La bibliografia sulla contessa ERZBETH BATHORY è abbastanza ricca anche se rischia sempre, dato il personaggio, di sfociare nella leggenda, soprattutto nella favolistica macabra. Si tramandò a lungo che avesse un rapporto ancosciante con gli SPECCHI che a differenza di quanto avviene oggi, nel XVI-XVII secolo (epoca in cui visse), erano giudicati una sorta di tentazione demoniaca, una lusinga al male nella irrealizzabile prospettiva di vedervi riflessa una propria immutabile bellezza [e, a dimostrazione della significanza epocale di siffatta questione, vale la pena di riprodurre quanto in meritò ha lasciato SCRITTO l'erudito intemelio A. APROSIO nella II PARTE del suo SCUDO DI RINALDO].
Nell'antichità l'uso dello SPECCHIO pare fosse generalmente limitato a strumenti portatili, per la toeletta delle donne. Presso gli egizi della IV-V dinastia erano comuni piccoli SPECCHI di metallo, sia prezioso, oro e argento, che ordinario, quale bronzo fuso e lavorato. Levigati da un verso, in modo da costituire la superficie riflettente, in quello opposto essi erano decorati in vario modo. La tipologia era frequentemente a disco solare, ma talvolta pure di forma ovale o a cuore. Venivano sostenuti per mezzo di un manico fatto dell'identico metallo oppure di materiali diversi come legno od avorio, cui gli artigiani conferivano forme ispirate a figure mitologiche o umane.
Da questa fissazione (peraltro non ignota alla psichiatria: la nevrosi esorcizzata dal timore di veder sfiorire la fascinosa gioventù) si riteneva che la contessa ERZBETH BATHORY fosse stata contagiata anche in dipendenza delle mancate aspettative esistenziali. Ben oltre quello che può suggerire il modesto RITRATTO che di essa si mostra ancora oggi, stando alle notizie coeva, doveva in effetti essere una donna bella ed affascinante ma poco a poco, anche per effetto di noia e solitudine, divenuta prigioniera di quella che all'epoca si chiamava genericamente melancolia: grazie all'influenza della sua potente casata, quella dei Bathory (sempre a capo della lotta contro i Turchi dei nobili d'Ungheria), ella era andata giovane sposa all'eroe nazionale conte Feren Nadasdy. Le attese di una vita sfarzosa e mondana non vennero però mai soddisfatte dall'indole del marito che continuando le gesta di altri membri della sua casata (parimenti potente a quella dei Bathory ed alla stessa stregua impegnata nel conflitto contro i Turchi) prese in pratica a vivere stabilmente sul fronte lasciando la donna praticamente sola, a perdersi nella rabbiosa contemplazione del flusso del tempo e delle occasioni perdute, nel castello di Csejthe in Slovacchia. sempre la tradizione vuole che la sua indole dominante, inasprita dalla solitudine e dall'insoddisfazione, trovasse quale meschina consolazione nella tirannia con cui gestiva il suo personale e soprattutto le numerose serve poste dallo sposo a sua totale disposizione. Si racconta che un giorno sferzando una di queste, giovane e bella, fosse stata investita da un schizzo di sangue: evidentemente per effetto delle frenesie della sua mente, col tempo vieppiù ossessionata dall'idea dell'invecchiamento, maturò, qualche tempo dopo, il giudizio che la sua epidermide, laddove era stata bagnata del sangue di quell'innocente domestica, fosse come ringiovanita, divenendo più elastica e vellutata, del tutto esente da quelle primissime rughe che la andavano da qualche tempo inquietando. Fu per questa constatazione che la folle contessa prese l'abitudine di far salassare le serve e quindi preparare col loro sangue degli impacchi per la sua pelle se non addirittura delle bevande: l'abitudine assunse di fatto una costanza periodica e sempre maggiore dopo che lo sposo morì nel 1604, quando lei aveva 44 anni e, anche per l'influenza della sua frenesia mentale, esasperava nelle propria i menti i primi segnali dell'invecchiamento. Così non si sarebbe più avvalse degli espedienti, in certo modo domestici, cui fin ad ora aveva fatto ricorso: avrebbe piuttosto sguinzagliato per i territori della sua contea i propri servitori più fidati, in particolare un certo Fickzo e la propria vecchia balia Dorrtya, che, ma è difficile dire se per gli eventi posteriori o per una nomea già acquisita, era ritenuta una sorta di strega o comunque d'esperta di filtri. Costoro avrebbero avuto il compito di raccogliere, con la scusa di servigi vari per la contessa, molte giovani donne che, portate nel castello ed imprigionate, sarebbero poi divenute vittime della BATHORY che, onde dissanguarle, si sarebbe valsa di un manichino armato di lame o addirittura le avrebbe appese entro una gabbia posta sulla sua vasca da bagno, sì che il sangue, dopo che erano state sgozzate, si raccogliesse in quel macabro lavacro. Sembra tutto quanto una favola orrorifica ma la cosa strana e che conferisce veridicità a molte di queste notazioni è che il suo folle procedimento non solo divenne di pubblico dominio ma, come prevedibile, fu sottoposto ad una procedura giudiziario che risultò causa prima della fine della donna. E' certo che la BATHORY uccise due nobildonne (è arduo dire se anche in questo caso per soddisfare le sue magiche fantasie): è invece sicuro che l'inchiesta attivata per chiarire tale evento porto al suo castello in Slovacchia lo stesso ministro d'Ungheria conte Giorgy Thurzo (addirittura cugino della Bathory) che con raccapriccio (stando alle registrazione degli scrivani) trovò numerose donne ancora prigioniere, altre agonizzanti e addirittura i resti di 610 vittime. Per l'efferatezza delle azioni commesse la BATHORY non potè esser salvata neppure dal suo altissimo rango: venne infatti rinchiusa in una torre per i pochi anni che le rimaseo da vivere e, cosa straordinaria ma certamente da verificare, invecchiò precocemente morendo quasi di inedia nel 1611 a soli 51 anni ma con l'aspetto di una donna decrepita (vedasi anche: The Penguin Encyclopedia of Horror and the Supernatural, a cura di Jack Sullivan, Viking, 1986 e Ernest Jones, Psicoanalisi dell'Incubo, Newton & Compton, Roma, 1991
Pure in ambito miceneo si sono recuperati SPECCHI d'oro, d'argento e di bronzo: gli SPECCHI ebbero quindi crescente diffusione e notevole nel mondo greco ed ellenistico in cui si intensificò la cura sia del rovescio del disco riflettente (in metallo come presso gli egizi), sia nel sostegno, cui di frequente si diedero tipologie umane o animali, affermandosi pure la decorazione sbalzata e incisa ed ispirata alla mitologia.
Tale tipologia, con frequenti riferimenti al mondo dionisiaco ed erotico, si ritrova negli SPECCHI prodotti a Corinto (secc. IV-III a. C.) e con struttura a scatoletta dotata di coperchio chiudiblle su cerniera.
Nell'antichità l'arte dello SPECCHIO conobbe quindi artigiani molto abili fra gli etruschi che tra metà del sec. VI e primi del II a. C., crearono eccellenti prodotti, specie del genere a manico fuso o riportato, impreziositi da incisioni di scene mitologiche: l'archeologia ha provato che erano molto diffusi gli SPECCHI prodotti a Preneste (oggi Palestrina) fusi in bronzo (sec. IV) con decorazioni e scritte. Come presso i greci si conoscono i tipi a scatola però dalla forma quadrangolare piuttosto che rotonda.
A Roma, non meno che nei centri etruschi, gli specchietti da toeletta risultarono ricercati e diffusi un poco in tutte le tipologie: in particolare risultavano comuni gli SPECCHI d'argento, ben levigati nel dirittoe e abilmente decorati nel retro (se me possono ammirare reperti soprattutto nel museo di villa Giulia a Roma, nel Museo etrusco vaticano, nel Museo civico di Bologna).
Per quanto rari non erano però ignoti in Roma antica, al contrario di quanto si crede, gli SPECCHI di VETRO incolore, a piombo o stagno: questi datano però all'eta imperiale (secc. II-III d. C.) e, dai rinvenimenti, si deduce che erano più frequenti nei territori provinciali di produzione, come l' Egitto, le Gallie e l'Asia Minore, dove i bizantini intensificarono la realizzazione di SPECCHI di questo tipo.
In epoca medievale riprese però vigore la tradizione dello SPECCHIO metallico, in forza anche del propagarsi dell'arte musulmana (secc. XII-XIII) che si affermò con importanti esemplari in Persia, Mesopotamia e territori viciniori. In Europa l'uso del metallo levigato secondo la tecnica tradizionale dell'antichità sopravvisse a lungo: mutarono quasi soltanto le forme del montaggio, che in Francia presero ad utilizzare una custodia eburnea. La finezza di tali oggetti, che per il loro tipo rientranoin una branca delle arti minori (quella dell'avorio), fanno sì che talora si incontrino nei musei esemplari di straordinaria bellezza. Gli artigiani che lavoravano i piccoli SPECCHI portatili con montatura d'avorio erano alquanto esperti nell'intagliare le tavolette di forma circolare con bordure traforate, ispirandosi a vicende della letteratura cortese (Tristano e Isotta, scene di caccia, cortei di cavalieri), o a figurazioni allegoriche (quali la rappresentazione della fontana di giovinezza), o , dovendo lavorare per un contesto monacale, a temi religiosi (secc. XIV e il XV).
Un altro mezzo di decorazione, lo smalto per lo piùpolicromo, arricchisce gli oggetti realizzati in Francia nel primo Rinascimento: sono da citare quelli montati con i caratteristici prodotti di Limoges. Non mancano comunque in Francia ed in altri paesi SPECCHI da toeletta in metallo prezioso, oro, argento, arricchiti da filigrane, castoni di pietre preziose, sì da coinvolgere tutte le tecniche proprie dell'oreficeria. Lo SPECCHIO portatile da toeletta risulta visibile nelle sue caratteristiche strutture anche attraverso documentazioni pittoriche o grafiche, come in miniature od dell'arazzo: ad esempio quelli del Museo di Cluny del 1375 o quelli della cattedrale di Angers.
In epoca rinascimentale, assieme al noto e piccolo modello portatile, prese a diffondersi anche il grande SPECCHIO da parete. Nell'arte fiamminga questo tipo di SPECCHI dalla struttura convessa era conosciuto dal '400, come si vede anche nei dipinti di J. van Eyck. Nei modelli italiani lo SPECCHIO vero e proprio appeso al muro risultava protetto da una custodia lignea, di tipo scorrevole oppure a portelle apribili, oppure veniva incorniciato con eleganza come si usava per i dipinti. Firenze fu uno dei centri di questo artigianato tra XV e il XVI secc.: in particolare lo SPECCHIO da parete divenne sempre più parte irrinunciabile dell'arredamento della casa.
A Venezia si affermò quindi un tipo particolare di mobile da toeletta detto restello, dove in elegante combinazione lo SPECCHIO si accompagnava a decorazioni dipinte, intagliate o scolpite.
Nel sec. XVI si affermò la produzione di SPECCHI in vetro con la novità per il rovescio della tecnica dell'AMALGAMA (mercurio e stagno).
Siffatta produzione risulta documentata in Inghilterra e in Germania già dal sec. XIV ma la veneta Murano asssunse rapidamente il diritto di primeggiare nella realizzazione di questi SPECCHI tutti in vetro detti SPECCHI CRISTALLINI, che risultavano montati anche in piccole custodie tascabili (o LIBRETTI) CHE Venezia prese ad esportare commercialmente con significativi benefici per la sua economia.
Dal 1569 data, nell'isola di Murano, la corporazione degli Specchieri.
In epoca barocca lo SPECCHIO si va ingrandendo di dimensione e caricando nell'uso delle decorazioni. In Francia si realizzaronol astre con nuove tecniche su misure sempre maggiori. Si confezionarono quindi le SPECCHIERE che divvennero presto dominanti nell'arredamento dei palazzi signorili di XVII e XVIII secc. Appese a parete esse venivano incorniciate da sofisticate bordure o cornici in legno intagliato dipinto o laccato, o anche di metallo, o infine, sull'esempio veneziano, di vetro a piccoli elementi di SPECCHI, uniti con montature metalliche. Venivano utilizzate le superfici riflettenti delle specchiere anche per aumentare l'effetto di luce negli ambienti, specie nelle cosiddette LUMIERE (piccoli SPECCHI da parete con bracci reggi-candele), in uso a Venezia. L'arte francese incentivò la moda della specchiera di grandi proporzioni quale rivestimento di intere pareti che risultò assai utilizzata nei saloni eleganti: si vedano i cai straordinari delle regge di Versailles e Fontainebleau. Sempre in Francia prese ad affermarsi lo SPECCHIO da camino che sostituì i dipinti o altri tipi di decorazione al di sopra della cappa. Infine vanno ricordati gli SPECCHI inseriti nei mobili: dalla toeletta agli armadi, al monumentali bureaux-trumeaux sino ai grandi SPECCHI a supporto isolati che risulteranno in voga con l'affermazione del gusto neoclassico nel primo '800 in Europa .
Anche presso le altre regioni europee l'arte dello SPECCHIO trova grande fortuna nel periodo barocco. Sull'esempio francese, in Germania (dove si impiegano pure cornici di porcellana o di cristallo intagliato), in Spagna, nelle Fiandre, in Inghilterra. L'arredamento inglese utilizzò anche per lo SPECCHIO delle decorazioni di gusto Chippendale o a cineserie, nei mobili laccati: e lo stesso avvenne in Olanda e in alcuni centri italiani (Venezia, Mllano, Firenze, Genova).
A Venezia si realizzarono nel '700 anche SPECCHI di minori dimensioni, incorniciati in legno laccato, spesso forniti di un cas settino porta-oggetti , e idonei per venire appoggiati su tavoli o mobili da toeletta.
Nell'Ottocento decadde la tecnica dell'AMALGAMA e si presero a confezionare lastre da SPECCHI notevolmente perfezionate.
Meno ricca divenne invece la decorazione specie con l'avvento del neoclassicismo e delle mode successive.
In Francia all'epoca di Luigi Filippo si diffuse quindi l'uso dell'ARMADIO A SPECCHIO mentre sotto il II Impero di Napoleone III parve riaffermarsi l'uso dello SPECCHIO da toeletta a mano, montato su argento od altri metalli preziosi: vedi R. BAROVIER MENTAST, Il vetro veneziano, Milano, 1982.