Cause filosofiche e politiche del primo conflitto mondiale
1914: Assassinio di Francesco Ferdinando d'Asburgo
1914: Inizia la Grande Guerra
1915: L'Italia entra in guerra
1915: L'intervento politico inglese
1916: La battaglia di Verdun e della Somme
1916: Atteggiamento del presidente statunitense Wilson
1917: L'intervento americano e il ritiro russo
1917: Il fronte italiano: il disastro di Caporetto
[ L'uso delle armi di sterminio di massa = vedi anche i gas asfissianti]
1917: La guerra sottomarina
1918: La sconfitta della Germania
1918: Il fronte italiano: la vittoria finale (Vittorio Veneto : armistizio di Villa Giusti)
1918: I fronti minori dello scacchiere mondiale
1918: La fine del conflitto
1917/1918/1919: La trasformazione della retorica di guerra - l'aspettativa della Conferenza di pace - preoccupazioni dell'opinione pubblica italiana (testi rari digitalizzati)
I trattati di pace e le problematiche collegate
La Questione di Fiume causa di attrito tra Italia e nuovo stato yugoslavo
La Società delle Nazioni
[ postulazioni di diritto umanitario: un difficile percorso verso il bando delle armi di sterminio - la Convenzione di Ginevra ed i suoi protocolli aggiuntivi]
**********************************************************************
**********************************************************************
Causa occasionale della guerra fu l'assassinio dell'arciduca ereditario
d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e della consorte, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914.
L'Austria, d'accordo con la Germania, attribuendo al governo serbo la responsabilità dell'eccidio, indirizzò a Belgrado il 23 luglio un ultimatum con richieste inaccettabili. Le dichiarazioni di guerra. La risposta serba all'ultimatum (25 luglio), conciliante ma accompagnata dalla mobilitazione generale, non accontentò l'Austria che dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio) prima che fosse accolta una proposta di mediazione presentata dall'Inghilterra (26 luglio).
Nei giorni seguenti, il meccanismo degli accordi internazionali portò a una rapida generalizzazione del conflitto. La tesi tedesca, secondo la quale bisognava localizzare la guerra tra Austria e Serbia, era evidentemente troppo favorevole all'Austria per essere accettata dalle altre potenze, e vari tentativi di mediazione rimasero infruttuosi.
Dopo le mobilitazioni russa e austriaca, la Germania dichiarò guerra alla Russia (1º agosto alle ore 19,10) e alla Francia (3 agosto alle ore 18,45).
A sua volta la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo da parte delle truppe tedesche, vincendo le ultime
esitazioni inglesi, provocò la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania (4 agosto). I belligeranti del 1914 compresero dunque: da una parte, la Germania e l'Austria-Ungheria; dall'altra, la Serbia, il Montenegro, la Russia, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, cui si aggiunsero il Giappone (23 agosto), alleato dell'Inghilterra e che sperava di impadronirsi delle posizioni tedesche in Estremo Oriente.
Dichiararono invece la loro neutralità, deludendo gli Imperi centrali, l'Italia (3 agosto) e la Romania.
In particolare l'Italia, legata alla Germania e all'Austria-Ungheria dalla Triplice alleanza, giustificò il suo atteggiamento con la mancata consultazione da parte degli Alleati e con il carattere aggressivo della guerra.
La Germania riuscì però a ottenere l'alleanza della Turchia: già il 10 agosto due incrociatori tedeschi, il Goeben e il Breslau, che si trovavano nel Mediterraneo, furono accolti nelle acque territo
riali ottomane, ma la guerra fu dichiarata dagli Alleati alla Turchia soltanto il 5 novembre. La situazione internazionale.
Negli ultimi mesi del 1914, i belligeranti si preoccuparono soprattutto di sviluppare uno sforzo economico adeguato alle esigenze del logoramento di materiali emerse dalle prime battaglie, a detrimento, talora, dell'azione diplomatica e della ricerca di nuove alleanze.
Alcuni paesi, d'altra parte, si trovavano alle prese con difficili problemi interni, resi ancora più complicati dalla guerra: l'Inghilterra con l'applicazione dell'Home Rule in Irlanda, e l'Impero turco con l'agitazione delle sue province arabe.
Così pure l'inizio della guerra non permise all'opinione pubblica di misurare l'importanza di fatti rilevanti come l'apertura del canale di Panama (agosto) e l'elezione di papa Benedetto XV, successore di Pio X (settembre).
A Londra, Francia, Inghilterra e Russia firmarono il 5 settembre un trattato di mutua assistenza.
Nel corso dell'anno entrarono in guerra l'Italia a fianco degli Alleati e
la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali.
L'orientamento dell'opinione pubblica italiana verso la guerra contro l'Austria indusse questa, nel gennaio 1915, a intavolare nuove trattative che non condussero a positivi risultati per l'esiguità dei compensi territoriali offerti.
L'Italia iniziò a metà febbraio trattative segrete con le potenze dell'Intesa, che si conclusero con la firma del patto di Londra (26 aprile), e di fronte all'evidente interesse dell'Austria di dilazionare i negoziati, denunciò il trattato della Triplice alleanza (3 maggio).
Nonostante la presenza nel paese di un forte schieramento neutralista, che andava da Giolitti ai cattolici, l'Italia il 23 maggio (con effetto dal 24) dichiarò guerra all'Austria-Ungheria (ma non alla Germania; la dichiarazione di guerra alla Germania si ebbe soltanto il 27 agosto 1916).
L'alleanza della Bulgaria con gli Imperi centrali (decisa nel settembre e divenuta effettiva il 5 ottobre con la dichiarazione di guerra alla Serbia) compromise la situazione degli Alleati nei Balcani; negli ultimi mesi dell'anno si ebbe così il crollo della Serbia, attaccata da due lati dai Bulgari e dagli Imperi centrali (ottobre- novembre).
I due avvenimenti si inquadravano nell'insieme dei problemi della strategia mediterranea.
Alcuni uomini politici inglesi (tra cui Churchill) speravano infatti che si potessero ottenere risultati decisivi nel Mediterraneo.
Ma la spedizione dei Dardanelli si risolse in uno scacco.
A loro volta i Turchi non riuscirono però a minacciare il canale di Suez (febbraio).
Nonostante la presenza (dall'ottobre) di un corpo di spedizione anglo-francese inviato a Salonicco per alleggerire la pressione sulla Serbia, la Grecia restò divisa, poiché, mentre Venizelos e i suoi seguaci erano pronti ad aiutare gli Alleati, il re Costantino, cognato dell'imperatore Guglielmo II, simpatizzava per la Germania e rifiutava d'intervenire.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'affondamento del transatlantico Lusitania per opera d'un sommergibile tedesco (7 maggio), in cui perirono anche 140 cittadini americani, suscitò una grande emozione, ma non modificò per il momento la politica degli Stati Uniti.
Anche per quanto riguarda i prestiti accordati agli Alleati, le particolari condizioni di favore fatte dagli Americani a partire dal settembre furono dovute soprattutto alla preoccupazione americana di conservare larghe possibilità di esportazione ai propri prodotti.
Imperi centrali: Un nuovo paese belligerante, la Romania, scese in campo a fianco degli Alleati (27 agosto), mentre l'Italia dichiarava guerra alla Germania.
L'intervento romeno che avrebbe dovuto fare da contrappeso alla Bulgaria e aiutare l'esercito russo, si risolse però in un insuccesso, e l'invasione del territorio romeno procurò ai Tedeschi, alla fine dell'anno, apprezzabili risorse di grano e di petrolio.
La posizione tedesca nell'Europa centrale si rafforzò così notevolmente, e sembrò permettere al Reich vasti progetti per l'avvenire, tra cui figuravano anche le promesse d'indipendenza fatte ai Polacchi il 4 dicembre.
Tuttavia agli Imperi centrali non mancarono le preoccupazioni economiche immediate, non soltanto per quanto riguardava gli approvvigionamenti, ma anche per la deficienza della manodopera (che portò all'introduzione del lavoro forzato nel Belgio, 3 ottobre).
Gli Alleati, a loro volta, presero misure destinate ad avere decisiva influenza a lunga scadenza: inasprimento del blocco navale per mezzo del contingentamento delle merci destinate a paesi neutrali (marzo), progressiva estensione, in Gran Bretagna, della coscrizione, che divenne obbligatoria in dicembre.
Nei Balcani l'esercito serbo, ricostituito nell'isola di Corfù, andò a rafforzare le truppe alleate che tenevano il fronte macedone di Salonicco.
Restò ancora confusa la situazione politica della Grecia, dove la Corona era sempre favorevole agli Imperi centrali, mentre il forte partito liberale di Venizelos voleva l'intervento a fianco dell'Intesa.
Notevoli conseguenze ebbe la rivolta araba (Husayn ibn Ali e la sua famiglia) contro l'Impero ottomano (marzo), che aprì un nuovo fronte contro le truppe turco-tedesche in Arabia, mentre la Francia e l'Inghilterra cercavano di definire le loro future zone d'influenza nel Vicino Oriente (accordo Sykes-Picot, 16 maggio).
Negli Stati Uniti, Wilson fu rieletto presidente (7 novembre) e chiese nel dicembre ai belligeranti di precisare i rispettivi scopi di guerra, passo che obbligava i governi a definire la loro politica, ma che poteva anche rendere palesi le divergenze tra alleati all'interno dei due campi.
1917: L'intervento americano e il ritiro russo
Il 1917 fu caratterizzato da due avvenimenti decisivi: l'intervento americano e la
Rivoluzione russa.
La guerra sottomarina, scatenata senza restrizioni dai Tedeschi a partire dal 1º febbraio, spinse gli Stati Uniti a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio); seguì poi, il 7 aprile, la dichiarazione di guerra del governo di Washington.
L'intervento americano assunse un aspetto particolare; la guerra fu infatti estesa all'Austria-Ungheria soltanto il 7 dicembre, e non vi fu mai stato di belligeranza con la Turchia e la Bulgaria; gli Stati Uniti intendevano in sostanza mantenere la loro libertà d'azione, e non sottoscrissero mai il trattato di Londra del 5 settembre 1914, non entrarono nell'alleanza propriamente detta, e restarono quindi una potenza "associata" agli avversari della Germania.
La Rivoluzione russa ebbe invece un effetto opposto, in quanto, provocando la defezione della Russia dalla lotta, controbilanciò, in una certa misura, gli effetti dell'intervento americano.
La crisi rivoluzionaria che si aprì in Russia all'inizio del 1917 e che portò all'abdicazione dello zar Nicola II (15 marzo) diede dapprima agli Alleati la speranza di una più attiva cooperazione alla guerra da parte dei governi L'vov (marzo) e Kerenskij (luglio).
Ma gli sviluppi della situazione interna del paese si rivelarono ben presto incompatibili con gli impegni presi dai suoi governanti; il partito
bolscevico di Lenin, dopo aver conquistato il potere con la Rivoluzione d'ottobre, avviò ben presto trattative d'armistizio con i Tedeschi, a Brest-Litovsk, a partire dal 20 dicembre, trattative che si conclusero il 3 marzo 1918 con la pace di Brest-Litovsk, che dava, fra l'altro, ai Tedeschi l'intera Ucraina.
Lo stesso anno 1917 fu caratterizzato da vari tentativi di avviare negoziati di pace generale.
Tra molti altri, due insuccessi misero in evidenza la difficoltà dell'impresa.
1. Il tentativo austriaco di arrivare a una pace separata, avviato per iniziativa dell'imperatore Carlo I (succeduto a Francesco Giuseppe nel novembre 1916) con un passo del principe Sisto di Borbone, cognato dell'imperatore, presso il presidente francese Poincaré, fu frustrato dall'opposizione dei Tedeschi, informati dal ministro austriaco Czernin, e dall'opposizione del governo italiano, informato delle trattative nel corso della conferenza di San Giovanni di Moriana (aprile).
2. Anche l'appello di pace lanciato il 1º agosto 1917 dal pontefice Benedetto XV fu accolto sfavorevolmente dai due campi.
Da una parte la speranza degli Alleati di migliorare sensibilmente la loro
posizione, dall'altra quella dei Tedeschi di sfruttare i vantaggi di una "carta di guerra", che per il momento era loro molto favorevole, non rendevano infatti né gli uni né gli altri disposti a sacrifici per porre fine al conflitto.
L'inquietudine dei paesi belligeranti, logorati dalla durata del conflitto, si manifestò nelle crisi di governo: mentre in Germania, a partire dalle dimissioni di Bethmann-Hollweg (luglio), iniziava un periodo di instabilità, in Francia, invece, dopo una fase agitata e complicata, andava al potere Clemenceau, fermamente deciso a superare tutti gli ostacoli.
Per quel che riguarda l'Oriente, il fatto diplomatico più importante fu la dichiarazione Balfour (novembre), la quale indicava che l'Inghilterra avrebbe visto favorevolmente la formazione di un focolare nazionale israelita in Palestina.
1918: La fine del conflitto
L'8 gennaio il presidente Wilson enumerò i quattordici punti ai quali si sarebbe ispirata la sua azione nella futura conferenza per la pace.
Essi contenevano a un tempo princìpi generali di diritto internazionale e indicazioni sull'assetto politico, da stabilirsi a guerra conclusa (precise soprattutto per quanto riguardava il Belgio e la restituzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia).
Ma i primi mesi del 1918 parvero rafforzare la posizione della Germania, che era fiduciosa nei risultati della sua offensiva sul fronte occidentale e che aveva allargato notevolmente i territori occupati a oriente: pace di Brest-Litovsk con la Russia bolscevica (3 marzo), di Bucarest con i Romeni (7 maggio), organizzazione dell'Ucraina sotto controllo tedesco (marzo).
I rovesci subiti dalla Germania nell'estate del 1918, che resero inefficaci i suoi piani relativi all'Europa orientale, ebbero effetti decisivi nell'Europa centrale.
Il 5 ottobre il nuovo cancelliere del Reich, principe Massimiliano (Max) di Baden, chiese la mediazione americana per una pace fondata sui quattordici punti; ma già prima della firma dell'armistizio, la rivoluzione scoppiata a Kiel (4 novembre), e poi a Monaco e Berlino, provocò la fine delle monarchie tedesche e la fuga di Guglielmo II (9 novembre).
Divenne così cancelliere il socialista Ebert.
Quanto all'Impero austro- ungarico,
la guerra terminò col suo completo disfacimento; le varie nazionalità che lo componevano proclamarono la loro indipendenza.
Il 28 ottobre fu così proclamata a Praga la Repubblica Cecoslovacca.
Nello stesso ottobre un Consiglio nazionale decise a Zagabria l'unione dei Serbi, Croati e Sloveni dell'Impero austro-ungarico, e il 24 novembre proclamò la loro unione alla Serbia, che aveva a sua volta assorbito il Montenegro.
Il distacco delle province riunite alla Romania e alla Polonia lasciò sussistere soltanto due Stati distinti e di dimensioni ridotte: l'Austria e l'Ungheria.
Mentre, con la conclusione della PRIMA GUERRA MONDIALE venivano poste le basi per il nuovo assetto d'Europa, che sanciva la fine dell'antico Impero Austriaco (poi austroungarico) e la Polonia, in via di ricostituzione, rompeva le relazioni con la Germania, l'armistizio dovette essere prolungato, e la conferenza della Pace non poté riunirsi a Parigi che nel gennaio 1919.
In questo periodo in Italia, mentre seppur lentamente sfumavano le enfatizzazioni della retorica di guerra e semmai si cercava internamente la soluzione di PROBLEMI ANNOSI e spesso dolorosi ch'avevano contrapposto le genti come quello della QUESTIONE ROMANA: CIOE' DEI RAPPORTI TRA LO STATO ITALIANO E LA CHIESA, si andava creando un clima di attese anche preoccupate onde vedere realizzate tutte le aspettative sancite dal patto di Londra: ed è interessante seguire la portata di siffatti eventi scorrendoli sulle pagine dei numeri del 1919 del il PICCOLISSIMO, uno dei tanti "periodici propagandistici di guerra", la cui peculiarità consiste però nel parlare ad un pubblico minimo, di scolari e giovanissimi studenti (era infatti edito dal Comitato laziale dell'Unione Insegnanti).
Dopo i clamorosi accenti patriottici dei NUMERI DEL 1918 culminati nell'anche giusta e giustificata retorica d'amor patrio del NUMERO DELLA VITTORIA (Anno II, n.23, del 15 novembre 1918) dal 1919, nell'ansiosa aspettativa della Conferenza di pace e difronte a voci più o meno attendibili di qualche penalizzazione italiana, i nuovi NUMERI (Anno III, 1 , 2, 3, 4) andarono a soffermarsi piuttosto sulle grandi calamità della guerra, sull'Europa e sull'Italia prostrate, sul ritorno dei reduci, per lo più agricoltori, e la loro vitale esigenza non solo di esser compensati in linea con le promesse a monte dell'intervento bellico ma quantomeno sulla loro possibilità di un costruttivo reinserimento nel mondo del lavoro
L'umanità aveva conosciuto una delle sue pagine più sconvolgente, milioni di morti ai fronti avrebbero dovuto allertare contro i pericoli delle nuove tecniche militari destinate a portare ai cataclismi di un CONFLITTO TOTALE: sulla scia di antiche esperimentazioni come il FUOCO GRECO la "tecnologia della morte" aveva assunto proporzioni terrificanti con il perfezionamento di vere e proprie ARMI DI STERMINIO DI MASSA il cui culmine si sarebbe raggiunto con le ARMI NUCLEARI utilizzate nella II GUERRA MONDIALE: in cui tuttavia la deflagrante potena di ARMI CONVENZIONALI E DELLA LORO SINERGIA CON LE NUOVE EFFICIENTI ARMI DELL'AREONAUTICA causò comunque danni terrificanti sì da alterare il tessuto demico ma anche geologico, come solo a titolo d'esempio, si propongono qui immagini che devastarono il sito e l'area di un parimonio dell'umanità cone la MILLENARIA ABBAZIA BENEDETTINA DI MONTECASSINO.
*********************
Già di rimpetto alla tragedia del I CONFLITTO MONDIALE lo sgomento sembrò prevalere e la buona volontà parve non mancare con l'istituzione della SOCIETA' DELLE NAZIONI, le postulazioni del DIRITTO UMANITARIO, la messa al bando delle ARMI DI STERMINIO DI MASSA CULMINATE ALL'EPOCA NEI TERRIBILI"GAS ASFISSIANTI" ma tutto verteva ambiguamnte sulla sostanziale debolezza della stessa SOCIETA' DELLE NAZIONI tenendo altresì conto della voglia di rivincita delle NAZIONI SCONFITTE E GIUDICATESI INIQUAMENTE TRATTATE DAGLI ACCORDI DI PACE COME ANCHE QUELLE NAZIONI VINCITRICI QUALI L'ITALIA CHE NON VIDERO RISPETTATI GLI ACCORDI PATTUITI di maniera che i nazionalismi presero a germogliare, sempre più agguerriti, divenendo presto forme di DITTATURA COME NELLA STESSA ITALIA e soprattutto nella GERMANIA HITLERIANA con FORME DI PERSECUZIONE RAZZIALE CHE RAGGIUNSERO L'ACME IN GERMANIA ma senza dimenticare quelle che si proposero anche nell'ITALIA FASCISTA e che fecero parte di una delle massime pagine tragiche della SECONDA GUERRA MONDIALE (pur senza dimenticare i fenomeni altrettanto sanguinosi di persecuzione razziale che avrebbero tormentato drammaticamente una delle MASSIME POTENZE VINCITRICI DEL II CONFLITTO MONDIALE VALE A DIRE L'UNIONE SOVIETICA SOGGETTA ALL'AUTORITARISMO STALINISTA).
La buona volontà parve non mancare con l'istituzione della SOCIETA' DELLE NAZIONI che patrocinò la messa al bando delle ARMI DI STERMINIO DI MASSA CULMINATE ALL'EPOCA NEI TERRIBILI"GAS ASFISSIANTI" ma tutto verteva sulla sostanziale debolezza della stessa SOCIETA' DELLE NAZIONI tenendo altresì conto della voglia di rivincita delle NAZIONI SCONFITTE E GIUDICATESI INIQUAMENTE TRATTATE DAGLI ACCORDI DI PACE COME ANCHE QUELLE NAZIONI VINCITRICI QUALI L'ITALIA CHE NON VIDERO RISPETTATI GLI ACCORDI PATTUITI di maniera che i nazionalismi presero a germogliare, sempre più agguerriti, divenendo presto forme di DITTATURA COME NELLA STESSA ITALIA e soprattutto nella GERMANIA HITLERIANA con FORME DI PERSECUZIONE RAZZIALE CHE RAGGIUNSERO L'ACME IN GERMANIA ma senza dimenticare quelle che si proposero presto anche nell'ITALIA FASCISTA e che fecero parte di una delle massime pagine tragice della SECONDA GUERRA MONDIALE (pur senza dimenticare i fenomeni altrettanto sanguinosi di persecuzione razziale che avrebbero tormentato drammaticamente una delle MASSIME POTENZE VINCITRICI DEL II CONFLITTO MONDIALE VALE A DIRE L'UNIONE SOVIETICA SOGGETTA ALL'AUTORITARISMO STALINISTA) = fatti estremi cui si cercò di porgere un argine attraverso ,le postulazioni del DIRITTO UMANITARIO nella forma in particolare della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949 e quindi i suoi molto più recenti Protocolli Aggiuntivi (Processo verbale del 16/03/2000 - Edizione provvisoria) ma che putroppo, anche se si auspica sempre il contrario, non cessarono sotto forma di meno note quanto terribili guerre spesso fratricide che tuttora si combattono specie in aree depresse del Mondo, peraltro condizionate da un elevato tasso di mortalità anche per cause puramente igienico-sanitarie e di carenza sia alimentare che di risorse.
I TRATTATI DI PACE
Tra il 18 gennaio 1919 e il 10 agosto 1920 si riunirono nella Conferenza di pace di Parigi i delegati degli stati vincitori , cioè Lloyd George per l'Inghilterra , Clemenceau per la Francia , Wilson per gli Stato Uniti .
L'Italia fu rappresentata dal primo ministro Orlando e dal ministro degli esteri Sonnino , i quali tuttavia svolsero un ruolo secondario e abbandonarono temporaneamente la conferenza di pace ( 24 aprile 1919 ) per protesta contro il Manifesto al popolo italiano , nel quale il presidente americano Wilson aveva criticato come imperialistiche le rivendicazioni di Roma sulla Dalmazia e nei Balcani .
La conferenza di Parigi fissò i criteri fondamentali dei trattati di pace e stabilì la costituzione di una grande SOCIETA' DELLE NAZIONI ( con sede a Ginevra ) , la quale avrebbe dovuto garantire la libertà e la sicurezza dei popoli senza ricorrere alle armi .
Di questa società fecero parte inizialmente solo gli stati vincitori ed i paesi neutrali ( la Germania vi sarà ammessa nel 1926 e l'Unione Sovietica nel 1934 ) ; tuttavia nel 1919 , a seguito della vittoria dei repubblicani nelle presidenziali americane , gli Stati Uniti optarono per una politica isolazionista ed uscirono dalla Società delle Nazioni.
TRATTATO DI VERSAILLES CON LA GERMANIA
Il trattato di Versailles ( 28 giugno 1919 ) fissò le condizioni di pace con la Germania , che fu costretta a cedere : l'Alsazia -Lorena alla Francia , lo Schleswig settendrionale alla Danimarca , i distretti di Eupen e Malmèdy al Belgio , la Posnania e l'Alta Slesia alla Polonia .
I TRATTATI DI PACE CON AUSTRIA E UNGHERIA
I trattati di saint-Germain -en-Laye ( 10 settembre 1919 ) e del Trianon ( 4 giugno 1920 ), fissarono rispettivamente le condizioni di pace con l'Austria e l'Ungheria , sancendo il definitivo smembramento dell'impero asburgico .
L'Austria fu ridotta ad un piccolo Stato repubblicano di soli 6 milioni di abitanti ,privo di sbocchi sul mare ; l'Italia ottenne Trento , il Tirolo meridionale , Trieste e l'Istria .
Il territorio dell'Ungheria venne ridotto ad un terzo di quello del periodo imperiale , con consistenti cessioni di territorio a Romania , Cecoslovacchia e Iugoslavia.
TRATTATO DI NEUILLY ( 27 NOVEMBRE 1919 )
La Bulgaria cedette parte della Macedonia alla Jugoslavia e la Tracia occidentale alla Grecia , e venne così privata dell'accesso al mare Egeo .
IL TRATTATO DI SEVRES ( 10 AGOSTO 1920 )
Con la Turchia sancì lo smembramento definitivo dell'Impero Ottomano e l'internazionalizzazione degli Stretti .
La Turchia europea venne ridotta alla regione di Istambul , mentre in Anatolia si formarono zone di influenza delle potenze vincitrici ( Francia, Grecia , Italia ) , che verranno abbandonate solo dopola guerra di librazione turca del 1920-22.
Dodecanneso e Rodi , passarono all' Italia .
In Medio Oriente la Turchia perse la sovranità su Siria e Libano ( affidati in mandato alla Francia ), Iraq, Arabia e Palestina ( in mandato all'Inghilterra ) .
QUESTIONE DI FIUME
******************************************************************
******************************************************************
1914: Inizia la Grande Guerra
I piani. L'iniziativa strategica fu presa dal comando militare tedesco che in
pratica controllava quello di Vienna, mentre nell'altro campo non esistevano né direzione di guerra comune né, tanto meno, comando unico.
Il piano che il generale von Moltke (capo di SM tedesco e nipote del vincitore delle guerre del 1866 e del 1870) aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen affidava alle deboli forze al comando di von Prittwitz nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia.
Il piano Schlieffen, peraltro, era stato modificato da Moltke e, mentre all'origine prevedeva una gigantesca manovra aggirante basata soprattutto sulla forza dell'ala destra (in proporzione di 7 a 1 con l'ala sinistra), il Moltke aveva ridotto tale proporzione (3 a 1). Il piano francese (il diciassettesimo elaborato a partire dal 1871 e chiamato perciò "piano XVII") prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo dai due lati delle fortificazioni di Metz. Una variante, applicata dal 2 agosto, prescriveva soltanto, in caso di attacco tedesco al Belgio, l'estensione del dispositivo fino alla Mosa da Givet a Namur; il generale Joffre, autore del piano XVII, aveva il comando in capo dell'esercito francese.
Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto un accordo di massima per il quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia Orientale con il massimo dei mezzi per alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano russo (affidato nell'esecuzione al granduca Nicola) era quindi subordinato a quello francese.
Il piano austro-ungarico, elaborato dal Conrad, prevedeva l'eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.
Le operazioni.
OVEST.
Se, nel corso della battaglia delle frontiere, l'ala destra tedesca formata dalle due armate dei generali von Kluck e
von Bülow riuscì a prendere Liegi (16 agosto) e a respingere i Belgi su Anversa (20 agosto), dovette però lasciare fino a ottobre due corpi intorno a questa città per espugnarla. Le operazioni principali furono condotte in Lorena, dove i Francesi dovettero rinunciare a espugnare Morhange, ma resistettero davanti a Nancy e a Charmes, mentre nelle Ardenne si ebbero combattimenti dall'esito incerto.
Ma il 23 agosto il generale de Lanrezac, attaccato e battuto da von Bülow a sud della Sambre, avendo appreso la presenza dell'armata von Kluck, estrema ala aggirante tedesca, davanti agli Inglesi a Mons, dovette rompere il contatto.
Egli provocò così la ritirata generale delle truppe francesi (25 agosto - 6 settembre), che cercò di rallentare a Guisa.
Moltke credeva di avere ormai in pugno la decisione quando il generale Joffre, dando prova di grandi capacità, riuscì a riprendere progressivamente l'iniziativa, bloccando l'avanzata tedesca sulla Marna e respingendo i Tedeschi sull'Aisne e la Vesle (6-13 settembre).
La vittoria della Marna salvò Parigi gravemente minacciata (lo stesso governo francese aveva deciso di trasferirsi a Bordeaux) e segnò una svolta nella condotta della guerra.
Dopo lo scacco della Marna il generale Falkenhayn, che il 14 settembre aveva sostituito il Moltke alla testa dell'esercito tedesco, decise dapprima di continuare il suo sforzo principale all'ovest.
I due comandi cercarono allora di aggirare ciascuno l'ala nord dello schieramento avversario; ma queste manovre parallele non ebbero successo, e portarono alla cosiddetta "Corsa al mare", per raggiungere lo stretto di Calais.
Dopo la sanguinosa battaglia della Fiandra , in cui il generale Foch fu chiamato a coordinare l'azione dei Francesi, degli Inglesi e dei Belgi che ripiegavano da Anversa, le operazioni si stabilizzarono così su un fronte di 750 km che andava ormai dalle coste del mare del Nord alla Svizzera (ottobre-novembre, battaglia dell'Yser e di Ypres).
EST.
Se lo sforzo russo fu ostacolato da un'offensiva austriaca in Galizia, l'azione dei generali russi Samsonov e Rennenkampf, nella Prussia Orientale, costrinse Prittwitz alla ritirata, e obbligò lo SM tedesco a richiamare dal Belgio due corpi d'armata (25 agosto) per rafforzare il fronte.
Ma questo spostamento di truppe, prezioso per i Francesi impegnati nella battaglia della Marna, si rivelò inutile per i Tedeschi, perché il generale von Hindenburg, succeduto a Prittwitz dal 22 agosto, annientò l'armata Samsonov a Tannenberg (26-29), e, con la battaglia dei laghi Masuri (settembre), respinse Rennenkampf dalla Prussia Orientale con gravi perdite.
L'offensiva austriaca in Galizia, invece, venne arrestata dai Russi, i quali iniziarono qui una vigorosa controffensiva obbligando il nemico ad abbandonare Leopoli (3 settembre), ripiegando sui Carpazi.
Nonostante il contrattacco del generale tedesco Mackensen, da Toruacuton su barrata Lódacutoz (novembre-dicembre), il fronte si stabilizzò sulla linea Memel- Gorlice, a occidente di Varsavia.
Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto, e la battaglia si risolse a favore dell'ammiraglio inglese Beatty.
Nel Pacifico occidentale la squadra tedesca di crociera di von Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1º novembre) alla squadra inglese di Cradock, ma fu poi annientata alle Falkland (8 dicembre).
Risultati.
Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non aveva potuto essere realizzato, il territorio tedesco era stato tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche occupavano a occidente parte del Nord della Francia.
Quanto all'Austria, il suo esercito non riuscì a venire a capo della resistenza della Serbia, che anzi, dopo le vittorie del Cer, in Bosnia, e di Rudnik, liberò il suo territorio e riprese Belgrado (13 dicembre).
I Tedeschi persero a opera dei Giapponesi i possedimenti del Pacifico (caduta di Chiao-chou, 17 novembre).
La Francia aveva fermato l'invasione tedesca, ma la perdita di una parte essenziale del suo territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all'inizio di una guerra di cui non si intravedeva la fine e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti.
1915: L'intervento politico inglese
La strategia tedesca.
Anche nel 1915 l'iniziativa delle operazioni rimase sostanzialmente alla Germania.
Dopo alcune esitazioni il Falkenhayn, confidando nella solidità del fronte occidentale (confermata dagli scarsi risultati degli attacchi francesi alle posizioni di Notre-Dame-de-Lorette), decise di portare un colpo decisivo sul fronte orientale, anche per rispondere alla pressione russa su Stanislawów e Przemysl, caduta nel marzo 1915, pressione che aveva posto gli Austriaci in difficile situazione, portando gli eserciti russi fino sui passi dei Carpazi.
Dal maggio all'agosto (battaglia di Gorlice-Tarnów) le forze di Hindenbur
g (con il suo capo di SM Ludendorff) e di Mackensen, appoggiate a sud da quelle austro- ungariche, con una potente azione di sfondamento costrinsero i Russi a evacuare Leopoli, Lublino e l'intera Polonia(Varsavia cadde il 5 agosto), stabilizzando così il fronte sulla linea Riga-Pinsk-Czernowitz.
I Tedeschi, la cui situazione rimase qui praticamente inalterata fino al 1917, allontanarono così ogni pericolo sul loro fronte orientale.
L'offensiva contro i Russi dovette essere interrotta (25 settembre) per fronteggiare gli attacchi francesi nell'Artois e nella Champagne; ma il Falkenhayn, che già dal gennaio aveva messo in allarme gli Inglesi con un attacco contro Suez condotto da truppe turche, approfittò dell'alleanza con la Bulgaria per liquidare e occupare la Serbia (ottobre-novembre), per collegarsi direttamente con i Turchi e per unificare gli obiettivi delle operazioni negli Stretti e nei Balcani.
La dispersione degli sforzi alleati.
Il 1915 fu l'anno dell'intervento politico inglese nella direzione della condotta di guerra degli Alleati; dopo aver creato, soprattutto per impulso del Kitchener, quasi dal nulla, valide forze armate, la Gran Bretagna non volle nonostante le richieste di Joffre esaurirle sul fronte francese, ma cercò invece di colpire la Germania manovrando per linee esterne sui punti deboli del suo dispositivo.
Per attaccare la Turchia e rafforzare le loro posizioni nel Medio Oriente, gli Inglesi, sbarcati nel Golfo Persico (novembre 1914), avanzarono nella Mesopotamia puntando su Bagdad, e nel febbraio, appoggiati tiepidamente dalla Francia, intrapresero la già ricordata spedizione dei Dardanelli, che dopo lo scacco navale di Çanakkale (18 marzo), e le durissime lotte nella penisola di Gallipoli, fu resa inutile, fra l'altro, dal sopravvenuto crollo della Serbia: s'impose così l'evacuazione della penisola di Gallipoli (dicembre 1915 - 8 gennaio 1916), ma le truppe impiegate nei Dardanelli vennero fatte sbarcare a Salonicco, preparando così l'apertura di un nuovo fronte.
Nel luglio, intanto, le forze inglesi occuparono le colonie tedesche dell'Africa del Sud- Ovest, pur senza essere riuscite a debellare la resistenza germanica nell'Africa orientale.
Da parte francese, tutti gli sforzi furono tesi alla liberazione del territorio nazionale, da conseguire mediante uno sfondamento del fronte nemico e la ripresa della guerra manovrata.
Joffre fece così eseguire, dal febbraio all'ottobre, una serie di violente quanto vane offensive nell'Artois, nella Champagne nelle Argonne e nei Vosgi, il cui unico risultato fu di salvare l'esercito russo, duramente battuto a Gorlice, obbligando il comando tedesco a impegnare le sue riserve a ovest.
Il fronte italiano.
Nel 1915 l'Italia, in base al patto di Londra, s'impegnò a prendere risolutamente l'offensiva contro l'Austria; ciò costrinse il capo di SM, generale Cadorna,
a dare alle operazioni un'impostazione strategica fino ad allora imprevista.
In questa situazione il piano di Cadorna consistette nell'offensiva limitata al settore orientale, quello delle Alpi Giulie e dell'Isonzo, con obiettivi Trieste e Lubiana; mentre sul fronte trentino era prevista solo una difensiva strategica sussidiata dalla conquista di Dobbiaco, un attacco in Carnia verso Tarvisio avrebbe dovuto garantire il fianco della puntata offensiva.
Il comando supremo austriaco, dal canto suo, fin dall'autunno 1914 aveva ordinato la costituzione di un'organizzazione difensiva continua sul confine per logorare le truppe italiane con il minimo delle forze: per il momento non erano previste azioni d'attacco verso l'Italia.
Le operazioni iniziarono con la presa di contatto dei due eserciti (24 maggio - 16 giugno) e proseguirono con le prime quattro battaglie dell'Isonzo (23 giugno - 2 dicembre).
Nessuno degli obiettivi che il comando supremo italiano si era prefisso venne raggiunto, però l'intervento italiano e l'atteggiamento offensivo subito assunto apportarono alla causa alleata un notevole contributo salvando l'esercito russo in ritirata nella Polonia da una schiacciante sconfitta e favorendo l'azione difensiva francese.
Risultati.
Le operazioni condotte dagli Alleati risultarono in complesso deludenti, ma il loro potenziale militare migliorò in modo netto; lo sforzo per incrementare qualitativamente e quantitativamente l'armamento, reso possibile dalla libertà dei mari, permise alle industrie belliche di attrezzarsi e agli eserciti di trasformare la loro struttura e di fare l'esperienza di nuovi metodi di combattimento. La necessità di una maggiore cooperazione militare alleata apparve chiara alla conferenza di Chantilly (dicembre), in cui si decisero i piani di guerra per il 1916 e si stabilì di dare un aiuto materiale alla Russia, le cui truppe avevano subito perdite molto gravi. D'altra parte l'obiettivo tedesco di eliminare totalmente i Russi dal conflitto fallì, perché il rifiuto delle offerte di pace del Kaiser (giugno) e l'offensiva del generale Ivanov in Bucovina (dicembre) dimostrarono che la Russia era ancora in grado di combattere.
Il Falkenhayn, danneggiato dagli effetti del blocco, si decise anche se dapprima timidamente a causa delle reazioni americane a impiegare l'arma sottomarina il cui uso a oltranza era propugnato dall'ammiraglio von Tirpitz.
Nell'uno e nell'altro campo si affermò la preminenza del fronte francese.
1916: La battaglia di Verdun
Verdun e la battaglia della Somme.
I piani elaborati da ambedue le parti per il 1916 puntavano al raggiungimento di risultati decisivi per mezzo di un'offensiva di logoramento degli effettivi e del materiale sul fronte francese.
Il generale Joffre decise di portare una serie di attacchi potenti e metodici sulla Somme, che avrebbero dovuto essere appoggiati da un'offensiva russa in Galizia.
Ma fu preceduto dal Falkenhayn il quale, ritenendo che la Francia fosse al limite delle sue risorse umane, decise di colpire prima che scendessero in campo nuove truppe britanniche; egli scelse come obiettivo Verdun che attaccò il 21 febbraio nella presunzione che la sua caduta, dopo l'esaurimento di tutti i mezzi difensivi francesi, avrebbe deciso della guerra.
Ma, se la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre) logorò l'esercito francese in proporzioni maggiori di quello tedesco, essa si risolse tuttavia in un insuccesso strategico tedesco, perché Joffre, anche se con ritardo sui piani iniziali, poté lanciare (1º luglio), alimentandola per quattro mesi, la sua offensiva sulla Somme, che impedì ai Tedeschi di impegnare a Verdun tutti i mezzi inizialmente previsti.
Il fronte italiano.
Il comando supremo austriaco, non più preoccupato dell'esercito russo, decise di attuare una grande offensiva contro l'Italia secondo un progetto già studiato fin dal tempo di pace dal generale Conrad. L'esercito austriaco, sostenuto da unità germaniche, avrebbe dovuto
irrompere dal saliente trentino nella pianura veneta tagliando le comunicazioni alle armate italiane schierate a oriente.
Il Falkenhayn sconsigliò l'operazione, e il Conrad decise allora di agire con le sole forze austriache.
L'offensiva, che gli Austriaci denominarono Strafexpedition e gli Italiani "battaglia degli Altipiani" (15 maggio - 24 luglio), si svolse su un fronte di 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana.
Dopo un'iniziale ritirata il rapido spostamento di truppe di riserva dal fronte giulio consentì a Cadorna di fronteggiare la pericolosa situazione impedendo agli Austriaci di conseguire il successo.
Il 16 giugno il comando supremo italiano lanciò una controffensiva con le ali dello schieramento migliorando la situazione del fronte.
Agli inizi dell'anno Cadorna, secondo gli accordi di Chantilly (dicembre 1915), aveva predisposto un'offensiva sul fronte dell'Isonzo persistendo nel concetto operativo di avanzare verso Trieste e Lubiana e preparando una potente offensiva contro il saliente di Gorizia.
Questa fu realizzata con un'abile manovra strategica che consentì di spostare rapidamente la 5ª armata, che era stata impegnata in minima parte nella lotta sugli Altipiani.
Il conseguimento della sorpresa consentì la conquista di Gorizia (6ª battaglia dell'Isonzo, 9 agosto), le cui posizioni fortificate erano ritenute dagli Austriaci imprendibili.
Nell'autunno (settembre- novembre) si ebbero sul Carso triestino tre sanguinose offensive (7ª, 8ª, 9ª dell'Isonzo) che si risolsero in battaglie di logoramento da entrambe le parti.
Gli altri fronti.
In seguito agli avvenimenti dell'anno precedente, che avevano costretto i Russi a un generale ripiegamento, con la perdita di vasti territori (Polonia, Lituania, ecc.), il granduca Nicola era stato esonerato dal comando in capo dell'esercito, che venne assunto personalmente dallo zar: la situazione generale non migliorò ma i Russi poterono riprendere in Galizia la spinta attaccante con un'offensiva (offensiva Brusilov) che nell'estate 1916 pose in critiche condizioni l'esercito austro-ungarico.
Nell'autunno, però, le capacità combattive russe parvero ormai esaurite.
Russi e Turchi furono nel 1916 abbastanza attivi sui fronti secondari: offensiva russa del granduca Nicola in Armenia (presa di Erzurum e di Trebisonda, febbraio-aprile); attacchi turchi in Mesopotamia (ideati dal generale tedesco von der Goltz), che costrinsero gli Inglesi a ritirarsi dalla zona di Bagdad e a capitolare a Kut al-Amara (28 aprile), sul canale di Suez, peraltro falliti (4 agosto), e in Palestina, dove non riuscirono a fermare i progressi inglesi su Al-Arish (presa nel dicembre) e Gaza.
In Africa, il Camerun venne occupato dai Franco-Inglesi nel gennaio.
Balcani. In Macedonia, le forze del generale francese Sarrail, in risposta a un attacco bulgaro, presero l'offensiva il 14 settembre e conquistarono Monastir (novembre), ma non poterono impedire a Falkenhayn passato, dopo le sue dimissioni da capo di SM, al comando della 9ª armata di schiacciare le armate romene che si erano spinte in Transilvania e di entrare a Bucarest (ottobre- dicembre), mentre il Mackensen cooperava efficacemente da sud alla clamorosa vittoria.
Risultati.
La conquista della Romania non poteva controbilanciare, per gli Imperi centrali, lo scacco subito dal comando tedesco a Verdun, che segnò, per sua stessa ammissione, la "svolta della guerra".
Sul piano militare, nel complesso dei fronti le iniziative si equilibrarono, e l'usura delle forze nemiche, che i due avversari cercavano di conseguire, colpì ugualmente gli eserciti contrapposti, ripercuotendosi a livello degli alti comandi: così, nell'agosto Falkenhayn cedette il posto a Hindenburg e al suo capo di SM Ludendorff, e nel dicembre Joffre fu sostituito da Nivelle, fautore dell'offensiva a ogni costo.
Gli Austro-Tedeschi, nell'intento di rafforzare la condotta della guerra, affidarono in settembre il comando unico a Hindenburg, ma essi dovevano ormai fronteggiare un nemico la cui potenza militare si rafforzava continuamente, e il cui dominio dei mari, nonostante l'esito indeciso della battaglia dello Jutland (31 maggio), rimaneva incontrastato.
1917: La guerra sottomarina
Il fronte occidentale.
Poiché la guerra di logoramento non aveva portato alla decisione definitiva, questa dovette essere ricercata in altra direzione, ma i piani elaborati a tal fine dalle due parti furono sconvolti dalle conseguenze militari della Rivoluzione russa e dell'intervento americano.
Hindenburg si vide costretto per la prima volta, dalla scarsità dei suoi mezzi, a opporre alle azioni alleate un atteggiamento puramente difensivo, ripiegando le sue unità (febbraio-maggio) in previsione dell'offensiva generale alleata su un fronte più arretrato preventivamente fortificato (San Quintino-La Fère), al quale chiedeva semplicemente di "tenere"; egli si aspettava infatti la decisione del conflitto dalla guerra sottomarina a oltranza, anche a rischio dell'intervento americano, che a suo parere sarebbe stato tardivo.
Se il comandante tedesco non poté più imporre il ritmo delle operazioni, seppe però approfittare in pieno degli avvenimenti che gli erano favorevoli: lo scacco dell'offensiva francese sull'Aisne rafforzò la sua fiducia, e la progressiva eliminazione del fronte russo (Riga cadde in settembre), sanzionata dall'armistizio e poi dalla pace di Brest-Litovsk, giocò in modo insperato in favore della Germania. In particolare, Hindenburg poté così aiutare in misura determinante l'Austria nell'offensiva che portò a Caporetto.
Il generale Nivelle, trasformando i piani di Joffre, si era proposto di ottenere la vittoria con la rottura rapida su un largo fronte, e il suo sfruttamento pronto e audace.
Preceduta da un attacco inglese nell'Artois (9 aprile), la sua grande offensiva fu scatenata il 16 aprile sullo Chemin des Dames ma si risolse con un insuccesso totale, che portò alla sostituzione del Nivelle con Pétain (15 maggio).
Dispersione degli sforzi alleati.
La resistenza tedesca fu facilitata dalla mancanza di unità fra gli Alleati. Gli Inglesi dedicarono infatti mezzi sempre più ingenti alla guerra contro i Turchi, che essi consideravano come una questione di loro esclusiva spettanza; l'11 marzo gli Inglesi entrarono a Bagdad; il 31 ottobre Allenby attaccò in Palestina, ed entrò a Gerusalemme (18 dicembre).
Sul fronte occidentale, gli Inglesi lanciarono una grande offensiva nella Fiandra (giugno-novembre) per allontanare i Tedeschi dalle coste del Belgio e raggiungere le basi dei sottomarini.
Sul fronte di Salonicco, dove il Sarrail fu sostituito dal Guillaumat, non si svolse nessuna operazione di rilievo.
La guerra sottomarina toccò invece il suo apice: nell'aprile i Tedeschi affondarono naviglio mercantile alleato per 1 milione circa di t, ma l'adozione del sistema dei convogli e il perfezionamento delle difese alleate portarono a una graduale riduzione delle perdite (550.000 t in luglio, 288.000 in novembre).
Il fronte italiano.
Nel convegno di Roma (6-8 gennaio), al quale parteciparono tra gli altri Lloyd George e Nivelle, il Cadorna propose un'azione decisiva interalleata contro l'Austria, ritenuto il più debole degli Imperi centrali.
L'opposizione di Nivelle, che preparava una propria offensiva, fece cadere la proposta, a cui Lloyd George era favorevole. L'Austria, stremata dalle operazioni del 1916, aveva deciso di tenere un atteggiamento difensivo in attesa degli eventi politici in Russia.
L'Italia, in base agli accordi della conferenza di Chantilly, aveva iniziato la preparazione di una nuova offensiva contro le difese orientali di Gorizia.
Il timore di una nuova offensiva dal Trentino fece sospendere l'azione che fu poi attuata in maggio (10ª battaglia dell'Isonzo) e ripetuta in agosto (11ª battaglia dell'Isonzo) sulla Bainsizza, per infliggere all'esercito austriaco un duro colpo prima che potesse spostare notevoli forze dal fronte russo.
Sugli Altipiani, per migliorare la situazione del fronte, furono iniziate delle operazioni che diedero luogo alla battaglia dell'Ortigara (10-29 giugno) che comportò gravissime perdite e nessun risultato.
La critica situazione austriaca dopo la battaglia della Bainsizza spinse la Germania a venire in aiuto dell'alleata approfittando del fatto che l'esercito russo era in dissolvimento e che quello francese già da tempo stava sulla difensiva.
Fu deciso di attaccare sull'alto Isonzo nel settore Plezzo-Tolmino dove la sistemazione difensiva italiana si presentava piuttosto debole.
La rottura del fronte doveva avvenire con il metodo di attacco ideato da Hindenburg e Ludendorff e che aveva dato brillanti risultati già alla presa di Riga, attuata dal generale Hutier (1-3 settembre).
La realizzazione della sorpresa, affidata al generale tedesco von Below,
la rispondenza dei procedimenti d'attacco allo scopo da conseguire, deficienze nell'organizzazione difensiva italiana e nell'azione di comando, consentirono la rottura del fronte e la penetrazione profonda delle truppe austro-tedesche nello schieramento italiano (Caporetto, 24-26 ottobre).
Di fronte alla gravità di tale situazione Cadorna emanò alle due del 27 ottobre l'ordine di ripiegare sul Tagliamento.
Ma il complesso delle forze che il 1º novembre si trovavano a occidente del fiume era insufficiente alla difesa, per cui Cadorna ordinò un ulteriore ripiegamento sulla linea Asiago-Grappa-Piave che presentava una minore ampiezza di fronte.
Nella notte dal 2 al 3 novembre gli Austro-Tedeschi forzarono il Tagliamento a sud di Osoppo.
Lo schieramento venne portato dietro la Livenza; dal 5 al 7 novembre la 2ª e la 3ª armata protessero il ripiegamento del grosso sul Piave che risultava completato entro il 9 novembre.
In tale data Cadorna fu sostituito da Diaz nella carica di capo di SM dell'esercito.
Giunti sul Piave gli Austro-Tedeschi, ritenendo di avere di fronte un esercito ormai disfatto, dopo essersi riordinati ripresero gli attacchi sull'altopiano di Asiago (10 novembre), sul Piave (12 novembre), sul Grappa (15 novembre) che rinnovarono di fronte all'accanita resistenza italiana, senza però conseguire alcun successo decisivo.
La crisi italiana provocata da Caporetto dimostrò la necessità di una più stretta cooperazione militare alleata; pertanto nell'incontro di Rapallo (7 novembre 1917) i primi ministri e i capi di SM della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia decisero la creazione di un Consiglio superiore di guerra interalleato, formato dai rappresentanti militari permanenti delle potenze alleate, primo passo sulla via del comando unico.
1918: La sconfitta della Germania
L'estremo sforzo tedesco, reso possibile dalla fine delle operazioni militari sul fronte orientale, permise di far affluire a occidente 700.000 uomini, e fu per gli Alleati un colpo tanto più duro in quanto i Franco-Inglesi erano alle prese con una grave crisi di effettivi, anche perché le unità americane non potevano intervenire prima del luglio; il comando alleato fu così costretto a un atteggiamento difensivo
(direttiva Pétain del 24 gennaio).
Hindenburg e Ludendorff, invece, si trovavano di fronte alla necessità imperiosa di ottenere lo scontro risolutivo prima dell'intervento americano e dell'usura completa degli alleati austriaci, bulgari e turchi, ormai all'estremo delle loro risorse.
Essi dedicarono pertanto tutte le loro energie alla preparazione delle forze tedesche, per realizzare a ogni costo, con la sorpresa e la violenza degli attacchi, la rottura del fronte francese.
Gli attacchi tedeschi durarono senza interruzione dal 21 marzo al 15 luglio.
Nella speranza di separare i Francesi dagli Inglesi, costringendo i primi a coprire Parigi e i secondi le loro basi della Manica, Hindenburg e Ludendorff attaccarono il 21 marzo in Piccardia, ma non poterono raggiungere i loro obiettivi per la risoluta resistenza degli Alleati che a Doullens, alla fine di marzo, realizzarono finalmente il comando unico, affidato al Foch, nominato comandante in capo il 14 aprile.
Dopo l'insuccesso di una seconda offensiva in Fiandra (9-25 aprile ), Ludendorff, attribuendo questi scacchi all'intervento delle riserve francesi, decise di impegnarle sull'Aisne, prima di liquidare gli Inglesi nella Fiandra.
Egli quindi attaccò di nuovo il 27 maggio, raggiungendo Château-Thierry e minacciando da vicino Parigi per la seconda volta, dopo l'agosto-settembre 1914.
Per allargare la sua offensiva, frenata da Foch nella foresta di Villers-Cotterets e nelle alture della Champagne, egli attaccò poi all'ovest, il 9 giugno, sul Matz, e all'est, il 15 luglio, su Reims.
Quest'ultima offensiva segnò il punto culminante dell'avanzata tedesca: il 18 il Foch lanciò una controffensiva vittoriosa sul suo fianco destro, in direzione di Soissons, e il 3 agosto la sacca di Château-Thierry fu riassorbita.
La controffensiva di Foch.
Fin dal 24 luglio, il piano di Foch prescriveva un ritorno definitivo all'offensiva, con l'obiettivo principale di disimpegnare le strade strategiche Parigi-Amiens e Parigi-Châlons-Nancy mediante la riduzione delle sacche di Château- Thierry (in corso), di Montdidier (battaglia dell'8 agosto) e di Saint-Mihie* (battaglia del 12 settembre).
Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro all'avversario, ordinò l'offensiva generale e la continuò con tutte le sue forze, dalla Mosa al mare, in direzione di Mézières.
La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal 26 settembre, con tre grandi operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand, da Francesi e Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan.
Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinò lo sfondamento delle ultime posizioni difensive tedesche (linee Hermann e Hunding), e previde l'estensione della battaglia a est della Mosa.
Ma l'attacco concentrico delle dodici armate alleate costrinse i Tedeschi a confessarsi vinti: il 4 novembre essi decisero la ritirata generale sul Reno; il 7, loro plenipotenziari chiesero l'armistizio, che ottennero a Rethondes, l'11 novembre, rendendo superflua l'offensiva di Lorena prevista per il 14.
Il fronte italiano.
L'estremo tentativo offensivo austriaco ebbe qui inizio il 15 giugno (battaglia del Solstizio): sugli Altipiani e sul Grappa conseguì vantaggi locali ma con perdite così gravi che in quei settori le operazioni furono subito sospese; lungo il Piave gli Austriaci riuscirono ad avanzare sul Montello e a costituire alcune teste di ponte.
Il comando supremo austriaco difettava però di riserve, mentre quello italiano poté far affluire le proprie lanciando una controffensiva che determinò il ripiegamento del nemico, ormai esausto, al di là del fiume.
Gravi questioni politiche cominciavano intanto a turbare la compagine degli Imperi centrali, mentre i popoli dell'Impero austro-ungarico intensificavano i moti d'indipendenza.
Di fronte a questa situazione il 25 settembre il generale Diaz decise di agire cercando di dividere le forze schierate in piano da quelle del settore montano, forzando il Piave di fronte al Montello e puntando su Conegliano e Vittorio Veneto.
L'offensiva ebbe pieno successo e il 29 ottobre
l'esercito austriaco iniziò il ripiegamento in pianura e nella notte fra il 30 e il 31 abbandonò il Grappa.
Il giorno 31 iniziò l'inseguimento per precedere le truppe in ritirata sui punti d'obbligato passaggio delle colonne.
L'armistizio venne firmato a villa Giusti e le operazioni terminarono alle ore 15 del 4 novembre, una settimana prima della conclusione generale della guerra sul fronte occidentale (11 novembre), come si legge nel giustamente orgoglioso Proclama di vittoria del Marasciallo Diaz.
La vittoria italiana diede peraltro un contributo notevole, per la minaccia di agire da sud contro la Germania.
Gli altri fronti.
Accanto all'azione sul fronte francese e italiano la strategia alleata lanciò altre offensive che contribuirono in modo decisivo alla vittoria.
In Macedonia, il generale francese Franchet d'Esperey lanciò il 15 settembre un attacco generale mirante alla rottura del fronte bulgaro: l'obiettivo fu raggiunto con la battaglia di Dobro Polje, che costrinse i Bulgari a deporre le armi il 29 settembre.
Sfruttando questo successo, Franchet d'Esperey si spinse su Üsküb (Skoplje), varcò il Danubio, liberò la Serbia e la Romania (ottobre) e minacciò l'Austria e la Germania del sud.
In Palestina, le forze inglesi (Allenby) passarono all'offensiva il 19 settembre, batterono le truppe turco-germaniche ed entrarono a Damasco (30 settembre), Beirut (7 ottobre), Aleppo (26 ottobre).
Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre la Turchia, minacciata anche dall'avanzata alleata su Costantinopoli, dovette firmare l'armistizio di Mudhros.
Continuò a resistere, nell'Africa Orientale tedesca, la colonna del colonnello von Lettow-Vorbeck, che depose le armi solo l'11 novembre.
************************************************************
Per quanto possa sembrare strano il problema delle ARMI PROIBITE (più specificatamente poi determinate e delimitate sotto la tipologia di ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA - ARMI DI STERMINIO e/o ARMI TOTALI) è stato dibattuto in vari momenti storici: volendo intrecciare una riflessione di archeoletteratura si potrebbe addirittura identificare la prima, vera e propria, ARMA TOTALE nell'antico FUOCO GRECO (FUOCO SACRO) la cui efficienza rese a lungo invitte contro gli invasori Arabi le ARMATE DELL'IMPERO ROMANO D'ORIENTE = il concetto di ARMA TOTALE dato al FUOCO GRECO deve però esser dimensionata rispetto all'uso delle PRIME E VERE PROPRIE ARMI CHIMICHE DESTINATE AD UN PROCESSO DI DISTRUZIONE DI MASSA =
"La guerra si deve combattere con le armi, non coi veleni" (Armis bella non venenis geri debere) scrisse Valerio Massimo nel III libro al capitolo 4 dei suoi Factorum et dictorum memorabilium libri IX: eppure esistono testi cinesi risalenti al IV secolo a.C. che descrivono l'uso di soffietti per pompare fumo da fuochi accesi con vegetali tossici (alcune varietà di senape, ed altri), nei tunnel scavati dagli assedianti. Scritti cinesi ancora più antichi, circa del 1000 a.C., contengono centinaia di ricette per la produzione di gas velenosi od irritanti da usare in guerra ed in altre occasioni. Tramite questi reperti siamo venuti a conoscenza delle "nebbie cacciatrici di uomini" che contenevano arsenico, e dell'uso di calce finemente triturata, dispersa nell'aria per sedare una rivolta popolare nell'anno 178.
La testimonianza più antica dell'uso di gas velenosi in guerra risale al V secolo a.C., durante la guerra del Peloponneso, fra ateniesi e spartani. Le forze di Sparta allestirono durante un assedio una miscela incendiara di legno, resina e zolfo sperando che il fumo velenoso incapacitasse gli ateniesi, in modo da renderli indifesi nell'attacco che sarebbe seguito. Sparta non era però unica depositaria di questa tecnologia: si narra che Solone usò radici di elleboro per avvelenare le acque della città di Cirrha durante un assedio nel 590 a.C.
I persiani ricorsero all'uso di veleni per opporsi all'avanzata di Alessandro Magno (334 - 331 a.C.), i Romani contro i Sassanidi tra il 247 ed il 363 d.C., i bizantini li utilizzarono contro gli arabi tra il 636 ed il 711.
È noto anche l'uso di armi chimiche nella Cina medievale.
Il cronista polacco Jan Dlugosz narra l'impiego di gas velenosi da parte degli eserciti mongoli nella battaglia di Legnica nel 1241.
Non sorse mai, Per quanto è noto, alcun dibattito sulle caratteristiche e sulle potenzialità offensive, mai discriminanti tra nemici od amici come tra combattenti o civili, del FUOCO GRECO: fu peraltro un'ambizione araba (quindi recepita dai Turchi) quella di coglierne i segreti e rivolgerne la terrifica potenza contro i nemici cristiani pur se, od onor del vero, l'Islam, assai prima dell'Occidente, maturò un giudizio eminentemente difensivo della guerra in cui, stando a Maometto, avrebbero sempre dovuto interagire da parte dei belligeranti sensi di riguardo per donne, bambini, vecchi e comunque civili.
Fuori dai grandi eventi dell'età di mezzo e nel contesto dei secoli succedenti al XV ogni dibattito sulla liceità o meno di particolari armi sostanzialmente fu sempre impostato sulle basi di una questione giuridica o di una qualche esigenza di pubblica sicurezza mirante ad inibire l'uso di strumenti d'offesa, come le pistole corte, che si potessero nascondere, sì da aggredire passeggeri e viandanti (il caso dei banditi manticularii che sorprendevano per via le persone celate le armi sotto il mantello) od all'opposto quali le "armi da fuoco lunghe" cioè di precisione come certi archibugi che permettevano, soprattutto a prezzolati sicari e scavezzi (equivalenti nel genovesato dei bravi di manzoniana memoria), di colpire le loro vittime agendo indisturbati nell'ombra di qualche riparo od anfratto.
Anche se questo scottante argomento ha sostanzialmente solide ma moderne radici e lo stesso DIRITTO UMANITARIO data da un'epoca relativamente a noi vicina, occorre comunque dire che lo jus intermedio occidentale, seppur in modo embrionale, si era comunque posto il problema sulla salvaguardia delle persone alla stregua di quello sull'accontonamento di particolari generi di armamenti di ordine individuale.
Per quanto, ad esempio, ancora concerne il caso emblematico del DOMINIO DELLA REPUBBLICA DI GENOVA alcune integrazioni del 1587, degli STATUTI CRIMINALI, rese necessarie dall'espandersi della VIOLENZA ORGANIZZATA, sancirono con oculatezza la tipologia delle armi illegali[ IN MERITO AI DIVIETI SULLE ARMI PROIBITE SU CUI COME VISTO SI INTERVENNE DAL '500 I DETTAMI DOVETTERO PERO' PROTRARSI NEL TEMPO DATA LA PERSISTENZA NEL LORO USO, COSI' COME PER I DETTAMI CONTRO LA COSTUMANZA DEL DUELLO PROIBITO MA PRATICATO PER TUTTO L'OTTOCENTO E I IPRIMI DEL NOVECENTO IN STATO DI "CLANDESTINITA', COME SI LEGGE NEL CODICE PENALE DI CARLO ALBERTO PER GLI STATI DEL REGNO DI SARDEGNA" IN MERITO A QUESTO RIPRODOTTO CAPO VI DEL LIBRO II ].
.
Con l'evolversi di una superiore, preilluministica attenzione alla salvaguardia delle persone, da fine '600 e soprattutto dai primi decenni del '700 gli Stati cominciarono poi a sancire e pubblicare rinnovati REGOLAMENTI MILITARI tra i cui capitoli cominciavano a comparire norme atte a vigilare seriamente sul comportamento dei MILITARI impegnati in CAMPAGNE DI GUERRA od anche solo DI STANZA IN PIAZZEFORTI, al fine che non tormentassero le popolazioni civili e non ne saccheggiassero beni o proprietà:
All'uopo soccorre anche in questa circostanza la NORMATIVA GENOVESE DEL XVIII SECOLO.
Il colonnello LORENZO MARIA ZIGNAGO redigendo i nuovi STATUTI MILITARI DI GENOVA(1722) dimostrò cura, in varie parti del testo, nella REPRESSIONE DI AZIONI SOLDATESCHE A DANNO DI CIVILI ed in particolare editò un ARTICOLO (il 35, del regolamento delle Pene) estremamente importante per l'epoca, ARTICOLO da cui era punito, contro pregresse scelte guerresche atte a vari ordini di soluzioni punitive, non specificatamente lo STUPRO ETNICO ma direttamente il, prima "tollerato", crimine di STUPRO in quanto tale:"Chi leverà l'onore a viva forza a figlie, donne maritate o vedove sarà condannato di morte e chi la bacerà o le farà atti disonesti parimenti per forza e con violenza sarà condannato due anni di galera...".
Si trattava solo di un inzio per la complessa definizione del DIRITTO UMANITARIO e contestualmente per una più estesa condanna di ARMI ESTREMAMENTE INVALIDANTI O DI STERMINIO: fu comunque un passo significativo, contestualmente fatto, agli albori dell'illuminismo, in molti altri Stati europei.
Ma restava moltissimo da fare e, tutto sommato, la riproposizione della questione si pose ben più profondamente in DUE ALTRI MOMENTI.
Mentre UNO di questi risultò collegato alle specifiche angosce esistenziali di un GRANDE SCIENZIATO COME ALFREDO NOBEL resosi consapevole d'aver offerto all'umanità la potenzialità per realizzare ARMI DI STERMINIO vere e proprie, il SECONDO MOMENTO fu invece, diacronicamente, caratterizzato da una successione di conferenze, accordi, convenzioni (mai semplici in verità) che presero il via, come qui di seguito si legge, dalla fine del tormentato XIX secolo.
A fine di questo lo Zar NICOLA II aveva infatti promossa all'Aja una CONFERENZA INTERNAZIONALE (nota del 24 agosto 1898) delle varie potenze nella quale allo scopo di discutere la RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI.
Con una seconda nota del 30 dicembre dello stesso anno, lo Zar aveva modificato il programma della conferenza, in cui fra le altre cose, le potenze dovevano cercare di accordarsi per una sospensione negli armamenti.
La conferenza si riunì dal 18 maggio al 29 luglio del 1899 e vi parteciparono l'Austria-Ungheria, il Belgio, la Cina, la Danimarca, la Francia, il Giappone, la Grecia, la Germania, l'Inghilterra, l'Italia, il Lussemburgo, l'Olanda, il Montenegro, il Messico, la Norvegia, la Persia, il Portogallo, la Romania, la Russia, la Serbia, la Spagna, gli Stati Uniti, il Siam e la Svezia.
Rappresentanti dell'Italia furono COSTANTINO NIGRA, il conte ZANINI, l'on. GUIDO POMPILI, il generale ZUCCARI e il capitano di vascello BIANCO.
I risultati della conferenza, che erroneamente fu chiamata "della pace", non furono quelli che si speravano. Difatti, riguardo alla riduzione degli armamenti, la Conferenza si limitò a dichiarare che essa era "grandemente desiderabile per il benessere materiale e morale dell'umanità", e non si riuscì a stabilire l'obbligatorietà dell'arbitrato.
Fu istituita invece all'Aja una corte permanente con lo scopo di facilitare le soluzioni pacifiche dei conflitti internazionali e, a proposito delle leggi e degli usi di guerra, furono adottati i seguenti provvedimenti:
a) divieto dei proiettili contenenti gas asfissianti o deleteri, dell'uso delle pallottole dum-dum e del lancio di materia esplosiva dai palloni;
b) estensione alla guerra marittima della Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864, riguardante l'inviolabilità del personale sanitario e degli ospedali;
c) codificazione delle leggi e degli usi della guerra continentale, stabiliti dalla Conferenza di Bruxelles del 1874 e riflettenti le norme delle ostilità, la situazione dei belligeranti e dei prigionieri di guerra, la sorte delle spie, i diritti e i doveri dei parlamentari, l'armistizio e la condotta delle truppe nei paesi nemici.
Ancora ai giorni nostri però, nonostante i progressi del DIRITTO UMANITARIO sancito in primis dalla CONVENZIONE DI GINEVRA DEL 1949 e dai suoi PROTOCOLLI AGGIUNTIVI DEL 1977, rimane aperto il dibattito sulle ARMI: e, a prescindere da vari argomenti, sopravvive quello assai impegnativo sulle ARMI PER IL CONTROLLO DI MASSA.
************************************************************
"Le guerre locali degli ultimi decenni del novecento hanno riproposto uno dei volti più drammatici delle operazioni militari: l'impiego su larga scala delle armi chimiche e batteriologiche (anche se, occorre dirlo, altrettanto rilevante ed urgente si va facendo da tempo la discussione sulle armi di controllo di massa e di prevenzione dei tumulti).
Le armi chimiche sono sostanze, spesso ottenibili a basso prezzo e con strutture industriali abbastanza rudimentali, che sono state e sono causa di forme orribili di morte, di dolori indescrivibili.
L'uso di agenti chimici per mettere fuori combattimento gli avversari è iniziato durante la prima guerra mondiale come sottoprodotto del successo dell'industria chimica.
Nella seconda metà del 1800 erano già note numerose sostanze dotate di proprietà irritanti, asfissianti e velenose.
Gà' nel 1812 si era scoperto che, dalla reazione del cloro con l'ossido di carbonio, si forma fosgene, un liquido volatile molto irritante e tossico.
L'industria chimica alla fine del secolo scorso produceva già industrialmente su larga scala il cloro, un gas soffocante.
Ugualmente noto e prodotto industrialmente era il solfuro di dicloroetile, destinato ad una drammatica notorietà col nome di Yprite, dal nome della città belga in cui è stato usato per la prima volta in guerra.
Nonostante la voglia di guerra che ha attraversato l'Europa per tutto il milleottocento, lo spettro della guerra chimica ha spaventato sempre le grandi potenze, al punto da indurle a riunirsi all'Aja, nel luglio 1899, e a firmare un accordo che le impegnava "a non usare proiettili il cui unico scopo è quello di spandere gas asfissianti o deleteri".
L'accordo vietava in particolare l'impiego di "veleni o armi avvelenate" e di "armi, proiettili o sostanze capaci di provocare dolori superflui".
Nonostante questo solenne impegno, le navi giapponesi lanciarono contro le navi russe delle granate contenenti gas asfissianti durante la battaglia di Tsushima, nel 1905; il fatto spinse le grandi potenze a riunirsi di nuovo e a firmare, il 18 ottobre 1907, una seconda convenzione dell'Aja nella quale si mettevano nuovamente al bando le armi chimiche (per inciso la convenzione vietava anche l'impiego dell'aeroplano in guerra); la convenzione però non fu firmata da cinque delle potenze che si sarebbero affrontate pochi anni dopo sui campi d'Europa.
Nonostante questi solenni impegni, la seconda guerra mondiale fu, fin dai primi mesi, il vero banco di prova della guerra chimica.
Nell'ottobre del 1914 i francesi avevano fatto un limitato impiego di gas lacrimogeni, adducendo che non si trattata di sostanze "soffocanti o tossiche" e che quindi il loro uso non violava il trattato dell'Aja.
Come ritorsione il 22 aprile 1915 nella regione di Ypres in Belgio, i francesi, sottoposti da alcune ore ad un violento bombardamento, videro avanzare una nube di gas giallo-verdastro, il terribile cloro, che precedette l'avanzata dei fanti tedeschi.
Due giorni dopo, sempre nella stessa zona, il cloro fu lanciato dai tedeschi contro le truppe canadesi: questo primo saggio di guerra chimica costò la vita a diecimila soldati.
Da allora si ebbe un uso sempre più frequente e intenso di armi chimiche; l'industria chimica offrì agli eserciti sostanze sempre più tossiche capaci di provocare lacrimazioni, di togliere il respiro, di uccidere quasi istantaneamente.
Nello stesso tempo furono cercati e inventati dei sistemi di protezione, a cominciare dalle "maschere antigas", vere e proprie maschere nelle quali l'aria esterna contaminata passava attraverso adatti filtri prima di arrivare ai polmoni.
Se si guardano le illustrazioni della prima guerra mondiale e le immagini che ci vengono dalle esercitazioni antigas nel deserto arabico durante la guerra del Golfo del 1990 si vede che non sono stati fatti grandi progressi.
Vivere, muoversi e combattere con le maschere antigas è una sofferenza grandissima; si fa fatica a respirare ed è difficile disporre di filtri capaci di filtrare tutti i diversi agenti chimici di guerra, tanto più che sono decine e che non si sa quale sarà usato da un nemico.
Se ne accorsero i combattenti della prima guerra mondiale che dovettero affrontare, da entrambe le parti, attacchi, oltre che con cloro, con bromuro e cloruro di cianogeno, con acido cianidrico (usato dai francesi nel 1916), con fosgene --- che provoca dapprima tosse, poi cianosi e infine, nel corso di poche ore, asfissia --- e infine con yprite, usata per la prima volta dai tedeschi a Ypres nel 1917.
Il solfuro di dicloroetile, o gas mostarda --- l'yprite appunto --- - ebbe effetti devastanti perché provoca irritazione e cecità e, ad alta concentrazione, anche la morte.
Molti combattenti sul fronte francese, anche se sono sopravvissuti, hanno portato per tutta la vita i segni dell’esposizione alla terribile sostanza.
Sempre durante la prima guerra mondiale fu impiegato come agente asfissiante la lewisite, un prodotto arsenicale irritante.
Complessivamente il peso dei gas di guerra impiegati durante la prima guerra mondiale ammontò a 13 milioni di kilogrammi.
Chi rilegge a tanti decenni di distanza le cronache di tale guerra, su tutti i fronti, ha una chiara idea dell'impressione lasciata dagli attacchi con armi chimiche; tutti i paesi avrebbero dovuto, a rigore, unirsi per mettere al bando tali armi, per distruggere gli arsenali esistenti.
Effettivamente un tentativo di nuovo accordo si ebbe con la conferenza di Ginevra del 1925; il 17 giugno fu firmato un trattato che, pur con certe ambiguità, proibiva l'uso in guerra di "gas asfissianti, tossici e simili e di tutti i liquidi, materiali e dispositivi analoghi", stabilendo che il divieto era esteso anche a tutti i tipi di guerra batteriologica.
Gli Stati Uniti non firmarono l'accordo del 1925.
La Società delle Nazioni indisse qualche anno dopo una nuova conferenza.
Il 15 gennaio 1931 vari paesi (Regno Unito, Romania, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Giappone, Spagna, Unione Sovietica, Cina, Italia, Canada e Turchia) dichiararono che, secondo loro, l'accordo del 1925 doveva comprendere il divieto dell'uso in guerra di gas lacrimogeni e di altri prodotti chimici irritanti.
Nonostante le dichiarazioni della diplomazia, nel dicembre 1935 il generale Graziani ordinò l'uso dell'yprite contro le truppe etiopiche durante la conquista dell'Africa orientale e i giapponesi usarono gas asfissianti nella campagna contro la Cina fra il 1937 e il 1943.
Del resto nei venti anni fra le due guerre, più o meno segretamente, sono state sviluppate e potenziate molte nuove sostanze adatte per la guerra chimica; nei corsi universitari italiani di chimica c'era addirittura un insegnamento di "Chimica di guerra".
Nel 1940 certamente tutti i paesi avevano delle grandi riserve di potenti armi chimiche.
Fortunatamente, e in maniera abbastanza sorprendente, però, durante la seconda guerra mondiale nessuna delle potenze in lotta volle farvi ricorso.
Anzi nel giugno 1943 il presidente americano Roosevelt condannò l'uso delle armi "inumane" e dichiarò che gli Stati Uniti --- che pure non avevano firmato la convenzione di Ginevra del 1925 --- non le avrebbero mai usate per primi.
Anche se non in guerra, negli anni cinquanta e sessanta agenti di guerra chimica sono stati impiegati dalle truppe britanniche per sedare le rivolte a Cipro, nella Guiana ex-britannica e altrove; armi chimiche sono state impiegate nella guerra civile dello Yemen e poi nella guerra Iran-Iraq.
A rigore sono agenti di guerra chimica anche gli erbicidi, ben noti e di diffuso impiego in agricoltura, lanciati su larga scala dagli Stati Uniti nel Vietnam per distruggere vaste zone di foresta tropicale nella quale si rifugiavano i partigiani vietcong, con l’effetto di distruggere anche molte coltivazioni di riso che rappresentava l’unico alimento disponibile alla popolazione civile.
Alla fine degli anni sessanta la notizia sollevò un grande scandalo tanto più che gli erbicidi usati in guerra erano materiali greggi e poco costosi ed erano contaminati da diossina (un sottoprodotto della loro fabbricazione); questa diossina ha provocato morti e malattie sia fra la popolazione civile sia fra i combattenti, per cui una associazione di reduci per decenni ha fatto causa al governo americano per le ferite riportate a causa dei defolianti usati nel Vietnam.
Il 5 dicembre 1966 l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova risoluzione nella quale sono state condannate le azioni contrarie allo spirito dell'accordo di Ginevra del 1925.
Mentre l'interesse per il problema delle armi chimiche stava di nuovo crescendo, è scoppiato, nell'aprile 1968, lo scandalo delle pecore dello Utah: in una valle di questo stato degli Stati Uniti, vasto e poco abitato, improvvisamente oltre seimila pecore sono morte in modo misterioso.
Le forze armate americane hanno dovuto ammettere, dopo molte reticenze, che l'incidente era dipeso dal fatto che agenti paralizzanti di guerra erano fuoriusciti accidentalmente, a 50 kilometri di distanza, dal campo sperimentale di Dungway, dove venivano provate.
Improvvisamente l'opinione pubblica mondiale si è resa conto di quali progressi la guerra chimica aveva fatto e nuove terribili sigle sono entrate nel vocabolario della morte chimica.
L'arma chimica che aveva ucciso le pecore nello Utah divenne nota come agente VX, un composto di una nuova classe di agenti chimici di guerra, portanti la sigla G o la sigla V.
Si tratta di sostanze appartenenti alla classe degli esteri fosforici, sviluppati principalmente e apertamente come insetticidi, ma le cui proprietà militari sono subito apparse evidenti: del resto molti insetticidi sintetici manifestano la loro azione tossica sull'uomo con lo stesso meccanismo con cui uccidono i parassiti.
Gli esteri fosforici, per esempio, agiscono sul sistema nervoso inibendo, in grado maggiore o minore, l'azione dell'enzima colinesterasi che presiede alla trasmissione degli impulsi nervosi.
In generale gli esteri fosforici possono anche non essere letali, ma provocano disturbi alla respirazione, oppressione, cefalea, sudore, nausea, vomito, effetti paralizzanti.
Nel nuovo vocabolario di morte si incontra il GA, o "tabun", inventato dai tedeschi intorno al 1937: un liquido incolore che viene spruzzato come aerosol; il GB, o "sarin", inventato anch'esso dai tedeschi nel 1938, un liquido incolore e inodore, molto volatile, quattro volte più tossico del fosgene.
Va incontro alla morte chi respira per un minuto aria contenente più di 5 milligrammi per metro cubo di sarin.
Il GD, o "soman", inventato dai tedeschi intorno al 1940, è un liquido con leggero odore di frutta e viene spruzzato come aerosol.
Gli esteri fosforici della seria V comprendono il VE, un liquido, e il VX, una delle sostanze più tossiche.
E' stato calcolato che ucciderebbe il 30 % dei soldati se venisse sparso su un campo di battaglia alla concentrazione di 300 kilogrammi per kilometro quadrato.
Le ricerche di chimica di guerra hanno messo a disposizione degli eserciti altri agenti, questa volta dotati di proprietà irritanti: essi provocano tosse, lacrimazione, malessere per un tempo più o meno lungo.
Si tratta di sostanze solide o liquide, molto volatili, che agiscono generalmente allo stato di vapore, donde il nome di "gas" con cui spesso sono indicati.
L'agente CN, o omega-cloroacetofenone, è una polvere bianca studiata come agente di guerra fin dagli anni trenta; provoca forte irritazione alla pelle e lacrimazione ed è usato talvolta insieme ad un altro "gas", la cloropicrina.
L'agente DM, o adamsite, è un derivato arsenicale che provoca cefalee, tosse, dolore al petto, nausea, vomito.
Il CS (nome usato in Inghilterra; il nome francese e' CB), e' una sostanza denominata orto-cloro-benzalmalonitrile ed è stata inventata nel laboratorio segreto militare inglese di Porton come agente lacrimogeno da usare per domare le rivolte.
E' dotato di proprietà irritanti maggiori di quelle del CN, ma presenta tossicità inferiore al DM.
Il CS colpisce dapprima gli occhi provocando una immediata e grave congiuntivite, accompagnata da sensazione di bruciore e dolore che durano per almeno cinque minuti, dopo che l'esposizione al gas è terminata.
Questi effetti sono accompagnati da difficoltà nella respirazione, tosse, oppressione; gli individui colpiti sono presi dalla paura di non riuscire a respirare e diventano incapaci di difendersi.
E' questo il gas usato contro i dimostranti.
L'elenco delle sostanze di guerra chimica è molto più lungo; è stato proposto l'uso di allucinogeni come il BZ, un derivato dell'acido glicolico, o l'LSD, la dietilamide dell'acido lisergico, usata anche come droga.
Va detto che alcune di queste sostanze potrebbero essere sciolte nell'acqua dei pozzi e potrebbero gettare nel panico un'intera città.
La diminuzione delle possibilità di difesa dei combattenti o delle popolazioni civili potrebbe essere ottenuta mediante sostanze o microrganismi che interferiscono in maniera grave sui meccanismi di sviluppo della vita, provocando malattie o la morte.
Le armi biologiche potrebbero avere effetti ancora più devastanti delle armi chimiche.
Certamente molti paesi possiedono delle riserve di armi biologiche, costituite per lo più da microrganismi patogeni o loro tossine che possono diffondere malattie, epidemie o intossicazioni.
Per avere un’idea della potenziale "efficacia" di tali armi basta pensare come una semplice epidemia influenzale benigna possa rallentare le attività economiche di un paese; o al numero di morti provocate, dopo la seconda guerra mondiale, dalla epidemia influenzale di "spagnola".
Il pericolo è tanto più grave in quanto le reazioni biologiche dei vari individui alle malattie sono molto variabili e dipendono dallo stato di nutrizione e da molti altri fattori.
Oggi la ricerca scientifica al servizio della morte ha messo a punto numerose armi biologiche con effetti terribili; anche in questo caso le notizie disponibili sono quelle filtrate attraverso le cortine del segreto militare o che appaiono occasionalmente nelle riviste e nei libri scientifici.
Fra i batteri si può ricordare quello responsabile del carbonchio, o antrace, una infezione polmonare con effetti mortali.
Nel 1941 questi batteri sono stati sparsi per esperimento nell'isola di Gruinard, nel nord-ovest della Scozia; le spore sono state assorbite dal terreno e l'isola è ancora contaminata e pare lo sarà ancora per un secolo.
Altri batteri presenti negli arsenali militari sono quelli responsabili della dissenteria, della peste, della tularemia, della febbre maltese; quest'ultima malattia è caratterizzata da cefalee, perdita di appetito, perdita di peso; dura mesi e anche anni e provoca un grave indebolimento.
Fra le armi biologiche vi sono agenti che permettono la diffusione di malattie da virus, come encefalite, febbre gialla, poliomielite, vaiolo; gli agenti responsabili della febbre Q, caratterizzata da dolori muscolari, delirio, convulsioni; oppure tossine.
Contro le armi biologiche è difficile predisporre dei sistemi di difesa: per molti agenti patogeni esistono dei vaccini e degli agenti immunitari, ma tali difese sono inefficaci quando un attacco è già stato sferrato.
Queste poche considerazioni sulle armi chimiche e biologiche forniscono una pallida idea del pericolo costituito non solo dal possibile uso di tali armi, ma anche dal solo fatto che ne esistano delle rilevanti scorte.
Quanto si è visto nelle --- fortunatamente poche --- occasioni in cui si è fatto uso di tali armi o quando si sono avute delle perdite e degli inquinamenti accidentali, indica chiaramente che l'uso su larga scala di tali armi costituirebbe un vero suicidio per l'umanità, forse ancora più grave di quello atomico.
Se venissero usate in battaglia, le sostanze attive e tossiche si disperderebbero facilmente nelle acque e nell'aria colpendo, a breve e a lungo termine, nemici, alleati e neutrali, in una tragica carneficina.
E' stato calcolato che la dispersione di appena dieci tonnellate di armi biologiche contaminerebbero un'area grande come un terzo dell'Italia.
Il pericolo deriva dal fatto che, a differenza delle armi atomiche, le armi chimiche e biologiche possono essere fabbricate con mezzi tecnici relativamente rudimentali, addirittura a fianco di altre sostanze per usi civili, come gli antiparassitari agricoli, usando le stesse materie prime e gli stessi impianti.
E' quindi corretto denunciare tali armi come "le atomiche dei poveri".
Del resto una volta che si è aperto il vaso mortale della conoscenza delle armi chimiche e biologiche, si è messa in moto una reazione a catena perché, anche se si decidesse di smantellare gli arsenali esistenti, non si conoscono dei mezzi ecologicamente accettabili con cui sbarazzarsene.
La prima idea sarebbe quella di buttarle in mare; dopo la seconda guerra mondiale gli inglesi hanno disperso almeno centomila tonnellate di armi chimiche in disuso al largo delle coste dell'Irlanda; addirittura non si conosce neanche più il posto esatto dell'affondamento dei relativi fusti.
Fusti contenenti armi chimiche dell’esercito americano sono state gettate, negli anni quaranta e cinquanta del 1900, nell’Adriatico e vengono raccolte, a decenni di distanza, talvolta nelle reti dei pescatori.
Anche le scorte di armi chimiche tedesche, dopo la guerra, sono finite nel mare: decine di migliaia di fusti dell'agente "tabun" sono stati gettati in fondo al Mar Baltico.
Il fatto che finora non sembra si siano verificati avvelenamenti su larga scala del mare o degli organismi marini --- o che non se ne sia venuti a conoscenza --- non esclude la follia di questo modo di procedere.
Ma anche altri sistemi --- interramento, incenerimento --- sono altrettanto insoddisfacenti, come dimostrano i numerosi tentativi fatti negli anni passati.
La situazione si aggrava continuamente a mano a mano che aumentano le scorte o che vengono inventate nuove sostanze" [da Le cose dell'altronovecento - on Web vedi questo significativo articolo: Le armi chimiche di Giorgio Nebbia ].
INDICE GENERALE [DATI RACCOLTI SU MATERIALE CRITICO DOCUMENTARIO DELLA.N.P.I]
-L'ITALIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE: LE NUOVE COMPAGINI POLITICHE
-ORIGINI DEL FASCISMO: IL PROGRAMMA DI SAN SEPOLCRO
-GLI ARDITI DEL POPOLO: NASCITA DEL MOVIMENTO
-LA CONQUISTA DEL POTERE: LA MARCIA SU ROMA DEL 28 OTTOBRE 1922
-FASCISTIZZAZIONE DELL'ITALIA
-IL DELITTO MATTEOTTI: TESTO INTEGRALE DELL' ULTIMO DISCORSO ALLA CAMERA DEL DEPUTATO SOCIALISTA
-DISCORSO DI MUSSOLINI SUL DELITTO MATTEOTTI
-ORDINAMENTO DEL PARTITO FASCISTA
-ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE
-IL MANIFESTO DELLA RAZZA
-LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
-[ Un Paese teoricamente in pace in cui però il Regime già imponeva pubbliche esercitazioni da tenersi in caso di bombardamento aereo: le esperienze a Torino dello scrittore Guido Seborga]
-DECRETO DEL 5/IX/1938 - PROVVEDIMENTI RAZZISTI DELLA SCUOLA FASCISTA
-DISCIPLINA DELL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI DA PARTE DEI CITTADINI DI RAZZA EBRAICA
-PROVVEDIMENTI NEI CONFRONTI DEGLI EBREI STRANIERI
-I CAMPI DI INTERNAMENTO E I LAGER ITALIANI 1943-1945
-LA GUERRA D'ETIOPIA
-GUERRA CIVILE DI SPAGNA: INTERVENTO ITALIANO
-REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: L'ESERCITO DI SALO'
Tramite un percorso multimediale le fortificazione erette tra Italia e Francia in Liguria quali presupposti dell'intervento italiano contro la Francia della II Guerra Mondiale: Vallo Occidentale o "Linea Mussolini" = vedi qui Cima Marta e i Balconi di Marta ed ancora Postazioni d'artiglieria pesante sul Monte Vetta (Castelvittorio)
Un esempio delle devastazioni della II Guerra Mondiale in Italia dopo l'8 settembre 1943, lo sbarco in Sicilia e l'intervento alleato = l' Abbazia di Montecassino: da una carta antica ad un' immagine moderna poi ecco la distruzione dell'abbazia nella omonima battaglia per il controllo della via per Roma
P>
L'ITALIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE: LE NUOVE COMPAGNI POLITICHE
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. I ceti medi e le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiate più delle altre dall'inflazione causata dalle enormi spese militari) e deluse a causa del mancato aumento degli stipendi.
Nel gennaio 1919, i Cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero partito di ispirazione cattolica. Fondatore e ispiratore della nuova formazione fu Don Luigi Sturzo. Intanto il 23 marzo del 1919 Mussolini fondava i fasci di combattimento, a Milano.
Le elezioni politiche del '19 dimostrarono la voglia di novità del popolo italiano, facendo registrare:
il netto declino dei liberali;
la crescita del partito popolare di don Sturzo;
l'enorme forza del partito socialista.
Il Partito socialista ottenne 156 deputati in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel 1913. I liberali persero la maggioranza. Ottennero infatti poco più di 200 deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913.
Nel periodo successivo, tra il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane, contro il taglio degli stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo importante anche il mito della rivoluzione russa e il sogno di fare come in Russia. Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico.
Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte.
Intanto cresceva il partito dei nazionalisti e dei reduci della guerra. La "vittoria mutilata", ovvero il sentimento di scontentezza per l’esito degli accordi di pace di Versailles (l’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria; restarono invece aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia) trovò un ottimo portavoce in Gabriele D’Annunzio. I reduci della Prima Guerra mondiale videro che il loro ruolo non era valorizzato dallo Stato.
Le preoccupazioni della classe politica liberale allora dominante erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire in ogni modo la possibilità di una rivoluzione comunista, del tipo di quella avvenuta in Russia pochi anni prima. La seconda preoccupazione era particolarmente sentita anche dagli industriali e dai possidenti agricoli, che detenevano gran parte delle ricchezze del paese. La cronica indecisione dei governanti italiani fece il resto.
L’Italia si trovò di fronte ad un bivio, e scelse la tragica strada del fascismo credendo portasse lontano, verso un futuro migliore.
IL BIENNIO ROSSO
La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato Democrazia operaia.
Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dall’altra, soprattutto in Emilia e Romagna. Gli scioperanti, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 scioperanti lavoravano, producendo per se stessi. Durante questo periodo, l'Unione Sindacale Italiano (USI) raggiunse quasi un milione di membri.
Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra.
Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si ritornò all’inasprimento dei contrasti, con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920.
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico alle squadre dei "ras" fascisti.
E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le "operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il problema.
LA SCONFITTA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali. A tal uopo presentò anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato.
Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore.
Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono eletti 35, con alla testa Mussilini.
GLI INDUSTRIALI E LE SQUADRE FASCISTE
La violenza fascista continuò anche dopo il biennio rosso, anzi si intensificò. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726. Gli obiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste. Comunisti e anarchici reagirono con la creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).
Il Biennio Rosso rappresentò quindi l’incubatrice di due tendenze opposte, entrambe nate da una scissione del partito socialista: il rivoluzionarismo di stampo bolscevico, che poi si concretizzerà nella fondazione, avvenuta nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno, del P.C.I., un soggetto politico destinato a lasciare un’indelebile impronta nella vita italiana, e contemporaneamente il fascismo reazionario e violento, altrettanto determinante per la storia d’Italia nel XX secolo.
GLI ARDITI DEL POPOLO: NASCITA DEL MOVIMENTO
Nati a Roma gli ultimi giorni di giugno del 1921 da una scissione dell'Associazione nazionale arditi d'Italia, per iniziativa dell'anarchico Argo Secondari (ex tenente dei reparti d'assalto nella prima guerra mondiale), gli Arditi del popolo si propongono di opporsi manu militari alla violenza delle squadre fasciste. Estenuate da mesi di spedizioni punitive, le masse popolari colpite dallo squadrismo accolgono la loro nascita con entusiasmo. Stanche dei crimini fascisti, esse vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione quella volontà di riscossa che trae origine - soprattutto negli strati meno politicizzati della classe lavoratrice - dal puro e semplice istinto di sopravvivenza. La comparsa degli Arditi del popolo rappresenta indubbiamente, per il proletariato italiano, il fatto eclatante dell’estate1921. Sia costituendosi ex novo che appoggiandosi alle sezioni della Lega proletaria (l'associazione reducistica legata al PSI e al PCd'I) o a formazioni paramilitari preesistenti (quali gli Arditi rossi di Trieste o i Figli di nessuno di Genova e Vercelli), nascono in tutta Italia sezioni di Arditi del popolo, pronte a fronteggiare militarmente lo squadrismo fascista. Il nuovo governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, guarda al fenomeno arditopopolare con estrema preoccupazione, poiché la comparsa delle formazioni armate antifasciste rischia di affossare l’ipotesi della realizzazione di un trattato di tregua tra socialisti e fascisti (quello che sarà, nemmeno un mese dopo, il "Patto di pacificazione") fortemente desiderato dal presidente del Consiglio.
Il 6 luglio 1921, presso l'Orto botanico di Roma, ha luogo un'importante manifestazione antifascista alla quale prendono parte migliaia di lavoratori e la cui eco arriva fino a Mosca: la "Pravda" del 10 luglio ne fa infatti un dettagliato resoconto e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall'iniziativa e in polemica con la direzione bordighiana del PCd'I, non ha dubbi a indicarla come esempio da seguire. Dopo questo imponente raduno, la struttura paramilitare antifascista diviene, nel volgere di pochi giorni, un'organizzazione diffusa capillarmente. Le linee di espansione dell'associazione seguono, principalmente, le direttrici che dalla capitale conducono a Genova (Civitavecchia, Tarquinia, Orbetello, Piombino, Livorno, Pisa, Sarzana, La Spezia) e ad Ancona (Monterotondo, Orte, Terni, Spoleto, Foligno, Gualdo Tadino, Iesi). Ma anche in molti altri centri al di fuori di queste due vie di comunicazione gli arditi del popolo riescono a costituirsi in gruppi numericamente consistenti. Rilevanti sono, a riguardo, quelli del Pavese, di Parma, Piacenza, Brescia, Bergamo, Vercelli, Torino, Firenze, Catania e Taranto. Ma anche in alcuni centri minori gli arditi del popolo riescono ad organizzarsi efficacemente.
LA CONQUISTA DEL POTERE: LA MARCIA SU ROMA DEL 28 OTTOBRE 1922
La possibilità di conquistare il potere con la forza fu prospettata per la prima volta da Benito Mussolini il 29 settembre 1922, in una seduta segreta a Firenze della direzione fascista. La decisione di passare all’azione si ebbe il 16 ottobre 1922, nella riunione a Milano del gruppo dirigente fascista, nel corso della quale venne anche costituito il quadrumvirato che avrebbe diretto l'insurrezione, formato da De Vecchi, De Bono, Balbo e Bianchi. Pochi giorni dopo, il 24 ottobre, al Congresso fascista di Napoli, arrivò il proclama ufficiale di Mussolini: "O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma".
Secondo i piani, il quadrunvirato, insediato a Perugia, avrebbe assunto nella notte tra il 26 e il 27 i pieni poteri e nei due giorni successivi sarebbe seguita la mobilitazione delle squadre fasciste che avrebbero occupato i punti chiave dell'Italia centrale. Le bande destinate a marciare sulla capitale (26.000 uomini) furono inquadrate in quattro colonne (una di riserva e tre concentrate a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli) e cominciarono a muovere verso Roma il 27. Mussolini rimase a Milano in attesa degli sviluppi della situazione a livello governativo.
In grande ritardo, dopo la mezzanotte tra il 27 e il 28 ottobre 1922, il presidente del consiglio Luigi Facta, richiamato il re da San Rossore (Pisa) a Roma, convocò il Consiglio dei ministri per predisporre il decreto di stato d’assedio, che dava pieni poteri al governo per disperdere i fascisti con l'esercito. Il generale Pugliese, capo del territorio di Roma, predispose, con i suoi 28.000 uomini, la difesa della capitale. La mattina del 28 le bande fasciste vennero temporaneamente fermate a Civitavecchia, Orte, Avezzano e Segni.
Vittorio Emanuele III, che alle due del mattino aveva espresso il suo accordo con la decisione del governo, quando di prima mattina ricevette Facta con il decreto (che era già stato affisso nelle strade della capitale), anche perché influenzato dal parere negativo di Salandra e di Giolitti, si rifiutò di firmarlo.
Caduto Facta, il re propose a Mussolini un ministero con Salandra, ma il duce rifiutò sostenendo la richiesta di un governo interamente fascista. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele cedette e chiese formalmente a Mussolini di formare il nuovo esecutivo.
Quando i fascisti entrarono a Roma, era già tutto deciso. Nonostante la successiva mitizzazione della "marcia", essa fu essenzialmente una parata: le squadre fasciste, infatti, giunsero nella capitale 24 ore dopo che Mussolini aveva già ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. Lo stesso duce arrivò a Roma in vagone-letto da Milano la mattina del 30 ottobre e la sera salì al Quirinale per sottoporre al re la lista dei suoi ministri.
La marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini rappresentarono il momento culminante di un periodo di scioperi (il cosiddetto biennio rosso, 1919-20), violenza e illegalità diffusa cui le istituzioni dello Stato liberale - governi deboli e incapaci di durare a lungo - non erano riuscite a porre rimedio, e che aveva visto gli squadristi fascisti protagonisti, in contrapposizione ai socialisti, ai sindacati e alle leghe contadine.
Vissuto in forma minoritaria e marginale fino all’inizio del 1921, il fascismo si inserì nel vuoto di potere e nella crisi dello Stato liberale mediante la violenza e le spedizioni punitive delle "squadre d’azione" - spesso tollerate dalle autorità locali e in alcuni casi perfino appoggiate da esercito e polizia - contro Case del Popolo, sezioni socialiste e amministrazioni comunali rosse. Con le parole d’ordine del nazionalismo e dell’anti-socialismo, il movimento di Benito Mussolini raccolse in breve tempo il largo consenso sia di ex-combattenti, agrari a media borghesia urbana, sia dei centri di potere degli industriali e dell’alta borghesia (di qui la tesi secondo la quale l’avvento del fascismo avrebbe avuto la funzione di impedire la presa del potere da parte dei socialisti in Italia, accreditata anche dal fatto che le forze conservatrici europee inizialmente guardano con un certo favore all’ascesa di Mussolini).
Quando Mussolini andò al potere, buona parte della classe politica liberale era convinta che sarebbe durato poco. Lo stesso Giolitti, del resto, inserendo i fascisti nei Blocchi Nazionali - l’alleanza elettorale per il rinnovo del Parlamento del maggio 1921 - si era illuso di poterne sfruttare la forza contro l’esuberanza della classe operaia, per poi far rientrare gli squadristi nella legalità. Il fascismo invece si stava rapidamente costituendo come una vera e propria struttura statuale alternativa e quindi in grado di sostituirsi al modello liberale in decomposizione.
FASCISTIZZAZIONE DELL'ITALIA
Il primo governo Mussolini, al quale partecipano anche ministri liberali, ottiene il voto di fiducia di un ampio fronte parlamentare che va dalla maggioranza dei liberali al partito popolare (306 voti favorevoli e 116 contrari).
Utilizzando i poteri costituzionali, tra il 1922 e il 1925, Mussolini svolge un sistematico processo di fascistizzazione dello Stato, delle sue strutture e del suo ordinamento, gettando le basi della dittatura: rafforzamento del potere esecutivo, indebolimento delle prerogative del Parlamento, integrazione delle strutture militari e politiche fasciste nell’apparato statale, riduzione del pluralismo politico per imporre il partito unico, eliminazione delle libertà costituzionali come quelle di stampa, di associazione e di sciopero.
Nel 1922 nasce il Gran Consiglio del fascismo e l’anno seguente lo squadrismo viene istituzionalizzato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, con il doppio scopo da parte di Mussolini di potersene servire contro i nemici politici ed esercitare un controllo diretto sul braccio armato del suo stesso movimento.
Sempre nel 1923, viene approvata una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che elimina di fatto il sistema proporzionale fissando un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi per la lista che ottiene più del 25%.
Le elezioni dell’aprile 1924 si svolgono in un clima di terrore e di violenza.
Le opposizioni sono disunite e non riescono ad offrire una alternativa valida al "listone" fascista - cui aderiscono anche la maggior parte dei liberali, escluso Giolitti - che conquista 403 seggi contro i 106 delle opposizioni. Poco dopo però il fascismo si trova a dover affrontare una gravissima crisi.
In seguito al rapimento e all’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, che all’apertura della nuova Camera aveva denunciato le illegalità e le violenze della campagna elettorale, nel paese si diffonde una ondata di proteste e indignazione. Le forze d’opposizione, dai liberali di Amendola, ai socialisti, ai comunisti, abbandonano il Parlamento e si ritirano su quello che Filippo Turati definisce "l’Aventino delle coscienze".
Restano però le differenze interne - più prudenti i liberali e i socialisti, mentre i comunisti pensano ad un vero e proprio Parlamento alternativo - e il progetto di convincere il re a liquidare Musolini e indire nuove elezioni ripristinando la proporzionale fallisce.
Il 3 gennaio 1925 Mussolini pronuncia il seguente discorso alla Camera: "Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto".
Nei giorni seguenti vengono imbavagliati i giornali di opposizione, chiusi 35 circoli politici, sciolte 25 organizzazioni definite "sovversive", serrati 150 esercizi pubblici, arrestati 111 oppositori ed eseguite 655 perquisizioni domiciliari.
Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una volta in modo selvaggio: Amendola, principale capo dell’opposizione dopo la morte di Matteotti, fù nuovamente aggredito, il 20 luglio 1925, da una squadra guidata da Carlo Scorza, futuro segretario del partito fascista, e morì nell’aprile successivo in Francia; la famiglia Rosselli subì tre "azioni punitive"; Filippo Turati e Gaetano Salvemini furono forzati a seguire in esilio Sturzo e Nitti.
Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come quella del 18 dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche alla Camera dei deputati, del resto chiusa per lunghi periodi agli oppositori, i fascisti, non permettevano praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo.
Pochi mesi dopo vengono varate le "leggi fascistissime". Approfittando dell’attentato progettato dal deputato Tito Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre 1925), Mussolini fece occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario e ne soppresse l’organo La Giustizia, s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa, sciolse centinaia di associazioni, decretò il licenziamento di migliaia di impiegati statali, tolse la cittadinanza agli esuli politici, modificò o Statuto stabilendo che al capo del governo, nominato dal re e non più soggetto alla fiducia parlamentare, venivano attribuiti poteri speciali tra cui la nomina a sua discrezione dei ministri e la decisione sugli argomenti in discussione in Parlamento. All’inizio del 1926 vengono abolite le amministrazioni locali di nomina elettiva e il sindaco viene sostituito dal podestà di nomina governativa.
E non era finita. In seguito a un altro attentato assai misterioso, che venne attribuito al giovinetto Anteo Zamboni, linciato sul posto a Bologna il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti - a eccezione, naturalmente, di quello fascista -, soppresse i giornali antifascisti, istituì la pena del confino, introdusse la pena di morte, creò la polizia segreta (OVRA) e il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, col compito di reprimere i reati politici, cioè gli oppositori del fascismo, proclamò la decadenza di 120 deputati d’opposizione accusati di aver disertato i lavori parlamentari, compresi però i comunisti che a Montecitorio erano rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione.
Tutti questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse consentita la minima discussione. Durissime condanne furono comminate agli oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma furono centinaia gli antifascisti che riempirono le carceri).
Le investigazioni e la repressione furono attuate soprattutto dagli uffici speciali di polizia che costituirono l’OVRA, la cui sigla, sempre rimasta misteriosa, fu inventata personalmente da Mussolini.
Col novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del "regime".
Comincia la fascistizzazione di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e professionali.
La soppressione di libere elezioni completa l’opera.
Il regime parlamentare, a questo punto, non esiste più, sostituito da un regime autoritario a partito unico, incentrato sull’autorità del capo del governo e basato sul terrore poliziesco.
IL DELITTO MATTEOTTI: ULTIMO DISCORSO ALLA CAMERA DEL DEPUTATO SOCIALISTA
Il discorso pronunciato da Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 (peraltro preceduto da un coinvolgente articolo giornalistico)alla Camera dei deputati costituisce, oltre che un duro attacco ai suoi avversari politici, un esempio un piccolo gioiello di analisi storico-politica.
Nel corso del suo intervento il deputato del Partito socialista unitario accusò esplicitamente il regime fascista - che andava gradualmente estendendo la sua influenza nel paese dopo il successo elettorale dello stesso anno - di violenze, intimidazioni e frodi, sia nel corso della campagna elettorale sia durante le operazioni di voto nei seggi.
Il fascismo, nel corso del biennio 1922-24, aveva operato su un doppio binario: uno legale ed uno relativamente clandestino e illegale.
Da un lato il gabinetto Mussolini cercava l’accordo con le forze politiche di centro-destra, liberali e cattolici; dall’altro operava, grazie alla sua milizia, con interventi violenti ed intimidatori, contro gli esponenti dei partiti di opposizione.
In questo clima si giunse allo scioglimento della Camera, il 28 gennaio 1924.
Le nuove elezioni furono regolate dalla legge-Acerbo, legge elettorale che consentiva alla lista che avesse conseguito almeno il venticinque per cento dei suffragi di ottenere in Parlamento i due terzi dei seggi.
Palese era - dunque - lo scopo di rafforzare in maniera decisiva il nuovo potere fascista.
Del listone presentato dal Pnf fecero parte anche uomini politici esterni allo stesso Pnf, che confidavano di smussare le asperità del movimento capeggiato da Mussolini e di ricondurlo su un piano di normalità costituzionale.
Sull’altro fronte i partiti dell’opposizione si scontrarono circa l’opportunità di prendere parte o meno alla tornata elettorale.
Particolarmente duro fu lo scontro tra il Psu dello stesso Matteotti ed il Pcd’I di Togliatti, Gramsci, Terracini: i primi erano contrari alla partecipazione, i secondi favorevoli, per non lasciar campo libero al fascismo.
La campagna elettorale fu di una violenza inaudita, caratterizzata dagli interventi pesanti delle squadracce fasciste.
E di questo clima rovente si fece testimone Matteotti nel suo discorso che, tra l’altro, fu l’ultimo che pronunciò prima del suo assassinio, avvenuto il 10 giugno 1924.
L’intervento si svolse in un’atmosfera rissosa, caratterizzata da attacchi ad personam, a opera dei principali esponenti del Pnf, a partire da Roberto Farinacci. Matteotti proseguì comunque nel suo discorso, apostrofando, spesso con ironia, le accuse e le invettive dei fascisti.
Nel corso del suo intervento, più volte interrotto, egli chiese, in primo luogo, la non convalida delle elezioni del 6 aprile, proprio in ragione delle violenze che ne avevano caratterizzato lo svolgimento.
A tale proposito ricordò fatti di gravità eccezionale, a partire dalle minacce contro i notai che avessero autenticato le firme necessarie per la presentazione delle liste e dai sequestri, ad opera della milizia, dei fogli con le firme già autenticate. Minacce - accusava- arrivavano addirittura a coloro che avevano intenzione di candidarsi alle elezioni.
A tal riguardo Matteotti portò l’esempio dell’onorevole Piccinini, assassinato per aver accettato la candidatura.
Matteotti ricordò anche la conferenza dell’onorevole Gonzales a Genova, che fu impedita “a furia di bastonate” dagli squadristi.
Ricordò episodi dello stesso tipo verificatisi a Napoli, nel corso di un comizio di Amendola.
Proseguendo fra le frequenti interruzioni il deputato socialista ricordò che le pressioni si fecero ancor più pesanti ed evidenti anche all’interno dei seggi elettorali: i rappresentanti delle liste di opposizione erano pressoché assenti, mentre quelli del Pnf spadroneggiavano, spalleggiati dalla milizia fascista, alla quale era affidata la cura del servizio d’ordine nei seggi.
I componenti della milizia giunsero addirittura a entrare nelle cabine elettorali, mentre gli elettori votavano, condizionandone la scelta finale. Al momento dello spoglio i voti furono cambiati ed attribuiti al “listone”.
Le schede bianche furono crociate a favore dei candidati fascisti.
Solo nei centri di maggior visibilità, posti sotto un maggior controllo da parte dell’opinione pubblica, le milizie fasciste si trattennero.
Proprio in tali centri, godendo di un’insolita libertà, “le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza, con questa conseguenza però, che la violenza che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni”.
Nel Sud si fece incetta dei certificati e i destinatari, per paura di ritorsioni, non si recarono a votare.
Quindi le medesime persone, usando tali certificati, votarono anche dieci volte e “giovani di 20 anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto 60 anni”.
Pochi furono i seggi in cui tale pratica fu impedita.
IL TESTO DEL DISCORSO DI MATTEOTTI
Presidente "Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteotti. Ne ha facoltà".
Matteotti "Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni la proposta di convalida di numerosi colleghi. Nessuno certamente, degli appartenenti a questa Assemblea, all'infuori credo dei componenti la Giunta delle elezioni, saprebbe ridire l'elenco dei nomi letti per la convalida, nessuno, né della Camera né delle tribune della stampa (Vive interruzioni alla destra e al centro)".
Lupi "È passato il tempo in cui si parlava per le tribune!".
Matteotti "Certo la pubblicità è per voi un'istituzione dello stupidissimo secolo XIX. (Vivi rumori. Interruzioni alla destra e al centro) Comunque, dicevo, in questo momento non esiste da parte dell'Assemblea una conoscenza esatta dell'oggetto sul quale si delibera. Soltanto per quei pochissimi nomi che abbiamo potuto afferrare alla lettura, possiamo immaginare che essi rappresentino una parte della maggioranza. Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... (Interruzioni)".
Voci al centro "Ed anche più!".
Matteotti "... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbe darsi che i nomi letti dal Presidente sieno di quei capilista che resterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, si applicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poiché nessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazione generica di tale specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza (Rumori vivissimi). Vorrei pregare almeno i colleghi, sulla elezione dei quali oggi si giudica, di astenersi per lo meno dai rumori, se non dal voto. (Vivi commenti - Proteste - Interruzioni alla destra e al centro)".
Maraviglia "In contestazione non c'è nessuno, diversamente si asterrebbe!".
Matteotti "Noi contestiamo...".
Maraviglia "Allora contestate voi!".
Matteotti "Certo sarebbe maraviglia se contestasse lei! L'elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se... (Vivaci interruzioni a destra e al centro Movimenti dell'onorevole presidente del Consiglio)".
Voci a destra "Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra! (Applausi alla destra e al centro)".
Matteotti "Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra) Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito...".
Maraviglia "Hanno votato otto milioni di italiani!".
Matteotti "... se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. (Rumori e interruzioni a destra)".
Una voce a destra "E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?".
Farinacci "Potevate fare la rivoluzione!".
Maraviglia "Sarebbero stati due milioni di eroi!".
Matteotti "A rinforzare tale proposito dei Governo, esiste una milizia armata... (Applausi vivissimi e prolungati a destra e grida di "Viva la milizia")".
Voci a destra "Vi scotta la milizia!".
Matteotti "... esiste. una milizia armata... (Interruzioni a destra, rumori prolungati)".
Voci "Basta! Basta!".
Presidente "Onorevole Matteotti, si attenga all'argomento".
Matteotti "Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma io parlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato. (Interruzioni e rumori a destra)".
Voci a destra "E le guardie rosse?".
Matteotti "Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (Commenti) In aggiunta e in particolare... (Interruzioni), mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero... (Interruzioni, rumori)".
Farinacci "Erano i balilla!".
Matteotti "È vero, on. Farinacci, in molti luoghi hanno votato anche i balilla! (Approvazioni all'estrema sinistra, rumori a destra e al centro)".
Voce al centro "Hanno votato i disertori per voi!".
Gonzales "Spirito denaturato e rettificato!".
Matteotti "Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne (Interruzioni), gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine (Rumori). A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso. e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezione in Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali. (Interruzioni, commenti)".
Voci a destra "Perché avete paura! Perché scappate!".
Matteotti "Forse al Messico si usano fare le elezioni non con le schede, ma col coraggio di fronte alle rivoltelle (Vivi rumori. Interruzioni, approvazioni all'estrema sinistra). E chiedo scusa al Messico, se non è vero! (Rumori prolungati) I fatti cui accenno si possono riassumere secondo i diversi momenti delle elezioni. La legge elettorale chiede... (Interruzioni, rumori)".
Greco "È ora di finirla! Voi svalorizzate il Parlamento!".
Matteotti "E allora sciogliete il Parlamento".
Greco "Voi non rispettate la maggioranza e non avete diritto di essere rispettati".
Matteotti "Ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale, presentare la propria lista di candidati... (Vivi rumori)".
Maraviglia "Ma parli sulla proposta dell'onorevole Presutti".
Matteotti "Richiami dunque lei all'ordine il Presidente! La presentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei. circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza. (Rumori vivissimi)".
Bastianini "Questo lo dice lei!".
Voci dalla destra "Non è vero, non è vero".
Matteotti "Volete i singoli fatti? Eccoli: ad Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata... (Rumori)".
Maraviglia "Non è vero. Lo inventa lei in questo momento". Farinacci "Va a finire che faremo sul serio quello .che non abbiamo fatto!". Matteotti "Fareste il vostro mestiere!". Lussu "È la verità, è la verità!...".
Matteotti "A Melfi... (Rumori vivissimi - Interruzioni) a Melfi è stata impedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori). In Puglia fu bastonato perfino un notaio (Rumori vivissimi)".
Aldi-Mai "Ma questo nei ricorsi non c'è! In nessuno dei ricorsi! Ho visto gli atti delle Puglie e in nessun ricorso è accennato il fatto di cui parla l'on. Matteotti".
Farinacci "Vi faremo cambiare sistema! E dire che sono quelli che vogliono la normalizzazione!".
Matteotti "A Genova (Rumori vivissimi) i fogli con le firme già raccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati".
Voci "Perché erano falsi".
Matteotti "Se erano falsi, dovevate denunciarli ai magistrati!".
Farinacci "Perché non ha fatto i reclami alla Giunta delle elezioni?".
Matteotti "Ci sono".
Una voce dal banco delle commissioni "No, non ci sono, li inventa lei".
Presidente "La Giunta delle elezioni dovrebbe dare esempio di compostezza! I componenti della Giunta delle elezioni parleranno dopo. Onorevole Matteotti, continui".
Matteotti "Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria per nessuno in ciò che dico: c'è una descrizione di fatti".
Teruzzi "Che non esistono!".
Matteotti "Da parte degli onorevoli componenti della Giunta delle elezioni si protesta che alcuni di questi fatti non sono dedotti o documentati presso la Giunta delle elezioni. Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voi sapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopra un giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono state immediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità di confermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottenni da questa Camera l'annullamento per violenze di una prima elezione fascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delle elezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamente comunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perché avevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processo fascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi (Rumori, interruzioni)".
Voci a destra "Lo provi".
Matteotti "La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove del fatto. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costretti a portare in questa Camera l'eco di quelle proteste che altrimenti nel Paese non possono avere alcun'altra voce ed espressione. (Applausi all'estrema sinistra) In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre provincie. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite".
Una voce dal banco della giunta "Dove furono impedite?".
Matteotti "A Melfi, a Iglesias, in Puglia... devo ripetere? (Interruzioni, rumori) Presupposto essenziale di ogni elezione è che i candidati, cioè coloro che domandano al suffragio elettorale il voto, possano esporre, in contraddittorio con il programma del Governo, in pubblici comizi o anche in privati locali, le loro opinioni. In Italia, nella massima parte dei luoghi, anzi quasi da per tutto, questo non fu possibile".
Una voce "Non è vero! Parli l'onorevole Mazzoni! (Rumori)".
Matteotti "Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delle minoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi, soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioni particolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? La Camera ricorderà l'incidente occorso al collega Gonzales".
Teruzzi "Noi ci ricordiamo del 1919, quando buttavate gli ufficiali nel Naviglio. lo, per un anno, sono andato a casa con la pena di morte sulla testa!".
Matteotti "Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919".
Voci "Non è vero! non è vero!".
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno "Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi!".
Matteotti "Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero. sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)".
Finzi "Non è così!".
Matteotti "Porterò i giornali vostri che lo attestano".
Finzi "Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà".
Matteotti "L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)".
Teruzzi "È ora di finirla con queste falsità".
Matteotti "L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)".
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti "Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)".
Presidente "Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda".
Matteotti "L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...".
Voci "Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti!".
Gonzales "I fatti non sono improvvisati! (Rumori)".
Matteotti "Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! - Rumori)".
Voci da destra "Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti!".
Matteotti "Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità!".
Greco "Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti".
Matteotti "L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città ...".
Presutti "Dica bande armate, non corpi armati!".
Matteotti "Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!".
Voci di destra "Per paura! Per paura! (Rumori - Commenti)".
Farinacci "Vi abbiamo invitati telegraficamente!".
Matteotti "Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)".
Voci da destra "L'avete studiato bene!".
Pedrazzi "Come siete pratici di queste cose, voi!".
Presidente "Onorevole Pedrazzi!".
Matteotti "Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni!".
Voci a destra "Avevano paura!".
Turati Filippo "Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)".
Una voce "Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato".
Turati Filippo "Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)".
Presidente "Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti!".
Matteotti "Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! (Approvazioni a sinistra - Rumori prolungati)".
Presidente "Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...".
Matteotti "Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)".
Casertano presidente della Giunta delle elezioni "Chiedo di parlare".
Presidente "Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta".
Matteotti "Onorevole Presidente!...".
Presidente "Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente".
Matteotti "Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!".
Presidente "Parli, parli".
Matteotti "I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)".
Presidente "Facciano silenzio! Lascino parlare!".
Matteotti "Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)".
Una voce "Erano disoccupati!".
Matteotti "No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate".
Voci da destra "E quando li boicottate voi?".
Farinacci "Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco!".
Matteotti "Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)".
Voci "E Berta? Berta!".
Matteotti "... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe - stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati - voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo - e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere - fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza - con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni... (Vivissimi rumori al centro e a destra)".
Una voce a destra "Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti!".
Matteotti "Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente".
Finzi "Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato!".
Matteotti "Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato".
Finzi "Lo provi".
Matteotti "In queste regioni tutti gli elettori...".
Ciarlantini "Lei ha un trattato, perché non lo pubblica?".
Matteotti "Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. (Rumori)".
Voci "No! No!".
Matteotti "Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)".
Suardo "L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori - Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)".
Teruzzi "L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti. (Rumori all'estrema sinistra)".
Presidente "Facciano silenzio!
Onorevole Matteotti, concluda!".
Matteotti "lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo".
Torre Edoardo "Basta, la finisca! (Rumori, commenti) . Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti - Rumori)".
Voci "Vada in Russia!".
Presidente "Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!".
Matteotti "Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori) ... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza".
Voci alla destra "Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)".
Matteotti "[...] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra - Vivi rumori)".
DISCORSO DI MUSSOLINI SUL DELITTO MATTEOTTI
Roma, Camera dei Deputati 3 gennaio 1925
Signori!
Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere, a rigor di termini, classificato come un discorso parlamentare.
Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si riallaccia, sia pure attraverso il varco del tempo trascorso, a quello che io pronunciai in questa stessa Aula il 16 novembre.
Un discorso di siffatto genere può condurre, ma può anche non condurre ad un voto politico.
Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi.
L'articolo 47 dello Statuto dice:
"La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all'Alta corte di giustizia".
Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c'è qualcuno che si voglia valere dell'articolo 47.
Il mio discorso sarà quindi chiarissimo e tale da determinare una chiarificazione assoluta.
Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio, ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell'avvenire.
Sono io, o signori, che levo in quest'Aula l'accusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka. Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo! Veramente c'è stata una Ceka in Russia, che ha giustiziato senza processo, dalle centocinquanta alle centosessantamila persone, secondo statistiche quasi ufficiali. C'è stata una Ceka in Russia, che ha esercitato il terrore sistematicamente su tutta la classe borghese e sui membri singoli della borghesia. Una Ceka, che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione.
Ma la Ceka italiana non è mai esistita.
Nessuno mi ha negato fino ad oggi queste tre qualità: una discreta intelligenza, molto coraggio e un sovrano disprezzo del vile denaro.
Se io avessi fondato una Ceka, l'avrei fondata seguendo i criteri che ho sempre posto a presidio di quella violenza che non può essere espulsa dalla storia. Ho sempre detto, e qui lo ricordano quelli che mi hanno seguito in questi cinque anni di dura battaglia, che la violenza, per essere risolutiva, deve essere chirurgica, intelligente, cavalleresca.
Ora i gesti di questa sedicente Ceka sono stati sempre inintelligenti, incomposti, stupidi.
Ma potete proprio pensare che nel giorno successivo a quello del Santo Natale, giorno nel quale tutti gli spiriti sono portati alle immagini pietose e buone, io potessi ordinare un'aggressione alle l0 del mattino in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso di Monterotondo, che è stato f orse il discorso più pacificatore che io abbia pronunziato in due anni di Governo? Risparmiatemi di pensarmi così cretino.
E avrei ordito con la stessa intelligenza le aggressioni minori di Misuri e di Forni? Voi ricordate certamente il discorso del I° giugno. Vi è forse facile ritornare a quella settimana di accese passioni politiche, quando in questa Aula la minoranza e la maggioranza si scontravano quotidianamente, tantochè qualcuno disperava di riuscire a stabilire i termini necessari di una convivenza politica e civile fra le due opposte parti della Camera.
Discorsi irritanti da una parte e dall'altra. Finalmente, il 6 giugno, l'onorevole Delcroix squarciò, col suo discorso lirico, pieno di vita e forte di passione, l'atmosfera carica, temporalesca.
All'indomani, io pronuncio un discorso che rischiara totalmente l'atmosfera. Dico alle opposizioni: riconosco il vostro diritto ideale ed anche il vostro diritto contingente; voi potete sorpassare il fascismo come esperienza storica; voi potete mettere sul terreno della critica immediata tutti i provvedimenti del Governo fascista.
Ricordo e ho ancora ai miei occhi la visione di questa parte della Camera, dove tutti intenti sentivano che in quel momento avevo detto profonde parole di vita e avevo stabilito i termini di quella necessaria convivenza senza la quale non è possibile assemblea politica di sorta.
E come potevo, dopo un successo, e lasciatemelo dire senza falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo così clamoroso, che tutta la Camera ha ammesso, comprese le opposizioni, per cui la Camera si aperse il mercoledì successivo in un'atmosfera idilliaca, da salotto quasi, come potevo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, non dico solo di far commettere un delitto, ma nemmeno il più tenue, il più ridicolo sfregio a quell'avversario che io stimavo perché aveva una certa crarerie, un certo coraggio, che rassomigliavano qualche volta al mio coraggio e alla mia ostinatezza nel sostenere le tesi?
Che cosa dovevo fare? Dei cervellini di grillo pretendevano da me in quella occasione gesti di cinismo, che io non sentivo di fare perché repugnavano al profondo della mia coscienza. Oppure dei gesti di forza? Di quale forza? Contro chi? Per quale scopo?
Quando io penso a questi signori, mi ricordo degli strateghi che durante la guerra, mentre noi mangiavamo in trincea, facevano la strategia con gli spillini sulla carta geografica. Ma quando poi si tratta di casi al concreto, al posto di comando e di responsabilità si vedono le cose sotto un altro raggio e sotto un aspetto diverso.
Eppure non mi erano mancate occasioni di dare prova della mia energia. Non sono ancora stato inferiore agli eventi. Ho liquidato in dodici ore una rivolta di Guardie regie, ho liquidato in pochi giorni una insidiosa sedizione, in quarantott'ore ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corfù.
Questi gesti di energia, e quest'ultimo, che stupiva persino uno dei più grandi generali di una nazione amica, stanno a dimostrare che non è l'energia che fa difetto al mio spirito.
Pena di morte? Ma qui si scherza, signori. Prima di tutto, bisognerà introdurla nel Codice penale, la pena di morte; e poi, comunque, la pena di morte non può essere la rappresaglia di un Governo. Deve essere applicata dopo un giudizio regolare, anzi regolarissimo, quando si tratta della vita di un cittadino!
Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vita, che io dissi: "voglio che ci sia la pace per il popolo italiano"; e volevo stabilire la normalità della vita politica.
Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto, con la secessione dell'Aventino, secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria. Poi con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C'era veramente un accesso di necrofilia! Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva.
E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna.
E intanto c'è un risultato di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare l'ucciso e spara su uno dei nostri migliori, che morì povero. Aveva sessanta lire in tasca.
Tuttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazione e di normalità. Reprimo l' illegalismo.
Non è menzogna. Non è menzogna il fatto che nelle carceri ci sono ancor oggi centinaia di fascisti! Non è menzogna il fatto che si sia riaperto il Parlamento regolarmente alla data fissata e si siano discussi non meno regolarmente tutti i bilanci, non è menzogna il giuramento della Milizia, e non è menzogna la nomina di generali per tutti i comandi di Zona.
Finalmente viene dinanzi a noi una questione che ci appassionava: la domanda di autorizzazione a procedere con le conseguenti dimissioni dell'onorevole Giunta.
La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta; pure, dopo quarantott'ore, io piego ancora una volta, giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente, piego questa Assemblea riottosa e riluttante e dico: siano accettate le dimissioni. Si accettano. Non basta ancora; compio un ultimo gesto normalizzatore: il progetto della riforma elettorale.
A tutto questo, come si risponde? Si. risponde con una accentuazione della campagna. Si dice: il fascismo è un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale, e noi conosciamo la triste storia delle questioni morali in Italia.
Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.
Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!
Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.
In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandavano: c'è un Governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo?
Io ho voluto deliberatamente che le cose giungessero a quel determinato punto estremo, e, ricco della mia esperienza di vita, in questi sei mesi ho saggiato il Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna battere con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la tangente.
Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi della nazione. Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere! Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!
Ed era colma perché? Perché la spedizione dell'Aventino ha sfondo repubblicano! Questa sedizione dell' Aventino ha avuto delle conseguenze perché oggi in Italia, chi è fascista, rischia ancora la vita! E nei soli due mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti uccisi, uno dei quali ha avuto la testa spiaccicata fino ad essere ridotta un'ostia sanguinosa, e un altro, un vecchio di settantatre anni, è stato ucciso e gettato da un muraglione.
Poi tre incendi si sono avuti in un mese, incendi misteriosi, incendi nelle Ferrovie e negli stessi magazzini a Roma, a Parma e a Firenze.
Poi un risveglio sovversivo su tutta la linea, che vi documento, perché è necessario di documentare, attraverso i giornali, i giornali di ieri e di oggi: un caposquadra della Milizia ferito gravemente da sovversivi a Genzano; un tentativo di assalto alla sede del Fascio a Tarquinia; un fascista ferito da sovversivi a Verona; un milite della Milizia ferito in provincia di Cremona; fascisti feriti da sovversivi a Forlì; imboscata comunista a San Giorgio di Pesaro; sovversivi che cantano Bandiera rossa e aggrediscono i fascisti a Monzambano.
Nei soli tre giorni di questo gennaio l925, e in una sola zona, sono avvenuti incidenti a Mestre, Pionca, Vallombra: cinquanta sovversivi armati di fucili scorrazzano in paese cantando Bandiera rossa e fanno esplodere petardi; a Venezia, il milite Pascai Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso, un altro fascista è ferito; a Crespano, la caserma dei carabinieri invasa da una ventina di donne scalmanate; un capomanipolo aggredito e gettato in acqua a Favara di Venezia; fascisti aggrediti da sovversivi a Mestre; a Padova, altri fascisti aggrediti da sovversivi.
Richiamo su ciò la vostra attenzione, perché questo è un sintomo: il diretto l92 preso a sassate da sovversivi con rotture di vetri; a Moduno di Livenza, un capomanipolo assalito e percosso.
Voi vedete da questa situazione che la sedizione, dell'Aventino ha avuto profonde ripercussioni in tutto il paese. Allora viene il momento in cui si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza.
Non c'è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai.
Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono in piena efficienza.
Signori!
Vi siete fatte delle illusioni! Voi avete creduto che il fascismo fosse finito perché io lo comprimevo, che fosse morto perché io lo castigavo e poi avevo anche la crudeltà di dirlo. Ma se io mettessi la centesima parte dell'energia che ho messo a comprimerlo, a scatenarlo, voi vedreste allora.
Non ci sarà bisogno di questo, perché il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell'Aventino. L'Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa.
Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario.
Voi state certi che nelle quarantott'ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l'area. Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria.
ORDINAMENTO DEL PARTITO FASCISTA
Il Partito Nazionale Fascista è costituito, su base nazionale, da due organi centrali:
Il Direttorio nazionale e il Consiglio Nazionale
IL DIRETTORIO NAZIONALE
Presieduto dal Segretario del Partito e costituito da tre vice Segretari, un Segretario amministrativo e da otto componenti, nominati e revocati dal Duce, su proposta del Segretario del P.N.F.
IL CONSIGLIO NAZIONALE
Presieduto dal Segretario del Partito, è costituito dal Direttorio Nazionale, dagli Ispettori del P.N.F., dai Segretari federali.
L’ordinamento sul territorio
Il Partito Nazionale Fascista è costituito dai Fasci di combattimento, i quali sono inquadrati in Federazioni di Fasci di combattimento nelle Province del Regno, nei Governi dell’Impero, nelle Province della Libia e nel possedimento delle Isole Egee.
A capo di ciascuna Federazione di Fasci di combattimento è un Segretario federale.
LE FEDERAZIONI
Il Segretario Federale, nominato direttamente dal Duce su proposta del Segretario del P.N.F., attua le direttive ed eseguisce gli ordini del Segretario del P.N.F., promuove e controlla l’attività dei Fasci di combattimento e delle Associazioni dipendenti dal Partito, controlla le organizzazioni del Regime e il conferimento ai Fascisti delle cariche e degli incarichi nell’ambito della provincia. Mantiene inoltre i collegamenti con gli organi periferici dello Stato e con i rappresentanti provinciali degli Enti pubblici, è Comandante federale della G.I.L., Segretario del Fascio di combattimento del capoluogo, Presidente del Dopolavoro provinciale e del Comitato provinciale dell’Ente radio rurale; fa parte del Comitato di presidenza del Consiglio provinciale delle Corporazioni e del Comitato dell’Opera universitaria nelle città sedi di università. Convoca e presiede il Direttorio federale, i rapporti dei gerarchi della provincia, dei Fascisti e degli iscritti alle Associazioni dipendenti dal P.N.F. nella provincia, dirige i corsi di preparazione politica per i giovani, propone al Segretario del P.N.F. la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio federale fra i quali designa il vice Segretario federale e il Segretario federale amministrativo, dei gerarchi provinciali delle organizzazioni del P.N.F. e delle Associazioni dipendenti.
Nomina e revoca gli Ispettori federali, i Segretari politici dei Fasci di combattimento della provincia e i componenti dei relativi direttori, i Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti e i componenti delle relative Consulte, i Capi settore e i Capi nucleo, ha facoltà di sciogliere i Direttori e le Consulte e di procedere alla nomina di commissari incaricati di reggere in via temporanea i Fasci di combattimento e i Gruppi rionali fascisti, promuove e regola l’attività sportiva delle organizzazioni competenti in relazione alle direttive segnate dal C.O.N.I., rappresenta il P.N.F. nella provincia a tutti gli effetti e sono perciò a lui subordinati i gerarchi provinciali delle Associazioni e degli Enti che dal Partito dipendono.
In ogni Federazione dei Fasci di combattimento è costituito il Direttorio della Federazione, che esegue funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Segretario federale.
Componenti il Direttorio Federale sono :
v Il vice Segretario federale;
v Il Segretario federale amministrativo;
v Il Segretario del Gruppo dei Fascisti universitari;
v Il vice Comandante federale della G.I.L. per i Giovani Fascisti;
v Il vice Comandante federale della G.I.L. per gli Avanguardisti e i Balilla.
IL FASCIO DI COMBATTIMENTO
Il Fascio di combattimento è retto dal Segretario politico, assistito da un direttorio.
Il Segretario politico del Fascio di combattimento attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario federale, promuove e controlla l’attività delle Associazioni del Partito e del regime e il conferimento ai Fascisti di cariche ed incarichi nell’ambito del proprio territorio, mantiene il collegamento con gli organi statali e con gli Enti pubblici locali, propone al Segretario federale la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio del Fascio di combattimento fra i quali designa il vice Segretario e il Segretario amministrativo, dei Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti, dei componenti le relative Consulte, dei Capi settore e dei Capi nucleo, convoca e presiede il Direttorio del Fascio di combattimento e i rapporti dei Fascisti, propone al Segretario federale l’istituzione dei Gruppi rionali fascisti e ha facoltà di costituire e sciogliere settori e nuclei, designa i suoi rappresentanti presso il Comitato dell’Ente comunale di assistenza.
v Il Direttorio del Fascio di combattimento è costituito da:
v Il vice Segretario politico
v Il Segretario amministrativo
v Il Vice comandante locale della G.I.L. (ove sia nominato)
v I Comandanti dei Giovani Fascisti e degli Avanguardisti e Balilla
Il Direttorio del Fascio di combattimento dei capoluoghi di provincia è costituito da un vice Segretario politico e da sette membri.
I GRUPPI RIONALI FASCISTI
I Gruppi rionali fascisti sono sezioni del Fascio di combattimento nei centri con popolazione numerosa.
Il Gruppo rionale fascista è retto dal Fiduciario, alla dipendenza del Segretario del Fascio di combattimento.
Il Fiduciario del Gruppo rionale fascista è assistito da una Consulta di cinque membri, attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario del Fascio di combattimento al quale Segretario designa un vice Fiduciario e un consultore amministrativo, scelti fra i componenti della Consulta del Gruppo.
La Consulta del Gruppo è costituita dal vice Fiduciario, dal consultore amministrativo e da quattro componenti, essa esercita funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Fiduciario.
Il Gruppo rionale fascista è diviso in settori, i settori in nuclei.
Cariche Onorifiche
Per gli iscritti al Partito vi erano previste alcune cariche onorifiche che erano ratificate dopo un attento esame da parte di apposite commissioni in seno alle Federazioni dei Fasci o alla Segreteria nazionale.
Sostanzialmente le onorificenze attribuite ai Fascisti erano tre: Sanselpocristi, Squadristi e Fascio Littorio.
SANSEPOLCRISTI: I Sansepolcristi avevano, come segno distintivo sull'uniforme del Partito, uno scudetto ricamato in oro su panno nero. Lo scudetto, di dimensioni 7x5,5 cm., era portato all'avambraccio sinistro.
SQUADRISTI “ Spetta la qualifica di squadrista al fascista che, per essere stato iscritto nei Fasci italiani di Combattimento e nel Partito Nazionale Fascista prima della Marcia su Roma e per aver fatto parte delle Squadre d’Azione nel periodo 23 marzo 1919 - 28 ottobre 1922, ne abbia ottenuto il riconoscimento”.
COMPOSIZIONE GRADI
I gradi all’interno del partito, sono stati modificati per tre volte, fino al 1945.
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1931 AL 1934
I gradi venivano portati nel centro della giubba, erano costituiti da stellette ricamate a una due o tre stelle in base alla carica rivestita nel Partito, con fondo nero.
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1934 AL 1938
Il Distintivo di grado, è sostituito in uno a forma di scudetto, con controspalline nere.
.SEGRETARIO DEL P.N.F.MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE ISPETTORE CONTROSPALLINE
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1938 AL 1943
I distintivi di grado rimangono a forma di scudetto ma viene aggiunta, anche l'aquila sul berretto, dal cordone portato sulla spalla e dalle controspalline che cambiano totalmente.
SEGRETARIO DEL P.N.F., MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE,ISPETTORE FREGIO BERRETTO CONTROSPALLINE
IL MANIFESTO DELLA RAZZA
Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fscisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egidia del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista. (Da "La difesa della razza", direttore Telesio Interlandi, anno I, numero1, 5 agosto 1938, p. 2).
Le razze umane esistono . La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esitono razze umane differenti.
Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempe rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
LE LEGGI RAZZIALI
DECRETO-LEGGE 17 novembre 1938-XVII, n.1728
Provvedimenti per la difesa della razza italiana
VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA IMPERATORE D'ETIOPIA
Ritenuta
la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del DUCE, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro per l'interno, di concerto coi Ministri per gli affari esteri, per la grazia e giustizia, per le finanze e per le corporazioni;
Abbiamo decretato e decretiamo:
CAPO I
Provvedimenti relativi ai matrimoni
Art. 1. Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito. Il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto è nullo.
Art. 2. Fermo il divieto di cui all'art. 1, il matrimonio del cittadino italiano con persona di nazionalità straniera è subordinato al preventivo consenso del Ministero per l'interno. I trasgressori sono puniti con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a lire diecimila.
Art. 3. Fermo il divieto di cui all'art. 1, i dipendenti delle Amministrazioni civili e militari dello Stato, delle Organizzazioni del Partito Nazionale Fascista o da esso controllate, delle Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, degli Enti parastatali e delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali non possono contrarre matrimonio con persone di nazionalità straniera. Salva l'applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, delle sanzioni previste dall'art. 2, la trasgressione del predetto divieto importa la perdita dell'impiego e del grado.
Art. 4. Ai fini dell'applicazione degli articoli 2 e 3, gli italiani non regnicoli non sono considerati stranieri.
Art. 5. L'ufficiale dello stato civile, richiesto di pubblicazioni di matrimonio, è obbligato ad accertare, indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti, la razza e lo stato di cittadinanza di entrambi i richiedenti. Nel caso previsto dall'art. 1, non procederà nè alle pubblicazioni nè alla celebrazione del matrimonio. L'ufficiale dello stato civile che trasgredisce al disposto del presente articolo è punito con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Art. 6. Non può produrre effetti civili e non deve, quindi, essere trascritto nei registri dello stato civile, a norma dell'art.5 della legge 27 maggio 1929-VII, n. 847, il matrimonio celebrato in violazione dell'art.1. Al ministro del culto, davanti al quale sia celebrato tale matrimonio, è vietato l'adempimento di quanto disposto dal primo comma dell'art.8 della predetta legge. I trasgressori sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Art. 7. L'ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla trascrizione degli atti relativi a matrimoni celebrati senza l'osservanza del disposto dell'art. 2 è tenuto a farne immediata denunzia all'autorità competente.
CAPO II
Degli appartenenti alla razza ebraica
Art. 8. Agli effetti di legge:
a) è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica;
b) è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l'altro di nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre;
d) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1í ottobre 1938-XVI, apparteneva a religioni diversa da quella ebraica.
Art. 9. L'appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei registri dello stato civile e della popolazione. Tutti gli estratti dei predetti registri ed i certificati relativi, che riguardano appartenenti alla razza ebraica, devono fare espressa menzione di tale annotazione.Uguale menzione deve farsi negli atti relativi a concessione o autorizzazioni della pubblica autorità. I contravventori alle disposizioni del presente articolo sono puniti con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 10. I cittadini italiani di razza ebraica non possono:
a) prestare servizio militare in pace e in guerra;
b) esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica
c) essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione, ai sensi e con le norme dell'art. 1 R. decreto-legge 18 novembre 1929-VIII, n. 2488, e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, nè avere di dette aziende la direzione nè assumervi comunque, l'ufficio di amministrazione o di sindaco;
d) essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila;
e) essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila. Per i fabbricati per i quali non esista l'imponibile, esso sarà stabilito sulla base degli accertamenti eseguiti ai fini dell'applicazione dell'imposta straordinaria sulla proprietà immobiliare di cui al R. decreto-legge 5 ottobre 1936-XIV, n. 1743. Con decreto Reale, su proposta del Ministro per le finanze, di concerto coi Ministri per l'interno, per la grazia e giustizia, per le corporazioni e per gli scambi e valute, saranno emanate le norme per l'attuazione delle disposizioni di cui alle lettere c), d), e).
Art. 11. Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengono a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali.
Art. 12. Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana. I trasgressori sono puniti con l'ammenda da lire mille a lire cinquemila.
Art. 13. Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica:
a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato;
b) il Partito Nazionale Fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate;
c) le Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli Enti, Istituti ed Aziende, comprese quelle dei trasporti in gestione diretta, amministrate o mantenute col concorso delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o dei loro Consorzi;
d) le Amministrazioni delle aziende municipalizzate;
e) le Amministrazioni degli Enti parastatali, comunque costituiti e denominati, delle Opere nazionali, delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali e, in genere, di tutti gli Enti ed Istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo;
f) le Amministrazioni delle aziende annesse o direttamente dipendenti dagli Enti di cui alla precedente lettera e) o che attingono ad essi, in modo prevalente, i mezzi necessari per il raggiungimento dei propri fini, nonché delle società, il cui capitale sia costituito, almeno per metà del suo importo, con la partecipazione dello Stato;
g) le Amministrazioni delle banche di interesse nazionale;
h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.
Art. 14. Il Ministro per l'interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni dell'art 10, nonché dell'art. 13, lett. h):
a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista;
b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni:
mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola;
combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra;
mutilati, invalidi, feriti della causa fascista;
iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924;
legionari fiumani;
abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell'art.16.
Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte. Gli interessati possono richiedere l'annotazione del provvedimento del Ministro per l'interno nei registri di stato civile e di popolazione. Il provvedimento del Ministro per l'interno non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.
Art. 15. Ai fini dell'applicazione dell'art. 14, sono considerati componenti della famiglia, oltre il coniuge, gli ascendenti e i discendenti fino al secondo grado.
Art. 16. Per la valutazione delle speciali benemerenze di cui all'art. 14 lett. b), n. 6, è istituita, presso il Ministero dell'interno, una Commissione composta del Sottosegretario di Stato all'interno, che la presiede, di un Vice Segretario del Partito Nazionale Fascista e del Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.
Art. 17. è vietato agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo.
CAPO III
Disposizioni transitorie e finali
Art. 18. Per il periodo di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è data facoltà al Ministro per l'interno, sentita l'Amministrazione interessata, di dispensare, in casi speciali, dal divieto di cui all'art. 3, gli impiegati che intendono contrarre matrimonio con persona straniera di razza ariana.
Art. 19. Ai fini dell'applicazione dell'art. 9, tutti coloro che si trovano nelle condizioni di cui all'art.8, devono farne denunzia all'ufficio di stato civile del Comune di residenza, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Coloro che non adempiono a tale obbligo entro il termine prescritto o forniscono dati inesatti o incompleti sono puniti con l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda fino a lire tremila.
Art. 20. I dipendenti degli Enti indicati nell'art.13, che appartengono alla razza ebraica, saranno dispensati dal servizio nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 21. I dipendenti dello Stato in pianta stabile, dispensati dal servizio a norma dell'art.20, sono ammessi a far valere il diritto al trattamento di quiescenza loro spettante a termini di legge. In deroga alle vigenti disposizioni, a coloro che non hanno maturato il periodo di tempo prescritto è concesso il trattamento minimo di pensione se hanno compiuto almeno dieci anni di servizio; negli altri casi è concessa una indennità pari a tanti dodicesimi dell'ultimo stipendio quanti sono gli anni di servizio compiuti.
Art. 22. Le disposizioni di cui all'art.21 sono estese, in quanto applicabili, agli Enti indicati alle lettere b),c),d),e),f),g),h), dell'art.13. Gli Enti, nei cui confronti non sono applicabili le disposizioni dell'art.21, liquideranno, ai dipendenti dispensati dal servizio, gli assegni o le indennità previste dai propri ordinamenti o dalle norme che regolano il rapporto di impiego per i casi di dispensa o licenziamento per motivi estranei alla volontà dei dipendenti.
Art. 23. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte ad ebrei stranieri posteriormente al 1° gennaio 1919 si intendono ad ogni effetto revocate.
Art. 24. Gli ebrei stranieri e quelli nei cui confronti si applichi l'art.23, i quali abbiano iniziato il loro soggiorno nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo posteriormente al 1° gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei possedimenti dell'Egeo entro il 12 marzo 1939-XVII. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire 5.000 e saranno espulsi a norma dell'art.150 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773.
Art. 25. La disposizione dell'art.24 non si applica agli ebrei di nazionalità straniera i quali, anteriormente al 1° ottobrel938-XVI:
a) abbiano compiuto il 65° anno di età;
b) abbiano contratto matrimonio con persone di cittadinanza italiana.
Ai fini dell'applicazione del presente articolo, gli interessati dovranno far pervenire documentata istanza al Ministero dell'interno entra trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 26. Le questioni relative all'applicazione del presente decreto saranno risolte, caso per caso, dal Ministro per l'interno, sentiti i Ministri eventualmente interessati, e previo parere di una Commissione da lui nominata. Il provvedimento non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.
Art. 27. Nulla è innovato per quanto riguarda il pubblico esercizio del culto e la attivita delle comunità israelitiche, secondo le leggi vigenti, salvo le modificazioni eventualmente necessarie per coordinare tali leggi con le disposizioni del presente decreto.
Art. 28. è abrogata ogni disposizione contraria o, comunque, incompatibile con quella del presente decreto.
Art. 29. Il Governo del Re è autorizzato ad emanare le norme necessarie per l'attuazione del presente decreto. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il DUCE, Ministro per l'interno, proponente, è autorizzato a presentare relativo disegno di legge.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Dato a Roma, addì 17 novembre 1938 - XVII
Vittorio Emanuele, Mussolini, Ciano, Solmi, Di Revel, Lantini
DECRETO DEL 5/IX/1938 - PROVVEDIMENTI RAZZISTI DELLA SCUOLA FASCISTA
Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione
Re d'Italia Imperatore d'Etiopia
Visto l'art. 3, n.2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n.100;
Ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana;
Udito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo;
Art.1.
All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; nè potranno essere ammesse all'assistentato universitario, nè al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza.
Art.2.
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Art.3.
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
Art.4.
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Art.5.
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.
Art.6.
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art.7.
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l'educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Ordiniamo
che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 - Anno XVI
Vittorio Emanuele, Mussolini, Bottai, Di Revel
Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri
REGIO DECRETO-LEGGE 7 settembre 1938-XVI, n. 1381
VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA IMPERATORE D'ETIOPIA
Ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Duce, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per l'interno;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1. Dalla data di pubblicazione del presente decreto-legge è vietato agli stranieri ebrei di fissare stabile dimore nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo.
Art. 2. Agli effetti del presente decreto-legge è considerato ebreo colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art. 3. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte a stranieri ebrei posteriormente al 1í gennaio 1919 s'intendono ad ogni effetto revocate.
Art. 4. Gli stranieri ebrei che, alla data di pubblicazione del presente decreto-legge, si trovino nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo e che vi abbiano iniziato il loro soggiorno posteriormente al 1í gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei Possedimenti dell'Egeo, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno espulsi dal Regno a norma dell'art. 150 del testo unico delle leggi di P.S., previa l'applicazione delle pene stabilite dalla legge.
Art. 5. Le controversie che potessero sorgere nell'applicazione del presente decreto-legge saranno risolte, caso per caso, con decreto del Ministro per l'interno, emesso di concerto con i Ministri eventualmente interessati.
Tale decreto non è soggetto ad alcun gravame nè in via amministrativa, nè in via giurisdizionale. Il presente decreto entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Duce, Ministro per l'interno, proponente, è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 7 settembre 1938-Anno XVI
Vittorio Emanuele, Mussolini
I campi e i lager italiani 1943-1945
Dal settembre/ottobre 1943 all’aprile 1945 i nazisti, in collaborazione con la polizia della Repubblica Sociale Italiana di Salò, istituirono e gestirono, nell’Italia occupata, quattro campi di smistamento rispettivamente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Grosseto, Fossoli (Modena) e Bolzano. Da questi campi gli italiani rastrellati ed arrestati a vario titolo venivano poi avviati ai Lager tedeschi, disseminati in Europa.
Dopo l’occupazione nazista del 1943 i territori della Venezia Giulia vennero incorporati nell’Adriatisches Kustenland e fu creato a Trieste, nella Risiera di San Sabba, un vero e proprio campo di sterminio dotato di forno crematorio dove furono assassinate più di 5.000 persone.
Mappa dei campi di concentramento in Italia
Risiera di San Sabba L'unico campo di sterminio nazista in Italia, dove furono uccisi e bruciati nei forni crematori circa 5.000 persone
Fossoli Il campo di concentramento, in provincia di Modena, dal quale partirono molti convogli per la Germania e la Polonia
Bolzano Il campo di transito di Bolzano e i campi satellite dal quale, dopo la chiusura di Fossoli, partirono i convogli della morte
Borgo San Dalmazzo Il campo semidimenticato in provincia di Cuneo
Grosseto Un campo scoperto di recente ( cura di Ettore Vittoriani)
LA GUERRA D'ETIOPIA
La politica coloniale dell'Italia riprese slancio negli anni Venti, trovando una sua coerente giustificazione nell'ideologia fascista.
Subito dopo l'avvento di Mussolini, la presenza italiana in Libia fu consolidata: fu ampliata l'occupazione della Tripolitania settentrionale (1923-1925) e della Tripolitania meridionale, mentre una dura repressione fu avviata in Cirenaica, guidata con successo dal generale Graziani.
Tra il 1923 ed il 1928 fu inoltre completata la conquista della Somalia, fino a quel momento limitata alla parte centrale del Paese.
In Etiopia, invece, il fascismo non ritenne, in questa prima fase, di modificare la situazione. Anzi, nel 1928 Italia ed Etiopia stipularono un patto di amicizia ed una convenzione stradale.
La decisione di intraprendere una campagna militare in Etiopia iniziò a maturare a partire dal 1930.
Il pretesto per l'avvio delle operazioni militari, i cui piani erano stati preparati già da tempo, fu offerto il 5 dicembre 1934 da un incidente presso la località di Ual-Ual, lungo la frontiera somala. L'imperatore d'Etiopia, Hailè Selassiè, preoccupato dai progetti italiani, si rivolse alla Società delle Nazioni, di cui il suo Paese era membro dal 1923. Ma Inghilterra e Francia, che non volevano alienarsi l'appoggio di Mussolini nel nuovo scenario politico d'Europa, impedirono di fatto che l'azione italiana fosse ostacolata. Solo in un secondo tempo, quando l'opinione pubblica internazionale iniziò a mobilitarsi contro la violenta aggressione dell'Italia, la Società delle Nazioni approvò una serie di sanzioni economiche contro l'Italia (ottobre 1935).
Il 2 ottobre 1935, in un famoso discorso pubblicato il giorno successivo su tutti i giornali italiani, Mussolini annunciò l'inizio di una guerra provocata senza alcuna causa plausibile, rispolverando come giustificazione la bruciante sconfitta subita dall'Italia alla fine del secolo precedente:
«Con l'Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!»
L'esito della guerra era facilmente immaginabile considerato l'enorme dispiegamento di mezzi disposto dall'Italia.
Il 3 ottobre le truppe italiane invasero l'Etiopia dall'Eritrea, occupando in breve tempo Adua, Axum, Adigrat, Macallè.
A metà novembre la direzione delle operazioni fu affidata al generale Pietro Badoglio, che, dopo aver affrontato la controffensiva etiopica, entrò ad Addis Abeba il 5 maggio 1936.
Il 9 maggio 1936 Mussolini poté proclamare la costituzione dell'Impero italiano di Etiopia, attribuendone la corona al Re d'Italia Vittorio Emanuele III.
(a cura di Enzo R. Laforgia)
GUERRA CIVILE DI SPAGNA
La guerra civile spagnola del 1936-39 è la prova generale della Seconda guerra mondiale perché vede impegnate a sostegno delle due parti in lotta - più o meno direttamente e con differente peso militare - da un lato Inghilterra, Francia e Urss, e dall’altro Italia, Germania e Portogallo. La Spagna, dunque, è il teatro del primo scontro armato tra fascismo e antifascismo, con gli italiani - le camice nere di Mussolini da un lato, e gli oppositori del regime dall’altro - impegnati su entrambi i fronti.
La Spagna negli anni Trenta
La Spagna degli anni Trenta è ancora una realtà precapitalistica, ad eccezione di alcune zone fortemente industrializzate. Ai pochi grandi proprietari terrieri, infatti, si contrappone la massa di braccianti agricoli, operai e minatori, tra cui trovano terreno fertile le teorie e i movimenti socialisti; tra i ceti medi urbani, invece, si fanno strada, oltre a quelli socialisti, anche i movimenti democratico-repubblicani e anticlericali. Alle elezioni politiche del 1931 i repubblicani e i socialisti alleati ottengono una importante affermazione, che segna la caduta della dittatura di Primo de Rivera e del re Alfonso XIII. La destra cattolica, però, grazie anche al favore dell’esercito, torna al potere l’anno seguente.
La situazione politica e sociale è incandescente. Nel 1934, per reprimere i moti insurrezionali dei minatori (ottobre spagnolo), interviene la legione straniera comandata dal generale Francisco Franco.
La vittoria del Fronte Popolare e lo scoppio della guerra civile
Due anni dopo, nel febbraio del '36, alle nuove elezioni politiche, le forze di sinistra tornano al governo grazie al primo esperimento di Fronte popolare (repubblicani moderati, socialisti, comunisti e cattolici baschi autonomisti). In estate però la situazione precipita: il 17 luglio le truppe di stanza nel Marocco insorgono ed il giorno dopo la rivolta si estende a tutto il paese. È l’inizio della guerra civile, con pesanti ripercussioni anche sul piano internazionale. Le forze governative, appoggiate da operai e contadini, stroncano la ribellione a Madrid, Barcellona e in molti centri industriali del Nord e dell’Est ma i ribelli riescono ad imporsi in Navarra, Galizia e Nuova Castiglia e ad occupare le principali città dell’Andalusia (Cadice, Cordoba e Siviglia).
Nella spietata guerra civile che si combatte in gran parte del paese sono contrapposti il governo repubblicano che può contare sulle forze di polizia e masse di volontari in genere provenienti dalle regioni industriali e le forze nazionaliste (franchiste) che riuniscono quasi tutti i quadri delle forze armate (salvo l’aviazione) e le forze politiche nazionaliste, cattoliche e tradizionaliste.
L'intervento delle potenze straniere
Il regime fascista italiano e quello nazista, prendendo spunto dall’assassinio del monarchico J. Calvo Sotelo (13 luglio) intervengono prima in forma quasi clandestina appoggiando i militari ribelli che aderiscono al “pronunciamento” del generale Francisco Franco, poi nell’autunno in modo palese.
Mussolini ed Hitler - uniti dal Patto d’acciaio dell’ottobre 1936 - inviano notevoli rinforzi - uomini e armi, anche aerei - a sostegno di Franco. Complessivamente gli effettivi italiani saranno 78.846 tra esercito, marina e aviazione, di cui 6.000 caduti e 15.000 feriti. Il Portogallo fornì a Franco non meno di 20.000 volontari, garantendo la sicurezza delle frontiere con i territori occupati dai ribelli.
L’invio di aerei forniti da Hitler e Mussolini permette ai rivoltosi di trasferire sulla penisola l’Esercito d’Africa, le loro truppe più efficienti, che iniziano ad avanzare verso Madrid.
Al cospicuo impegno di Italia e Germania, non corrisponde un eguale sforzo da parte di Inghilterra (governata dai conservatori che perseguono una politica di pace con la Germania) e Francia (governata sì da un fronte popolare formato da radicali, socialisti e comunisti, ma alle prese con pesanti difficoltà interne). Molto di più fanno l'Urss, che invia armi e consiglieri militari e organizza le Brigate Internazionali, e il Messico.
Le Brigate Internazionali
In soccorso del Fronte popolare, si schierano anche i fuoriusciti italiani, gli antifascisti in esilio, soprattutto aderenti a Giustizia e Libertà (Carlo Rosselli organizza una colonna di volontari fin dall’estate del 1936), gli anarchici come Camillo Berneri; i comunisti confluiscono nelle Brigate internazionali, composte da uomini di diversa nazionalità ed anche di differenti tendenze politiche. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nella Brigata Garibaldi, è consistente, circa 3.350 effettivi, e mise in campo alcuni tra i maggiori esponenti dell'antifascismo: i comunisti Togliatti, Longo, Di Vittorio e Vidali, il socialista Nenni, il repubblicano Pacciardi.
Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali hanno un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove si trovano di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi e i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull'Ebro (luglio 1938).
Nel fronte antifascista però non mancano contrasti e divergenze interne, specie tra comunisti e anarchici, che ne indeboliscono l’azione. Inoltre, se la guerra civile spagnola segna una prima generale mobilitazione delle forze antifasciste in Europa, il patto di non aggressione tra Germania e Urss del 1939 ne determina una secca una battuta d’arresto, per ordine dello stesso Stalin ai comunisti europei; l’azione riprenderà con vigore solo con l’aggressione tedesca ai danni della stessa Unione Sovietica, e il delinearsi dell’alleanza antinazista che vede Stalin impegnato al fianco delle democrazie occidentali.
Nell'autunno del '38, su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di "non intervento", il governo repubblicano decide il ritiro dal fronte delle Brigate internazionali, tenendo una parata di addio il 29 ottobre 1938 a Barcellona. Dei 59.380 volontari accorsi in Spagna da cinquanta diversi paesi per combattere il fascismo, i caduti furono 9934 mentre 7686 furono feriti gravemente.
La disfatta dei "repubblicani"
Non riuscendo ad avere ragione della resistenza dei madrileni, i nazionalisti attaccano ed occupano le Province basche, le Asturie e l’Aragona dividendo la Catalogna dalla parte centrale. Per tentare di bloccare queste iniziative i lealisti effettuano delle operazioni diversive che culminano nelle battaglie di Brunete, Belchite, Teruel ed infine nel luglio del 1938 nell’offensiva dell’Ebro, dove i repubblicani riescono a penetrare in territorio nemico per circa quaranta chilometri, ma poi la superiorità di mezzi, soprattutto aerei ed artiglieria, degli insorti li costringe a ritornare alle basi di partenza.
Il 23 dicembre del '38, dopo avere riorganizzato i reparti e raggruppato notevoli quantitativi di scorte e mezzi, l'esercito nazionalista scatena, da sud verso nord, l'offensiva finale dell'Ebro per conquistare la Catalogna. L'avanzata, pur contrastata dalle residue forze repubblicane della regione, oramai prive di armamento pesante, scardina uno dopo l'altro tutti i centri difensivi avversari posti a difesa del grande fiume e, dopo un mese di violenti combattimenti, il 26 gennaio 1939, le prime avanguardie motorizzate e blindate franchiste e italiane entrano a Barcellona.
Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del '39 circa 200.000 soldati repubblicani (insieme ad altre decine di migliaia di donne e bambini) chiedono asilo in Francia dove vennero internati in grandi campi di concentramento. La guerra sta volgendo al termine e il 27 febbraio l'Inghilterra e la Francia optano per il riconoscimento ufficiale del governo del generale Francisco Franco. Il giorno seguente, il presidente repubblicano Azaña, che con un aereo si è rifugiato in Francia, da' le sue dimissioni da capo del governo.
A marzo i nazionalisti occupano Madrid e Valencia. La guerra civile è finita. Dopo tre anni di violenti combattimenti, nel 1939, il generale Franco riesce ad imporre la propria dittatura. Siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale, alla quale però la Spagna, dilaniata dal conflitto interno, non prenderà parte, permettendo al regime franchista di sopravvivere, a differenza di quelli fascista e nazista.
Quanti però oggi sanno che, in tempo di pace, il regime franchista fu forse addirittura più sanguinario e repressivo del fascismo e del nazismo? Che, di fronte alle poche decine di sentenze capitali eseguite dal 1922 al 1939 dal regime italiano (si parla delle sentenze pubbliche: le esecuzioni “illegali” furono senza dubbio maggiori), e ai pur numerosi eccidi compiuti dalla Germania nazista fra il 1933 e il 1938, vi sono 190.000 spagnoli giustiziati o morti in carcere fra il 1939 e il 1945, ovvero in tempo (per la Spagna) di pace, e che alcuni storici giungono a parlare di 500.000 esecuzioni complessive (comprendendo le esecuzioni “informali”)? Certo, il paragone è largamente improprio, in quanto in Spagna fra il 1936 e il 1939 fu combattuta una cruenta guerra civile, in quanto il franchismo sorse da tale guerra civile: le origini del fascismo italiano e del nazismo tedesco furono diverse, addirittura elettorali, nel secondo caso.
Dopo la vittoria, Franco impose alla Spagna una strategia di isolamento e di autarchia. Non solo autarchia economica, ma anche autarchia politica, ideologica, culturale. La Spagna voluta dai vincitori doveva essere una Spagna isolata da ogni scambio e dialogo, pura e purificata da ogni idea diversa di Spagna. Tutto ciò che riguardava la Seconda Repubblica, ovvero l’esperienza democratica vissuta in Spagna fra 1931 e 1936, era associato a “degenerazione”, “morbo”, “infermità”, era l’antitesi di ciò che la Spagna doveva essere. E nel dopoguerra la pratica “chirurgica” continuò: il nemico principale della Spagna franchista fu, costantemente, un “nemico interno”.
La stessa strategia fu attuata anche nell'economia. La Spagna degli anni quaranta soffrì una enorme regressione economica. La mano d’opera fu soggetta a disciplina coercitiva, e sulla fame di gran parte dei lavoratori fu costruita la nuova accumulazione di capitale necessaria alla ricostruzione. Ogni identità collettiva dei gruppi sociali sconfitti (lavoratori del campo, delle miniere, dell’industria) fu distrutta, ogni diritto di espressione soppresso.
La spietata dittatura franchista ebbe anche i suoi «schiavi»: 110 mila prigionieri, tutti militari catturati durante la «Guerra Civil» '36-'39. Con la legge sulle «responsabilità politiche» il dittatore perseguì, incarcerò, condannò tutti coloro che si erano opposti all´«Alzamiento». Il regime cominciò a schedare «los Rojos», ossia tutti i suoi prigionieri, allestendo una maniacale banca dati sul loro profilo professionale. Se gli incarcerati nel frattempo non erano morti né giustiziati, entrava in gioco il «Sistema de Redenciones de Penas» motivato così: «E´ giustissimo che i prigionieri contribuiscano con il lavoro alla riparazione dei danni arrecati con il loro appoggio alla ribellione marxista». Un decreto del '46 stabiliva l´obbligatorietà del lavoro: «E´ considerata infrazione molto grave rifiutarlo». A differenza della mano d'opera impiegata nei lager hitleriani, il «Caudillo» pagò il lavoro coatto. Ma i forzati ricevettero solo il 25% del salario pattuito (appena il 14% di quello percepito dagli operai civili dell'epoca). Infatti la remunerazione degli schiavi venne fissata in 2 pesetas al giorno (la diaria di un operaio era di 14 pesetas) di cui i tre quarti vennero destinati al loro mantenimento. Poi altre 2 pesetas se erano sposati in chiesa (molti «rojos», atei, erano solo conviventi), più 1 peseta per ogni figlio a carico. Il resto andò nelle casse del regime. Non solo: dal '39 al '70, Franco affittò i suoi internati a 36 imprese private (le fabbriche pagavano allo Stato il salario di 14 pesetas), incassando un ingente bottino, calcolabile intorno ai 780 milioni di euro. Detenuti in 72 campi di concentramento, gli schiavi ricostruirono le infrastrutture distrutte durante il conflitto, dagli aereoporti alle strade, dalle dighe ai porti, dalle ferrovie ai ponti ma anche mausolei franchisti come la famigerata madrilena «Valle de Los Caidos» (ove è sepolto il tirannno). La vita degli schiavi, in quei lunghissimi trentatré anni, fu disumana: fame brutale, estrema durezza nel lavoro fisico. E castighi terribili. Ad El Dueso, per esempio, obbligavano i puniti a mettersi sulle spalle un sacco da 50 chili ricoperto da filo spinato.
Una repressione particolare fu rivolta alle donne: rispetto all’incerta mobilitazione dei decenni precedenti, la condizione della donna visse una regressione alla sfera domestica. Alle donne fu negato ogni accesso educativo di tipo moderno.
I concetti di purificazione e redenzione assunsero per milioni di spagnoli un aspetto di quotidiano terrore. La Spagna, dopo la purificazione della “cruzada”, fu posta in “quarantena” da un regime che vietava qualsiasi dialogo con l’esterno e qualsiasi dibattito sul futuro.
Solo nel '75, dopo la morte di Franco, gli spagnoli si sono liberati dalla dittatura e hanno finalmente respirato l'aria della democrazia.
CRONOLOGIA ESSENZIALE
1936 feb.Successo elettorale del Fronte Popolare che riunisce i partiti di sinistra. Presidente del consiglio è il repubblicano M. Azaña, che nel giugno viene eletto presidente della Repubblica.
1936 lug.Assassinio del deputato monarchico Calvo Sotelo da parte della polizia. Rivolta militare nel Marocco spagnolo capeggiato dal generale J. Sanjurio (capo designato dei rivoltosi, che muore però in un incidente aereo), E. Mola, G. Queipo de Llana e Francisco Franco. Costituzione di una giunta militare a Burgos.
1936 ago.Il presidente del consiglio francese Leon Blum propone un accordo di non intervento in Spagna, mentre i nazionalisti conquistano Badajoz.
1936 set.Costituzione del nuovo governo repubblicano diretto dal socialista F. Largo Caballero. Francisco Franco diviene capo unico della giunta militare.
1937 feb.I nazionalisti conquistarono Malaga con l’aiuto del Corpo Truppe Volontarie inviato dal governo italiano, che nel marzo è sconfitto a Guadalajara dalle Brigate internazionali.
1937 apr.Aerei della Legione Condor tedesca bombardano a tappeto la città basca Guernica.
1937 mag.Scontri tra comunisti e anarchici a Barcellona; Largo Caballero è sostituito a capo del governo dal socialista di sinistra J. Negrìz.
1937 giu.I nazionalisti conquistano Bilbao e occupano Asturie e Province Basche.
1937 ott.I nazionalisti conquistano Gijon, completando l’occupazione della parte nordoccidentale della Spagna.
1938 nov.Le Brigate Internazionali vengono ritirate dal fronte. 1939 gen.I nazionalisti conquistano Barcellona.
1939 feb.Il governo di Franco è riconosciuto dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Azaña, rifugiatosi a Parigi, rassegna le dimissioni.
1939 mar.I nazionalisti entrano a Madrid ponendo fine alla guerra civile. Franco annuncia la fine della guerra. In totale i morti furono più di un milione.
INDICE DELLA LEGISLAZIONE NAZISTA IN MATERIA RAZZIALE
-Legge del 7 aprile 1933 - Rinnovo dell'amministrazione pubblica
-Legge del 15 settembre 1935 - Protezione del sangue e dell'onore tedesco
-Primo regolamento alla legge di cittadinanza tedesca
-Legge di Norimberga del 1935 - La cittadinanza tedesca
-Decreto del 18 ottobre 1936 - Ordinanza di eliminazione degli ebrei dalla vita economica
-Decreto del 18 settembre 1942 - Razionamento del cibo agli ebrei
-Articolo 175 del Codice Penale: persecuzione degli omosessuali
Fermamente convinti che la purezza del sangue tedesco sia essenziale per la futura esistenza del popolo tedesco, ispirati dalla irremovibile determinazione a salvaguardare il futuro della nazione tedesca, il Reichstag ha unanimamente deciso l'emanazione della seguente legge che viene così promulgata:
Articolo I
1.
I matrimoni tra ebrei e i cittadini di sangue tedesco e apparentati sono proibiti. I matrimoni contratti a dispetto della presente legge sono nulli anche quando fossero contratti senza l'intenzione di violare la legge.
2.
Le procedure legali per l'annullamento possono essere iniziati soltanto dal Pubblico Ministero.
Articolo II
Le relazioni sessuali extraconiugali tra ebrei e cittadini di sangue tedesco e apparentati sono proibite.
Articolo III
Agli ebrei non è consentito di impiegare come domestiche cittadine di sangue tedesco e apparentate.
Articolo IV
1.
Agli ebrei è vietato esporre la bandiera nazionale del Reich o i suoi colori nazionali.
2.
Agli ebrei è consentita l'esposizione dei colori giudaici. L'esercizio di questo diritto è tutelato dallo Stato.
Articolo V
1.
Chi violi la proibizione di cui all'Articolo 1 sarà condannato ai lavori forzati.
2.
Chi violi la proibizione di cui all'Articolo 2 sarà condannato al carcere o ai lavori forzati.
3.
Chi violi quanto stabilito dall'Articolo 3 o 4 sarà punito con un minimo di un anno di carcere o con una delle precedenti pene.
Articolo VI
Il Ministro degli Interni del Reich in accordo con il Vice Fuhrer e il Ministro della Giustizia del Reich emaneranno i regolamenti legali ed amministrativi richiesti per l'attuazione ed il rafforzamento della legge.
Articolo VII
La legge diverrà effettiva il giorno successivo alla sua promulgazione ad eccezione dell'Articolo 3 che diverrà effettivo entro e non oltre il 1° gennaio 1936.
Articolo I
1.
Sino a quando non verranno emanate ulteriori regolamentazioni riguardanti i certificati di cittadinanza, tutti i sudditi del Reich o di sangue affine in possesso del diritto di voto per le elezioni del Parlamento al momento della emanazione della Legge sulla cittadinanza manterranno il diritto di cittadinanza tedesca. Lo stesso vale per coloro ai quali il Ministro degli Interni del Reich - in accordo con il Vice Fuhrer - abbia in via preliminare concesso la cittadinanza provvisoria.
2.
Il Ministro degli Interni del Reich - in accordo con il vice del Fuhrer - può revocare la cittadinanza provvisoria concessa.
Articolo II
1.
I regolamenti di cui all'articolo 1 sono validi anche per i sudditi del Reich di sangue misto giudeo.
2.
Un individuo di sangue misto giudeo è colui che discende da uno o due nonni che siano razzialmente interamente ebrei a meno che il nonno o la nonna non siano da considerarsi ebrei secondo quanto disposto dall'Articolo 5, paragrafo 2. Un nonno dovrà essere considerato come pienamente ebreo nel caso in cui sia iscritto alla comunità religiosa ebraica.
Articolo III
Solo il cittadino del Reich è detentore dei pieni diritti politici, del diritto di esercizio del voto politico o può ricoprire cariche pubbliche. Il Ministro dell'Interno del Reich o qualsiasi altro ufficio da lui autorizzato può stabilire eccezioni durante il periodo di transizione. riguardo all'occupazione di incarichi pubblici. Le questioni riguardanti le organizzazioni religiose non saranno sottoposte a restrizioni.
Articolo IV
1.
Un ebreo non può essere cittadino del Reich. Non ha diritto di voto nelle consultazioni politiche e non può ricoprire cariche pubbliche.
2.
I dipendenti pubblici ebrei saranno pensionati entro il 31 dicembre 1935. Se tali dipendenti avessero servito al fronte durante la guerra mondiale nell'esercito tedesco o negli eserciti alleati della Germania riceveranno totalmente, fino al raggiungimento del limite di età, la pensione maturata in relazione all'ultimo salario percepito; non avranno tuttavia diritto a scatti di anzianità. Dopo aver raggiunto i limiti di età le loro pensioni verranno ricalcolate nuovamente sulla base dell'ultimo stipendio percepito sul quale verrà effettuato il computo per la nuova pensione.
3.
Le questioni riguardanti le organizzazioni religiose non saranno sottoposte a restrizioni.
4.
Le condizioni di servizio degli insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche giudaiche rimarranno immutate fino all'emanazione di nuovi regolamenti per il sistemascolastico giudaico.
Articolo V
1.
Si considera ebreo chiunque discenda da almeno tre nonni ebrei che siano razzialmente interamente giudei. (...)
2.
Si considera ebreo anche chi discende da due nonni interamente ebrei se: a) apparteneva alla comunità ebraica al momento dell'emanazione della presente legge o vi abbia aderito successivamente. b) abbia contratto matrimonio con persona ebrea al momento dell'emanazione della presente legge o successivamente, c) sia nato dal matrimonio con un ebreo nel senso della Sezione I, contratto dopo l'emanazione della Legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco, d) sia il frutto di una relazione extra-coniugale con una persona ebrea in accordo con la Sezione I o sia nato fuori del matrimonio dopo il 31 luglio 1936.
Articolo VI
1.
I requisiti di purezza di sangue stabiliti nella legge del Reich o in ordine al Partito Nazionalsocialista dei lavoratori e delle sue emanazioni - non coperti dall'Articolo 5 - rimangono immutati.
2.
Ogni altro requisito di purezza di sangue non coperto dall'Articolo 5 può essere stabilito soltanto con l'autorizzazione del Ministro degli Interni del Reich e del Vice Fuhrer. (...)
Articolo VII
Il Fuhrer e Cancelliere del Reich può concedere esenzioni dai regolamenti stabiliti con la presente legge.
Il Parlamento del Reich all'unanimità ha approvato la seguente legge che così viene promulgata:
Articolo I
1.
Il suddito dello Stato è quella persona che gode della protezione del Reich tedesco e che in conseguenza di ciò ha specifici ordini verso di esso.
2.
Lo status di suddito del Reich viene acquisito in accordo con i decreti del Reich e la Legge di Cittadinanza dello Stato.
Articolo II
1.
Un cittadino tedesco è un suddito dello Stato di sangue tedesco o affine, che dimostri con la sua condotta di voler servire fedelmente la Germania e il popolo tedesco.
2.
La Cittadinanza del Reich viene acquisita attraverso la concessione di un Certificato Statale di Cittadinanaza.
3.
Il cittadino del Reich è l'unico detentore di tutti i diritti politici in accordo con la Legge.
Articolo III
Il Ministro degli Interni del Reich, in coordinamento con il Vice Fuhrer emanerà le ordinanze legali ed amministrative per implementare e completare questa legge.
Norimberga 15 settembre 1935, al Congresso del Partito della Libertà
Il Fuhrer cancelliere del Reich
Adolf Hitler
Il Ministro degli Interni del Reich
Frick
Sulla base del Decreto del 18 ottobre 1936 per l'esecuzione del Piano dei Quattro Anni si ordina quanto segue:
Articolo I
1.
Dal 1° gennaio 1938, l'esercizio della vendita al dettaglio, la vendita per corrispondenza, il libero esercizio dell'artigianato sono proibiti agli ebrei.
2.
Allo stesso modo è proibito agli ebrei a partire dalla stessa data di offrire beni e servizi in qualsiasi mercato, fiera o mostre, di pubblicizzarle o di accettare ordini di acquisto.
3.
I negozi giudei che opereranno in violazione di questa ordinanza saranno chiusi dalla polizia.
Articolo II
1.
A nessun ebreo è consentito di amministrare una impresa in accordo con la definizione del termine "amministratore" esposto dalla legge sul lavoro nazionale del 20 gennaio 1934.
2.
Se un ebreo ricopre una carica direttiva all'interno di un'area di affari può essere licenziato con un preavviso di sei settimane. Al termine di questo periodo tutti i reclami risultanti dal contratto di impiego, specialmente quelli su compensazioni e pensioni saranno ritenuti nulli.
Articolo III
1.
Nessun ebreo può essere membro di una società cooperativa.
2.
I membri ebrei di cooperative perderanno la loro associazione dal 21 dicembre 1938. Non sarà necessaria alcuna notifica.
Articolo IV
1.
I Ministeri competenti del Reich sono incaricati di emanare i regolamenti richiesti da questo decreto. Saranno permesse eccezioni soltanto se necessarie al trasferimento delle aziende ebraiche in mani non ebraiche o per la liquidazione degli interessi ebraici e nei casi speciali in cui si debbano assicurare rifornimenti.
Berlino, 12 Novembre 1938
Il Presidente del Piano dei Quattro Anni
Göring
Gran Maresciallo del Reich
Il Ministro del Reich per l'Alimentazione e l'Agricoltura
Berlin W 8, Wilhelmstr. 72
18 Settembre 1942.
Ai Governatori di Stato per l'alimentazione ai presidenti degli uffici provinciali per l'alimentazione della Prussia con l'eccezione dei territori dell'Est non incorporati nell'Alta Slesia
Per informazione ai Presidenti di distretto [Regierungspraesidenten] e rispettive autorità
Oggetto: razioni alimentari per gli ebrei.
1.
Razioni
Gli ebrei non dovranno più ricevere i seguenti generi alimentari a partire dal 42° periodo di distribuzione (19 ottobre 1942) : carne, prodotti derivati dalla carne, uova, derivati del grano (dolci, pane bianco, panini, fecola di grano, etc), latte fresco intero, latte fresco scremato, e tutti quei cibi che saranno distribuiti non in base alle carte annononarie uniformemente distribuite nel Reich ma in base a certificati locali di distribuzione o attraverso annuncio speciale emanato dagli Uffici dell'Alimentazione locali su coupon speciali delle tessere annonarie. I bambini ebrei e i ragazzi sino ai 10 anni di età riceveranno la razione di pane identica a quella dei normali consumatori. I bambini ebrei e i ragazzi entro i 6 anni d'età riceveranno la razione di grassi assegnata al normale consumatore senza sostituti del miele e senza cacao in polvere. Allo stesso modo non riceveranno il supplemento di marmellata distribuito alla corrispondente fascia d'età dai 6 ai 14 anni. I bambini ebrei sino ai 6 anni riceveranno mezzo litro di latte fresco scremato al giorno.
Conseguentemente non dovranno più essere rilasciate agli ebrei tessere e certificati locali di prelevamento per carne, uova o latte. I bambini ebrei e i ragazzi sino ai 10 anni di età riceveranno le tessere per il pane e quelli sino ai 6 anni d'età le tessere per i grassi identiche a quelle dei normali consumatori. Le tessere per il pane rilasciate agli ebrei dovranno consentire il prelevamento soltanto di prodotti confezionati a base di segale. I bambini ebrei sotto i 6 anni di età riceveranno un certificato di prelevamento per il latte fresco scremato. Su di esso dovrà essere annotata la frase "Buono per mezzo litro giornaliero".
3.
Regolamentazione per gli infermi
Le regole di distribuzione per gli ammalati e le persone inferme, per le donne in stato interessante, per le donne in allattamento and women in childbed non si applicano agli ebrei. Le regole istituite dal presente decreto si applicano anche agli ebrei ricoverati negli ospedali.
4.
Distribuzioni speciali
Gli ebrei sono esclusi da qualsiasi distribuzione speciale.
5.
Scambio di tessere annonarie con coupon di viaggio o per ristoranti
Il cambio di tessere annonarie con biglietti di viaggio e coupons per ristoranti può essere consentito agli ebrei soltanto in casi urgenti ed eccezionali.
6.
Cibo non compreso nel razionamento
Per l'acquisto di generi alimentari non razionati gli ebrei non sono soggetti a restrizioni siano a quando tali generi siano disponibili in quantità sufficienti per la popolazione ariana. I generi alimentari non compresi nel razionamento che vengono distribuiti di tanto in tanto e in quantità limitate, come ortaggi e aringhe, pasta di pesce, etc. non devono essere distribuite agli ebrei. Gli uffici dell'alimentazione sono autorizzati a permettere agli ebrei l'acquisto di rape, foglie di cavolo, etc.
7.
Timbrature delle tessere annonarie
Le tessere annonarie rilasciate agli ebrei dovranno essere soprastampate diagonalmente (cioé sopra ciascun coupon) con la stampa ripetuta della parola "ebreo". A questo scopo dovrà essere scelto un colore in netto contrasto con il colore di base della tessera annonaria. Non è necessario quindi l'annullamento di questi coupon prima del rilascio delle tessere.
8.
Orari speciali di acquisto per gli ebrei
Per evitare inconvenienti all'approvvigionamento della popolazione ariana si raccomanda che le autorità preposte all'alimentazione stabiliscano orari speciali per gli acquisti degli ebrei.
9.
Pacchi dono indirizzati ad ebrei
Gli uffici dell'alimentazione devono caricare per intero sulle tessere annonarie degli ebrei il contenuto di cibi ricevuti in pacchi dono loro indirizzati. Qualora si trattasse di prodotti sottoposti a razionamento ma non regolarmente distribuiti (come caffé, cacao, the, etc.) l'intera spedizione, o ciò che - a causa di ritardata denuncia dell'arrivo del pacco non sia stato ancora utilizzato - dovrà essere messo a disposizione dei grandi consumatori come gli ospedali e dovrà essere caricato sulle loro razioni. Nel decreto del 29 aprile 1941, di cui si acclude copia, il Ministro delle Finanze ha incaricato gli Uffici della dogana di redigere rapporti settimanali da inviarsi agli uffici dell'alimentazione competenti per territorio. Tali rapporti riporteranno la quantità delle merci in arrivo quando sia certo o si sospetti che il ricevente sia ebreo. Nel caso in cui il rapporto dell'ufficio doganale all'ufficio dell'alimentazione giunga in un ritardo tale che il cibo contenuto nei pacchi dono sia stato già interamente consumato questo dovrà essere caricato sulle razioni degli ebrei. Nel caso in cui gli uffici della polizia di stato siano informati della spedizione di pacchi alimentari provenienti dall'estero indirizzati ad ebrei, dovranno sequestrare tali pacchi e metterli a disposizione degli uffici dell'alimentazione.
Per il Segretario di Stato
Reicke
Traduzione parziale del documento 1347-PS
Fonte: Nazi Conspiracy and Aggression, Vol.III. USGPO, Washington, 1946, pp. 914-915
INDICE
-GLI EBREI IN RUSSIA POCO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
-LE TEORIE BOLSCEVICHE SUGLI EBREI
-RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E GLI EBREI
-L'ANTISEMITISMO POPOLARE IN URSS
-CONDIZIONE DEGLI EBREI DURANTE GLI ANNI '30
-GLI EBREI DURANTE LA GUERRA
-CONDIZIONE DEGLI EBREI IN URSS SUBITO DOPO LA FINE DELLA GUERRA
-LA CAMPAGNA CONTRO I "NAZIONALISTI"
-LA CAMPAGNA CONTRO I "COSMOPOLITI"
-1949: L'ANNO DEL TERRORE
-IL "COMPLOTTO DEI MEDICI EBREI"
-IL "DOPO STALIN"
-CONCLUSIONI
GLI EBREI IN RUSSIA POCO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
Secondo il censimento del 1897, l'ultimo disponibile prima della rivoluzione, gli appartenenti alla religione ebraica che vivevano nell'Impero Russo erano 5.500.000; di questi solo per l'1 % il russo era la propria lingua madre, per il 97 % l'yiddish. Questa popolazione era quasi tutta confinata nella cosiddetta "Zona di Residenza", ai confini occidentali dell'Impero Russo, dove spesso gli ebrei costituivano la maggioranza della popolazione.
La maggior parte era impiegata in lavori manuali, soprattutto artigianato e commercio, ed erano anche molto poveri, tanto che in quegli anni ne emigrò all'incirca un milione.
Le tendenze politiche più diffuse fra gli ebrei erano il sionismo ed il socialismo. Gli aderenti ai vari movimenti sionisti erano circa 300.000 al momento dello scoppio della rivoluzione (Schechtmann). Vi era anche un partito socialista solamente ebraico: il Bund. All'interno del Partito Social Democratico Russo gli ebrei erano soprattutto fra i menscevichi; tanto che Stalin, parlando del VII Congresso del Partito Social Democratico Russo, disse che i bolscevichi, in quanto gli unici veri russi, avrebbero potuto fare un pogrom (Stalin, Sochineniya vol. 2 p. 50).
Durante la Prima Guerra Mondiale gli ebrei erano stati vennero visti dal governo come dei nemici interni e subirono dure persecuzioni.
In questa situazione la rivoluzione di Febbraio e la fine dello zarismo furono accolti con sollievo immenso.
Il Governo Provvisorio abolì subito ogni forma di restrizione per gli ebrei (20 Marzo 1917).
Cominciò così un periodo di circa due anni di rinascita culturale per gli ebrei in cui sembrò che nel nuovo stato vi sarebbe stata l'uguaglianza e l'autonomia di tutte le nazionalità.
LE TEORIE BOLSCEVICHE SUGLI EBREI
L'unico trattato specifico prerivoluzionario è dello stesso Marx: è un trattato del 1843, premarxista e antisemita.
Marx identifica l'ebraismo con il potere del denaro, per questo lo ritiene una forma di alienazione, così come l'antisemitismo.
Marx comunque tratta l'argomento come il problema di una minoranza religiosa risolvibile con l'assimilazione, i bolscevichi invece lo avvertiranno come un problema etnico.
Infatti l'unico altro saggio prerivoluzionario che parli in qualche modo dell'argomento è quello di Stalin del 1913: "Il marxismo e la questione nazionale". Fu scritto sotto la guida di Lenin. La definizione di nazione è la seguente:
"Una nazione è una comunità storicamente evoluta e stabile, con un linguaggio, territorio, vita economica e formazione comuni, che si esprime in una comunanza di cultura"
Data questa definizione, gli ebrei ne vengono esclusi in quanto privi di territorio.
Stalin inoltre dice chiaramente che gli ebrei non possono essere una nazione in quanto non hanno una classe contadina, che la tendenza per loro è verso l'assimilazione e che l'abolizione della Zona di Residenza accellererà le cose.
Sembra quindi che la posizione dei bolscevichi nei confronti degli ebrei fosse quella di negare che essi fossero una nazionalità, eppure dissero che avevano una "carattere nazionale" (Lenin).
Nel 1914 Lenin presentò alla Duma una carta per l'uguaglianza delle nazionalità, e tra esse menzionava gli ebrei.
Il fatto è che i bolscevichi non riconoscono valore al concetto di nazione, ma solo a quello di classe. Per loro l'argomento è sempre secondario.
Quindi, una volta tolte le leggi discriminatorie, non avevano un interesse particolare nelle questioni inerenti le minoranze etniche, linguistiche etc; né a definirle perfettamente.
Tutto questo almeno fino a prima della rivoluzione.
Sono convinti che il socialismo avrebbe risolto tutti questi mali.
Lenin infatti riteneva che l'ebraismo, ed anche l'antisemitismo, fossero le espressioni più alte di quella arretratezza contro cui combatteva per l'emancipazione del genere umano.
RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E GLI EBREI
Anche la rivoluzione di Ottobre fu bene accolta e molti ebrei si unirono solo allora ai bolscevichi.
Infatti fino ad allora il partito bolscevico era stato probabilmente il partito socialista con il minor numero di ebrei, quelli che c'erano erano però in posti di comando.
Ciò incrementò l'antisemitismo dei Bianchi che si dettero a pogrom nelle zone da loro occupate, pogrom che causarono la morte di un numero di persone fra le 180.000 e le 200.000 secondo stime ufficiali sovietiche (Weinryb).
Quando andarono al potere i bolscevichi, nonostante le loro teorie che negavano il carattere nazionale degli ebrei, si trovarono di fronte ad un vero e proprio popolo, con una propria lingua, cultura etc.
Scegliendo come categoria quella etnica, invece che quella religiosa, il problema rientrava in schemi più comprensibili e razionali.
Un riconoscimento politico del carattere nazionale degli ebrei era già avvenuto nel Gennaio del 1918 con la creazione di un Commissariato per gli Affari Nazionali Ebraici, sezione speciale del Commissariato delle Nazionalità, sotto la guida di Stalin. Il compito del Commissariato ebraico (YevCom), oltre alla diffusione delle idee bolsceviche tra gli ebrei, era quello di abolire tutte le istituzioni comunitarie ed autonome ebraiche e di trasferire i loro fondi e proprietà al Commissariato stesso. Lo scioglimento delle organizzazioni autonome ebraiche fu formalizzato con un decreto il 5 Agosto del 1919.
Sempre nel 1918 il Partito Comunista creò delle Sezioni Ebraiche (Yevsktsii) all'interno della sua struttura.
Il loro compito era quello di fare propaganda fra i lavoratori ebrei in yiddish.
Queste furono assai più importanti del Commissariato e presto ne assunsero le funzioni.
In esse confluirono molti ex-bundisti.
Infatti la soluzione etnica si avvicinava molto a quella proposta dal Bund di autogoverno.
Al X congresso del Partito Comunista, nel 1921, fu adottata una risoluzione che menzionava gli ebrei come esempio insieme a poche altre nazionalità.
Era il segno che ormai gli ebrei erano stati riconosciuti come nazionalità.
E proprio perché erano diventati una nazionalità anche la lingua da loro parlata in maggioranza, l'yiddish, divenne in alcune repubbliche una delle lingue ufficiali del governo: in Moldavia, in Bielorussia ed in Ucraina.
In genere fu dato uno spazio molto ampio a tutta la parte della cultura ebraica che era laica ed in yiddish, proprio per trasformare completamente gli ebrei da religione a gruppo etnico.
Ad esempio vennero create scuole in yiddish o venne dato impulso a quelle già esistenti.
La parte religiosa e sionista della cultura ebraica, che si esprimevano in lingua ebraica vennero invece perseguitate.
L'ebraico, unica fra le lingue, venne dichiarato "linguaggio reazionario" e di fatto vietato (Rothenberg p. 167).
La prima a farsi sentire fu la persecuzione contro la religione, ebraica e non.
Il 23 Gennaio 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo emanò un decreto, intitolato "sulla separazione della chiesa dallo stato e della chiesa dalla scuola".
Ciò che colpiva di più la comunità ebraica era il divieto di insegnamento religioso.
Le Comunità ebraiche furono sciolte (Ottobre 1918) con l'aiuto della Yevsektsja.
Ciò creò problemi per la sostituzione della loro attività variegata, soprattutto nel campo dell'educazione.
Contro tutti i membri del clero furono prese misure quali privazione dei diritti civili, discriminazione verso l'intera famiglia nella concessione di tessere annonarie, discriminazione nell'assistenza medica etc, diffamazione pubblica e, come ultima ratio, accusa di attività controrivoluzionaria.
Tutta la persecuzione avvenne nel segno dell'uguaglianza: uguaglianza di persecuzione per tutte le religioni.
La misura era uno per uno: per ogni prete deportato un rabbino, per ogni chiesa chiusa una sinagoga.
Poiché il numero di preti e di chiese era enormemente superiore, la religione ebraica finì con l'essere la maggiormente perseguitata.
La persecuzione contro il sionismo avvenne più lentamente.
Le autorità non avversavano in modo particolare il sionismo, lo avvertivano come un movimento esotico che non dava noia a nessuno; gli unici a cui dava noia erano quelli dell'Yevsekstja che dovevano subirne la concorrenza fra le masse ebraiche.
Nella prima metà degli anni '20 le attività dei circoli sionisti vennero soltanto ostacolate e alcuni leader arrestati, ma mai con l'accusa esplicita di sionismo; infatti il sionismo non era ancora stato dichiarato illegale.
Ancora all'Esibizione Internazionale dell'Agricoltura a Mosca nel 1924 fu invitato anche l'Histadruth (il sindacato sionista in Palestina), e l'Hechalutz in quegli anni riceveva un sovvenzionamento dallo stato. Fu nella seconda metà degli anni '20 che la persecuzione verso il sionismo si fece sentire più forte.
L'ultimo circolo sionista i cui membri vennero arrestati fu sciolto nel 1934.
In realtà il sionismo durò più a lungo del suo maggiore nemico: la Yevsektsja.
Questa infatti fu sciolta nel 1930, dopo essere già stata ridotta: essa aveva esaurito il suo compito demolitore delle istituzioni ebraiche, l'unico compito che le era stato assegnato, e quindi non era più necessario tenerla in vita.
Un altro colpo che il regime inferse agli ebrei fu dal punto di vista economico.
Come abbiamo visto gli ebrei erano soprattutto artigiani e commercianti, quindi piccolo borghesi.
Durante la NEP essi ripresero queste loro attività, quando essa finì circa 1.120.000 ebrei dovettero chiudere le loro piccole attività.
Molti di questi nuovi disoccupati si riversarono nelle città, e particolarmente nei centri industriali.
Per coloro che rimasero nella Zona di Residenza la situazione era disastrosa, l'unico lavoro ancora disponibile era quello agricolo.
Nel 1925 vien fondata la "Società per l'insediamento sulla terra di lavoratori ebrei", conosciuta come Geserd, suo fautore fu Kalinin, molto interessato alla causa degli ebrei.
Poiché in Ucraina non c'era abbastanza terra per assorbire tutti gli ebrei russi come contadini, e quei pochi che vi furono insediati provocarono le reazioni antisemite delle popolazioni locali, fu deciso di trasferire la zona di insediamento in una zona dell'URSS meno abitata.
Fu scelto il Biro-Bidzan, al confine con la Cina, perché era strategicamente importante che fosse popolato.
L'obbiettivo delle autorità sovietiche nel creare uno stato ebraico era quello di ottenere il sostegno finanziario, degli ebrei americani, e di risolvere il problema degli ebrei sovietici, cercando di allontanarli così dal sionismo.
Dal 1928 cominciò la propaganda a favore dell'insediamento in Biro-Bidzan, diretta anche agli ebrei stranieri: pochissimi ebrei sovietici e nessun ebreo straniero risposero all'appello.
Il numero degli arrivati era di poche centinaia l'anno.
Ben presto divenne maggiore il numero di coloro che se ne andavano rispetto a quelli che arrivavano.
Le condizioni di vita erano pessime, ed anche la tanto propagandata libertà culturale era irrisoria.
Nel 1934 la zona fu proclamata Regione Autonoma, anche per renderla più attraente agli ebrei.
Kalinin disse che in quel modo gli ebrei, unica fra tutte le nazionalità a non avere uno stato proprio, avrebbero avuto uno stato che ne avrebbe salvaguardato la cultura nazionale; coloro che non volevano andarci si sarebbero dovuti assimilare.
Il fallimento del progetto Biro-Bidzan fece dire a Stalin:
"Se gli ebrei non volevano essere del Biro-Bidzan era perché preferivano essere russi". (Fejtö p 24)
Seguendo questo criterio fin da quegli anni la cultura ebraica al di fuori del Biro-Bidzan fu ostacolata.
La scelta era fra il Biro-Bidzan e l'assimilazione.
Da allora il Biro-Bidzan servì più che altro a scopo intimidatorio: di tanto in tanto, fino a periodi recenti, veniva detto che gli ebrei sarebbero stati tutti deportati in Biro-Bidzan.
Finora abbiamo analizzato l'atteggiamento della autorità, vediamo adesso quello della popolazione sovietica nei confronti degli ebrei.
L'ANTISEMITISMO POPOLARE IN URSS
La Russia ha una lunga tradizione di antisemitismo popolare, ricordiamo per inciso i pogrom che fino a pochi anni prima erano comuni ed i pogrom commessi dai Bianchi.
L'avvento del comunismo fui sentito, soprattutto dai contadini impregnati della propaganda antisemita religiosa, come la vittoria degli ebrei. Ad esempio gli archivi del partito comunista relativi a Smolensk (gli unici consultabili), parlano di contadini che fanno un pogrom e minacciano di uccidere per rappresaglia tutti gli ebrei della città se gli ori della chiesa fossero stati presi dalla autorità.
L'antisemitismo crebbe in maniera preoccupante durante la NEP, in quanto gli ebrei ne erano i principali beneficiari e venivano visti da molti, fra cui anche membri del partito, come degli speculatori.
Infatti neanche l'apparato sovietico era esente da antisemitismo.
Per molti di loro l'antisemitismo era una variante del sentimento contro la borghesia e lo ritenevano conforme al comunismo (come d'altronde avevano fatto molti populisti nel secolo precedente).
Non erano però solo gli elementi meno istruiti del partito ad essera antisemiti; Kalinin nel 1926 affermò che "l'intellighenzia russa e forse più antisemita oggi che sotto lo Zar" Fu infatti proprio da quell'anno che cominciò lo sforzo fatto dal partito contro l'antisemitismo (1926-30).
Il fenomeno era infatti divenuto allarmante; si ha notizia soprattutto di violenza commesse da studenti che chiedevano l'introduzione del numerus clausus.
Qualche idea sulle opinioni correnti fra i membri del partito la si può avere ascoltando le domande che furono fatte nel 1928 ad un seminario tenutosi a Mosca sulla questione ebraica, aperto soltanto a membri del partito o aspiranti:
- Perché i lavoratori russi odiano la nazionalità ebraica più di ogni altra? Il motivo non sta forse negli ebrei?
- Perché gli ebrei non vogliono fare lavori pesanti?
- Perché gli ebrei ottengono sempre buone posizioni?
- Perché ci sono tanti ebrei all'università? Forse falsificano i documenti?
- Gli ebrei sarebbero traditori in guerra, non è forse vero che cercano di evitare il sevizio militare?
Durante la guerra civile, nel 1918, era stato fatto un decreto contro i pogromisti; generalmente l'Armata Rossa salvò gli ebrei e li aiutò ad organizzare delle organizzazioni armate di autodifesa.
Il secondo tentativo per combattere l'antisemitismo venne fatto negli anni '20. Come abbiamo visto però gli stessi membri del partito erano in buona parte antisemiti, quindi misure quali l'eliminazione dei libri antisemiti (insieme a quelli religiosi e pro zaristi), ebbero in realtà un effetto quasi nullo.
In quegli anni gli ebrei se erano comunisti e assimilati venivano odiati dalla popolazione, se non lo erano incorrevano nell'odio del regime in quanto tradizionalisti o sionisti.
GLI ANNI '30
Dal momento che gli ebrei vennero riconosciuti come "nazionalità" e non più come religione, anche i loro figli erano compresi. Così in Urss essere ebrei non era una scelta privata, ma una faccenda legale.
La fattispecie giuridica venne creata alla fine del 1932, quando vennero creati i passaporti interni; infatti nel decreto si diceva che nel passaporto doveva essere indicata, al famigerato V paragrafo, la nazionalità.
I passaporti furono introdotti prima nelle città; infatti il motivo per cui furono introdotti era la penuria di abitazioni nelle città: il passaporto divenne il modo per regolare l'afflusso nelle città e la distribuzione degli appartamenti.
Quando la legge entrò in vigore per determinare la nazionalità si ricorse al certificato di nascita, in cui era scritta. In seguito essa venne assegnata a 16 anni, quando si riceveva il passaporto: se la nazionalità dei genitori era uguale, essa veniva iscritta nel passaporto, senza possibilità di scelta; se era diversa il ragazzo doveva scegliere la nazionalità di uno dei due genitori, senza possibilità di ripensamenti.
Questo provvedimento non aveva un carattere antisemita, né razzista in genere.
Inevitabilmente lo assunse con il tempo.
Infatti nonostante le varie promesse la menzione della nazionalità è rimasta obbligatoria fino a tempi recentissimi (crollo del comunismo?).
A metà degli anni '30 il patriottismo sovietico dei tempi dell'industrializzazione cominciò a trasformarsi in nazionalismo russo.
Se fino ad allora tutte le minoranze avevano avuto la libertà più ampia, adesso si comincia dire che le nazionalità più piccole devono assimilarsi.
Dal 1937 un motivo valido per essere deportati poteva essere anche solo la nazionalità.
Nel 1937 infatti avviene la prima deportazione di una nazionalità intera: la minoranza coreana in Urss (che venne deportata dall'Estremo Oriente al Kazhakistan).
Nel 1940 furono deportati gli estoni ed i finlandesi da Leningrado sulla base del cognome.
Nel 1941 toccò ai tedeschi del Volga, anche qui sulla base del cognome (Ginzburg!).
Subito dopo la guerra toccò ai ceceni, ai tatari ed a varie altre etnie caucasiche.
In queste deportazioni furono spostate centinaia di migliaia di persone, di tutte le età nel giro di pochi giorni.
La definizione tecnica fu "confinati speciali".
Le uniche eccezioni furono i coniugi sposati con un membro di un'altra etnia.
Nel 1953 avrebbe dovuto essere il turno degli ebrei, ma ci torneremo.
Adesso torniamo agli anni'30.
L'arma dell'antisemitismo viene usata per la prima volta dalla propaganda nel conflitto fra Stalin e Trocki.
Trocki stesso denunciò la cosa chiedendo in una lettera a Bucharin se fosse possibile che nelle cellule operaie a Mosca si facesse agitazione antisemita (Deutsher, "Il profeta disarmato").
In Urss divenne opinione comune ritenere che le principali vittime delle purghe degli anni '30 fossero gli ebrei.
All'epoca circolava una barzelletta sotto forma di dialogo fra due carcerati:
"Non sei trockista, né ebreo, ma perché sei stato arrestato allora?"
Ho letto le memorie di Evgenja Ginzburg, arrestata e deportata per 10 anni con l'accusa di trockismo proprio in quegli anni, ma di antisemitismo non si fa menzione.
Infatti nelle purghe furono deportate anche migliaia di non ebrei, soprattutto non russi.
Probabilmente uno degli scopi delle grandi purghe era proprio quello di ridurre l'influenza dei non russi nelle alte sfere, e quindi anche degli ebrei, che in più potevano essere accusati facilmente di trockismo.
La diffusione del nazionalismo colpì anche la cultura ebraica.
Furono chiuse scuole e centri culturali ebraici.
Il patto Ribbentrop-Molotov accelerò le cose.
Infatti l'antisemitismo durante il patto Ribbentrop-Molotov fu una sorta di omaggio ai nuovi alleati; ad esempio sui giornali si scriveva che l'antisemitismo nazista era principalmente diretto contro la religione ebraica e che era dovere degli atei marxisti aiutare i nazisti in questa campagna.
Leggiamo le memorie di Mark Gallai, ricordato da molti russi come il più importante pilota collaudatore (citato in Ainsztein):
"Molti di noi accettarono il trattato come il prendere una medicina cattiva: era orribile, ma necessario. Ma la firma del trattato fu seguita da avvenimenti che erano invece incomprensibili. I fascisti non erano più chiamati fascisti. Ciò che il Komsomol ed i pionieri ci avevano insegnato ad odiare come ostile, cattivo e minaccioso, divenne improvvisamente neutrale. Non fu detto con molte parole, ma il sentimento si diffuse nelle nostre anime quando guardavamo le foto di Hitler accanto a Molotov o quando leggevamo del grano e del petrolio sovietico che andava alla Germania fascista o quando vedevamo il passo dell'oca prussiano che veniva adottato proprio allora dal nostro esercito. Sì era molto difficile capire allora cosa stesse succedendo".
Tra le conseguenze del patto ricordiamo l'epurazione degli ebrei dall'esercito, dalla diplomazia e dal commercio con l'estero.
Va tenuto presente che fu un omaggio non richiesto in alcun modo dai nazisti.
GLI EBREI DURANTE LA GUERRA
Innanzitutto le annessioni di parte della Polonia, di parte della Romania e delle repubbliche baltiche fecero finire sotto il dominio sovietico circa 2.000.000 di ebrei, pochi di questi assimilati.
Subito cominciò la persecuzione contro i sionisti, mentre invece non vi fu persecuzione contro nessuna religione.
Comunque tutto fu interrotto dall'invasione tedesca.
Al momento dell'invasione Stalin fece appello a tutti e permise anche agli ebrei di alzare la loro voce come un popolo: il 24 Agosto del 1941, per la prima volta dal 1918, l'ebraismo russo poté rivolgersi all'ebraismo della diaspora e fu lanciato un appello per radio che cominciava con le seguenti parole:
"Ai nostri fratelli ebrei in tutto il mondo!"
Era un appello dal tono patriottico che chiedeva al popolo ebraico, quindi gli ebrei di tutto il mondo vengono riconosciuti come un popolo, di unirsi agli alleati per combattere i nazifascisti e vendicare gli ebrei già uccisi.
Sottoscrissero il testo personalità ebraiche che più tardi confluirono nel Comitato Antifascista Ebraico.
Infatti Stalin sperava di poter creare un'organismo sovietico ebraico per ottenere consenso ed aiuti soprattutto fra gli ebrei americani, di cui da buon antisemita, sopravvalutava l'influenza.
Dapprima Stalin tramite Berja aveva proposto a due bundisti polacchi.
Stalin però ci ripensò in quanto i due erano stati menscevichi e dette ordine di fucilarli.
Così invece fu fondato il Comitato Antifascista Ebraico, ufficialmente il 6 Aprile del 1942.
Salomon Mikhoels, un noto attore, ne fu il presidente, Aynikayt il suo organo.
I compiti del Comitato dapprima furono quelli di fare propaganda tra gli ebrei sovietici, e di usare gli esempi di eroismo degli ebrei sovietici all'estero per muovere gli ebrei dei paesi stranieri verso la guerra contro Hitler.
Subito dopo la creazione del Comitato Mikhoels e Feffer vennero mandati in Gran Bretagna ed in Usa per raccogliere denaro per l'Armata Rossa ed i civili sovietici.
Nel frattempo la diplomazia sovietica prese contatti con esponenti sionisti in Palestina, valutando la possibilità di un sostegno sovietico alla creazione dello stato di Israele, in cambio del sostegno del movimento sionista (questo mentre i sionisti in Urss continuavano ad essere perseguitati).
La creazione del Comitato fu la concessione più importante fatta agli ebrei sovietici.
Man mano che la guerra si avvicinava alla fine il Comitato si emancipava dalle direttive rigide del Cremlino e cominciava ad occuparsi di altri temi concernenti gli ebrei, quali le dimostrazioni di antisemitismo durante la guerra ed il futuro dell'ebraismo sovietico dopo la guerra.
Infatti in Ucraina, Bielorussia si erano formati dei gruppi nazionalistici ed antisemiti che collaboravano con i nazisti nello sterminio.
Addirittura in Lituania, quando i nazisti arrivarono, i lituani avevano già cominciato per conto loro a uccidere gli ebrei.
L'antisemitismo si diffuse dalle regioni conquistate dalla Germania a tutta la popolazione sovietica.
I motivi sono vari: la propaganda nazista, che cercava di eguagliare gli aspetti più deteriori del regime sovietico con gli ebrei; inoltre, come in tutti i momenti di crisi, gli ebrei divennero capro espiatorio; infine il richiamo al nazionalismo russo, che influì nel diffondersi di un antisemitismo popolare, ma avvallato dalle autorità. Infatti le autorità non solo non fecero nulla per combatterlo, ma tralasciarono di dire ciò che i nazisti facevano agli ebrei.
Fra i partigiani, specie se nazionalisti, l'antisemitismo era pratica omicida.
Gli ebrei dovettero costituire bande partigiane ebraiche, che però non avevano il sostegno della popolazione locale.
Comunque anche i partigiani fedeli al regime sovietico non accettavano facilmente gli ebrei e questo la dice lunga sulla diffusione dell'antisemitismo anche fra i fautori del regime sovietico. Alla fine della guerra, quando le bande partigiane erano state unificate sotto il controllo di Mosca, le cose migliorarono per gli e ebrei, che poterono entrare in esse più facilmente.
Anche fra l'Armata Rossa e nelle parti non occupate del paese l'antisemitismo era crescente.
L'accusa principale rivolta agli ebrei era quella di non combattere, completamente falsa poiché gli ebrei, relativamente al loro numero, hanno dato il numero maggiore di decorati di tutte le nazionalità.
Comunque oltre a questa c'erano le solite accuse antisemite (borsaneristi etc.)
SUBITO DOPO LA FINE DELLA GUERRA
L'odio antisemita accumulato durante la guerra non sparì d'un colpo, anzi.
Soprattutto nelle regioni che erano state occupate il ritorno dei sopravvissuti fu molto malvisto.
Molti che avevano collaborato temevano di essere riconosciuti, molti che avevano approfittato della scomparsa degli ebrei per appropriarsi delle loro case, dei loro posti di lavoro vedevano altrettanto male il loro ritorno.
Leggiamo la testimonianza di un ebreo che ritornò a Kharkov appena liberata.
"Gli ucraini ricevono gli ebrei sopravvissuti con astio aperto. Durante le prime settimane seguite alla liberazione di Kiev nessun ebreo aveva il coraggio di andare da solo per strada di notte. .. In molti casi gli ebrei vennero picchiati nella piazza del mercato ed uno fu ucciso. ... A Kiev 16 ebrei furono uccisi nel corso di un pogrom. Gli ebrei sopravvissuti ricevono solo una piccola parte delle loro proprietà. Le autorità ucraine sono notevolmente antisemite. ... l risposta ufficiale ad ogni protesta da parte di ebrei è che la popolazione è stata infettata dall'antisemitismo e che questa influenza può essere estirpata soltanto gradualmente" (citato in Kochan, p 306).
Kruscëv, allora primo segretario del Partito in Ucraina:
"Non è nostro interesse che gli ucraini associno il ritorno del potere sovietico con il ritorno degli ebrei". (citato in Kochan a p 308, che lo riprende da Schechtmann "star in eclipse" e da Schwarz "Yevrei v SS")
Ciò significò che gli ebrei non dovevano più avere cariche importanti in nessun ambito e che le istituzione ebraiche, scuole in yiddish, teatri etc, non sarebbero state più tollerate.
Vediamo adesso le perdite subite dagli ebrei russi durante la guerra.
Gli ebrei sterminati dai nazisti ammontano circa a 700.000 persone (Reitlinger).
In realtà secondo il dato di crescita demografica, gli ebrei nel 1959 avrebbero dovuto esser 4.000.000, quindi negli anni dal 1939 al 1959 il loro tasso di decrescita è stato di 1.700.000 persone; oltre allo sterminio nazista bisogna infatti aggiungere i morti dovuti più propriamente alla guerra, quelli dovuti alle purghe degli anni neri etc.
Le annessioni di territori quali le repubbliche baltiche etc, hanno però fatto rimanere il numero degli ebrei quasi invariato.
Infatti nel censimento del 1959 gli ebrei in Urss erano 2.500.000 circa.
Diffusi soprattutto in Russia, Ucraina, Moldavia, repubbliche baltiche etc.
Poiché la popolazione ebraica è prevalentemente urbana si stima che a Mosca l'11% della popolazione sia composto da ebrei, il 9,8% a Leningrado, il 13,8% a Kiev fino ad un massimo di 19,8% di ebrei a Kishinev (Levenberg).
LA CAMPAGNA CONTRO I "NAZIONALISTI"
Dopo il lassismo del tempo di guerra fu ripresa la campagna contro i nazionalismi non russi.
Il primo atto è dichiarare colpevole di "deviazionismo nazionalista" uno storico kazakho che aveva scritto un libro sulla storia dei Kazaki e che nel 1943 era stato invece elogiato sulla stampa sovietica.
Infatti le accuse di nazionalismo non sono rivolte a "nazionalismi" nel senso in cui lo intendiamo noi; si poteva essere accusati di nazionalismo semplicemente per non considerare progressive le conquiste zariste di territori non russi.
Una simile campagna non poteva non coinvolgere gli ebrei.
Nell'agosto del 1946 Zdanov fa un discorso al Comitato Centrale del CPSU per fare adottare alcune risoluzioni che fra l'altro impongono la glorificazione del popolo russo.
Inoltre Zdanov accusa alcuni scrittori ebrei di essere nazionalisti e di occuparsi troppo degli ebrei.
É il primo segno.
Nel 1947 vengono accusati gli artisti di teatro ebrei, accusati di vagheggiare il vecchio modo di vivere ebraico e di essere apolitici.
É vero che nello stesso periodo furono accusate tutte le minoranze di nazionalismo; ma soltanto la cultura ebraica risultò, alla fine di questo periodo, completamente annientata.
Ad esempio nessun ucraino venne accusato di usare troppo spesso la parola "ucraino" nei suoi scritti o di aver parlato troppo del martirio del suo popolo sotto il nazismo, come invece accadde per gli scrittori ebrei (Kipnis).
Infatti alla fine di questa campagna non esisteva più nessun centro culturale ebraico, non esistettero più scuole in yiddish, né vi furono pubblicazioni in yiddish per molto tempo.
Salomon Mikhoels, presidente del Comitato Antifascista Ebraico e noto attore del teatro yiddish, è la prima vittima della campagna contro il "nazionalismo ebraico"; venne assassinato nel Gennaio del 1948 e il Comitato sciolto (Novembre).
In quello stesso anno vennero arrestati tutti i più importanti rappresentanti della cultura yiddish sovietici.
Gli arresti continuarono fino al 1953.
Secondo la lista fatta a New York dopo il 1956 dal Congresso per la Cultura ebraica fra deportati e fucilati gli artisti yiddish, o comunque ebrei, coinvolti erano qualche centinaio.
La maggior parte fu subito deportata in Siberia, i più importanti venero sottoposti ad interrogatori lunghissimi (e durante i quali molti morirono).
Lo scopo era di farli confessare di star preparando una rivolta armata per la secessione delle Crimea, dove doveva essere fondato uno stato sionista, satellite degli USA.
Gli interrogatori dovevano probabilmente (Pinkus) concludersi con un grande processo pubblico.
Ciò non avvenne e la maggior parte di questi imputati fu fucilata; per un processo non fu pubblico si stavano cercando figure ben più sataniche contro cui scagliarsi, figure che vennero trovate nei medici, come vedremo in seguito.
Mentre i "nazionalisti ebraici" venivano colpiti in Urss, la diplomazia sovietica si stava dando da fare per la creazione dello stato di Israele.
I motivi di questa scelta si possono riassumere in 4 punti:
1) I sovietici avevano sperato che gli arabi sarebbero riusciti a scacciare la Gran Bretagna dalla zona, mentre invece gli arabi avevano preferito trovare un accordo sia con la Gran Bretagna, sia con gli stati fascisti.
I sovietici speravano che gli ebrei sarebbero riusciti scacciare gli inglesi dalla zona
2) i sovietici temevano che gli Usa volessero sostituirsi alla Gran Bretagna nella zona.
Per questa volevano favorire gli ebrei
3) la creazione di uno stato ebraico avrebbe risolto il problema non indifferente delle centinaia di migliaia di profughi che c'erano allora in Europa
4) L'URSS infine sperava di ottenere il sostegno degli ebrei di tutto il mondo favorendo la creazione di uno stato ebraico.
Oltre al discorso di Gromiko ricordiamo che L'URSS votò a favore dell'ammissione di Israele all'ONU e, tramite la Cecoslovacchia, vendette ad Israele le armi per la guerra di indipendenza.
Ma allora perché la persecuzione contro il "nazionalismo ebraico"?
Cerchiamo di capire.
Già con la creazione del Comitato si era avuto un risveglio del sentimento nazionale ebraico.
Il fatto che l'URSS fosse favorevole alla creazione dello stato di Israele ed avesse messo da parte la politica antisionista, aveva fatto crescere questo sentimento, crescita che si dimostrò nelle manifestazioni di giubilo per l'insediamento della delegazione diplomatica israeliana nell'Ottobre del 1948.
Una manifestazione del genere per un paese straniero, e neanche socialista, probabilmente peggiorò di molto le cose per gli ebrei sovietici.
LA CAMPAGNA CONTRO I "COSMOPOLITI"
Tra le risoluzione fatte approvare dal Zdanov al Comitato Centrale del CPSU nell'Agosto del 1946 (Comitato che come abbiamo visto dette il via anche alla campagna contro i "nazionalisti") sicuramente la più importante per la cultura di quegli anni fu quella che obbligava ad attaccare tutto ciò che sapeva di occidentale.
Cominciò una campagna contro tutti quegli artisti che non obbedissero a queste regole.
Le vittime furono soprattutto lo scrittore satirico Zoshenko e la poetessa Achmatova (entrambi non ebrei).
La campagna non aveva ancora un tono antisemita.
Poiché, ovviamente, anche alcuni ebrei vennero colpiti, ben presto contro di loro si cominciò ad usare frasi antisemite.
Il primo esempio è contro il critico Nusinov, definito da Fadeev (Presidente dell'Unione degli Scrittori Sovietici) "un vagabondo senza passaporto" nel 1947.
Intanto (settembre 1947) Zdanov aveva affermato la teoria dei due campi contrapposti.
Subito molti scrittori, fra cui moltissimi ebrei, difesero questa linea anti-occidentale.
Non servì: erano gli stessi che dopo poco sarebbero stati arrestati o fucilati.
Gli attacchi al cosmopolitismo continuarono e cominciarono ad avere come oggetto quasi soltanto ebrei, anche se ancora non si fa riferimento esplicitamente al loro essere ebrei.
Sentiamo il tono di alcune di queste accuse ai "cosmopoliti senza radici":
"Il cosmopolita è un fenomeno strano, incomprensibile ipocrita e senza senso, una manifestazione in cui c'è qualcosa di insipido e di vago. É una creatura corrotta insensibile, totalmente indegna di essere chiamata con il nome sacro di uomo".
Queste parole in realtà sono di un critico letterario del XIX secolo; vennero riprese da un certo Paperny durante questa campagna, Paperny era ebreo egli stesso.
Nel suo articolo proseguiva dicendo che il cosmopolitismo era avversario non solo del popolo russo, ma di tutti i popoli dell'unione; proprio per questo l'anno seguente fu accusato egli stesso di cosmopolitismo.
Anche in ambito scientifico avvenne lo stesso fenomeno (Lysenko).
Comunque le tendenze antisemite si rivelarono appieno soltanto nel 1949.
La decisione di lanciare una campagna così grande e dal tema così insolito deve essere stata presa ai più alti livelli.
Infatti all'inizio del 1949 la polemica cambiò obbiettivo.
In articoli sulla Pravda si comincia a parlare di un "gruppo antipatriottico".
Voleva dire che la critica non era diretta più soltanto ad individui, ma a gruppi di individui.
Spesso il gruppo venne anche definito "tribù".
Vengono fatti dei nomi e sono tutti nomi di ebrei.
Si pone enfasi sul fatto che gli ebrei non possono sapere niente di cultura russa.
Si comincia ad accusarli di ipocrisia, falsità disprezzo per i sentimenti russi etc.
La campagna raggiunse il parossismo nel febbraio-marzo del 1949: stampa, radio, letteratura, cinema, lezioni e conferenze, tutto si prestava a questi attacchi.
La percentuale di ebrei fra gli attaccati era circa del 70%.
Gli articoli sono tantissimi e sono sia "seri", sia "umoristici".
Il ritratto che ne viene dato è quello dell'ebreo, parassita, truffatore, vigliacco e pigro.
In realtà in questi articoli gli ebrei non vengono mai definiti brutalmente come tali, ma sempre per allusione, peraltro inequivocabile: si pone un'enfasi particolare sul nome, sul cognome o sul patronimico ebraico.
Oltre alle accuse dell'arsenale antisemita di tutti i tempi troviamo questa:
- Oltraggiare la nazione russa.
- Perfida diffamazione dell'uomo russo.
- Insulto alla memoria di importanti artisti russi (quest'insulto voleva dire averli paragonati ad artisti ebrei; ad esempio il critico Levin aveva detto che Majakovski era stato influenzato dal poeta Bialik)
Considerando la diffusione dell'antisemitismo popolare in tutta l'URSS si può capire l'impatto di simili calunnie.
A questo si può aggiungere la situazione economica disastrosa (mancanza di case, di cibo, condizioni di lavoro difficili), che provocava ira nella popolazione, e l'anti-intellettualismo del regime; si capisce che gli ebrei si avviavano ad essere l'oggetto di odio ideale.
Le misure che vennero prese per chi veniva accusato variavano dall'ammonizione al licenziamento all'arresto e deportazione.
Comunque appena la campagna divenne chiaramente antisemita, essa diminuì di intensità.
Furono le autorità stesse a cessare di fomentarla e di appoggiarla, perché temevano l'accusa aperta di antisemitismo.
In realtà la campagna continuò ancora un po' a cause delle accuse che gli ebrei continuavano a ricevere da non ebrei interessati, quali rivali sul lavoro etc.
Perché vi fu questa campagna antisemita?
Sembra che Stalin e parte della dirigenza sovietica ritenessero che gli ebrei non fossero pienamente fedeli all'URSS e che, poiché ritenevano imminente una guerra con gli USA, avessero pensato di metterli in una condizione di non nuocere.
Per questo cercarono di colpire da un alto l'intellighenzia ebraica che si definiva tale ("nazionalisti"), dall'altro l'intellighenzia ebraica assimilata ("cosmopoliti").
Soltanto se si capisce questo si può capire il passaggio brusco da una campagna all'altra, che sembravano in contraddizione.
Un'altra considerazione da fare è che il regime stava facendo una concessione a quello che era un forte sentimento popolare: l'antisemitismo.
Inoltre erano molte le persone che avevano da guadagnare da una simile campagna.
IL "COMPLOTTO DEI MEDICI EBREI"
Il primo processo pubblico contro gli ebrei avvenne fuori dall'URSS: il processo Slanski, in Cecoslovacchia, quando i più importanti dirigenti, di origine ebraica, del partito comunista ceco, furono accusati di essere spie sioniste (27 Novembre 1952).
Infatti nel frattempo i rapporti con Israele si erano deteriorati e la definizione del sionismo come movimento reazionario venne ritirata fuori e si cominciò a costruire una base teorica per opporsi allo stato di Israele (comunque già nel processo contro Rayk nel 1949 il sionismo era stata una delle accuse); la scusa formale era il dire che ci si aspettava che Israele diventasse un paese socialista.
Il processo Slanski servì per vedere che effetto avrebbe fatto ad Ovest un attacco del genere.
Si ricordi che anche nel processo Slanski si parlò di "medici avvelenatori".
Cerchiamo di capire quali possono essere stati i motivi per lanciare una tale campagna, che avrebbe dovuto concludersi con un processo pubblico.
Al XIX Congresso del Partito nell'Ottobre del 1952 il Politburo era stato ristrutturato.
Probabilmente Stalin voleva cominciare un'enorme purga per eliminare i vecchi leader dell'apparato, quali Berja, Molotov etc.
Per condurre questa purga non fu scelta la via segreta, per altro possibile, perché Stalin voleva creare un clima di tensione in vista di una nuova guerra, che egli riteneva imminente (così come era avvenuto negli anni '30).
Il pretesto furono gli ebrei probabilmente a causa dell'antisemitismo di Stalin, che negli ultimi anni era aumentato fino a raggiungere un livello di paranoia.
Ad esempio se dei medici erano potuti arrivare a tanto, ciò significava che gli organi di sicurezza, e cioè Berja, erano complici, etc.
La campagna iniziò il 13 Gennaio del 1953 con l'annuncio che 9 medici avevano avvelenato Zdanov e Scerbakov e che avevano tentato di avvelenare anche dei generale dell'armata Rossa.
Sei di questi medici erano ebrei.
Subito cominciò una campagna diffamatoria da incubo.
Paradossalmente su questo argomento gli storici stessi rimandano a opere di letteratura.
Leggiamo la descrizione fattane da Vassilj Grossman, che la visse in prima persona:
"Lavorare negli ospedali e nei policlinici era diventato difficile, un vero tormento. Influenzati dai terribili comunicati ufficiali, i malati si erano fatti sospettosi. Molti rifiutavano di farsi curare da medici ebrei. ... Nelle farmacie gli acquirenti sospettavano i farmacisti di tentare di rifilare loro medicinali avvelenati; sui tram, nei mercati, nei ministeri si raccontava che a Mosca alcune farmacie erano state chiuse perché farmacisti ebrei - agenti dell'America - vendevano pillo fatte con polvere di pidocchi; si raccontava che nei reparti maternità infettavano di sifilide neonati e puerpere, e che negli ambulatori dentistici inoculavano ai malati il cancro. ... Particolarmente penoso era che a quelle voci credessero non solo portinai, facchini e autisti semianalfabeti o semiubriachi, ma anche certi dottori in scienze, scrittori, ingegneri, studenti." (V. Grossman, "Tutto scorre", Adelfi)
Un'altra testimonianza la da Solgenitsin nel suo "Arcipelago Gulag".
"Ancor oggi è difficile sapere qualcosa di autentico da noi, e lo sarà ancora per molto tempo. Ma secondo voci che circolano a Mosca il progetto era questo: all'inizio di Marzo i "medici assassini" dovevano essere impiccati sulla Piazza Rossa.
Naturalmente i patrioti infiammati avrebbero allora (sotto la guida di istruttori) scatenato un pogrom contro gli ebrei. A questo punto il governo (si riconosce il carattere staliniano, non è vero?) sarebbe generosamente intervenuto per salvare gli ebrei dall'ira popolare e li avrebbe trasferiti, la stessa notte, da Mosca in Estremo Oriente ed in Siberia (dove già si apprestavano le baracche)."
Sembra infatti che la deportazione avrebbe dovuto essere preceduta da una lettera aperta di personalità ebraiche che chiedevano a Stalin di deportare tutti gli ebrei in Siberia per salvarli dall'odio della popolazione suscitato dal comportamento dei medici.
Comunque su questi punti non si hanno prove certissime, anche se, visti i precedenti la cosa era più che probabile.
DOPO STALIN
Come dice Fejtö, i successori di Stalin si trovarono d'accordo almeno nel rinunciare agli aspetti demenziali della sua politica, tra cui l'antisemitismo.
Radio Mosca annunciò che le accuse contro i medici erano state costruite e che essi erano innocenti.
Vennero fatti dei passi per liberare i prigionieri superstiti dai campi di concentramento e molti ebrei riottennero i posti che avevano perso con la campagna anti-cosmopolita.
Comunque le campagne antisemite in Cecoslovacchia ed in Romania cominciarono proprio allora, e non sembrarono risentire di questi cambiamenti, che in ogni caso riguardavano soltanto gli aspetti estremi.
Infatti se i singoli vennero riabilitati tutti, non fu così per gli ebrei come collettività.
Non fu detto mai che le accuse lanciate in quegli anni erano state sbagliate: la campagna cosmopolita venne definita "benefica per la cultura russa" (Congresso degli Scrittori); Kruscëv nel rapporto segreto non parlò assolutamente di antisemitismo pur essendo costretto a parlare del "Complotto dei Medici".
Per capire quanto furono limitati questi cambiamenti e quanto in realtà la politica generale nei confronti degli ebrei rimase immutata vediamo l'atteggiamento verso gli ebrei dei successori di Stalin.
La maggior parte delle dichiarazioni sugli ebrei o sull'antisemitismo fatte da Kruscëv o da altri leader dell'epoca era rivolta all'occidente e non fu neanche pubblicata in Urss.
Infatti l'occidente, ed in particolare i partiti comunisti occidentali, si erano mobilitati contro le dimostrazioni di antisemitismo che avvenivano in Urss, per questo cercavano di negare.
Fu un tentativo inutile perché in realtà la pratica dell'antisemitismo era assai più evidente allora che negli anni di segretezza dello stalinismo.
Contrariamente a Stalin Kruscëv amava rilasciare interviste, e spesso parlò anche degli ebrei.
Ai funerali di Boreslav Birut nel Marzo del 1056 in Polonia Kruscëv disse al Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Uniti:
"Io credo che anche in Polonia voi soffriate di una composizione abnorme dei quadri dirigenti come una volta ne soffrivamo anche noi ... la percentuale di alti funzionari ebrei nel mio paese è adesso nulla, 2 o 3 %... (guardando accigliato il presidente del Congresso che si chiamava Zambrovski, ma che era nato Zukerman, Kruscëv concluse:) Sì, è vero, avete molti leader il cui nome finisce in "ski", ma un Abramovich resta una Abramovich. E voi avete troppi Abramovich nei vostri quadri dirigenti." (citato in Pinkus p 92)
Se questo è un esempio dell'antisemitismo volgare di Kruscëv, si hanno anche suoi esempi di antisemitismo raffinato.
Ecco un'intervista di Kruscëv 12 maggio 1956 a una delegazione del partito socialista francese:
"Allo scoppio della rivoluzione, noi avevamo molti ebrei nella dirigenza del partito e dello stato. Essi erano più colti e forse più rivoluzionari del russo medio. A tempo debito abbiamo creato nuovi quadri" Kruscëv viene interrotto da Pervukhin che spiega: "la nostra propria intelligensja". Kruscëv termina il commento: "Se gli ebrei volessero occupare adesso le posizioni prominenti nelle nostre repubbliche, ciò sarebbe male accolto dagli abitanti indigeni. Essi male accoglierebbero queste pretese, specialmente perché non si considerano meno intelligenti o capaci degli ebrei."
Una dichiarazione del Ministro della Cultura del Giugno del 1956, riprende il senso di quanto già detto un mese prima da Kruscëv:
"Il governo ha trovato in alcuni dei suoi dipartimenti una concentrazione preoccupante di ebrei, fino al 50 % dello staff. Sono state prese delle misure per trasferirli ad altre imprese, dando loro le stesse buone posizioni e senza fare loro correre alcun rischio"
Si allude alla politica di discriminazione che continuò e crebbe.
La discriminazione più fastidiosa è quella nell'accesso alle università, che in Urss erano quasi l'unico modo di ascesa sociale.
Essa venne veementemente negata dai funzionari sovietici, ma ammessa nei giornali sovietici senza problema.
Le norme di accesso alle Università discriminatorie nei confronti degli ebrei vengono definite dal "Bollettino di Educazione Superiore", sovietico come "quote preferenziali di ammissione pianificate annualmente".
Come tutti i numeri clausi esse sono in relazione al numero globale di ebrei in Urss.
.
Nei settori connessi alla difesa l'accesso agli ebrei è completamente vietato, in quanto gli ebrei non possono neanche partecipare agli esami di concorso.
Il numero di ebrei fra gli iscritti al partito è diminuito costantemente, non solo per un decremento delle richieste, ma neh per una precisa politica del partito stesso (Pinkus).
Lo si vede dal fatto che il decremento più forte è stato fra i membri del partito con cariche importanti. tra i membri del Comitato Centrale e del Soviet Supremo addirittura gli ebrei sono la nazionalità meno rappresentata, nonostante gli ebrei siano, come numero, la settima nazionalità dell'Unione.
La discriminazione è agevolata dal fatto che fino a pochissimo tempo fa tutti gli ebrei portavano scritto sui propri documenti la parola "ebreo".
É facile capire come questa norma possa essere discriminatoria.
Il silenzio sulla sterminio nazista continuò inalterato.
L'idea è quella di non dividere mai i crimini nazisti, per cui non si riconosce alcuna peculiarità allo sterminio totale degli ebrei di fronte alle stragi di slavi.
Durante gli Anni Neri perfino i libri già pubblicati dovevano essere censurati delle parti in cui si poteva alludere a sofferenze inflitte agli ebrei.
Per questo fece tanto clamore la pubblicazione del poema Babi Yar da parte del poeta Evtushenko.
Già sotto Stalin, e prima ancora ai tempi della NEP, i processi per "crimini economici" (termine che designa una serie di reati che variano dalla speculazione alla corruzione) avevano sempre avuto un carattere antisemita.
La punta massima raggiunta è stata negli anni '60.
Si calcola che il 78 % dei coinvolti siano stati ebrei, molti dei quali condannati a morte per questo.
A processi in cui gli accusati erano ebrei venne dato molto risalto.
Dopo che Bertrand Russel scrisse una lettera per protestare contro questo atteggiamento e contro l'imposizione della pena di morte, i processi economici diminuirono.
Gli atti di antisemitismo, sinagoghe incendiate, cimiteri profanati, ebrei picchiati etc, vennero passati sotto silenzio dai mass-media, o appena se ne accennò.
Dal 1957 in poi cominciano ad essere prodotti dei feuilleton in cui viene tirato fuori tutto l'armamentario antisemita.
Il più infame di questi libri è stato quello di T. Kichko "Il Giudaismo senza imbellettature", pubblicato dall'Accademia delle Scienza Ucraina nel 1963, degno della propaganda nazista, e che, data la polemica che aveva suscitato in Occidente, fu ritirato dal mercato.
Fin dal 1956 cominciarono ad essere tenuti vari processi contro sionisti o i rappresentanti del mondo religioso ebraico, ma la stampa non dette molto risalto a questi processi che erano semplice routine, una routine che era continuata ininterrottamente dagli anni '20 e che da tempo aveva annientato il movimento sionista e che aveva ridotto le sinagoghe da molte migliaia ad un sessantina, di cui la stragrande maggioranza fra le comunità sefardita degli ebrei georgiani a caucasici, di cui non ci siamo occupati perché interessati marginalmente dalle persecuzioni.
Fu dopo la Guerra dei Sei Giorni che simili processi cominciarono ad avere un chiaro intento politico.
Infatti da allora la campagna antisionista divenne chiaramente, e senza vie di scampo, antisemita.
Ad esempio ritornò alla carica Kichko, che nel 1968 pubblicò "Giudaismo e sionismo", definito dalla Pravda "il primo e fondamentale trattato scientifico sovietico sull'argomento" (6 Febbraio del 1969).
In questo libro Kichko spiega che la religione ebraica insegna l'odio per gli altri popoli e per le altre religioni e perfino insegna che esse devono essere distrutte; e che il sionismo è un'ideologia nazista, un'idra tentacolare collegata a tutte le forze reazionarie occidentali.
Cominciano ad apparire anche caricature antisemite che vengono affisse nei luoghi di lavoro, di ritrovo e nelle strade.
Molta di questa propaganda era mascherata come anti-religiosa o anti-sionista.
Con la scusa degli attacchi al sionismo in realtà vengono attaccati gli ebrei tout court.
Il risultato fu proprio quello di diffondere sempre più il sionismo fra gli ebrei.
Infatti molti ebrei, soprattutto i giovani, avevano perso la fiducia nel comunismo come elemento di emancipazione.
Per questo tra i dissidenti troviamo tanti ebrei.
Si crea così un circolo vizioso: gli ebrei vengono spinti, tramite persecuzioni, all'assimilazione, poi gli viene negata anche questa e quindi gli ebrei tornano indietro, verso l'ebraismo, il sionismo etc; ciò fa aumentare di nuovo le persecuzioni in un crescendo continuo.
CONCLUSIONI
Fino a prima della guerra le persecuzioni avevano coinvolto gli ebrei come le altre etnie: di queste campagne raramente si può affermare il carattere specificatamente antisemita.
Nel dopoguerra invece il carattere antisemita è evidente.
Chiariamo la cosa:
Negli anni '20 si era privato il popolo ebraico di tutta la parte della sua cultura che aveva a che fare con la religione e con gli altri ebrei della Diaspora (risulta chiara l'interdizione dell'ebraico); si era invece promossa la cultura laica, yiddish, ma anche assai più ristretta, che poco aveva a che fare con la cultura internazionalista degli ebrei e che invece esaltava i valori locali degli ebrei ashkenaziti.
Come per le altre etnie minoritarie negli anni '30 fu scelta l'assimilazione e quindi anche la cultura yiddish cominciò ad essere ostacolata.
Nel dopoguerra il processo iniziato negli anni '30 arriva alla resa dei conti.
Tutte le minoranze devono scegliere l'assimilazione completa.
In quest'ottica rientra la persecuzione al "nazionalismo".
Il fatto che, per motivi di utilità, l'URSS abbia appoggiato la creazione dello stato di Israele non cambiò sostanzialmente le cose, anzi, le peggiorò perché illuse gli ebrei sovietici il cui sentimento nazionale fu risvegliato, facendoli incorrere ancor di più nell'ira del regime.
Specificatamente antisemita è invece la campagna contro il cosmopolitismo.
Essa infatti colpisce proprio gli ebrei assimilati, che quindi avevano fatto quello che il regime voleva.
In modo più esteso, è vero, essa colpisce i rapporti con la cultura occidentale.
Ma di fatto si risolse in una campagna antisemita, perché gli ebrei non potevano né scegliere la propria cultura ("nazionalismo"), né adattarsi alla cultura del paese, riservata ai "veri russi".
Riassumendo.
Negli anni '20 e '30 gli ebrei non soffrirono più delle altre minoranze: dovettero scegliere fra la cultura yiddish, e solo quella, e l'assimilazione.
Nel dopoguerra entrambe queste scelte portavano ai Gulag.
I successori di Stalin eliminarono il terrore indiscriminato, ma non la persecuzione, la cui forza è testimoniata dall'emigrazione di massa degli ebrei sovietici non appena se ne è presentata l'occasione, e cioè con la glasnost.
Bibliografia Essenziale:
FEJTÖ, Gli ebrei e l'antisemitismo nei paesi comunisti, Milano Singer 1962
EVGENIA GINZBURG, Viaggio nella vertigine, Milano, Mondadori, 1967; Viaggio nella vertigine 2, Milano, Mondadori 1981.
HAIKO HAUMANN, Storia degli ebrei dell'Est, Mi, Sugarco 1991
KOCHAN LIONEL, (a cura di) The Jews in the Soviet Russia since 1917, Edited by L. Kochan, Oxford University Press, London-New York-Toronto. Published for the Institute of Jewish Affairs, 1970. Scritti di S. Ettinger, S. Levenberg, J. Miller ... z. Katz.
NADEZDA MANDELSTAM, L'epoca e i lupi. Memorie, Milano, Mondadori 1971.
PINKUS BENJAMIN, The Soviet governament and the Jews, 1948-1967: a documented study. Cambridge University Press 1984.
ALEXANDR SOLGENITSIN, Arcipelago GUlag, vol. I, II, III e IV, Mondandori, Milano 1974.
[materiale dal saggio "on line":Gli ebrei
L'antisemitismo in Unione Sovietica
di Valentina Piattelli]
La guerra aveva ulteriormente acuito gli squilibri ed i profondi conflitti già esistenti tra le nazioni europee, in seno ad un’Europa distrutta dal terribile conflitto.
La spaccatura tra i paesi vincitori e vinti era radicale: da una parte le potenze vittoriose guidate da Francia, Inghilterra e Stati Uniti; dall’altra parte la Germania sconfitta e un Impero Austro-Ungarico destinato alla definitiva frammentazione.
Gli Stati Uniti avevano esercitato un ruolo fondamentale dal punto di vista economico e politico (nei finanziamenti per la guerra ai paesi alleati), tanto che praticamente tutta l’Europa aveva con questi un enorme debito.
Fu, infatti, il presidente degli Stati Uniti, Wilson, ad imporre la creazione di un organismo di cooperazione internazionale: la SOCIETA' DELLE NAZIONI.
La Società delle Nazioni era composta dai 32 Paesi vincitori della guerra, ma diretta da un consiglio di soli nove membri, cinque dei quali permanenti: U.S.A., Inghilterra, Francia, Giappone e Italia.
Il consiglio, che aveva sede a Ginevra, aveva il compito di eleggere un Segretario Generale, i componenti delle missioni tecniche, politiche ed economiche e una corte permanente di giustizia internazionale formata da dieci giudici.
Ruolo della Società delle Nazioni avrebbe dovuto essere quello di regolare diplomaticamente gli eventuali conflitti tra le nazioni, grazie all’autorità che ognuna di esse le avrebbe riconosciuto, un’autorità sopra le parti e quindi garante di Pace.
In questo modo si sarebbe ottenuta anche una situazione favorevole per gli scambi commerciali e per il mercato finanziario, situazione che andava tutta a vantaggio di una potenza economica quale era già quella statunitense.
Dopo appena un anno dalla formazione, gli Stati Uniti si ritirarono dalla Società lasciando, di fatto, il pieno controllo di questo nuovo organismo a Francia e Inghilterra: quello che doveva essere un imparziale strumento politico, garante della pace e dell’equilibrio mondiale, divenne invece monopolio del potere di due grandi nazioni.
La Società delle Nazioni Europee mostrò ben presto il suo fallimento, proprio a causa dello strapotere delle Nazioni Europee economicamente e politicamente più forti e di conseguenza a causa della sua incapacità di imporsi come autorità incondizionata e al di sopra delle parti.
Se sul piano della sicurezza collettiva la Società delle Nazioni si presenta come un esperimento sicuramente non coronato da successo, tuttavia, in altri campi la sua azione, come quella delle istituzioni ad essa collegate, appare come un importante momento di crescita del sistema amministrativo internazionale.