In ogni epoca l'inumazione dei defunti è stata caratterizzata dai così detti Segni della Morte e non sono mai mancate, anche giustificate, forme di ancestrale terrore mescolato a pietà ma pure a superstizioni varie. Nell'ormai alquanto raro Nebulo Nebulonum del Flitner, autore assai gradito ad Aprosio per l'arguzia anche grassoccia assai giovevole per il suo
scrivere allusivo ed iconico in merito ai SUICIDI si legge: Desperatio ultimum est vitiorum, tamque atrox ac grande, ut hominem, ea expugnatum, ipsis Diabolis similem faciat. Illa est, cui nullum remedium, nulla medela, nulla salus potest adhiberi (Antonio Zencovich autore dello splendido volume donde è tratta l'immagine proposta nel Nebulo Nebulonum ed intitolata Il diavolo e l'impiccato, ovvero il peccato di disperazione traducendo il testo latino scrive
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"La disperazione è il peggiore di tutti i peccati, tanto grande e atroce che l'uomo il quale ne è preda si fa simile al Demonio. Contro di lei non c'è nulla da fare: non c'è cura possibile, né speranza di guarigione".
L'autore moderno in sostanza condensa un principio basilare del cristianesimo: la disperazione e il ricorso alla extrema ratio del suicidio costituiva un peccato disonorevole, oggetto di disquizioni erudite e teologiche oltre che penali nel XVII secolo, ma non solo, sancendo in ultima analisi la mancata accettazione dei disegni di Dio" = il cadavere del suicida era trattato con estrema ignominia, la sepoltura avveniva solitamente
IN TERRA SCONSACRATA E CON IL VOLTO POSTO ALL'INGIU'
quasi a contemplare dal misero sepolcro l'Inferno cui sarebbe stato eternamente destinato dopo il Giudizio Universale = su questo argomento giunge basilare la consultazione della Bibliotheca Canonica... di L. Ferraris qui proposta integralmente sia nello specifico in merito alla voce sepultura e suicidi quanto in relazione ad altri defunti cui si negava sepoltura ecclesiastica quanto del pari i praticanti magia [ compresi pure supposti posseduti o invasati dal male diabolico come "vampiri", sepolti in forme variabili e inusuali (senza nemmeno evitare, cosa condannata dalla Chiesa per l'implicito magismo connesso, il ricorso agli "Alti Nomi Scritti") a seconda di tradizioni geopolitiche e religiose, non esclusa come scritto sopra -tra tante variabili qui proposte- la postazione del volto verso il basso ( quando non si ricorresse al rogo purificatore come nel caso di questi settecenteschi stregoni vampiri di area germanica ) ]. Presso gli Etnici (gli antichi e specificatamente Greci e Romani), come ancora scrive Zencovich, "non mancavano invece attestazioni in merito alla nobiltà del gesto, soprattutto quando esso costituiva una estrema difesa della propria libertà, come si può leggere qui nel passo finale del De providentia di Lucio Anneo Seneca [resta però da precisare oltre il fatto storico e giuridico che lo Zencovich si riferisce eminentemente alla corrente stoica di cui Seneca fu importante esponente: non risultando affatto altri pensatori antichi di simile opinione]. Giova comunque precisare che il suicidio come ultimo mezzo, per difendere il proprio onore e nello specifico la propria libertà fu qualche volta recepito anche dal medioevo e, fortemente, da Dante Alighieri che nella sua Divina Commedia nel I Canto del Purgatorio celebra Catone l'Uticense, suicidatosi per la libertà contro la presumibile tirannia di Cesare con la quasi implicita fine della Repubblica di Roma) = per quanto pagano e suicida, nel giudizio dantesco, Catone, guardiano del Purgatorio, dopo il giudizio universale, come scrive il Torraca, accederà al Paradiso, nobilitato dalla sua vita e giammai dannato per aver salvaguardata la propria libertà pur ricorrendo al più estremo dei gesti (concetto su cui si sofferma più dettagliatamente Giorgio Siebzehener-Vivanti nel suo Dizionario della Divina Commedia rispondendo brillantemente nella voce specifica dedicata a Catone - paragrafo 2 - alle obiezioni di "chi ha espresso meraviglia di trovare a guardia del Purgatorio un pagano e suicida".
Il Concilio fu dunque aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da papa Giovanni XXIII all'interno della basilica di San Pietro in Vaticano con cerimonia solenne. In tale occasione pronunciò il celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa) nel quale indicò quale fosse lo scopo principale del concilio:
" [...] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. "
(Papa Giovanni XXIII – Discorso per la solenne apertura del SS. Concilio, 11 ottobre 1962)
Il sinodo si caratterizzò pertanto subito per una marcata natura "pastorale": non si proclamarono nuovi dogmi (benché siano stati affrontati dogmaticamente i misteri della Chiesa e della Rivelazione), ma si vollero interpretare i "segni dei tempi" (Matteo 16, 3); la Chiesa avrebbe dovuto riprendere a parlare con il mondo, anziché arroccarsi su posizioni difensive.
Nello stesso discorso Roncalli si rivolse anche ai "profeti di sventura", gli esponenti della Curia e del clero più avversi all'idea di celebrare un Concilio:
" Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa "
Quella stessa sera il pontefice pronunciò inoltre il celebre "discorso della luna".
Fu un vero e proprio Concilio "ecumenico": raccolse quasi 2500 fra cardinali, patriarchi e vescovi cattolici da tutto il mondo.
Al momento dell'apertura, il vescovo più anziano era l'italiano mons. Alfonso Carinci, di 100 anni, arcivescovo titolare di Seleucia di Isauria, segretario emerito della Sacra Congregazione dei Riti, nato a Roma il 9 novembre 1862, ed ivi morto il 6 novembre 1963, mentre il più giovane era il peruviano mons. Alcides Mendoza Castro, di 34 anni, vescovo titolare di Metre, ausiliare di Abancay, nato a Mariscal Cáceres il 14 marzo 1928, consacrato vescovo il 28 aprile 1958, morto il 20 giugno 2012 a Lima.
Fu la prima vera occasione per conoscere realtà ecclesiali fino a quel momento rimaste ai margini della Chiesa. Infatti nel corso dell'ultimo secolo la Chiesa cattolica da eurocentrica si era andata caratterizzando sempre più come una Chiesa universale, soprattutto grazie alle attività missionarie avviate durante il pontificato di Pio XI.
La diversità non era più rappresentata dalle sole Chiese cattoliche di rito orientale, ma anche dalle Chiese latino-americane ed africane, che chiedevano maggiore considerazione per la loro "diversità". Non solo: al Concilio parteciparono per la prima volta, in qualità di osservatori, anche esponenti delle altre confessioni cristiane diverse da quella cattolica, come ad esempio quelle ortodosse e protestanti.
La morte di papa Giovanni XXIII avvenuta il 3 giugno del 1963 spinse molti, vista la ritrosia di alcuni vescovi conservatori nel continuare le discussioni, a ritenere opportuno di sospenderne i lavori. Questa ipotesi venne meno con l'elezione al soglio pontificio dell'arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini (papa Paolo VI), il quale nel suo primo radiomessaggio del 22 giugno 1963 parlò della continuazione del concilio come dell'"opera principale" e della "parte preminente" del suo pontificato, facendo così propria la volontà del predecessore.
Nel suo primo discorso da pontefice ai padri conciliari, Montini indicò inoltre quali fossero gli obiettivi primari del sinodo:
1.Definire più precisamente il concetto di Chiesa
2.Il rinnovamento della Chiesa cattolica
3.La ricomposizione dell'unità fra tutti i cristiani
4.Dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo
Dopo quattro sessioni di lavoro il concilio venne chiuso il 7 dicembre 1965. Durante l'ultima seduta pubblica, nella sua allocuzione ai padri conciliari, il papa spiegò come il concilio avesse rivolto "la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica della cultura moderna", senza che però questo interesse fosse disgiunto "dall'interesse religioso più autentico", soprattutto a motivo del "collegamento [...] dei valori umani e temporali con quelli propriamente spirituali, religiosi ed eterni: [la Chiesa] sull'uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si solleva".
Il giorno successivo vennero indirizzati dal papa otto messaggi al mondo: ai padri conciliari, ai governanti, agli intellettuali (consegnato simbolicamente a Jacques Maritain), agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri e agli ammalati, ai giovani.
Le costituzioni e i decreti
La costituzione Dei Verbum sulla "divina rivelazione" ricollocò al centro della vita della Chiesa e dei singoli cristiani la Bibbia, che all'epoca del Concilio di Trento, per reagire alla diffusione del testo in lingua volgare promosso dalla Riforma protestante, era stata vincolata al testo latino e dunque di fatto riservata al clero e a quelle persone la cui istruzione permetteva loro di comprendere la lingua latina. Nel 1771 monsignor Antonio Martini aveva tradotto la Bibbia in italiano, rispondendo a un auspicio di Benedetto XIV; tuttavia la Chiesa mise all'Indice tutte le Bibbie in lingua volgare prive di annotazioni esplicative, per evitare che si diffondessero interpretazioni delle Scritture difformi da quelle propugnate dal magistero romano .
Incoraggiò quindi la ricerca scientifica sui testi originali (già avviata nella prima metà del secolo anche grazie all'enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII), le traduzioni in lingue vive, anche secondo il parlato corrente, e la pratica della Lectio Divina.
Tra tutti i documenti conciliari, il più importante fu la costituzione dogmatica Lumen Gentium, sulla Chiesa e la sua natura e organizzazione, definita da Paolo VI la "magna charta" del Vaticano II. Nel documento venne esposta e approfondita la dottrina sulla Chiesa esposta nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, ponendo però allo stesso tempo alcune istanze riformatrici, tra le quali la rinnovata importanza attribuita ai laici e a tutto il popolo di Dio nel suo complesso, nella vita della Chiesa.
La Chiesa venne innanzitutto definita come sacramento di Cristo, "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" e suo "corpo mistico", "popolo di Dio".
Si ribadì la struttura tripartita della Chiesa, che ricalcava tre caratteristiche cristologiche: il sacerdozio, la profezia, la regalità. Il sacerdozio fu visto proprio prevalentemente dei presbiteri, la profezia dei religiosi, la regalità dei laici. Ciò nonostante ogni componente della Chiesa doveva vivere, in quanto battezzato, tutte e tre le dimensioni cristologiche. Si parlò, infatti, di "sacerdozio comune dei fedeli", come aveva già fatto l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII, ribadendo la distinzione tra sacerdozio battesimale e ministeriale (ordinato).
Venne approfondito il ruolo e la natura dell'episcopato e del suo rapporto con il papato: si specificò come i vescovi, successori degli Apostoli, dovessero lavorare collegialmente tra loro e in comunione con il vescovo di Roma e successore di san Pietro, cioè il papa, capo del collegio episcopale.
Finito il potere temporale della Chiesa, si riconobbe una preminenza del laicato cattolico nel vivere la dimensione regale, cioè il rapporto con il mondo. I laici erano, così, visti come i cristiani che assumevano una specifica funzione, "ricondurre il mondo a Cristo", testimoniare la propria fede nelle realtà temporali, e non più solo come il popolo di Dio guidato dai pastori. Importante in questo campo fu il decreto Apostolicam Actuositatem, sull'apostolato dei laici, che ha rivalutato e incoraggiato il ruolo dei fedeli non consacrati e di tutto il "popolo di Dio" nell'adempimento alla missione delle Chiesa e nell'opera di evangelizzazione e santificazione dell'umanità. In particolare, il Concilio riconobbe il ruolo esercitato negli ottant'anni precedenti dall'Azione cattolica, o associazioni similari, nella formazione dei laici cattolici, al di fuori dei tradizionali ambiti ecclesiali.
La costituzione Sacrosanctum Concilium, riguardante la Sacra liturgia e le celebrazioni, pur non riguardante solo la materia liturgica, ebbe un'amplissima eco, visto il principio fondante della partecipazione dei fedeli e il conseguente riconoscimento delle lingue "volgari" (parlate dal popolo) come "adatte" per la celebrazione dei Sacramenti, primo fra tutti la Messa, e per la Liturgia delle Ore.
Il latino rimaneva la lingua ufficiale della Chiesa e di tutte le sue liturgie, ma alcune parti della liturgia (letture e acclamazioni) si sarebbero potute pronunciare nelle varie lingue vernacole. In sede di attuazione, la riforma liturgica sarebbe arrivata alla generalizzazione dell'uso della lingua nazionale nella Messa e negli altri Sacramenti.
Il Concilio ribadì inoltre l'importanza della liturgia come "fonte e culmine" della vita ecclesiale.
Con la costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, i padri conciliari posero l'attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. Esso infatti, pur se lontano spesso dalla morale cristiana, era pur sempre opera di Dio e quindi luogo in cui Dio manifestava la sua presenza (e perciò fondamentalmente buono).
Si considerò pertanto compito della Chiesa, dei laici in primo luogo, ma non solo, riallacciare profondi legami con "gli uomini e le donne di buona volontà", soprattutto nell'impegno comune per la pace, la giustizia, le libertà fondamentali, la scienza.
Tra le molte questioni affrontate dal documento, non vennero trattate in modo approfondito quelle relative alla contraccezione. Il concilio si limitò ad affermare la finalità procreativa del matrimonio (riconoscendo tuttavia la validità e l'indissolubilità di un matrimonio non consumato) e a ricordare che, nel "comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento dipende da [...] criteri oggettivi, destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana"; lasciò quindi che "alcune questioni che hanno bisogno di ulteriori e più diligenti ricerche" fossero esaminate dalla Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, rimettendosi al giudizio del papa e senza quindi proporre "soluzioni concrete": nel 1968 venne pubblicata infine l'enciclica Humanae Vitae.
Il decreto Unitatis Redintegratio sull'unità delle confessioni cristiane e la dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane riconobbero invece la presenza di "semi di verità" anche nelle altre Chiese cristiane e nelle altre confessioni religiose, rispettivamente. Si ribadì che Cristo era la Verità e l'unica Via per giungere al Padre, ma si riconobbe il ruolo delle altre realtà religiose nel contribuire all'elevazione morale del genere umano. In particolare, la Nostra Aetate contiene il ripudio dell'antisemitismo teologico.
L'antisemitismo nella chiesa era ancora molto forte, dato che gli ebrei erano ritenuti Deicidi. Con questa dichiarazione si riconosce il popolo ebraico come Padre del cristianesimo, tra la chiesa Cattolica e quella Ebraica si riconosce un legame spirituale. Tuttavia non viene superata la Teologia della sostituzione. Finalmente gli Ebrei sono scagionati dal reato di Deicidio, perché la responsabilità non può essere di un intero popolo, ma fu una colpa personale.
Di conseguenza, con la dichiarazione Dignitatis Humanae la Chiesa cattolica accettò e fece proprio il principio della libertà religiosa, cioè che all'uomo deve essere garantita la libertà di credere (rifiutando quindi l'ateismo di stato) e allo stesso tempo la fede non deve essere imposta con la forza, concetto che solo apparentemente in passato veniva rifiutato, come mostrato da vari autori (Dalla Torre, La città sul monte).
[TESTO PARZIALE DA "IKIPEDIA, L'ENCICLOPEDIA LIBERA ON LINE" DI CUI SI CONSIGLIA, ANCHE PER LA PARTE BIBLIOGRAFICA, UNA LETTURA COMPLETA]