La battaglia delle Alpi Occidentali (in francese Bataille des Alpes) fu combattuta durante la seconda guerra mondiale fra Italia, entrata in guerra a fianco della Germania nazista contro le Potenze occidentali, e la Francia. Ebbe termine, dopo limitati guadagni territoriali ed un sostanziale fallimento strategico italiano, il 25 giugno 1940, dopo l'Armistizio tra la Francia e le Potenze dell'Asse. Il 10 giugno 1940, con il discorso di Benito Mussolini, l'Italia entra ufficialmente in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna. La decisione di entrare nel conflitto, però, era stata troppo avventata da parte di Mussolini, ormai certo che Hitler fosse il vincitore della guerra, seppur cosciente (grazie alle relazioni presentate dal maresciallo d'Italia Emilio De Bono) dell'impreparazione dell'esercito italiano. Il motivo principale della decisione di Mussolini era di ottenere il diritto a sedersi al Tavolo della Pace Europea come vincitore del conflitto, invece di essere relegato ad un ruolo secondario a causa della propria neutralità. L'obiettivo, ma anche il pretesto, era la riconquista di Nizza e della Savoia: entrambe le province erano state cedute da Cavour a Napoleone III a seguito del trattato di alleanza sardo-francese e degli Accordi di Plombières del 1858 in cambio dell'aiuto francese alla guerra di liberazione anti-austriaca, e rientravano pertanto nelle ambizioni irredentische italiane. La Corsica, seppure rivendicata, non entrò sotto il controllo dell'Italia fino all'Operazione Anton, due anni dopo. Il confine italo-francese si estende per un’ampiezza di circa 515 km, dal Monte Bianco per le Alpi occidentali, fino al mare, a Ventimiglia. Le Alpi Occidentali rappresentano la zona più elevata, aspra ed impervia, del sistema alpino; l'altitudine media, pur decrescendo da nord a sud verso il mare, si mantiene sempre assai elevata: dai 3.000 metri delle Alpi Graie ai 2.000 metri delle Alpi Marittime. A proposito di un'offensiva contro la Francia in questo zona Carl von Clausewitz ebbe a dire: Attaccare la Francia dalle Alpi sarebbe come pretendere di sollevare un fucile afferrandolo per la punta della baionetta La frontiera italo-francese era stata fortificata da entrambe le parti tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, poi ancora negli anni Trenta. Lungo la frontiera e, in particolare, in prossimità dei valichi alpini, la Francia poteva contare su un formidabile sistema difensivo costituito da uno schieramento continuo di opere in calcestruzzo per armi automatiche ed artiglierie, costituenti la cosiddetta "Maginot alpina", che si sviluppava in profondità su più linee. Per gli alti comandi italiani la minaccia peggiore da sventare era rappresentata da un'offensiva francese su Torino; molto più problematica era invece un'offensiva italiana perché dopo le fortificazioni francesi bisognava attraversare altri rilievi montuosi prima di arrivare alla pianura e a obiettivi importanti. Tutti i piani dell'esercito italiano, dall'Ottocento al 1940, prevedevano quindi una difensiva sulle Alpi e cercavano eventuali sbocchi offensivi in altre direzioni, sul Reno in appoggio ai tedeschi o nel Mediterraneo. Ciò nonostante vennero concentrate alla frontiera 22 divisioni italiane (circa 300.000 uomini e 3.000 cannoni), con grosse forze di riserva nella pianura padana. Il fronte si sviluppava dal mare per tutto il confine francese lungo le Alpi Occidentali, suddiviso in direttrici d'attacco, da cui le truppe puntavano a conquistare le testate delle valli, per poi scendere in territorio francese. La penetrazione italiana in territorio straniero durante la battaglia fu solo di pochi chilometri. La campagna durò dal 10 al 25 giugno 1940; furono i primi quindici giorni di guerra dell'Italia, impreparata a sostenere una guerra, e non all'altezza né degli avversari né degli alleati. Bisogna però fare una premessa: all'inizio della seconda guerra mondiale, dopo l'invasione della Polonia da parte della Germania, l'Italia aveva dichiarato di essere uno stato "non belligerante". I collaboratori del Duce più volte avevano consigliato un'eventuale entrata in guerra non prima del 1942, due anni dopo l'entrata in guerra effettiva. Mussolini, però, convinto di avere la vittoria in tasca, reclamava la sua parte di bottino. Per questo motivo dichiarò guerra. La Francia, dal canto suo, provvedette immediatamente a far saltare le comunicazioni con l'Italia tra il 10 e l'11 giugno, dopo tale dichiarazione. Il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt definì l'attacco italiano alla Francia, noto come "battaglia delle Alpi Occidentali", una pugnalata nella schiena: Oggi, 10 giugno 1940, la mano che teneva il pugnale lo ha calato nella schiena del vicino. Oggi 10 giugno 1940, noi inviamo al di là dei mari a coloro che continuano con un magnifico coraggio la lotta per la libertà i nostri voti e le nostre preghiere. Lo storico antifascista Gaetano Salvemini lo giudicò invece come: Non tradimento, ma colpo inferto a uno che si trova sul letto di morte Gli ordini diramati dal Comando italiano erano di non intraprendere alcun'azione oltre la frontiera, ma di mantenere un atteggiamento difensivo. I primi due giorni di guerra, 11 e 12 giugno, trascorsero senza azioni di rilievo, si ebbero solo scontri di pattuglie. Intanto, nel nord della Francia, Hitler stava ottenendo una vittoria dietro l'altra, e Mussolini, preoccupato per la sua rilevanza al Tavolo delle Trattative, pensò che, in caso di richiesta di armistizio francese, il suo prestigio sarebbe diminuito. Pertanto, il 16 giugno, decise di impartire i primi ordini al fronte, passando dalla difensiva all'offensiva. L'Armée des Alpes (l'Armata delle Alpi) del generale René Olry aveva perduto gran parte dei suoi effettivi, avendo inviato truppe per contrastare l'offensiva tedesca: dai 550.000 uomini schierati a partire dall'apertura delle ostilità con la Germania (1939) si era scesi progressivamente ai 300.000 del febbraio 1940 e ai 176.000 del 10 maggio, quando le ultime riserve sono state inviate a Nord e bruciate nella vana resistenza ai tedeschi quando iniziarono le ostilità con l'Italia le restavano solo le guarnigioni delle fortificazioni e come forze mobili 70 plotoni di esploratori-sciatori (le Sections éclaireurs-skieurs lasciate dai battaglioni alpini trasferiti a nord): in tutto 85.000 uomini, 170.000 con i servizi. Lungo le Alpi sono schierate anche due armate italiane: la IV, comandata dal generale Alfredo Guzzoni e dislocata dal Dolent al Granero, e la I, agli ordini del generale Pintor, fino al mare; in tutto si tratta di 22 divisioni, 12.500 ufficiali, 300.000 uomini di truppa e 2.949 pezzi di artiglieria. Le prime operazioni belliche iniziarono con il bombardamento da parte italiana di alcune fortificazioni francesi. Nella notte fra il 12 e il 13 giugno i bombardieri italiani si diressero su Francia meridionale, Tunisia e Corsica e colpirono Saint-Raphaël, Hyères, Biserta, Calvi, Bastia e, in particolare, la base navale di Tolone. Il 15 giugno una squadra navale francese composta da 4 incrociatori e 11 cacciatorpediniere si diresse contro la Liguria e aprì il fuoco contro i depositi di carburante di Vado e il porto di Genova; a rispondere al fuoco furono le artiglierie costiere e le varie unità sparse lungo la costa, ma inefficacemente. Solo la torpediniera Calatafimi (che era impegnata a collocare mine davanti a Punta San Martino presso Arenzano), grazie all'iniziativa del comandante dell'unità, tenente di vascello Giuseppe Brignole, riuscì ad avvicinarsi a meno di 3.000 metri senza essere avvistata e a lanciare alcuni siluri contro le navi nemiche, uno dei quali sembrò colpire una nave nemica. In realtà fu la batteria costiera Mameli di Genova a centrare il caccia francese Albatros. Il comandante Brignole fu il primo decorato di medaglia d'oro. Il Comando italiano sperava di riuscire a rompere lo schieramento francese, e di raggiungere e conquistare il forte di Traversette, posto a controllo del colle del Piccolo San Bernardo; degli imprevisti però bloccarono l'avanzata italiana, anche se alla fine della prima giornata i soldati riuscirono a penetrare in minima parte nel territorio francese. All'inizio della seconda giornata fu decisa una nuova offensiva su tutto l'arco alpino occidentale, soprattutto verso i passi e i valichi. La seconda giornata di battaglia si concluse in maniera vantaggiosa per l'Italia, riuscendo a aggirare le difese francesi e scendendo nella Val d'Isère. Il 21 giugno il treno armato italiano numero 2, con quattro cannoni da 152 mm, esce alle ore 9:51 dalla galleria ferroviaria sotto i giardini di Hambury per battere le postazioni nemiche di Cap San Martin, ma senza ottenere risultati importanti; i treni 5 e 1 riescono invece a fare del tiro indiretto. Dopo le battaglie del 22 giugno gli ordini erano di continuare l'offensiva, nei tratti ritenuti più deboli in difesa. Il 23 i combattimenti furono caratterizzati da un violento fuoco di artiglieria; i francesi dovettero sgomberare il forte di Trois Tetes mentre le truppe italiane conquistarono il forte dello Chenaillet.Gli ultimi giorni di battaglia non furono comunque molto diversi dai precedenti, nonostante la pressione che Mussolini faceva per ottenere uno sfondamento nel fronte francese su tutto l'arco alpino occidentale. Le avanzate italiane furono contrastate dai francesi limitando la penetrazione italiana, che alla fine della battaglia si ridusse ad una manciata di chilometri, arrivando a Mentone. Alla conclusione della battaglia furono molti i morti e i feriti, ma anche i casi di congelamento. Decisivi furono fattori come il terreno e la temperatura, di cui risentì la scarsa preparazione delle truppe italiane. Tra il 21 e il 24 giugno il contributo della Regia Aeronautica fu molto scarso: su 285 apparecchi da bombardamento che si alzarono sulle Alpi, più della metà ritornarono alla base senza aver individuato gli obiettivi. I bombardamenti sulla Francia meridionale ebbero risultati migliori secondo l'aeronautica italiana (con perdite assai elevate, secondo le fonti francesi), ma nessuna incidenza sulla battaglia in corso. Tra Parigi e Bordeaux ancora circola una leggenda riguardante dei presunti, violenti bombardamenti italiani sulle colonne di profughi in fuga: per decenni molti testimoni hanno giurato di aver riconosciuto le coccarde tricolori sulle ali degli aerei che li attaccavano. Tuttavia gli aerei italiani sulle ali non avevano il tricolore ma il fascio littorio; inoltre l'aviazione italiana non aveva la possibilità di arrivare a colpire così lontano. Già il 16 giugno i francesi richiesero a tedeschi e italiani le condizioni per porre fine alle ostilità. Il 22 giugno la delegazione francese firmò le clausole dell'armistizio con i tedeschi, mentre il giorno successivo cominciarono a Roma le trattative per l'analogo documento italo-francese. Le condizioni imposte prevedevano che il territorio francese raggiunto dalle truppe italiane rimanesse sotto il controllo del Regno d'Italia, mentre doveva essere smilitarizzata, per tutta la durata del conflitto con il Regno Unito, la fascia di territorio francese fino a 50 chilometri in linea d'aria a partire dal nuovo confine; analoghi provvedimenti vennero stabiliti anche per le zone di confine tra i possedimenti africani dei due paesi, infine le forze armate di terra, aria e mare francesi dovevano essere disarmate, fatta eccezione per quelle necessarie a mantenere l'ordine pubblico. Alle 19:15, ora italiana, del 24 giugno il generale Huntziger e il maresciallo Badoglio firmarono il testo dell'armistizio, le sei ore allo scadere delle quali dovevano cessare le ostilità furono conteggiate a partire dalle 19:35, momento della trasmissione di copia del documento al governo Tedesco. Le operazioni di guerra sulle Alpi cessarono conseguentemente all'1:35 del 25 giugno. Durante la battaglia delle Alpi occidentali, gli italiani ebbero 631 morti (59 ufficiali e 572 soldati), 616 dispersi, 2.631 tra feriti e congelati; i francesi catturarono 1.141 prigionieri che restituirono immediatamente dopo l'armistizio di Villa Incisa. I francesi ebbero 40 morti, 84 feriti e 150 dispers [Fonte Wikipedia]