima che si rendano vacanti, naturalmente senza pregiudizio del culto divino e di quelli che le hanno.
Ciò abbia luogo anche se i benefici sono riservati :e queste unioni ed aggiunte potranno esser sospese o impedite in alcun modo per la rinuncia degli stessi benefici; ma sortiranno assolutamente il loro effetto, non ostante qualsiasi vacanza, anche nella curia romana, e qualsiasi costituzione.
I possessori dei benefici, delle dignità, dei personati, e di tutti e singoli quegli enti che sono stati nominati poco fa, siano costretti dai vescovi a pagare questa porzione con le censure ecclesiastiche e con gli altri mezzi del diritto, non solo per se, ma anche per le pensioni che dovessero per caso pagare ad altri da questi frutti, ritenendo, tuttavia, "pro rata", quanto essi dovranno pagare per queste pensioni. A questo scopo potranno servirsi, se lo crederanno, dell'aiuto del braccio secolare. Tutto ciò, per quanto riguarda tutte e singole le prescrizioni suddette non ostante qualsiasi privilegio, esenzione (anche se dovessero richiedere una deroga particolare), consuetudine, anche immemorabile, appello, citazione, che avesse forza di impedire l'esecuzione.
Nel caso, poi, che, mandate ad effetto queste unioni, o anche in altra maniera il seminario in tutto o in parte venga a trovarsi provvisto, allora la porzione detratta al singoli benefici, come descritto sopra, sarà condonata in tutto o in parte dal vescovo, come la cosa esigerà.
Se in questa erezione e conservazione del seminario i prelati delle chiese cattedrali e delle altre chiese maggiori fossero negligenti e si rifiutassero di pagare la loro porzione, l'arcivescovo dovrà riprendere severamente il vescovo, il sinodo provinciale dovrà riprendere l'arcivescovo e quelli a lui superiori e costringerli a fare tutto ciò che e stato detto , e farà in modo, con ogni diligenza, che quest'opera santa e pia, dovunque si possa, venga realizzata.
Il vescovo, poi, si faccia fare ogni anno una relazione sui redditi di questo seminario, presenti due membri del capitolo ed altre due persone scelte dal clero della città. Inoltre, perché con minore spesa si possa provvedere all'istituzione di tali scuole, il santo sinodo stabilisce che i vescovi, gli arcivescovi, i primati e gli altri ordinari costringano e spingano in ogni modo anche col togliere loro i frutti quelli che hanno cattedre di insegnamento oppure l'ufficio di lettore o di insegnante, ad insegnare in queste scuole a quelli che devono essere istruiti: personalmente se sono capaci, altrimenti per mezzo di sostituti adatti, scelti da loro stessi e approvati dagli ordinari. Se a giudizio del vescovo questi non fossero degni, nominino un altro che sia degno, senza alcun diritto di appello. Se fossero negligenti nel far ciò, lo nomini lo stesso vescovo. Essi insegneranno quello che al vescovo sembrerà opportuno.
Per l'avvenire, poi, gli uffici e dignità attinenti all'insegnamento non siano conferiti se non al dottori o al maestri, o al licenziati in sacra scrittura o in diritto canonico o a persone idonee e disponibili ad adempiere questo ufficio personalmente. Ogni provvista fatta in modo diverso sia nulla ed invalida. Tutto ciò, non ostante qualsiasi privilegio e consuetudine, anche immemorabile.
Se poi in qualche provincia le chiese fossero tanto povere, da non potersi erigere, in qualcuna, il collegio, il sinodo provinciale o il metropolita con i due suffraganei più anziani farà in modo che nella chiesa metropolitana o nella chiesa più comoda della provincia, con i frutti di due o più chiese, in ciascuna delle quali il collegio non potrebbe essere facilmente costituito vengano eretti uno o più collegi, come giudicherà opportuno, dove i fanciulli di quelle chiese siano educati.
Nelle chiese, invece, che hanno diocesi ampie, il vescovo potrà avere uno o più seminari, come gli sembrerà opportuno, che, pero, dovranno dipendere in tutto e per tutto da quello eretto e costituito nella città.
Per ultimo, se per le unioni, per la tassazione o assegnazione e incorporazione delle porzioni o per qualsiasi altro motivo, sorgesse qualche difficoltà, per cui la costituzione e la conservazione di questo seminario potrebbe esserne impedita o resa difficile, il vescovo e i deputati per questo problema o il sinodo provinciale, a seconda degli usi della regione, della qualità delle chiese e dei benefici, limitando anche o aumentando quanto sopra abbiamo prescritto, se fosse necessario potranno determinare e prendere ogni singolo provvedimento che sembrerà necessario ed opportuno al felice progresso di questo seminario
[testo ripreso da
Alberigo pp.672-677].







Norme per l'amministrazione dei templi cristiani
Da Prima Synodus Diocesana perillustris ac R.mi D.D. Stephani Spinulae Episcopi vintimiliensis, Romae, ex Typographia Rev. Camerae Apostolicae, 1608, pp. 30-8. (Una copia in Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia )
"DE ECCLESIJS, ORATORIJS, EORUM BONIS"
(Doveri dei Massari delle chiese e degli oratori di far buona amministrazione ed ogni anno rendere i conti al Parroco o al Rettore).
"... Massarij Ecclesiarum et Oratoriorum, infra trimestre tempus exigant a quocumquve, pecunias ab his, quibus mutuo datae sunt nec in futurum unquam mutua liceat: Si secus fecerint, de proprio teneantur reficere et resarcire omne damnum, quod iuste ex illis pecunijs Ecclesiae, seu Oratoria investiendo percipere.
... Fiat capsula pro conservandis elemosyinis, ubi illa non adest, in qualibet Ecclesia, cum duabus diversae formae clavibus, quarum unam Rector, alteram Curatores, vel Massarij retineant.
Pecuniae ad Ecclesiam, Oratorium, seu locum pium per solos Syndicos, Curatores, seu Massarios non expendantur sine consensu et auctoritate Rectoris...
".
Le preghiere dovevano avvenire solo in latino. secondo le regole confermate e a livello patrimoniale si sancì : " ... Non dispensentur redditus Ecclesiarum, Oratorium seu Societatum quarumcumque ad alium usum, quam ad eum, qui ex fundatione vel institutione destinatus fuerit, sub poena arbi traria... ".
I "Laici" non potevano detenere oggetti sacri: " ... Calices consecratos seu alia paramenta ad alium usum Altaris destinata... ".
Venne fatto divieto di tenere adunanze o "Parlamenti" per ragioni non religiose nei luoghi di culto: " ... In Ecclesijs et Oratoris quibuslibet, nulla fiant consilia, parlamenta, sive congregationes pubblicae laicorum, quocumque nomine nuncupetur, sub poena interdicti eisdem Ecclesijs, sive Oratorijs ipso facto incurrenda. . . " .
Si dettero norme anche sulla metodologia delle elemosine, da farsi meglio dopo il Vespro domenicale, quando si sarebbero assolti i doveri religiosi e minori, anche per la chiusura di certi locali, sarebbero state per i beneficiati le tentazioni al peccato: " ... Si pauperibus, aliquid commestihile pro eleemosyna, dare volunt tempore Quadragesima, ne faciant die ieiunij de praecepto, ne, dando aliis non indigentibus, qui concurrerent, ieiunium ipsum frangeretur: fiat autem hoc, die Dominico post Vesperas, quo etiam tempore pauperem Nullum lucrum habeant... ".



Norme per le processioni
MAURUS
PROMONTORIUS, Decreta ab illustrissimo et reverendissimo domino D. Mauro Promontorio Episcopo Vintimilensi Sancita, in Secunda Synodo Diocesana, Niciae, apud Ioannem Romerum , 1683, p. 52 (una copia in Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia) .
Si riporta il paragrafo relativo alla metodologia da tenersi in occasione delle processioni (ma comunque in relazione alle grandi ricorrenze religiose del Cattolicesimo, non escluse le grandi cerimonie per le pubbliche abiure da parte dei Riformati) ed alle tecniche consigliate di ornamento, con fiori e tappeti, delle vie d'accesso alle diverse parrocchiali o chiese.
DE PROCESSIONIBUS
" Viae, per quas transiturae sunt processiones sint a pulvere, Caeno, ac Sordibus mundatae et si opportunitas adsit, vel commoditas, stragulis, vel Tapetibus, Picturis atque Imaginibus Sanctorum ornatae (profanis omnino esclusis et interdictis). Neque spectalum aliquod, nisi Sacrum et de nostra licentia, publice exhibeatur, ac viae, si tempus detur, floribus et virentibus ramis odorem emittentibus sternantur et decorentur, in reliquis quae in nostra prima Synodo fuerunt Sancita, omnino observentur, sub poenis in eadem notatis, quibus habeatur relatio... ".
Dunque: strade pulite dalla polvere e dalle carcasse di animali morti (brutto difetto del '600 quello di abbandonare alla putrefazione i resti degli animali randagi morti in strada), vie liberate dal fango e colle abitazioni ornate con tappeti o dipinti (anche quadri esposti alle finestre) di natura sacra; possibilmente le strade si dovevano adornare con piante aromatiche, capaci di accrescere l' effetto della scenografia (ed in tal contesto si affermarono vieppiù le folkloristiche FOGLIE DI PALMA LAVORATE) e di guidare il Vescovo in visita attraverso piacevoli effetti visivi e buoni profumi (anche per mascherare il lezzo proveniente da certi tuguri o causato dalla sporcizia magari non eliminata!).






I Massari (oggi si direbbe il Consiglio Pastorale) delle Parrocchiali, per il tramite del loro Priore (capo anziano) riscuotevano la parte spettante degli interessi, maturati presso il genovese Banco di S. Giorgio, di eventuali lasciti e depositi (per esempio nel caso di Vallecrosia gli interessi del deposito di un beneficiario della chiesa parrocchiale di S. Antonio tale Giovanni Aprosio. Nel 1728 su decreto del Senato Gio.Francesco Aprosio come priore de' Massari della Chiesa Parrocchiale de' SSt. Bernardo, Antonio e Sebastiano "in virtù di una" Derogatione.. . ne ha scosso il prezzo di moneta corrente di Banco L. 4.940... per le modifiche alla chiesa?: curioso come mentre l'Aprosio nel testamento parlò di chiese qui si parli, come spesso, di un'unica parrocchiale intitolata a più Santi: "Archivio Parrocchiale di Vallecrosia = libri di contabilità).
I Massari e i responsabili laici degli Oratori avevano poi altri compiti oltre a quelli puramente amministrativi: dovevano custodire una delle due chiavi (l'altra era del Rettore o Parroco) con cui si chiudeva la cassetta delle elemosine, evitare (in accordo con Rettori ed autorità) violazioni delle feste consacrate, accogliere eventualmente i viaggiatori in difficoltà (in nome dell'antichissima tradizione assistenziale cattolica ancora legata al concetto dei pellegrinaggi di fede) e soprattutto pulire le pubbliche vie e possibilmente farle ornare con fiori, tappeti ed arazzi alle finestre in occasione delle processioni o delle visite pastorali .
Poiché però Massari e Rettori (e autorità locali) divennero a volte troppo intransigenti per la minima violazione delle festività, col risultato di vere proteste, il vescovo intemelio Promontorio nei suoi Decreti del 1643 a proposito della celebrazione dei giorni festivi comunicò:
" Die 2 Octobris 1643. Da questa Sacra Congregazione è stato più volte risoluto che gli Ordinarij de' Luoghi non devono rendersi difficili in permettere, che molte Domeniche, e altri giorni festivi da quelle persone, che haveranno udito messa, si possa cuocere, comprare e vendere pane, e vino a minuto, ova, frutti, fogliami, e altre cose comestibili dentro le Botteghe però con la porta mezz'aperta, e anco per l'occorenti necessità d'haver farina, permettere che il Molino macini, non prima però che sia passata l'hora del Vespro: che li Mulattieri di viaggio, che hanno caricato altrove, si lascino passare liberamente con le loro some senza darli alcuna molestia, e quanto al conceder licenza di portar grascia nella città, vendemmiare, tagliar fieni, mietere, seminare, raccogliere frutti e altre cose di simile qualita, si debbano governare secondo che vedranno nelli casi occorrenti esservi il pericolo del differire, o in altro modo poter risultare danno, così nel pubblico, come nel privato, se non si permette tal atto nel giorno festivo, con questo però che fra li giorni festivi s'habbia riguardo alli più, e meno solenni, facendosi la differenza che conviensi: E che tali licenze si concedano continuamente gratis... .






Le CONFRATERNITE sono associazioni di laici che hanno funzione di culto, di pietà e di beneficenza.
La loro fondamentale differenza rispetto agli ORDINI MONASTICI consiste nel fatto che i loro ascritti o fratelli o consoci non risultano abbligati a far vita comunitaria, non emettono voti e non impegano tutto il loro bene patrimoniale al conseguimento della finalità del sodalizio.
Sono piuttosto usi convenire periodicamente per svolgere alcune pratiche di pietà o impegnarsi in determinate opere caritatevoli.
Sono poi detta ARCICONFRATERNITE quelle associazioni che per indulto pontificio possono assimilare altre Confraternite della stessa soecie.
L'ORIGINE DELLE CONFRATERNITE è tuttora oggetto di discussioni.
Una certa scuola storica ne rimanda l'origine all'alba stessa del cristianesimo e ne considera la prosecuzione, in chiave cristiana, dei
COLLEGIA ILLICITA.
Un altro indirizzo critico ne pone lo sviluppo in epoca più tarda, verso il Duecento per la precisione, collegandone lo sviluppo con il formidabile dispiegarsi, in tale epoca, di molteplici movimenti mistici animati da un forte senso associazionistico con finalità assistenziali: dei Flagellanti, dei Disciplinanti, dei Battuti, dei Trinitari per esempio.
Le CONFRATERNITE [ che nel Ponente ligure risultano testimoniate da tempi antichissimi, in cui hanno anche svolto una funzione socio-politica ed economico-organizzativa (oltre che religioso-assistenziale) di rilevo] hanno altresì nome diverso a seconda del contesto geo-politico e socio economico in cui sorgono.
Si hanno di conseguenza in LIGURIA le CASACIE (CASACCE) ma nel Lombardo-Veneto si trovano le SCHOLAE, i SUFFRAGI, i SOVVEGNI ed ancora, a seconda delle regioni, compaioni altri nomi per indicare strutture sostanzialmente analoghe: FRATERIE, CONFRATERIE, GILDE, GILDONIE, COLLECTA, SODALITA', CONGREGHE, CONGRECAZIONI, COMPAGNIE, CENTURIE ecc.






Nella romanità e soprattutto in epoca imperiale acquisirono grande importanza sociale i Collegia funeraticia, autentiche associazioni mutualistiche, con proprie leggi riconosciute dallo Stato, che provvedevano alla sepoltura degli iscritti defunti. Oltre alla funzione pia i collegia costituivano per i soci (perlopiù di media e minima condizione socio-economica) occasione di incontro nelle pubbliche adunanze e molto spesso di reciproco aiuto e collaborazione (ad esempio per provvedere all'acquisto di un alloggio).
Originariamente le comunità cristiane furono riconosciute dal governo imperiale come collegia: le agapi e le pratiche di culto nei primi tempi furono di pubblico dominio e le modalità di inumazione non si discostavano da quelle dei collegia che avevano il loro protettore, invece che nel Cristo, in una divinità pagana o in qualche "eroe" (C.I.L., XIV, 2112 = C.I.L., III, p. 924).
Le comunità cristiane divennero, per lo Stato, collegia illicita (cioè "associazioni fuori legge") quando cominciarono ad estendere le funzioni assistenziali e ad ammettere una paritaria partecipazione delle donne, sulla base di una affermazione di uguaglianza fra i sessi.
Il fatto che le comunità cristiane gestissero grossi capitali, spesso ricevuti da donne di elevate condizione desiderose di trovarsi un ruolo pubblico impossibile per le tradizioni romane, suscitarono il sospetto ideologico e poi l'opposizione dello Stato conservatore: nonostante il fatto che i Cristiani non fossero, in inizio della loro storia, refrattari al culto formale dell'Imperatore ed al rispetto delle leggi statali (TERTULL., XXX, I, 4).
Queste considerazioni valgono per alcune ragioni: I) una originale, netta distinzione tra tombe cristiane e pagane in origine non esistette e per esempio anche in funzione di ciò negli scavi di Ventimiglia romana il Rossi rimase disilluso nella sua ansiosa ricerca di una sepoltura cristiana del I secolo; II) l'iniziale convergenza fa sì che tuttora in Liguria non si possa risalire oltre il IV sec. per riconoscere un'iscrizione cristiana; III) la storia assistenziale delle Confraternite e Congregazioni cristiane, come in particolare quelle dei Disciplinanti (o dello Spirito Santo), trovi la sua genesi nello spirito associativo-assistenziale, tra umili, tipico della romanità imperiale, seppur arricchito dal senso religioso e dall'egualitarismo sostenuto dello spirito di carità (v. W. W. HYDE, From Paganism to Christianity in the Roman Empire, Philadelphia, 1946); IV) gli stessi ospedali medievali cristiani, come quello nervino detto de Arena per vari aspetti possono suggerire l'idea di una "continuazione storica" di una tradizione cooperativistica romana della quale a Ventimiglia, oltre l'implicita esistenza di collegia funeraticia, si ha testimonianza epigrafica nel collegio professionale degli impiegati preposti alla manomissione degli schiavi.
I collegia si svilupparono per ragioni assistenziali ma successivamente diventarono istituzioni preposte alla produzione di reddito (ELIO LAMPRIDIO, Histor. augusta, 33: l'imperatore Severo Alessandro fondando le "corporazioni dei venditori di vino, di legumi, dei calzolai e di tutti gli artigiani" ad esempio pose indirettamente le basi per il "corporativismo medioevale").






Per CORPORAZIONE si intende storicamente una associazione che raccoglie gli individui che paraticano lo stesso lavoro o professione e che, iscrivendosi alla Corporazione, restano implicitamente sottomessi alla sua normativa disciplinare.
L'origine delle CORPORAZIONI si può datare nell'antichità classica di Roma imperiale sotto la cui amministrazione sempre più si svilupparono i Collegia funeraticia al punto fi influenzare positivamente tutto il variegato complesso dell'associazionismo che raggiunse l'acme con la istituzionalizzazione dei Collegia artificum.
In particolare Traiano istituì il collegio dei fornai e Alessandro Severo diede un ben organizato assetto a tutto l'insieme dei collegia che avevano personalità giuridica ed i cui membri godevano di vantaggi fiscali sino a poter essere esentati dal servizio militare: un caso particolare dell'elevato grado di autonomia e potere cui potevano giungere le CORPORAZIONI fu per esempio dato dal ruolo egemone, per il commercio marittimo dalla Provenza a Roma, dalle CORPORAZIONI MERCANTILI fiorenti nella ricca città.
I Barbari che abbatterono l'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE non abbandonarono questa efficiente rete di collegamenti socio-assistenziali e anzi la recuperarono all'interno delle GILDE, che parimenti erano governate in modo democratico da un'assemblea annuale che esaminava la contabilità degli ufficiali uscenti, prendendo spesso decisioni basilari per il futuro della vita associativa.
L'EPOCA AUREA delle CORPORAZIONI si ascrive mediamente al XIII secolo quando proprio le CORPORAZIONI subirono una mutazione, prendendo il nome di ARTI.
A FIRENZE, dove il fenomeno si presenta in tuuta la sua solaritò, le CORPORAZIONI raggiunsero il massimo livello di sviluppo e politicizzazione.
Contestualemente, come per Firenze, anche per altri centri e borghi si ebbe la formazione di ARTI MAGGIORI le più ricche e potenti) e le ARTI MINORI in realtà prive di reale potere politico in quanto raccoglievano i lavoratori impiegati nei comparti economici meno importanti.
Nel contesto di questo fenomeno evolutivo si organizzarono in ARTI anche coloro che praticavano le ARTI LIBERALI (MAESTRI, NOTAI, PARROCI, GIUDICI) e, sveltamente attesa anche la specifica competenze pofessionale, conseguirono presto un ruolo egemonico e comunque di protagonisti.