ALL'ILLUSTRISSIMO
SIGNORE
SIGNOR COLENDISSIMO
IL SIGNOR
FRANCESO DRAGO
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ILLUSTRISSIMO
SIGNORE
SIGNOR COLENDISSIMO
Ed è pur vero, che l'Hidra insanabile de' malori non può tanto raddoppiare i suoi morbidi germi, che altrettanto non germinin, e la Natura, e l'Arte le ripercosse della Clava Erculea.
La semplicissima ignoranza di Deucalione, e di Pirra, che solinghi, e confusi sopravissero alla commun sommersione, forse anch'ella non seppe avvalersi delle saette di Apollo per unico rimedio contro il formidabile Pittone, c'horribilmente infestava l'aria, e la terra con l'essalanti putredini?
Dicalo il mondo tutto, che di un Zefiriele Bovio, quasi di un Giove novello, prova l'invitta possanza di un'intendimento profondissimo,, di un perspicacissimo ingegno.
E nel lucidissimo sì, ma insieme Potentissimo FULMINE, che poderoso abbattendo solo qualunque siasi pestifero male, richiama (dirollo) i cadaveri estinti à nuova, e più vita; e nel FLAGELLO di sagge, e dotte suni, così annodato prudentemente, che sono costrette le medesime infermità condennarsi di buona voglia al giustissimo castigo di lui,& obligarseli più ancora, per emenda così accuratamente incorrotta; e nella CONFUSIONE per fine, ove MELAMPIGAMENTE riduce qual'esse sieno indispositioni perverse à cederne il trionfo etiandio disperato di salubre vittoria.
Edi io per tutti dirollo, il quale desideroso di purgare (per quanto mi si deve) il Mondo dalli mortiferi appesti, onde n'è quasi tutto già infetto irreparabilmente, mi sono ingegnato, che dalle nubilose mie stampe pur'anco di questo Fulmine se ne risenti il rimbombo, e castigate di severo, e giusto Flagello, si congedino svergognate, e Confuse per essilio perpetuo tutte l'infermità.
Ed in questa mia impresa hò durato di pensiero, anzi di primo incontro mi s'è appresentata la Generosissima Humanità di Vostra Signoria Illustrissima onde, qual da Ercole invitto, sarò sempre diffeso insieme con l'Autore dalle lingue Hircane: perche à lei, havendole già dedicato me stesso, bramo raccomandare con l'ossequio humile del mio più riverente affetto l'Eminenza di questi Celebri Parti, FULMINE, MELAMPIGO, e FLAGELLO: e considerando, che il Fulmine si trahe dietro il Fumo, il Melampigo ha segretaria la Vergogna,& il Flagello gl'obbrobriosi lividori, hò stimato esser bene, s'à questi primi Parti io v'aggiunghi, quasi di conseguenza dovuta, gl'INGANNI d'alcuni malvagi Speciali, li quali si vanno apunto affumicando il cervello ne' lambichi micidiali, senza Confondersi punto di Vergogna: accioche restino tirannicamente assassinati gl'infelici patienti, che per le frodi loro trahono bene spesso a' Lividori mortali.
Nè dubito punto, che della mia brama non sieno le radici vivacissime di honsestissima ragione, per essere Vostra Signoria Illustrissima un verace Apollo di tutte le più eccelse virtù, un Sole lucidissimo delle più vere scienze, il quale co' gl'Jrraggianti suoi Dardi può senza meno diffendermi, pur, insieme con l'Autore, da ogni formidabile Pitone di più fangosa lingua; e come Giove di Augusta Magnificenza con i fulmini della sua riverita Grandezza e Confondere, e Flagellare chì già mai tentasse con i suoi Inganni Malitiosi impoverirne il Mondo di così pretioso Tesoro, qual'è questa mia riverentae offerta. Di sereno ciglio Vostra Signoria Illustrissima aggradi questo all'immenso de suoi meriti Prestantissimi ristrettissimo Dono; e diportandosi alcuna fiata per quello, non isdegni rimembrar del Donatore, il quale non tanto fedelissimo, quanto devotissimo Le vivo.
Di Padova 'l I Novembre 1626
Di Vostra Signoria Illustrissima
Servidore Devotissimo
Pietro Paolo Tozzi
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AL SERENISSIMO
SIGNORE
VINCENZO
GONZAGA
DUCA DI MANTOVA, E DI MONFERRATO ECC.
Signore mio Gratiosissimo
Tutti gli huomini qual si voglia grado, stato,& conditione non hanno salvo che tre cose, Anima, Corpo,& Beni di Fortuna: l'Anima nostra è retta da gli Theologi, il corpo da' Medici, i Beni di Fortuna da' Iusdicenti. Vostra Altezza Serenissima (come è ben noto al Mondo) pone ogni sua cura, & diligenza di haver presso di se Theologi di gran portata per dottrina,& bontà di costumi,& ben provisionati, sì per poter conferir, & consigliar seco le cose importanti al suo Stato in simili negotij, come che i suoi sudditi,& vassalli non devieno dal retto tramite della Santa Madre Chiesa Cattolica Romana. E' parimente noto al Mondo come ella invigila sempre di havere Iuriperiti buoni,& bene intelligenti, acciò le cose della Giustitia passino con i suoi termini conformi alle Sante Leggi.
Resta Serenissimo Prencipe, che la conservatione della vita de gli huomini gli sia accomandata; disponendo, che i Medici siano quali deveriano essere. Io che ne hò praticati tanti,& hò cognitione delli progressi loro, dico à Vostra Altezza, che conviene, che il Medico sia bene intelligente delle cose di Filosofia Naturale per intender le cause,& il perche di Natura: debbe haver notitia delli vegetabili, animali, minerali, mezi minerali, sali, alumi, pietre & conchiglie. Cose che tutte entrano nelle medicine. Conviene che habbia lume di fisionomia per conoscer le complessioni; esser'intelligente de' lumi,& moti Celestri. Come ci mostra Hippocrate, Galeno,& i ben'intendenti,& il Breve di Sisto Quinto,& Sacro Concilio di Trento le cui parole sono queste: Permittuntur autem iudicia,& naturales observationjes, quae Navigationis, Agriculturae, sive Medicinae Artis Iuvandae Gratia conscripta sunt. A fine di sapere,& poter componere,& applicar gli agenti alli patienti con le sue proportioni, ordini,& misure à suoi luochi e tempi, sì nell'administrar dette Medicine, come nel trar'il sangue, le quali cose tutte ponno causar la morte, facendosi fuori,ò contra tempo: oltre che con questi mezi si puote predir,& prenuntiar alli suoi infermi, od à chì hà cura di loro, per probabili congietture, il come,& quando, per dar'ordine alle case loro. Conviene parimente, che habbino commertio con i lambicchi per le separationi delle parti pure,& monde dalle grosse, per facilitar le medicine loro,& con minor travaglio, & più breve tempo possino liberar'i loro infermi dalle gravezze de' mali,& infermità. Di tutte queste cose ne hò io iscritto un libro, & lo indirizzo à Vostra Altezza, acciò che ella provedendo con questo lume, al beneficio delli suoi popoli, causi ch'essi siano custoditi in vita,& liberati bene,& presto. Se come spero, & credo ella darà questi ordini ne rapporterà gratioso premio appresso la Divina gratia, beneficio à se,& alli suoi vasalli,& darà essempio à gli altri Prencipi di far'il medesimo, consecrando il nome suo glorioso à perpetua fama,& gloria di haver fatto,& prodotto così nobile beneficio al mondo.
Con il che à Vostra Altezza Serenissima bacio le honorate mani.
Di Verona il 17 marzo 1592
Di vostra Altezza Serenissima Servitore
di puro affetto
Zefiriele Tomaso Bovio
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FULMINE DE’ MEDICI PUTATITIJ RATIONALI
DI ZEFIRIELE THOMASO BOVIO NOBILE VERONESE
INTERLOCUTORI MARSIGLIO, ZEFIRIELE, FILOLOGO
Sifnore, è un Gentil'huomo da basso, che all'habito,& capelletto, che tiene in testa mi par forestiero,& desidera parlar con voi.
ZEF. E’ egli solo?
MARS. Vi è seco uno, che credo sia Chirurgo, pur forestiero, qual’ho veduto alquante volte da pochi giorni in qua parlar con voi.
ZEF. Siano, chi esser si vogliano, digli che venghino di sopra.
FILO: O Signor Zefiriele mio carissimo, & onoratissimo siate il ben trovato.
ZEF. O il mio Signor Filologo amorevolissimo siate il benvenuto, Et quando qua?
FILO. Son forse otto giorni, & sono stato alle Speciarie, in piazza, & qui a casa vostra alquante volte per trovarvi, ma mi dicevano, che eravate fuori della Città: lodato Dio, che pure sete ritornato, & vi vedo con una ciera, che mi fate sovvenir di Esone Padre di Giasone, che ringiovanì per opra di Medea; così voi mi parete, che ogni volta, che vengo à Verona retrogadate di età, & sempre divenite più giovine.
ZEF. Questo è dono del grand’Iddio, che mi ha concesso tanto di lume, che mi so regere con il far quelli esercitij, che devo, & governarmi di modo della bocca, & dell’altre attieni mie che mi conservo in questa buona temperatura, & abitudine; & faccio come il Marinaro, quale trovandosi in Mare con il vento contrario al suo viaggio si trattiene su le volte per non scader dal porto vicino, così ancor io quantunque gli anni mi venghino adosso, però con la regola del vivere mi vado trattenendo di non invecchiare, avendo l’occhio alli tanti disordini, che fanno i miei coetanei, i quali ogn’hora si meravigliano, che essendo essi carichi di schinelle, & con la barba bianca mi vedono andar su la gamba gagliardo, & con questa buona ciera, che mi vedete, & non vogliono considerar, che la bocca, & la becca gli uccide, od almeno li strugge, & sperde, ove io di pelle, di pelo, & di vigoria mi sento sì, che a pena m’avveggio de gli anni, che mi gravino rispetto loro, che tutti mi paiono vecchi, & sono divenuti bianchi di pelo, ove io non ho, si puote dir, pelo addosso, che s’imbianchi, & pure sono entrato nel sessagesimo nono anno, né voglio, che mi si dica, che l’età sien venute meno; sono già scorsi due milla anni, che Platone morì, e pure nel suo Parmenide dice queste parole: Parmenidem iam senem, atque canum esse fuisse aspectu Deorum, annos ferme quinque & sexaginta aetatis agentem, & io di quattro anni più di lui non vedo, né mi accorgo degli anni, se detti miei coetanei non mi facessero avveduto dell’età ove mi trovo; ma che buone novelle ci apportate voi con M. Horatio qui nostro carissimo?
HORATIO: mio cognato ardeva di desiderio di vedervi, & mi importunava ogn’hora, ma poiche v’havemo trovato vi dica egli le cause sue.
FILO: La causa mia è questa: Io ho letto una frotta di volte il vostro Flagello, & il vostro Melampigo da’ quali ho impreso molte buone, & tante dottrine del mondo, & arte del medicare, ma parendo a me, che fosse peccato, che genti straniere fossero prive di quelli vostri ammaestramenti, mi cadeo nel pensierosi tradurgli nella lingua Latina, & mandarli alla Stampa in Parigi, acciò che Francesi, Todeschi, & l’altre nationi si potessero servir delli vostri documenti, havendoglio io provati: & con l’esperienza trovati tanto giovevoli alle creature rationali: ma perche mi pareva, che fusse pur bene per l’amicitia, ch’è tra noi, che non lo dovesse far senza la saputa vostra son venuto a Verona a posta, & gionto qui ho trovato, chi m’ha riacceso il desiderio mio, però che mi son abbattuto in un Gentil’huomo dell’Arciduca Ferdinando, il quale mi ha detto che l’Arciduca suo Signore gli ha letti con tanto suo gusto, che niente più, & disse: che sarebbe pur opera buona fargli Latini a maggior lume, & beneficio del mondo. Et mi ha detto di più, che un Todesco si metteva in punto per tradurli, vedendo l’animo di sua Serenità desideroso, che siano tradotti: però se voi mi fate quella gratia di contentarvi, ch’io occupi questa translatione, lo farò di cuore, & bene, & presto.
ZEF. Signore io credo, che possi veder’ogn’uno dalla lettera di quelli, ch’io feci il primo per sdegno, e colera, ch’io hebbi della morte del Signor Alberto Lavezola, e lo feci a penna volante: feci il secondo per necessità della mia diffesa, & perche il libro dalli miei emuli fatto contro di me si vendeva alla sfilata per la Città, mi convenne menar le mani per mia diffensione, si che me ne sbrigai presto. Et certo fu la mia gran ventura, che comparso il mio stampato, il primo giorno quello de’ miei avversarij fu levato subito dalle Librerie in Vinegia, & cacciato in qualche cesso, acciò più non fossero vedute l’ignoranze loro. Ma facciano ciò che vogliono, fino che li miei si leggeranno, le malignità, & cecità loro saranno lette, & vedute: però fate ciò che volete, ch’io son contentissimo d’ogni vostro compiacimento: ma caso che lo facciate, fattene pur imprimer’assai, che vi so dir io, che diffonderete il nome vostro, & le vostre fatiche, ne caverete ancor pur’assai denari: che (se il Libraro non mi ha detto le bugie (se egli ne avesse stampati dieci tanti, la harebbe spacciati tutti: Et certo li miei componimenti hanno avuto genio, poiche tutte le cose mie, cosi latine, come volgari, che mi sono uscite dalle mani, hanno portato buoni utili a gli Impressori, quando che in pochissime settimane habbiano lasciati li Librari da un canto dogliosi di haverne stampati pochi, dall’altro lieti per il retratto delle spese fatte nelle impressioni. Ma ditemi, avete voi fatto prova dell’Hercole mio, dell’antimonio, della gratiola, del latiri, & dell’altre medicine, ch’io revocato quasi da morte in vita, mercè della dapocagine di questi nemici della natura humana, & di se stessi, i quali usano intitolarsi Medici Rationali, e tuttavia non pensano ad altro, che con apparenza, e sofisticarie opprimermi contra ogni termine di ragione (non parlo di tutti, ma solo de gl’ignoranti, ò scelerati) i quali con cassie fetide, siroppi marzi, & altre loro bararie, de’ quali l’assassinato lenitivo è tra’ principali, ingannano li poveri patienti con il magisterio de’ Speciali manigoldi, (Bonos sempre excipio, che certo dall’esperienza ne conosco pochi) hanno messo in uso questi nemici della natura nutrir li mali humori ne i corpi, & disertar la natura humana nostra con la inedia, & vogliono farci credere, che con queste due vie dovremo sanare. Et io dico,che chi vuol sanar gli infermi, deve cacciar li nemici di casa, cioè sveller, spiccar, rimover, e cacciar gli mali humori, secondo le qualità loro con vomiti, sudori, trar sangue, orinar, & caccare, & poi nutrir li corpi con cibi, e pozioni ragionevoli, & chi cosi non fa, opera alla rovescia, come fanno la maggior parte di loro.
Non sono dieci giorni, che facendosi un colleggio tra certi Medici in casa de’ Fabricij, furono alcuni di loro che dissero: guardiamo Signori di non far come il Bovio, che con medicine gagliarde, & nutrimenti potenti ne uccide cinque, & sei il giorno, il quale in questi dì canicolari si fa lecito di dar lo elaterio, medicina tanto calida, & gagliarda, dalle cui mani mi guardi Iddio benedetto: a’ quali il Medico Gualtieri (in questo amico del dritto, & honesto) rispose: Et perche nuon puote egli dar lo elaterio, quando che li nostri maestri Hippocrate, & Galeno l’habbino dato, dandolo corretto, & ben condizionato nelli casi, & bisogni occorrenti quando così la infermità lo ricerchi?
FILO. Deh caro Sig. Zefiriele hò pur idito questi giorni, che vi hò aspettato dir’alla Speciaria del Re, che avete curato un’ Hidropico, al quali i Medici volevano tagliare il ventre, & voi l’havete sanato: & io me ne hò voluto chiarir con parlar ad esso, il quale è un Battista Tessaro da tovaglie su la via bassa da S. Polo, & mi hà detto, che gli avete dato due pillole che gli sono costate in tutto otto Marchetti, sarebbono esse state elaterio per avventura?
BOVIO. Egli mi è caro, che vi habbiate voluto chiarir di questo negozio, ma io vi voglio recitar bene il caso à edificatione del curar simili infermi, & infermità tali avute per disperate. Erano nove settimane che questopover’huomo giaceva nel letto à boccone, cioè riposando solo sopra le ginocchia, & i gomiti con la schiena in su, non toccando il letto con il ventre, & stomaco gonfij come un’utre, sì che aveva le piaghe alli ginocchi, & gomiti per il continuo giacere, & lo tenivano stretto della bocca, & davano per bere un poco di acqua cotta; onde si era condotto con febre continua à termine, che aveva mandato per Don Bartholomeo Capellano di S. Nazario, che lo confessasse: il che fatto gli volevano tagliar’il ventre. Venne il buon Sacerdote, & intendendo questa scelerata deliberatione disse: Mira ben figlio cio che fai, io ti consigliarei, che non ti lasciassi tagliare se prima non parlasti con un gentil’huomo da bene, che si chiama il Bovio, il quale hà medicato me, & molti Monaci delli miei patroni con felicissimi successi, se vuoi io glie ne parlarò, & credo che ti medicarà per l’amor di Dio, come fa tanti altri ancora: Così fu differito il tagliarlo. Venne il buon Sacerdote à trovarmi, & mi narrò il caso, & pregò, ch’io lo volesse visitare. Andai, lo vidi, & dissi, figlio mio di cento, che siano à questi termini novantaotto muoiono, & li dui non campano: però io farò ogni mio potere, se camparai ne darai gloria al Sig. Dio. Io certo tengo gran dubbio del caso tuo, tuttavia tenteremo la Fortuna, tra tanto raccomandati al tuo Signore, e Creatore che puote salvarti. Così io gli diedi due dramme di semente di ebuli ben piste, con un poco di brodo di vitello, il quale fece operatione mirabile, parte di sopra, & parte di sotto, & li diedi à bere vino negro del più gagliardo, e potente, che potesse havere alle hostarie, in cui feci metter legno di frassine spezzato minuto con la scorza così à discrezione, che divenisse un puoco amaretto, & lo facevo nutrir come si poteva al meglio, & gli replicai questo medicame trè volte interponendo due giorni per ogni volta, che glielo avevo dato, & questo medicame fece nobilissime operazioni. Trà tanto feci ungerli il ventre di oglio e di camomilla, & porli sopra un’empiastrazzo grande di quei malvoni, che fan quelle belle rose rosse, le quali io facevo cuocere in vino bianco, & cotte gli facevo dar una volta nella patella con oglio rosato; il che fatto per pochi giorni gli feci dar quindici grani di elaterio con quattro grani di trocisci di viole, per essere li giorni canicolari, & indi à dui giorni glie le feci replicare, & sanò come lo avete potuto vedere, & vede ogn’uno con stupore, & meraviglia de’ Medici, che lo volevano tagliare; i quali lo hanno voluto vedere, e toccare steso sopra di una cassa, avendolo incontro per strada, & condotto in una casa per giustificarsene; e poi in quel collegio si fecero licito di dire, ch’io ne uccido quattro, ò sei al giorno per la malignità d’haver veduto costui sanare senza taglio, Dio li perdoni. Con questi semi, & elaterio ho io per dono, & gratia di Dio benedetto, (il cui Nome sia sempre glorificato) restituito la vita à molti altri, che laboravano in estremo di simil morbo: Et questa è virtù specifica, mi credo io, di questi due semplici, i quali non mai mi hanno fatto vergogna, che io i raccordi: ma sentite questa altra di gratia.
Voi siete originario di Vicenza, & dovete conoscer molto bene la Signora Orsolina Garzatora donna per virtù sue, per famiglia, e per facoltà onorata dalla Città vostra. Haveva questa Gentildonna un pallore in tutta la persona, che pareva dorata, come fosse nata, e nutrita in Pesaro, e si aveva fatto medicar à varij Medici in quella Città, & pure era sempre tale: aveva ella inteso, che io era in Vicenza, & dovevo starvi alcun giorno, mi fece pregar, che volesse visitarla. La vidi, & volsi toccar il ventre: aveva la milza grossa più del dovere, e la medicai con trè pillole d’elaterio. La prima ordinai, di tredici grani, & doi grani di mastici, & due di cannella alla Spiciaria della Testa d’oro. Ma avendomi alcuni Medici veduto dar l’ordine, andarono à vedere ciò che ordinato mi avesse, i quali mossi ò da ignoranza, ò da invidia, ò da malignità fecero dirgli, che questa era una medicina da mulo, & che se essa la pigliasse morirebbe, il che sendomi referto da un Gentil’huomo, che vi si trovò presente, mi ricondussi alla medesima Spiciaria, e tolto le formali parole da Mesue, dal Dioscoride, & dal Mathiolo notato il libro, & il numero delle carte, mi conferi à detta Signora, & addimandatola se avesse presa la medicina, mi rispose, ch nò; però che lo Spiciale gli aveva detto per ordine di alcuni Medici della Città, che non la pigliasse s’havea cara la vita. Et io allora trassi fuor la carta, e dissi leggete Signora, queste sono le formali parole di questi medesimi Scrittori: mandate mò a pigliar’i libri, e chiaritevi, che questi vostri Medici leggono le parmule, ma non i libri, né le carte di che sono composti, & ella mi disse: Andate da M. Francesco della Cerva, & ordinatela ad esso, & ditegli per nome mio, che lui stesso me la porti, & io le dissi: Come la medicina operarà pigliate l’urina vostra, & bagnatevi dentro una pezza bianca di lino, & fatela asciugare, & vederete che rimarrà tinta in giallo, & la materia che vi uscirà, per di dietro, sarà del colore di zafferano, di che ella rimase benissimo satisfatta, & così in tre giorni alternati con trè pillole rimase libera con la pelle netta chiara, & bianca, avendoli portato M. Francesco le pillole, & essa prese. Et volendomi poi partir (così pregandomi lei) gli lasciai scritte le ricette sopra del suo Officio; però l’Estate con trocisci di viole, l’Inverno con il cinnamomo, la Primavera, & l’Autunno con li mastici dalli 13. sino alli 15. grani di elaterio, ove li suoi Medici non glie ne davano oltra trè grani, e mezo, & questo ò per ignorantia grassissima, ò per ladreria rapacissima, & perche, come ancor qui,vestono quelli Medici con abiti longhi, mi chiamavano il Medico della Spada, pure in apparentia mi onoravano, ma come nel cuore se la intendessero non son profeta, & però non posso dir altro.
FILO. Et della bocca, & regola del vivere come trattaste voi quella Gentildonna, la quale conosco io molto bene, che è veramente donna di valore, Nobile & ricca?
BOVIO. Io gli vietai il mangiar di pasta, li cavoli, il porco, il cascio, il pesce di valle: & ordinai che bevesse vino bianco, o ciregiolo, non molto grande, né troppo debole, in cui fosse posto il legno del frassino con la scorza rotto, spezzato, & tagliucciato minuto in un vascello da sua posta senza altra cerimonia, ò magisterio, per quaranta, ò cinquanta giorni continui. Et questo ordine di seme di ebuli, di elaterio, & del vino si puote dar’ad ogni età, ad ogni complessione, & in ogni stagione, ma più giorni, & meno giorni secondo che la natura si prevale più presto, o più tardi: & questa è medicina, che giova sempre, & non offende mai per dono specifico del grande Iddio: nè vi occorreno tante diete, nè tante reputationi in medicare con dipinger li casi disperati, vero è che non sanano tutti, ma sanano la maggior parte. Sò ben io che questa infermità si quadrivide, in leucoflegmatica, ascite, rimpanite, hipposarca, od anasarca, & ho vedute tante ciancie, & tante ragioni, che ne scrivono tanti huomini grandi, io in somma ne hò medicato parecchi d’ogni spetie, & ho usato varij medicamenti descritti da molti di loro, ma non trovo ordine migliore di questo mio, e per tale ve lo dico, & mostro: farete mò voi, & seguirete chi più vi verrà commodo. Questa infermità nasce dall’errore della digestiva del fegato mal disposto, & della milza, & alcuna volta ancora del fiele, quali tre membri dependono l’uno dall’altro nel suo regimento viva forza come il fegato è risentito, li altri dui con difficoltà si possono reggere, & però questi trè medicami soccorrono al fegato primieramente, & doppo à gli altri dui: il che oltra che li scrittori lo attestino, l’esperienza n’hà fatta à me amplissima fede, & io lo dico à voi, acciò nelli casi occorrenti voi ne potiate servire.
FILO. Egli mi pare, che d’una infermità grave, pericolosa, & ben spesso mortale, voi ne sbrigate molto presto, & ve l’habbiate quasi per un zero.
BOVIO. Questa infermità è grave certo, & ben spesso mortale, ma tuttavia io ne hò medicati parecchi, & molti sono sanati, & alcuni ancor morti, quando mi hanno chiamato troppo tardi, ma certo hò trovato in questi medicamenti gran virtù, & mirabile potenza, & di quelle sementi di ebulo faccio io gran capitale per haverne veduto mirabili successi nelli mal frnciosi ancora in quelle persone, che sono per natura, overo per accidente flemmatici, dalli corpi de’ quali, ella ne cava di molta acquosità con miracolose operationi, & chi ne cava l’oglio di torchio per espersione fà mirabile effetto, & non s’avvede l’infermo di pigliar medicina, del quale io son solito darne una dramma con mezo cuchiaro di brodo: & per trarne l’oglio si pesta con molta diligenza la semente, poi si spruccia di un poco di vin bianco, si pone al torchio, & se ne cava un’oncia, e meza per libra, ma passiamo ad altro.
FILO. Io ho fatto il vostro Hercule, e dopò fatto, & mondato con quelle acque cordiali, l’ho tenuto sotto il focolare nascosto in un vase coperto per trè mesi, & hà acquistato non pure maggior virtù, ma odor grato ancora, e l’hò poi amministrato alli miei patienti, & ne hò veduto felicissimi successi in tutte quelle infermità, che voi ci havete scritte.
BOVIO. Ve l’hò tenuto ancor io quattro, cinque, e sei mesi, & hò trovato, che quanto più vi si tiene, tanto più si fa igneo, & fragrante, & se lo accompagnarete con la scamone, & lo bagnate con acqua di vita fina, & lo abbruciate poi, & ve ne servite, tanto meglio vi riuscirà, perche farà le operationi sue con minor travaglio, & più sodisfattione dell’animo vostro, & dei miseri languenti.
FILO. Et questo à qual fine abbrucciarlo?
BOVIO. Per questo rispetto, perche egli, & la scamonea si salificano, & questa sua metamorfosi opera più valentemente ne i corpi nostri, come l’antimonio ancora, il quale quando è ben preparato, & lo ponete in vino, ò brodo lasciando in quelli per un’hora, e più, e meno, havendovelo ben concusso, & lasciato posare, acciò la parte terrea resti à dietro, lo spirito del sale di quell’antimonio fa operationi miracolose senza un minimo sospetto di offensione, & questo modo uso io sempre nelle mie amministrationi. E se li Medici ordinarij gracchiano altramente sono ignoranti, me l’hò preso io gia quaranta anni, & dopo due altre volte, nè mai ne hò sentito una minima offesa, & l’hò dato più di quattro mila persone, e non mi pento haverlo mai dato ad alcuno. Questi miei medicamenti mi hanno reso odioso à questi Medici vecchi, però questi giovini, che vengono sù, & che desiderano acquistar credito, & riputatione, tacciono, & menano le mani amministrandolo: ma perche temono essere scoperti, & perseguitati come sono ancor’io, giocano sotto coperta: Mirate, che il Medico Marogna ha già acquistato tanto credito, che se fossero venticinque anni, & pure non sono ben quattro anni, che si hà posto la veste intorno.
FILO. Et se voi portaste la veste come questi altri, quanta riputatione, & utile credete voi che ella vi apportasse ? Lo sdegno di questi Medici è, che voi vestite alla militare, portate le armi, & trattate loro da ignoranti, & con parole, & con libri ogni giorno li calpestate, non vi dolete adunque se essi ancora fanno le sue vendette per le camere, & trà se.
BOVIO. S’io medico non è perche faccia professione di medicare, & meno vi habbia il pensiero di voler esser Medico, anzi acciò che nissuno mi dia travaglio per causa di medicare vesto nel modo, che io vesto, & prattico con ogni altro, che con Medici, ma se la mia fortuna vuole, che le persone venghino à molestarmi, perche io li medichi, che colpa è la mia? La natura mia è di giovare, & beneficiare qualunque m’addimandi servigio per il dritto, & honesto, nè mai lascio, che alcuno parti da me sconsolato per quanto porta il potere, & saper mio, come si vede, & prova qualunque m’addimanda, se mò vengono ancora per haver soccorso da mè nelle sue infermità non sarei io un scelerato, & Domenedio me ne darebbe serissimo castigo, & punitione, non lo facendo? raccordatevi dell’Evangelio di quel padre di famiglia, che distribuì la mana, che castigò, & punì quello ch’haveva sepulta la sua, & propose li negotiatori delle sue, ch à cinque, chi à dieci Città, secondo le opere fatte da loro, però contentatevi, che io viva, & vesta in questo modo, quando che io non mi sia affaticato di sapere per guadagnare delle mie scientie, mà a quel fine solo per sapere veramente a satisfattione dell’animo mio, & renderlo simile al suo Fattore quanto per me si puote, & quanto porta la debolezza della natura nostra humana; mà per tornar all’antimonio, c’habbiamo tralasciato, ragionando d’altro, M. Battista Ogliato vostro, & mio amico sincero, & real huomo da bene, mi ha detto di haver egli dato del suo, cioè de i fiori dell’antimonio due volte a sua moglie gravida, & nel principio, & nel mezo della gravidanza per sue infermità, ne però disperdè mai, & ne ha dato ad un suo figliuolino di nove mesi infermo, & sanò, & vive sano, & ne hà dato ad altre gravide molte, & a molti figliuolini ancora, & mi ha giurato non haversi mai pentito dell’amministratione; Et io per dirvi il vero, quando mi capita infermità, che non posso concentrar bene la sua natura, nè bene intenderla, sapendo che li Antimonij preparati bene, purgano li corpi nostri da tutte le immonditie, come purgano l’oro dalli suoi misti, quando sono stati contaminati da minere, ò da Alchimisti pazzi, ò da Orefici ingannatori, io dò molte volte questi Antimonij con successi felici.
FILO. Io ne hò dato a’ miei giorni a molti di ogni sesso, & età, & qualità, nè però mi son mai pentito di haverlo dato, & ne ho sempre di preparato di mia mano meza libra in casa: ma ditemi io non conosco quella vostra gratiola, che voi nominate nelli vostri libri, però fatemi cortesia di mostrarmene, se ne havete & ditemi ove nasca per sua natura, dichiarandomi la sua forma ancora.
BOVIO. Eccovi l’herba, & eccovi li suoi fioretti, ella (come vedete) è simile alle locuste del rosmarino, cioè alli suoi ramicelli, quando sono lunghi una spanna, & sono ancor teneri, ma è in poco più tenera del rosmarino, & ha quelli suoi fioretti rari tra la foglieta, è amara al gusto, e nasce nelli prati bassi, ove siano fontane, si raccoglie quando si vogliono segar, ò tagliar i fieni, & non più presto, perche ella cresce ordinariamente con l’altre herbe in detti prati, & se nel mio Flagello è scritto ne gli horti è stato errore della Stampa, over del Correttore di detta Stampa, perche io non ero in Vinegia quando fù impresso, & lo lasciai a mano d’altri. Questa è la vera medicina di tutte le febri d’ogni sorte, eccetto dell’Ethica, & io la uso per minorativo una, & due volte a detti febricitanti al peso di dui scudi, quando è secca decotta in brodo, nè mai più, che meza scudeletta piccola, perche è amarissima, ma sentite questa historia, che mi avenne hora dui anni. Il Conte Galeazzo Canossa desiderava andar alla guerra in Francia con altri suoi compagni, che si mettevano in ordine, & si ammalò di una Terzana gagliarda; il Conte Gieronimo suo padre mandò per me circa le dicisette hore, v’andai, e trovai questo giovanetto con una febre gagliarda ardente, e faceva instantia grandissima di bere, & non voleano dargliene, io mi feci arrecar un gran vase di vetro pieno d’acqua fredda, & vi posi entro aceto rosato a discrettione del mio gusto, & gliela porsi dicendo, bevete a vostra voglia: & egli ebbe quanto li apportò l’appetito, lo feci coprire nel letto honestamente, & dissi volete ch’io vi medici da ricco, ò povero? & egli mi rispose, che ci è dunque differentia di medicar tra ricchi, e poveri? io mi credeva, che non ci fosse altra differentia tra questi, & quelli, salvo che nelli beni di fortuna: oh gli risposi io, ce ne sono molte, ma perche voglio, che riposiate, & sudiate l’acqua, & l’humore, vi dirò, che questa è la principale, che dalli poveri puote il Medico trar poco utile, & però presto se ne risolve: dal ricco, perche spera cavarne grosso guadagno, tira in longo la malatia per cavargli l’oro dalla borsa. Oh di gratia medicatemi da povero, & pagatevi da ricco, a cui io soggiunsi, credo che voi sappiate, che io non voglio cosa alcuna dal vostro Signor Padre, per l’amor, & osservanza mia verso di lui; ma state sicuro, ch’io vi medicherò presto, & bene; Così la mattina seguente gli diedi trè oncie di decottione di questa benedetta gratiola , mezza dramma di canella, & meza di tartaro, vomitò, caccò, & la sera fù libero, nè più giacque nel letto, & in somma senz’altro rimase sano. Di queste simil cure ne faccio io ogni anno assaissime, ma perche sono quasi tutte in gente di bassa fortuna non se ne ragiona, & non se gli presta molta fede.
FILO. Questi Medici di Verona doveriano pur sapere queste vostre cure, & operationi, & qual cagione vieta loro, che non possino medicar con questi vostri ordini?
BOVIO. Io ve ne darò un’essempio, & crimine ab uno disce omnes. E un Medico delli primarij, che un giorno mi incontrò, & era solo in carroccia, & pregommi ch’io volessi salir con lui desideroso di ragionar meco un pezzo, dicendo, che gli conveniva uscir dalla Città, ma che frà tre hore saressimo di nuovo in Verona. Io per compiacerli vi salì, & gli dissi: Caro Eccellente io sò che voi mi amate, stimate, & honorate, sò dalla relatione di molti, che sempre, & in ogni occasione voi parlate honoratissimamente di me, & sò che havete sempre lodato gli miei libri, & le mie dottrine: di gratia ditemi onde è che, che lodando le mie dottrine in parole, medicando poi non le servate? & egli mi rispose: Io son Dottore, & Medico, & faccio questa professione, & con questo hò credito, & riputatione, & mi guadagno ogn’Anno d’intorno mille Ducati, & hò tenuto li miei conti, & ogni anno mi busco intorno quattrocento Scudi solo di collegij, che si hanno tra noi Medici quando siamo chiamati a consulti, se io caminasse secondo gli ordini, & instituti vostri descritti, & discorsi da voi, i quali sono de diretto oppositi alli nostri, purgando voi efficacemente con vomiti, secessi, trar sangue abbondantemente; ove la natura lo ricerca, far sudare alla gagliarda con quelle vostre bote, & far orinare, & nutrendo bene, io non sarei mai chiamato ad alcun consulto, volendo noi con medicine debole toccar a pena le vene con trar sei, od otto unciatelle di sangue, ordinar diete di panatelle, & acqua cotta, administrar di queste nostre barrarie di di siropuzzi ordinarij, & in somma ingannando il mondo, farci cader l’oro nelle borse, & così io caderei in deluso de gli altri, perche si come li nostri Medici non potendo risponder alle ragioni vostre, che sono inconcusse, & inviolabili, vanno dicendo che sete matto per coprir le nostre furfanterie aiutate dal mal uso introdotto da noi & dalle veste lunghe con le quali spendemo riputatione, che noi chiamiamo decoro, ove voi da buon compagno vestite alla ordinaria civile: però, poi che il mondo è così corrotto, & questa corrutela mi porta questo utile, e riputatione habbiatemi per iscusato perche così conviene, che me ne passi ancor io con l’universale, per non perder il guadagno, & cader in deluso de miei colleghi ma sappiate, ch’io lo faccio mal volentieri tuttavia volendo io viver in reputatione, & guadagnar, conviene che cosi faccia à cui io rispose mi duole Eccellente messere, & dubito che avenghi a voi quello che io dissi ad un Cavagliere della nostra Città, il quale havendo ragionato meco alla presentia di molti Nobili di quei nostri che governano, & vedendomi sempre ragionar, & proceder alla libera, come è, & voglio che sia sempre mio costume, accostandosi alla orecchia mi disse pian piano, vi significo che gli huomini da bene, & reali come voi, non hanno che fare in questo mondo: & io accostandomi alla sua pian piano rispose: & li huomeni falsi, sedoli, & ingannatori con parole melate, non hanno che far in cielo, & me ne partij senza attender altra risposta, così mi dubito di voi Eccellente Signor Medico che come voi fate compagnia con questi nell’abbarrar le genti, & il mondo, csì farete lor compagnia nel profondo della casa del gran Diavolo infernale.
FILO. Par à me che carità Christiana doverebbe haver maggior forza nelli petti humani, che non hanno questi abusi cattivi che voi mi riferite.
BOVIO. Et a me pare il medesimo, mà a questi nostri che non hanno altro pensiero che di guadagnare, & rubbare pur altrimente. Et che ciò sia vero sentite quest’altra. Io andavo un giorno per la strada, che è tra San Pietro Incarnale, & San Fermo, nè dico questo perche io vi habbia la mia casa, ma perche in vero è tale: un Medico, a cui non faccio il nome, che stava per entrar in casa di un’infermo, si fermò in atto di volermi parlare: il che io vedendo mi mossi ad andar verso lui con passo più gagliardo, & appressandomele gli dissi: vedo che mi aspettate, volete voi qualche cosa da me? & egli a me: Quale è la fine del Medico? & io a lui, sanar gli infermi, & egli a mè: Messer nò. Di che io maravigliandomi replicai, son’io hoggimai gionto alli sessantanove anni, & non sò la fine del Medico? poverello a me, di gratia ditemelo voi. & egli mi rispose: Guadagnare. Come gli risposi io guadagnare? & egli poi replicò, sì guadagnare: Fattevi pagare, & se non vi pagano, non vi tornate. & io ripreso il parlare, dissi lui: Io non approvo, nè posso, nè voglio approvar questa vostra opinione, & sententia; però habbiatemi per iscuso, & voglio per star nella sententia mia; la quale oltre che sia humana, Christiana, e Santa, fù ancor, & è sempre stata di tutti gli huomini da bene, & delli vostri Dottori, leggeteli. & egli mi rispose: Questo dovrebbe ben essere il fine del Medico; mà sono tanti gl ingrati, che chi non si sà intendere alla scoperta, l’huomo vi lascia del suo. & io gli risposi: A me pare, che l’huomo non si debba mostrar tanto avido, & tenace, che paia far questo officio solo a questo fine: Però par a me, che per questa volta non si debba mancar di operar bene, secondo che ci si debbe, & quando poi essi siano stati asini, come sò per prova, che tanti ce ne sono, quando occorra di nuovo, nuovo accidente, allhora dirgli il Maestro non è in casa: Et se vi è, non ci vuol essere per vostro conto, così hò fatto io con alcuni, & voglio far per l’avvenir con li ricchi, con li poveri poi sempre ci sono, & sempre ci voglio essere, ò grati, od ingrati, che ci siano mostrati in gesti, ò parole, quando che li poveri per lo più siano gente bassa, & plebea; la quale come ha poca robba, tiene ancor poco cervello, & poco giuditio; Ma torniamo alli primi ragionamenti nostri di questo dietare, ò più presto inediare, & far morir di fame, & sete gli ammalati, & spinger di medicarli con questi scommunati siroppi, introdotti nelle Spiciarie per abbarrar le genti.
FILO. Questi sono dui gran capi, che voi proponete, l’uno è la dieta, di cui ne havete pur ragionato nelli vostri libri, ch’io desidero far Latini, l’altro è questo ordine de’ siroppi usuali, & vedo, che voi improbate l’uno, & l’altro: & pure l’uno, & l’altro sono necessarij; però sendo molta differenza tra il leggere, & il ragionare, hora che posso, & hò campo di ragionar con voi, desidero, che mi dizifariate l’uno, & l’altro, & cominciamo un poco dal dietare, & poi trattaremo del siropare, se così vi pare.
BOVIO. A me pare, & piace ciò che piace a voi: però io dico, & contendo, che le diete ordinarie di questi nostri Medici di Verona sono una gran ribalderia, & un’assassinamento delle persone: però dividiamo un poco le infermità in dui capi. L’uno è infermità, che occorre per causa di ferita, ò caduta da alto, ò percosse per qualche accidente simile, overo sarà per cagione di febre. Se sarà febre, overo sarà una efimera per alcun disordine gagliardo, & questi in dui casi, un pasto che si perda non importa, & è assai bene starsene ancor il secondo pasto dentro il termine, non pur dell’eccesso, mà dell’ordinario ancora, & io in questi simili accidenti non pur non danno, ò biasimo questa dieta, mà la laudo ancora: mà il voler continuar quest’inedia, ò dietta oltre doi pasti in persona colerica, od avvezza a cibarsi honestamente, questo è un’assassinamente di Medico od ignorante, ò ribaldo.
Se sarà febre, la quale altro non è, che (Calor naturalis in igneum mutatus cursum naturae supergrediens, procedens a corde in arterias, cum autem calor naturalis distemperatur a vitali spiritu sit febris, iste autem calor cum distemperatur a spiritibus, aut humoribus existentibus in corpore sit febris). Se la febre dunque sarà una di queste ordinarie come ethica, ò continua, & putrida, ò sinocho, ò causonide, emitretum, tertiana vera, tertiana notha, tertiana duplice, terzana continua, quartana, od altra, che non voglio hora star a nominarle tutte: in somma tutte queste febri nascono, ò da humori corrotti, ò che sono in via di corrompersi, alle quali si occorre con il levarne le cause; lequali cause nascono da detti humori.
Et questi si levano con Antimonij, con Herculi, con gratiole, con latiri, con ellebori preparati, secondo le mie dottrine, & non quelle usuale delle Spiciarie, con estratti di coloquintide, ò medicamenti di simili nature, i quali quando trovano li stmachi gravati purgano con vomiti, & cacciano per di sotto quelli humori, che, ò non possono, ò non vogliono salir di sopra: & perche una, o due volte che si amministrino questi medicamenti, non bastano purgar il sangue, & li spiriti, ove hanno le sedi queste febri, egli conviene per non agitar tanto la natura descender à siroppi, iquali, ò siano fatti in casa con brodi alterati da quelle cose che giudicarà il Medico di buona mente, & sana dottrina, ò fatti, & ordinati alli Spiciali secondo le dottrine de’ suoi Dottori approbati, ò di sua dottrina, & dottrina, che habbino la sua antipathia all’humore peccante: Ma non voglio, che siano decotti secondo l’uso ordinario delle Spiciarie, descritti dal suo Divo Mesue, ilquale conoscendo, che non havevano la sua debita ragione in dui luoghi dice: questi miei ordini, ch’io ti ho descritti sono buoni: ma però se ne vorrai di migliori conferisciti alla dottrina, & ordeni de gli Alchimisti: perche in questo essi sanno, & intendono meglio di noi. Io dunque voglio, che li siropi siano decotti secondo, ch’io hò descritto nelli miei Flagello, & Melampigo, in vasi di vetro con il suo capello, & recipiente, & le gionture ben chiuse, & serrate; accio non esali la parte sottile, & nobile delli semplici, de’ quali haverete fatto, od ordinato il vostro composito: & accio non si spezzi il vase di vetro, & la materia non si sperda, voglio, che posate detto vostro vase in una pignata di terra, sotto la quale poniate il vostri carboni in fornello atto, e fatto à posta: in questa pignata ponerete per un dito in traverso cenere sedacciata, overo arena minuta, & poi sopra il vostro vase di vetro, & d’intorno ad esso ponerete cenere sedacciata, overo arena minuta, per dui terzo di detto vase, & in questo modo il vase non si spezzerà, & quando pur vi vogliate liberar dal pericolo, e spesa di vasi di vetro, potrete far come fece M. Bartholomeo Spiciale al Giglio, che li hà fatti far di rame, & inargentar molto bene per difenderli dalla malignità, & venenosità ramigna, & po adopera li capelli, & recipienti di vetro, della cui virulenza ragionando io con M. Georgio di Georgij Spiciale alle due Pigne, giovine buono, & da bene; il quale mi serve per lo più quando quegli infermi, che mi si danno in cura si rimettono alla mia elettione, mi disse, quando io con la mia famiglia venni a metter la bottega quivi, la sera le donne fecero una torta, & perche il testo si era spezzato nel portar qui le massaritie, adoprorno il testo di rame, con che cociamo li marzapani, e tutti, che mangiammo di detta torta, stessimo chi cinque chi se giorni ammalati, & sentivamo quell’odor diabolico di rame, chi ci turbava lo stomaco con ruti ramigni: bene, gli dissi io, & li marzapani non sentono la medesima malignità? Et egli mi rispose: L’oglio delle mandole ci diffende da quelle venenosità, & però non patiscono questa alterazione. Et io dissi: Accommodatela voi al modo vostro, io per me non posso lodar quest’ordine di cuocere: l’ordine di far i siroppi è ancor di Mesuè, & l’uso corre; con tutto ciò la ragione, & l’esperienza mostra, che il mio è migliore.
FILO. Non sarebbe meglio adorarli interiormente?
BOVIO. Sarebbe meglio farli d’argento, ò d’oro: ma nè puote, nè vuole ogni Spiciale far queste spese. In somma egli si debbe fuggire di far le decottioni medicinali dalli vasi ramigni, per essere materia venenosa, come già dissi, & mostrai nelli miei antedetti libri, per quelle ragioni, che ivi dedussi.
BOVIO. Fugasi il rame sopra tutto; ma sentite quest’altro dello stagno.
Quando fu fatta la decottione del sessafras per il Signor Conte Marcantonio Saratico da quei suoi, il vase, in cui ella si fece era di rame stagnato da nuovo: & finita la decottione, non si vide segno di stagno sopra il rame; però che la virulentia di quello [] corrose il stagno: Siche fatta che fù la espressione il maggiordomo pose detto sessafras sopra di un piato di stagno, & lo ripose in un armario indi ad alcuni giorni facendo egli la risegna delli suoi stagni, trovò questo che si era calcinato, & ridotto in polvere. Sì che egli è bene sicurar le partite, far le decottioni in vasi di vetro, & se pure si hanno a cangiar vasi, fargli di metallo, & il meglio sarebbe che detti vasi fossero di argento di copella ò oro di cimento, ò non volendosi, ò non potendosi fare per la spesa eccessiva siano di rame adorato od’ argentato molto bene, mà li capelli siano di vetro, & suoi recipienti similmente, & in questo modo facendosi serbar le acque che stillano, & queste come già vi ho descritto nelli miei antedetti libri, siano reaggionte alli suoi decotti, & administrate alli patienti, però che le acque stillaticie uscite da questi materiali servono per vehicoli alli siroppi, il che conobbe molto bene Giovanni Fernelio, & lo toccò sfuggendo in un suo libro de Abditis rerum causis, & dice cure mirabili, & felicissimi successi veduti da lui con questo ordine, ma lo sò io meglio di tutti, però che non voglio mai altro ordine di siroppi, ò decottioni che questi, & tutti quelli Speciali da quali io mi servo, per li miei infermi hanno li loro instrumenti, & fornelli fatti per conto mio a questo fine, & effetto.
FILO. Devono pur sapere questi Medici la felicità, che havete nelle cure vostre nel sanar gli infermi, che si mettono sotto la protettione vostra, se le sò io che son forestiero, & li Speciali, che vi servono lo dicono, & predicano, & se le fanno (come denno ragionevolmente sapere) perche non seguono quest’ordine vostro?
BOVIO. Perche le Arpie vivono nelle menti loro, nelli petti, nelli cuori, & nelle mani: non sapete voi che Harpia viene da quel verbo greco Harpaso (quod est rapio) che tanto è dire, che non hanno altro fine che rapina, estorsione, & depredatione. Sentite quest’altra appresso, quello che io vi hò detto di sopra: Sono trè anni che passando io dalle case del Signor Gironimo Murari San Nazario, & sendo egli con Don Athanasio Monaco di quel Monasterio curato già da me di una gravissima sciatica,& un Medico (che io non nomino per conveniente rispetto:) detto Signor Gieronimo: il quale era mio amico amorevolissimo, mi chiamò, & io entrai.
Il Medico mi disse: Come fate, & come ve la passate con queste febbri maligne, che hora diguacciano per questa nostra città? a cui io dissi: non vedo febre maligna, & egli a me: non medicate voi forse più? si risposi io, medico pure, & per ordinario visito dieci, & dodici infermi il giorno, perche io non mi voglio caricar di più, mà non trovo mai febre maligne. Oh mi rispose questo Medico, tutte le febri che hora corrono sono pure per natura maligne. Bene gli risposi io fate voi, & li colleghi vostri come faccio io, & non trovarete febri maligne, & come fate voi mi rispose egli a cui replicai: Se egli è vero quello, che voi Medici asserite per constante, che la febre sia un calor, che soprafaccia il natural corso, & passi dal cuore alle arterie: il quale con il suo successo offendi l’huomo, & che sia dupplice calore nelli corpi nostri, l’uno che nasce dalli elementi, & si chiama potentiale, però che si forma da detti elementi, de’ quali siamo composti, l’altro si chiama attuale, & sensibile, & nasce dalli spiriti, & humori che sono nelli corpi nostri, & che quando questo tal calore attuale si distempera, over sia distemperato dalli spiriti vitali, allhora si generi la febre, dico che questa distemperanza, non si puote formar, ò causar salvo che da soverchi humori: i quali accendendosi causano la febre. Se la febre dunque nascerà da distemperanza delli spiriti, sia la febre breve, & sarà detta efimera, perche non ha durabilità per mobilità delli spiriti; Ma se la febre si farà per la distemperanza delli humori se farà putrida, nasca da qual si voglia di queste due cause la febre è bene cacciarne le cause, alla prima specie puoca medicina sia bastevole, alla seconda specie, che più presto si chiamarà, & con più dritto, & conveniente vocabulo genere, quando che da questa ne ponno haver origine molte specie di febre, sia bene far l’opposto di quello che fate quasi tutti voi Medici della nostra Città, che constaremo à vedere domattina, & da domattina a questa sera, & poi se non cessa dargli una furfanteria, un’affascinamento, una barbaria di cassia fetida, od appagliato lenitivo construtto di cassie marze, & altre vostre manigolde droghe, andate procrastinando le infirmità, & spellando, & spogliando gl’infermi, & ove potreste trarli in dui, ò tre giorni di pene gli accasate le infirmità adosso, & ben spesso ne fate dono di pizzeghamorti, & alla morte, mal nati voi, & perche prorogate le infirmità con il star a vedere, potendo, & dovendo per debito dell’officio vostro, tagliar le longhe, & abbreviar il male? A qual fine allongar, & mortalar le infirmità, sendo voi chiamati, & premiati per liberarci? & egli mi rispose. Et come fate voi, hora che regnano queste febri maligne? Io gli rispose al primo tratto che son adimandato da alcuno di questi assaliti, secondo che mi pare espediente alla natura del patiente, & alla età, gli dò quattro, ò sei grani del mio Hercule desritto nelli miei libri, overo la infusione del mio antimonio, ò suo fiori nel vino, ò brodo, ovvero deodeci, ò quindeci grani di latiri scorticato, & triturato con il zucchero rosato; overo la decottione di due dramme di gratiola, una di tartaro crudo pisto, & meza dramma di canella decotta in meza scudelletta di brodo, ò di acqua di acetosa, ò di boragine, & queste medicine amministrate in questo modo provocano vomito, & cacciano l’humor corrotto dallo stomaco, & purgano da basso buona parte di quelle corruttioni, che non ponno, ò non vogliono salir per vomito.Et questo è il mio ordine della mattina; La sera poi facio farli le fregaggioni dalla nucca del capo sino sopra li calcagni con drappo di tela ben secco, mà non caldo; & la mattina seguente gli replico od una delle sopradette medicine, overo il siroppo rosato solutivo, secondo la stagione corrente, oncie quattro, & meza in cinque con acqua di acetosa, ò boragine, overo con la decottione di una di queste, che è meglio; overo cinque oncie di melle rosato solutivo. Et queste cacciano quegli humori, ò putredine, che di già erano commossi, & non cacciati, dalla precedente medicina, & la sera faccio fargli le fregaggioni antedette, & quando il corpo è pletorico, gli triplico la terza mattina la medicina, & la sera la fregaggione, overo faccio pigliar quattro dramme di senna, due di tartaro, o d’ordinario, ò preparato, & meza dramma di canella rotto il bollore in una scudelletta di brodo, od’acqua, ò decottione di boragine, ò di acetosa, & come hà rotto il bollore a fuoco di vampa chiara, faccio levar dal fuoco, & coprire con una scudelletta, & tra il quarto di un’hora faccio spremere, & dargli questa potioncella: :& questa, ò finisce, ò lascia poche feccie nel corpo; il quale sbrigato con questi modi non resta atto instrumento per la febre, che possi più malignare, però che non havendo sede per il fomite, & albergo suo, conviene, che snidi. Et quando pur mi pare, che questi non bastino, gli faccio applicar sedeci, ò vinti cornetti tagliati per aiutar la naturaad iscacciar queste vostre febri, che voi lasciate forsi maligne con la vostra torpedine, poltronaggine, ò sceleragine. Con questi modi Sig. Medico mio li humori peccanti si dissipano, si che non trovano le febri ove nidi ticarsi, & stantiarvi: perche trattone li nutrimenti interiori, & esteriori con questi ordini, restino in modo essangue, & deboli, che non hanno ove possino malignare, tra tanto però voglio, che gli infermi usino brodi buoni, ove siano decotte boragini, & acetose in copia, quando che queste si opponghino alle malignità febrili.
Così faccio io Eccellente mio, fatte voi, & li colleghi vostri in questo modo, & non trovarete febri maligne. Et egli, non sapendosi risolvere della sua tenacità, & rapacità. Mi rispose, facendo un manicheto, & una fica, Eh guadagnaressimo nel culo. Et io allhora dissi Padre Reverendissimo, & voi Sig. Gieronimo [audistis hominem]. Si che non habbiamo bisogno più di altri testimonij, & dissi loro: mi vi raccomando, & mi partei.
FILO. In fatto l’avaritia è la radice di tutti li mali: Son pur ancor io Medico, & son divenuto Medico per poter vivere un poco più commodo, non havendo io molta facoltà, ò beni di fortuna, mà certo dò gloria a Dio, che non sono così rapace, che io mi sapessi imaginar di abbarrar le persone, & tormentar li poveri infermi, che mi chiamano per loro agiuto, & soccorso: & però havendo io letto li vostri libri, venni (come sapete) a posta a Verona con sommo desiderio di conoscervi, & riverirvi: & sono poi tornato più volte per godermi della conversatione vostra; & hora hò pur fatto ritorno per impetrar da voi la translatione di detti vostri libri in lingua Latina, & farli stampare a beneficio del mondo: pero io mi consolo tutto a sentirvi discorrer come facciate le cure vostre nelle infermità: havendo inteso poi dal publico grido la felicità vostra nel medicare, hò avuto doppia consolatione per li ragionamenti vostri: mà seguite di gratia gli ordini delle cure vostre, acciò ancor io dalla prattica impari a conoscere realmente gli errori di noi Medici Rationali, quali non udì mai più scoprir così bene come fate voi. Ma ditemi quando questi dissentivi detti non bastano per liberar le febri, che cosa fate poi?
BOVIO. Faccio far di quei siroppi, che sono descritti da Mesuè, & ordinati da gli altri vostri Medici, & Auttori di buona dottrina, & sana mente. Et secondo le indispositioni del patiente, natura del morbo, della stagione & temperatura del Cielo, che in quel tempo corre, mà in questi siroppi ordinariamente aggiungo un poco di solutivo, che a mira basti tirar a basso quell’humore, che il siroppo digerisce; ò ragionevolmente puote, ò debbe digerire, & per lo più mi servo della senna, & tartaro, ò crudo, ò preparato, in quel modo, che voi altre volte mi dicesti havervi insegnato il Sig. Giacomo Antonio Cortuso, huomo per sangue, per animo, & per virtù nobilissimo.
FILO. A qual fine mettete voi il solutivo nelli siropi digerenti?
BOVIO. Perche le ragione essemplificate più movono, che le semplici parole, rispondetemi a questo. Se voi metteste una mandra di cavalle, od’un brancho di vacche, ò pecore in una stalla, & gli faceste letto con strame, ò paglia, & poi pigliaste questa paglia così mischiata con lo sterco, & urina di quegli animali, & ne faceste un cumulo d’intorno ad una quarcia, od’altro albero, voi vedereste tra il termine di tre, ò quattro giorni quello strame bollire, & fumare, & marcirsi di giorno, in giorno, & quell’albero imbiancar le foglie, sobollire, e in pochi giorni morirsi egli, & le radici che fossero sotto quello strame: il quale tutt’hora si convertirebbe in letame. Et questo perche quello sterco, & orina delli bestiami, che si fosse mescolato con quello strame, bollendo insieme si putrefà, & corrompe.
Non altrimente fanno li siroppi nelli corpi nostri, che mentre bollono nelle viscere nostre essalano, & corrompono il sangue, la carne, & la pelle di cui siamo composti; perche mentre bolleno insieme, si putrefanno, stando nelle parte interiori de’ corpi nostri: mà se li date lo sperone del solutivo, questo và di continuo portando fuori del corpo quegli humori, che si maturano, & si putrefarebbono; & il corpo in questo modo si và gravando, la natura prevalendo, la perduta sanità recuperando, & però io voglio, che tutti quelli, ch’io medico, si nutriscano di cibi, che siano di nutrimento buono, facile à far buon chilo, & fomentar la natura: la quale, quando inferma (da caso accidentale in fuori) non pensate, che cada in giorno, mà che aggravata da molti humori per longo tempo accumulati insieme, finalmente si arende, come fanno le bilancie, le quali havendo da un lato un peso, verbi gratia di dieci libre, per impositione di robba dall’altro lato, & additamento, che a poco a poco vi si faccia, finalmente si leva, & cede a quella che prima era vuota, & saliva all’in sù. Così la natura nostra aggravata di giorno da humori soverchi finalmente cede; & si dà in prede a chi più puote. Se voi dunque le sgravarete con un poco di solutivo, & aiutarete con cibi convenevoli, ella si prevalerà, fortificarà, & ridurrà alla bramata sanità. Questi nostri Medici, che hanno riputatione: perche essi ne uccidono assai, non la vogliono intendere: sia mò malitia, od’ignorantia ipsi viderint, io non manco di strepitar ogni giorno, & quantunque io predichi al deserto , pure non voglio restar fin che viva di farmi intendere. Questa Età passata sono pur morti dui di loro mal medicati forse per pena del Talione. L’uno di questi sapeva nulla, & si riputava nuovo Monarca di Sapienza, si burlava di Marsilio Ficino, del Conciliatore, di Mercurio Trismegisto, & di Sant’Agostino, & teniva poi per un semideo quel scelerato ateista del Pomponaccio, detto il Pereto da Mantova, pensate qual dottrina doveva esser là sua. L’altro fù uno di quelli, che mi diede l’occasione di scriver il Flagello de’ Medici, perche non volle con gli altri acconsentire, ch’io dessi l’Hercule al Sig. Alberto Lavezuola, havendolo essi giudicato morto, come morì: dicendogli io che l’haverei conservato in vita, & ridotto a sanità come per dono, & gratia del Signore Dio hò fatto con tante centinaia d’altri. Questo Medico dunque sendosi infermato questa Estate di gravissima infermità, & sendo nella cura delli nostri Triumviri, se ne è morto, perche non gli hanno mai voluto dar Medicine, con il staremo a vedere, come hanno fatto con tante centinaia di altri, & forse migliaia, ch’io non hò tenuto il registro, salvo, che nè hò veduto portar tanti alla sepoltura ogni giorno, che pareva l’anno del sospetto, ch’io non lo voglio batteggiar della peste, come fù tenuto universalmente.
Et sò parimente, che il Signor Francesco Boldieri huomo di quel valore, che ogn’uno conosceva è morto per causa loro, a cui io voleva dar un vomitivo, & ogni giorno lo proponeva, & ogni giorno lo contendeva, mà essi non mai volsero tra’ quali era il Capo di Vacca condotto con grosso stipendio da Padova, allegandomi, che non volevano alterargli li polmoni con vomitivo, & che volevano dargli un lambitivo, il qual lambitivo poi si risolse dalle loro Eccellenze in una furfantaria di melle rosato solutivo, con un poco di manna soluta: Io non sò chi mai sapesse, od’intendesse, che le cose liquide, & bevibili, & che corrono giù per il canaluccio fossero compresse, & connumerate trà lambitivi, tanto fù, ch’egli morì, & al morto uscì una secchia di sanguaccio putrido dalla bocca, & dicendogli io, hora vedete mò, se io gli davo il vomitivo, che campava secondo la mia intentione, & essi mi risposero: [Similes morbi prognosticis sunt relinquendi:] che tanto vuol dire in volgare Italiano, che per haverlo essi adiudicato alla morte, non volevano ch’io, che non son Medico per professione, & porto la spada, gli facesse questo scorno di tenerlo in vita, & restituirlo in sanità contro li pronostici loro. Et non vogliono poi ch’io sgridi, & dica, che sono peggio che Farinelli da strada, quando sendo chiamati, & pagati per sanarci, essi, perche sono ignoranti, e maligni per conservarsi in reputatione di haver detto che morirà vogliono che muoia, & gli huomini sono così sonacchiosi, & dormiglioni, che ò con li pugnali, ò con la giustitia non si risentono in farli scorticar vivi, & dar le carni loro nude a stracciare a’ cani, & alli corvi? Dio buono, perche non son io Prencipe assoluto tanto tempo, ch’io potesse liberar’il mondo di questa feccia di scelerati,destruttori dell’humana natura. Hora morto, & sepulto il Signor Francesco scrissi questa lettera all’eccellente Signor Capo di Vacca, il quale, come principale di questa cura, era stato quello, che diceva voler dargli il lambitivo: & acciò andasse, & ricapitasse bene gliela mandai franca; & la sua Eccellenza ne fece quasi un pubblico grido per la Città di Padova, della quale ne furono fatte molte copie, & mandate in diverse Città, & Paesi: Et io a sua consolatione, poiche vedo, ch’ella gli fù cara, & grata voglio mostrarvela, & è questo.
Eccellentissimo
Sign. Capo di Vacca
Sono due potenze in DIO in quo, a quo, per quem, & ad quem omnia, una ordinaria, l’altra assoluta. Et sono parimente in Dio dui voleri, l’uno permissivo, l’altro dispositivo. La potenza assoluta, & il volere dispositivo non cadono sotto la cognitione nostra, salvo che per pura revelatione; dell’altre due, & io, & molt’altri ne possedemo per lungo uso, & dottrina impresa qualche particella di intelligenza, & della prudenza prevederne per congiettura qualche lumicino, ò scintilla di luce: di questa scintilla ne havemo havuto il Signor Francesco Baldieri cugino dell’altro Signor Francesco suo defonto, un certo che di lucioletta, quando, che uscendo egli della camara dell’inermo, disse verso di me: I Cieli sono congiurati alla morte di questo sfortunato; poichè ogni vostro consiglio è ributtato. Et io altresì lo prevedevo in un certo modo congietturale, sendo, ch’io che non son solito errar quasi mai, ero reietto, & ogni mio proposto per buono, fedele, & indubitato, esploso, & negletto. Solo restò, che non avvenisse à me quello, che di già à Michea, che profetando ad Achab, che morirebbe, ucciso in Ramoth Galaad, ne riportò per premio una guanciata da Sedecia figliuolo di Caneana, & da Rè prigionia, & digiuno. Non per tanto li nostri Triumviri, nè la V. Sig. Eccellente sono iscusate da mè delle sue opinioni, & operationi; anzi di più sono tenute per quello, che veramente sono, poiche quel gran Monarca, & moderator universale dice di sua bocca quando vuol punire un popolo, ò trattarlo male: Tibi dabo Principem puerum. Ed altrove è scritto: Propter peccata populi Deus facit regnare Hippocritam. Haveva dunque Iddio disposto torci quest’huomo, & acciò, io solito per il più in questo esercitio ad esser suo instrumento, non lo salvasse, & voi ministri delle sue condannagioni lo conduceste à morte, ha introdotti alla cura sua. Non restarà Iddio per tanto di castigar voi delle colpe vostre, come di già punì Balaan Profeta figlio di Beor per la mala sua intentione di maledire il Popolo Israelitico, & premiarà me de gli affetti miei buoni, & santi. Voi dunque ricusaste la mia gratiola, & riponeste lontana da voi una pertica per tema, che vi scaldasse la testa, & poi diceste à tavola, che con tutta questa lontananza vi haveva messo dolor di capo con la sua calidità. Bene sete voi delicato, & tenero di complessione, & lontano dalli charismati celesti, quando che due dramme di un’herbuccia secca, per la sua virtù detta gratia di Dio, vi causa tanto male; se una sol volta dunque vi foste trovato, come mi son trovato io tanto con la celata, od’elmo in testa nelle battaglie campali, ò navali, ferito da gli ardenti raggi del Sole, ò fuochi artificiati, sareste incarbonito, od’incenerito; poi che così poca cosa, & tanto distante da voi, vi conduce à così doloroso partito; Et se voi foste capitato, come io tante volte, giacer la notte sopra la pura neve gelata, con il solo coperto delle Stelle scintillanti, vi sareste converso in statua di giaccio, come di già la moglie di Loth in sale. Horsù voi ricusate la mia Gratiadei per il vomito con quelle vostre apparenti ragioni, & fumicati argomenti, & mi dicesti volergli dare un lambitivo: acciò maturasse quegli humorazzi che haveva nel polmone, & mesenterio, & gli deste poi la manna, & melle rosato solutivo dissoluti in bevanda. Io per me non seppi mai, nè credo, che lo sappi altro, che le potioni si chiamino lambitivi, nè mai seppi, che il mele rosato con la manna fosse atto à far simili effetti. Bene haverei pensato, che dovendosi venir’à simili atti da Medici Rationali, il siroppo violato, di liquiritia, di prassio, ò di farfara, ò simili fossero stati più commodi, & appropriati, & chi li havesse accompagnati con il succo di latiri condensato, ò grani di detto latiri scorticati, ò li fiori dell’antimonio solutone solo la sola salsedine con tre cucchiari di brodo di vitello, ò di capretto fossero stati la vera, & reale sua medicina, delle quali con continuati successi, non mai fallati, mi son’io servito in più di quattro milla patienti: Ma se pure nascondendovi da me, volevate dargli potione solutiva di questi humorazzi, perche non più presto dargli la detta manna con la decottione della senna, & tartaro? della cui senna il Proto Galeno de’ nostri secoli Giovanni Fernelio, dice queste parole Bilem, atque crassam pituitam purgat commodissime ex hyppocondrijs, & mesenterio, in quibus est omnis illuviei [?] sentina . Et io di questa medicina mi son servito mille volte con successi, sopra ogni credenza humana felicissimi. Voi lodaste l’Hisopo, ch’io voleva aggiungerli come cosa à questo appropriatissima, ma poi lo rimbuttaste come troppo calido; & io ne mangiai quella stessa sera tre tanto in insalata, & pure non mi ascaldò ponto il corpo, ò l’animo; si che io mi avedesse di haverlo pur mangiato, & il sopradetto Signor Francesco Boldieri ragionando mi disse mangiarne egli stesso assai mattina, e sera la Primavera, & l’Estate, nè però arde, ò s’abbruccia giamai.. Ma caro Eccellente Signor Maestro, perche ragionando meco abbreviaste voi la seconda sillaba dicendo Hisopo, & non Hesopo quando, che tutti li testi Greci di tutti gli Scrittori lo scrivano per Omega; il qual’Omega è pur sempre longo appresso de’ Greci? Seguite voi forse l’ignorantia del nostro versificatore Macro? ad huomo dotto, & Dottor leggente conviene seguir li buoni, & come faccio io detestar li ignoranti, & zarra à chi tocca: in fede buona mi date à credere, che foste socio, & collega del Medico Donzellino, che sotto larva del Dottor Claudio Gelli (per usar la sua Ortografia) così leggiadramente m’abbreviò adosso l’Encomium Zephyri, che poi corretto da me, con migliaia di suoi altri errori, mi si sottrasse, iscusandosi non convenirsegli contendere con uno, che non sia Dottore, porti la spada, & habbia vagabondato il mondo: mà chì lo peragrò più di Apollonio Thianeo, & pure dalli suoi peregrinaggi ne raccolse tanta cognitione di dottrine, & scienze? Mà per tornar’al proposito del Hisopo: questo che noi operamo in questi simil casi, non è quel Hisopo di cui dice il salmo: Asperges me Domine Hysopo, & mundabor &c.
Ma appresso di Hebrei il Testo dice Esob, tradotto per vicinanza del vocabolo da’ nostri Latini in Hisopo; mà per il vero quello è il rosmarino degli Herbarij detto Libanotis, delle cui virtù non voglio farne catalogo; mà non tralasciarò, Che vireat semper, ter in anno floreat, nulli noceat, multis infirmitatibus medeatur, & maxime comitiali morbo, qui Daemoniacus habetur. Così si trova asserire il georgio nella sua harmonia Celeste, nel settimo tomo della prima cantica alli 27. capi, & altrove, che per brevità passo. Mà per far ritorno alle mie medicine, ch’io procurava dargli per procurargli il vomito res ipsa indicavit che sole erano salutari quando che morto ch’egli è stato gli sia uscito grandissima quantità di materia putrida dalla bocca, si che quello, che non havete permesso, che habbi tentato io in vita per conservargliela, hà operato la natura in morte per significarmi, ch’io incaminavo bene, & voi altri nuotavate nelle tenebre dell’errore. Et con questo à V. Eccellenza dico mille saluti.
Di Verona
Zefiriele il Bovio
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FILO. Ben che cosa rispose Sua Eccell. à questa lettera?
BOVIO. Che cosa volevate voi che rispondesse? non sapete voi, che al vero non si puote risponder dalli huomini prudenti salvo, che confessar l’errore, & divenir più circonspetti nel non errar più; e gli adimandò al Sig. Andrea Chiocco nostro, giovine di buoni costumi, & ornato di buone,& belle lettere Latine, & Greche, & che scrive bene prosa, & verso, elegantemente addottorato nelle arti, se io havevo mai veduto anothomie, però che sendo l’apostema nel polmone, dovevo sapere, che non poteva haver essito per disopra: Et io dico che se lo ha lo alito, il fiato, & il spirito, come hanno, ve lo haverà parimente lo apostema. Et il Chiocco gli rispose, credo che ne habbia vedute più di sei. Et io gli dissi, & che sicurezza haveva il Capo di vacca, che lo apostema fosse nel polmone, od’in altro luogo, sendo ella coperta di pelle, di carne, & di ossa? provoca pur tù il vomito, che vedi esser solo atto alla espulsione dell’apostema, & lascia poi che la natura si trovi la strada alla uscita: [Fata viam inveniet] disse quel saggio, se a morto che fù, la postema gli uscì per la bocca, & à vivo sarebbe uscita chi l’havesse procurata. E’ la pleusesi apostema intercostale, & pure un mio ragazzo, sendo io in Bavera incaminato alla guerra de’ Protestanti sotto l’Insegna Imperiale, la vomitò per la gola, & sanò, dicono li vostri Maestri, & male, che in questi casi, come disperati, per non incorrer infamia, si denno abbandonar le cure, & io dico, che [una salus victis nullam sperare salutem.]. Io hò fatto questione una frotta di volte con miei grandissimi svantaggi, & sempre vinsi, vedendo che bisognava ò vincere, ò morire, & era meglio morir honorato, che lasciarsi uccider con vergogna.
Così nelle cure, ove la vita è havuta per morte, si deve tentar la fortuna, & lasciarne la cura à Domenedio, che il più delle volte ci porge la mano, & si cava d’angustia: Ma tornamo onde siamo partiti; Questi siroppi, che io voglio che siano fatti secondo l’ordine delli vostri Medici, che ve gli hanno descritti, voglio però che siano decotti secondo li ordini miei descritti nel mio Flagello o Melampigo, & voglio replicarvelo quivi à mia satisfatione.
Faccio dunque formar un fornello, il quale à terra sia largo un piede per ogni verso, & habbia il suo uscetto largo mezo piede, & sopra per un’altro piede vi faccio posar una ferrata di bastoncelli di ferro, lontani l’uno dall’altro, poco più che la costa di un cortello, perche da quelle aperture cadda la cenere, & sia adito all’aere, sopra di questo poi per altezza da detti ferri di mezo piede, poso due altri ferri, sopra de’ quali poso una pignatta di terra cotta, trà la qual pignatta, & grada di ferro, resta il vacuo di mezo piede per li carboni, & habbia il suo uscetto alto, & largo per ogni verso mezo piede, & l’uscetto pure sia di quadrello di terra, ò cotta, ò cruda, questo non importa.
Questa pignatta si chiude pure con quadrelli c’intorno, s’i che i quadrelli siano distanti dalla pignatta per la grossezza d’un deto della mano, acciò il fuco habbia adito libero ad ascladarla, & alli quattro cantoni di detti quadrelli si lasciano quattro pertusi larghi quanto è grosso il pollice della mano, che servono per caminetti, & si formano quattro ballette di terra da poter chiudere, & aprir, & registrar il fuoco a voglia dell’operante: in questa pignata si pone arena minuta, ò cenere sedacciata grosssa un deto di mano per traverso, & poi vi si pone il vostro vase di vetro, & d’introno pure alla sommità della pignata od arena, ò cenere sedacciata: in questo vase di vetro si pongono le droghe, & acque per far la vostra decottione, & poi vi si pone il suo capello, & recipiente, ben sigillate le gionture con pasta di farina, & calcina sfiorata, & chiara di ovo, & cinge con una bevanda di tela: e poi se gli accende il fuoco, & cuoce la materia. Et è sempre meglio usar descrittione nelli fuochi, che pecchino più presto nella lentezza, & longhezza, che nella vehemenza. Io ordinariamente voglio che vi duri il fuoco dedeci hore per il meno, & come è fatta la decottione lascio cosi per dieci, ò dodeci hore, acciò bene si maturi, & poi faccio levar il vase, serbando quello che ne è uscito da se, & fatta la colatura, & espressione per pezza di lino atta, faccio raggionger l’acqua colata, & espressa alla passata per lambicco; la quale perche è stata aerea, & perciò sottile, serve per vehicolo a quella che hò tratta dalle feccie per espressione, & questa io son solito administrare alli miei languenti: questo faccio io sempre, & lo fanno ancora il Medico India, & il Marogna, quasi per ordinario, che non si arrossiscono dire di seguir in ciò le mie vestigie. Et così sperino che debbino far tutti quelli che saranno guidati dalla prudenza, & buon pensiero di medicar con carità, & zelo dell’honor suo, & beneficio de i miseri afflitti.. Con questo ordine io assequisco la mia felicità, & desiderio di sanar li infermi con prestezza, & felice, prospero, & bramato successo.
FILO. Se questi dui caminano per questa vostra strada, perche non vi vanno gli altri ancora?
BOVIO. Li giovani si temono l’ira, & disgratia delli vecchi, & li vecchi, perche hanno studiato in Padoa alli miei tempi, ò poco doppo, & sanno che li miei studij furono in Legge, & che poi son ito per lo mondo peragrando, non vogliono rendersi scolari miei, parendogli meza vergogna di disciplinarsi sotto un vagabondo, & desertore delli studij, che non ha mai studiato Filosofia, così essi dicono. & che fare meglio a scriver delle Poesie: nelle quali la natura mi è stata liberale, & che questa doverebbe essere la mia professione, havendo io spirito Poetico, & vena nobile in scrivere Heroici, & se io medico, & le cure mie mi passano con felicità, lo vogliono ascriver non a mio sapere, mà alla felicità mera della mia fortuna. Io all’incontro dò gloria à Dio mio Signore, che tengo cognitione solo io più che tutti insieme, delle belle arti, Scienze, & Discipline, & lo predico, & ne faccio professione: & ho studiato con diligenza più libri solo, che essi sentiti raccordare, ò nominare.
Quello adunque che io contendo è, che si debba medicando cacciar li humori corrotti dalli corpi de’ poveri languenti, con medicine a questo create dal sommo Iddio, che egli è scritto: [medicinam creavit Altissimum, & vir prudens non aborrebit eam.] dice il Savio [medicinam creavi, & non dice dietam, aut inediam constituit].
Vogliono questi sciagurati macerar li corpi nostri con la dieta, & inedia sottrahendo alla natura li alimenti consueti; la quale superata dalla gravezza di humori corrotti succombe, & vogliono che si prevalga con l’inedia, e dieta? Non Hippocrate, ò Galeno, non Apolline inventore della Medicina, Esculapio suo figliuolo, Chirone, ò Padilirio, ò quanti mai furono inventori, od augmentatori con quante facondie s’havessero mai Demostene, ò Cicerone saprebbono mai trovar con ogni loro topice, ò persuader con loro rethorice, questa così spaccata pazzia, ignorantia, ò scelerità che si sia. Quando il buon Medico Lazise, che morì per loro diffetto questa età giceva infermo, adimandai io a questi suoi Medici come egli si stesse, mi risposero che era molto aggravato dal male, & perciò non osamo dargli medicina: bene gli diss’io, se haveste diece some di grano adosso, che vi tenissero schicciati in terra, che bisognarebbe fare, starsi a vedere, o per levarvi questo gravame da dosso? mi risposero, che si haverebbe dovuto levarli il peso da dosso. & perche gli diss’io, non gli levate questo gravame di humori corrotti della vita? egli è debole: mi replicarono, & però, che egli è debole, invalido, & impotente da se a scaricarsi, aiutatelo voi con le medicine a sgravarsi, & con cibi di buon nutrimento soccorrete alla natura deperdita: attendevano a dire; egli è debole. & non ardirono mai di medicarlo: in somma con questa timidità non lo soccorsero mai, nè lo sgravarono, & se ne morì per dapocagine loro. Giusto giuditio d’Iddio, che vendicò la morte del Lavezuola di pena del Talione, permettendo, che come egli non volse, che io sosoccoresse l’amico mio co’l mio Hercule medicandolo, così li amici suoi lo lasciarono finir la vita immersa e suffocata dalla corruttione di un gran lago di humori putrefatti, & marzi.
Queste sono cose che fanno tutto l’anno, e quasi sempre, e però guardici Iddio dalle sue mani, con queste sue dapocagine come ho detto uccisero ancora il Sign. Francesco Boldieri, che haveva l’apostema nel petto, & non volsero mai od’essi fare, ò permetter a me che facesse vomitare, & gli attaccarono le sanguete al culo, con dire che volevano divertir per quel modo la materia: guardate di gratia se questa è la via di liberarci dalle aposteme stomachali. Di questi errori ne fanno oogni giorno le migliaia, perche sono ignoranti, & giuocano alla balorda, & per parer pure, che facciano qualche cosa, ci tormentano, con questi modi essorbitanti, & fuori di tutte le ragioni del mondo: Mastro Grillo la perderebbe con questa razza di balordi. Questo ha un’apostema nel petto, gli attaccano le mignate al sedere, quello hà una ventosità nel fondo del ventre, che gli chiude i due forami per evacuar le reliquie delli cibi, & potioni, gli mettono gli vessicatorij sopra gli brazzi, mi fanno sovvenir di un caso che avvenne ad un parasito epuleone, a cui per haver empiuto il ventre all’altrui [tavola], il Medico ordinò che se gli mozzassero le ugne.
FILO. Quel Medico doveva esser saggio, & accorto molto, poiche con questo mdo gli voleva insegnare ad esser più parco alle altrui mense.
BOVIO. Egli non si aspetta al Medico burlar li poveri infermi: Ma debbe far l’ufficio per cui è chiamato, & quando vorrà burlare lo potrà fare a suo bell’aggio, mà come Medico lo dovea far vomitare, & poi con parole accommodarsi alla riprensione. Et non voglio ancora, che come Medico proceda nelli vomitorij con certe cibegarie di acque calde, & aceti, che queste sono favole, che non sanano mai, ma tirano le malattie a longo, & essi tra tanto s’ingrassano delle altrui miserie, & calamità.
FILO. Et che cosa si hanno a dare per vomitorij se queste usuali da noi Medici vi offendono l’animo?
BOVIO. Voglio, che vi diano li Hercoli, li Antimonij, li latiri, le gratiole, li acini degli ebuli, gli ellebori negri, ò bianchi secondo le qualità delli patienti, & certo io hò trovato mirabili operationi nelli vomitorij, nè mi raccordo mai havermi pentito per haver fatto vomitar alcuno; vero è ch’io camino sempre con il lume della ragione, quantunque li Medici dicano, che la mia sia più presto Fortuna che scienza; mà certo questa Fortuna mi sarebbe troppo propitia quando che d’ogni mille infermi disperati, che mi venghino in cura, non ne periscano cinque, & questi cinque glielo predico: pure comunque si sia io ne dò la gloria al mio Sig. Iddio, & a gli Angeli suoi ministri, che guidano la mente, & le attioni mie, poiche le cure mi passano con tanta felicità di successi.
FILO. In fatto, per quanto sino ad hora hò potuto scorgere, non sete ponto amico della cassia, medicina tanto famigliare a noi Medici, poiche non vi hò mai sentito farne mentione: & noi altri Medici la usiamo quasi sempre per minorativo delle nostre cure, ò di gratia ditemene la ragione?
BOVIO. Corrono vintidui anni, ch’io entrai in ballo a medicare, nè mai io ne diedi una presa in tutto questo mio corso di tempo, nè però son mai caduto in errore nel non haverla data: la ragione mò, ch’io non la dia è questa. Voi sapete, ch’ella è ventosa molto, & communemente muove ventosità nelli corpi di quelli, che la pigliano, & se non pigliano tutta la dose ordinatagli dal Medico intelligente, ella non hà forza di cacciarla, & il povero languente si trova a cattivo partito, & corre di grave pericolo, & bene spesso di morte, di che mi piace contarvi un caso, cui vidi, & a cui riparai, & non però medicava in quel tempo, nè tampoco pensava a medicar mai; mà perche havevo pur letto de i libri, che trattavano di medicina, operai la salute d’un povero Dottore, che si moriva per questa vostra benedetta casia, & il caso fù questo.
Io ero in Venetia, & stavo in quella inclita Città, come è costume di forestieri, a camera locante in casa di una donna per patria Vicentina, ove capitò un Dottore Gentil’huomo da bene, detto il Signor Arcangelo Brogiano, solito ad albergar in casa di questa donna, quando ad essa occorreva andar a Venetia, & perche le stanze erano piene, ella mi pregò ad accettar questo Dottore in mia compagnia: loquale accettai molto volentieri, non passaro tre giorni, che egli si risentì d’un poco di febre: Venne un’altro Dottore Vicentino di Pigafetta huomo di assai valore: il quale era stato Vicario dell’Illustrissimo Signor Podestà di Verona puoco innanzi, & con esso lui vi venne un Medico Vicentino à visitarlo. In fatto per venir alle poche convennero dargli sei dramme di questa vostra benedetta cassia, a cui io dissi? Eccellente Sig. Dottore, non la pigliate, che se non morite, andarete certo alle porte della morte. Quel Dottor Pigafetta m’addimando se io ero Dottore, overo Medico, a cui io risposi brevemente: non Dottore, nè Medico, mà ben mi stimo haver tanta dottrina, che conosco, & son certissimo, che questa medicina condurrà questo Gentil’huomo a termine mortale, se egli la piglia. Questi trè intendendo, ch’io non ero Dottore s’accordarono.& così egli prese la Medicina: la quale, perche era poca, fù ben bastevole a commuover gli humori, mà non a cacciargli: gli commosse in modo che, che il povero Dottore tormentato nel letto attendeva a pregarmi, ch’io gli desse un pugnale per aprirsi il ventre, & stete tutta quella notte in tormenti gravissimi, & tenne me in affanno, ch’io sentiva per amor suo. Finalmente facendosi giorno mi risolsi aiutar’il compagno, & andai ad una Spiciaria, & tolsi una dramma di Tiriaca, & glie la diedi, & posi sopra del ventre un sacchetto di cenere ben calda. Questi dui ripari cacciarono da basso la ventosità, & humori commossi. Et il buon Dottore mi tenne poi sempre con gli altri dui per huomo, che sapesse, & intendesse, e mi sono poi stati amici grandi in molte occasioni, & occorrenze. Da indi in quà io no hò mai voluto consentire, che altri diano, & altri pigliano cassia, perche a molti occorre il non ordinarne quanto fà bisogno all’infermo, & a molti infermi avviene quando ancor gli è ordinato il bisogno non pigliarla tutta: manchi dall’infermo, ò manchi dal patiente la ventosità è in campo, & li rimedij poi ò non sono in pronto, ò non è chi glieli sappia applicare, come a questi dui, che il Medico non gli ne ordinò quanto era necessario,& nel bisogno, se io non mi vi abbatevo, non era chi lo soccoresse, & il buon Dottore tormentava, & languiva. Così da questi accidenti ne riescono ben spesso danno al patiente, e vergogna al Medico.
FILO. Et che cosa date voi per minorativo in vece di cassia usata da noi altri Medici ordinarij quasi ordinariamente?
BOVIO. Già vi hò detto, ch’io mi servo quando delli fiori dell’antimonio, & questi dissoluti od’in brodo, od’in vino, od’in acqua di boragine, ò di lupuli, ò di acetosa, ò nelle decottioni di dette, ò altre simili herbe, quando mi servo dell’Hercule, quando del latiri, quando della gratiola, quando delle sementi dell’ebulo al peso di dui scudi, pistate, & amministrate nel brodo, quando di una dramma di oglio tratto per espressione da dette sementi, quando di quattro dramme di senna, due di tartaro, & una di canella rotto il bollore, & coperto poi il vase per mez’hora, ò più, ò meno, secondo l’occasione nella decottione delle antedette herbe, ò brodo, quando di quattro, ò cinque oncie di melle rosato solutivo, quando del siroppo rosato solutivo, ò solo, od accompagnato, secondo li tempi, le qualità delle persone, & luoghi ove mi trovo: mà certo nella senna, & tartaro, & canella trovo mirabilissime virtù, & gran beneficij con poca spesa, & poco travaglio de’ miseri afflitti: & perche gli Spiciali di questo ne tranno poco utile, & sanno, ch’io medico la maggior parte delli poverelli con questa medicina molti di loro, che hanno poca carità, & la gola aperta al rubbare me ne vogliono male.
A molti ancora, che sono più delicati, son solito di dar quest’altra medicina la quale è la Regina, & Imperatrice di quanti minorativi possiate dare, od usare in tutta l’arte medicinale, è bella all’occhio, grata al gusto, dilettevole all’odorato, conforta, solve, & in somma giova sempre, & non offende mai. Io faccio pigliar due dramme di senna in foglia, & fusto, & silique se vi sono, se non vi sono poco importa, una dramma di tartaro di bote, meza dramma di canella, & faccio rompere il bollore in meza scudella di brodo, ò di pollo, ò di vitello, ò di altro che sia grato al patiente, overo in vece sua in acqua, ò decottione di alcuna herba, conforme, & atta alla infermità, che patisce l’infermo, come boragine, buglosa, lupuli, acetosa, pimpinella, fenocchio, petrosellino, ò simile oncie sei, ò sette, ò quando più otto, & come ha rotto il bollore, faccio coprir il laveziono, ò pignatino, & lascio così per un quarto d’hora, mez’hora, un’hora, & se non vi è fretta dieci, quindici, & venti hore, poi la faccio colare, & spremere in questa espressione faccio dissolvere manna eletta oncia una, & quando più uncia una, & meza, & la propino al mio languente. Questa medicina è gratissima al gusto, soave al palato, dilettevole allo stomaco, solve il corpo, rompe, & scaccia le ventosità, fa orinare, e nutrisce l’infermo, giova sempre, non offende mai.
Questa medicina fabricai io per mia cognata, donna di molto valore, ma di poca natura, & l’ho poi data a moltissime persone, & sempre con felicissimo successo. Questa è una di quelle medicine, che doverebbono usar quelli Medici, che fanno l’ufficio, ò doverebbono farlo secondo le tradittioni delli Medici vostri maestri, che attestano essere ufficio di Medico il medicar, ò administrar le medicine cito, tuto, & iocunde. E’ medicina sicura per donne gravide, per figliuoletti, & per ogni sorte di persone tenere, di quanto si voglia tenera, & delicata complessione, ne io mi trovai pentito già mai di haverla data, od’amministrata di quante volte la dessi, a qual si fosse in vita mia.
Con queste medicine io son solito proceder per minorativi, & queste voglio, che sieno le mie cassie, & li miei lenitivi, che mal habbia chi li dà, ordina, ò commanda.
Et perche io sò con qual’ordine si procede nella nostra città, con questi lenitivi, giuro pel lume, che dà lume al Sole, se io havesse auttorità pari al volere, farei impender per la gola chi li ordina, chi li dà,& chi li commanda senz’altro processo. Non dico già che le cassie non siano buona medicina, & non contendo che li lenitivi fatti da huomini buoni, & da bene non siano medicina nobile, mà dico, che per causa delle ladrarie, che ho vedute, io castigarei li Medici, che li ordinano, & administrano alli suoi patienti. Si credono questi vostri Medici, che questa vostra cassia sia la Regina delli medicamenti, & spesso l’abusano senza causa, & fuor d’ogni ragione: di che mi piace raccontarvi un caso, ch’io vidi, acciò siate più cauto ancor voi nell’administrarla, & ripariate all’occasioni senza travaglio,& con sicurezza delli vostri patienti; questo è un caso, che avviene spesso, & molte volte porta molti incommodi alle povere genti, per mera ignorantia de’ Medici poco avvertiti.
& è questo.
Io mi trovai un giorno in casa di uno di questi nostri Medici principali, & vi era anche un’altro suo collega, quando vi capitò un contadino di età di cinquantaquattro anni, & disse: Signore, mio figliolo havendo lavorato a far fossi hieri, ove si haveva faticato molto, haveva bagnato la camiscia, di onde partendosi, cacciato dalla pioggia,& vento, andò a coperto sotto un fenile aperto, ove pure soffiava vento, & ove dimorò per buon spazio, & con tutto, che sentisse freddo per il vento la camiscia però se gli asciugò in dosso, & venuto a casa, & cenato postosi a giacere, se gli è aventato adosso una buona febre: però io son venuto a Vostra Eccellenza che mi dia ricompensa per lui. Il buon Medico prese la penna, & scrisse un bollettino, dicendogli: andate allo Speciale, & portategli questa carta, & egli vi darà quanto è scritto qui, & dategliela domattina: poi chiamate un barbiere, & la mattina seguente fategli trar sette, od otto oncie di sangue dalla vena commune del braccio destro, & così vostro figliuolo sanarà.
Io che non soglio burlar’alcuni voltomi a questo Eccellentissimo Medico dissi: Dite voi da vero Eccellente Signor Medico, ò burlate? & egli a me: Io dico da vero, & da senno, allhora volgendomi io all’altro Medico dissi: & voi Eccellente Messere, che dite? & egli a me dico quello, che dice la sua Eccellenza, perche non è questa la via sicura di sanar questo giovine? allhora io mi voltai al buon contadino, & dissi: bramate voi la salute di vostro figliuolo? & egli a me per questo son io venuto a pigliarne compenso, & io soggionsi. Questo Medici vi burlano; Andatevi a casa, & pigliate un drappo di tela, mà che non sia novo,& asciugatelo bene, poi lasciate che lasci il caldo, & fatene un bel cuguloto, & cominciando dalla nucca del capo fregatelo giù fino alli calcagni con destrezza, non lasciando parte alcuna esente dalle fricationi, poi fate il medesimo alla gola fino alle ultime ongie delli piedi, non lasciando parte alcuna dal capo in giù, che non sia fricata, & il tutto con destrezza, & questo farete questa sera innanzi cena, & farete il medesimo domattina, per due hore innanzi il cibo, & triplicate diman di sera innanzi cena, & tra tanto tenitelo coperto honestamente, però che le porrosità della pelle, & carne, si apriranno, & per evaporatione transmetteranno l’humor compatto, il quale per non haver l’essalatione aperta causa la febre, e come haverà la strada aperta, se ne esalarà, & lasciarà vostro figliuolo libero, senza suo travaglio, & senza spesa di Medici, barbieri, & Speciali. Li Medici consentirono al mio consiglio: Il padre essequì quanto io gl’imposi,& il giovine sanò, con questi, ò simili ordini ne hò tratto io di letto,& di affanno infiniti assassinati da Medici, od ignoranti, ò maligni; i quali non avertendo alla alla constipatione delli spiriti incompressi, & porrosità della cute richiusa, attendono a medicine, a siroppi, a trar sangue, & senza prò tormentano li poveri languenti, & perche gli essedmpi de i fatti chiariscono meglio le partite, che le parole in aere mi giova di riferirvene un’altro caso ad instruttione vostra tra infiniti, che mi sono passati per le mani, & mi passano quasi ogni giorno con continuati successi.
Cavalcando io un giorno in villa m’abbattei in un giovine; il quale mi salutò, & fece segno di molta riverenza, dal qual’atto mosso fermai il Cavallo, & addimandai chi egli si fosse. & egli mi rispose: io son Moresino già famiglio del Signor Pier Francesco Zaccharia vostro Barba, & io a lui: egli haveva bene un famiglio di questo nome il quale era un bel giovine; mà io non ti conosco. & egli disse a me: io son pur questo, mà la infermità mi ha transfigurato. & io a lui; & che accidente è stato il tuo? Eramo cinque compagni (mi rispose egli), battevamo del grano, & perche vedevamo gran congierie di nubi, che ci minacciavano gran pioggia, si affaticamo più del dovere, & sendo ben caldi, & sudati ci sopravvenne la pioggia fredda come ghiaccio, & noi pur tuttavia accumulamo il grano, acciò l’acqua non ce lo portasse giù dell’ara, di modo, che si ribagnamo di nova pioggia; da indi in poi si siamo amalati tutti cinque,& stiamo nel termine, che vedete me, con una certa februcia lenta, & torpore per tutte le membra, si che siamo del tutto resi inutili, e non potemo far cosa alcuna con incommodo, non pure del presente male, ma dell’animo ancora, che sendo questo il tempo di guadagnarsi il vitto per il Verno, che viene, non pure lo potemo fare, mà di più scialaquamo quel poco, che havemo di guadagnato queste settimane passate. Onde io girando il cavallo ad un riuone di fosso, ch’era ivi: vedi tu queste ortiche fanne pigliar’ un fascio a tua moglie, & fallo cuocere in un caldarone grande, di quelli, che si usano per far le liscie; & cotte che saranno, fa che l’acqua, & l’ortiche siano gettate in un vezoto di tenuta di sei brenti, ove facci porre uno scagnuzzo per porvi sopra li piedi, & scagnotto per sedervi sopra: tu poi entravi dentro nudo, e ti farai metter sopra, & d’intorno un lenzuolo di tela con il tuo ferraiuolo sopra, & d’intorno, si che quel fumo ti circondi bene, & faccia sudar tutta la persona, tenendo solo il capo fuori del vezotto libero, & quello replicarai tre, quattro, ò cinque fiate, & così facciano li tuoi compagni, non gettando via nè le ortiche, nè l’acqua, ma aggiungendovi dell’una, & dell’altre se sia bisogno, & con quest’ordine sanarai tu, & li compagni tui. Così egli fece, & fecero i compagni, & sanarono tutti presto, & bene senza tante cassie, lenitivi, siroppi, ò trar di sangue. E questa è la via vera, e reale di trar li poveri infermi di calamità,& miseria senza tormentarli con cassie, lenitivi, siroppi, trar sangue, & tenir li morti di fame con tante altre loro, od ignorantie, ò barrarie, dategli mò voi qual nome più vi piace, & aggrada.
Le infirmità, che vengono ab extra, come queste, che vi ho detto, si denno medicar con ordini ab extra: quelle che vengono per corrutione di humori ab intra, si denno medicar, & purgar con medicine ab intra, & non come fecero certi Medici in Bologna ad un Monaco Dominicano legente: il quale caduto un giorno da una cathedra, ove si era adormentato con un libro in mano, & havendosi amaccato una spalla, un gallone, & li ginochi, questi suoi Medici attesero a dargli medicine per bocca, & sopra le offese posero certe loro furbarie d’empiastri repercutienti, & gli condensarono, & congelarono li humori corsi, si che egli ne è rimasto storpiato, che se vi havessero applicato sopra le parti offese del grasso di porco pisto abbondantemente in quindeci, ò vinti hore sava, & rimaneva libero da ogni sorte di danno.
Ma per seguir l’incominciata tela di quello meschino, gli imposi, che si custodisci dal vento, & aere freddo della mattina, & della sera, si nel tempo che si stufasse, come ancora per quindeci, ò venti giorni doppo: nel qual tempo però non gli vietai che non lavorasse, & facesse li suoi soliti esercitij: così dunque fecero egli, & li compagni, & sanarono in breve, & felicemente, ove se io non capitavo ivi, & gli havesse instrutti del modo, non sarebbono ricoverati Dio sà il quando, mà se la fortuna loro li conduceva alla cura, & governo di questi Medici ordinarij non uscivano mai di pena, & travaglio con scialaquare quel puoco, che si trovavano in casa.
Io vi hò voluto dar questi esempi a fine, che ve ne potiate servire nelle Città come nelle Ville, ove a molti occorre infermarsi per fatiche simili, come correr poste con pioggie, & venti, essercitar cavalli, giostrare, ballare, giuocar a palle, ò palloni, giuocar di scrima, & tanti altri esercitij non consueti.
FILO. Il dargli cassia, & trar sangue in questi, ò simili casi non è dunque a proposito per quanto io comprendo dalle vostre parole.
BOVIO. Dicono li Savij che [frustra fit per plura, quod potest fieri per pauciora, 6 aeque bene,] mà questo non solo non è [aeque bene] mà di più, il bene si fà in questo modo, & il male si opera facendo come l’ordinario di voi altri; però che voi movete humori senza proposito, & fuori delli fini per li quali sete adimandati, & delli bisogni de’ poveri languenti, la natura si altereggia per causa della constipatione de’ porri, per li quali essa si sgrava, però che, non solo per li sputi, per il naso, per il cesso, & per l’urina ella transmette il cibo, & poto, mà ne transmette ancora, & si sgrava per insensibile transpiratione delli meati, & porri della carne, & pelle, come la porrosità è rinchiusa, & constipata i vapori sottili, che si generano dalla continua ebollitione del cibo, & poto, si condenseno, & fanno grossi,& causano quel torpore, che si sente per tutta la persona, & l’uomo resta come acqua di pozzo, ò stagno che si corrompe: però egli ci si conviene aprir queste porrosità, & dar esito alli vapori, & questo non si fà con cassie, ò trar sangue, mà con la aperitione delli porri, & questa apertione si fà con i sudori, & non con cassie, od’omissione di sangue.
Se voi facestefuoco con legne in una stanza, che non havesse camino, chiara cosa è che questa stanza si empirebbe di fumo, se voi farete pertuggi in questa stanza, che discendino a basso voi non darete mai essito al fumo, perche la natura del fumo, il quale è esalatione, & ascende, non discenderà mai a basso, si che vuotiate la stanza di fumo: mà se farete pertuggi nel solar di sopra, od’aprirete le finestre la stanza si liberarà dal fumo, così per dar cassie, od’altri solirivi, & per trar sangue voi non liberarete mai la constipatione delli vapori fumosi, che si generano delli cibi, & poti senza l’aperitione delli porri, così la intendo io, & così la denno intendere, chi vuol far l’arte del Medico reale, & ben intendente: io per me vorrei quando son chiamato a medicar alcuno poter fare come il Signor nostro [Surge, & ambula] mà li Medici furfanti, ignoranti, & scelerati producono, procrastinano, & tirano a longo le infermità, ò per non intender l’arte sua, ò per spellargli le borse, di che ve ne potrei recitar le migliaia; mà sentite quest’altra vi prego, che mi recitò (trè giorni sono) un Monaco di San Benedetto nostro Veronese. Mi disse dunque: Che un Medico leggente in Perugia fù chiamato per riputatione a visitar’un suo Abate, il quale haveva il flusso del corpo, & se gli dava per ogni visita uno scudo d’oro, & lo visitava due volte il giorno,& volendoli gli altri dui colleghi serrar detto flusso, parendo loro, che la natura del male hoggimai purgato così ricercasse, egli pregò loro, che per dui altri giorni ancora contentassero, che si buscasse quattro altri ori; al che essi per reverentia, che portavano alla sua Eccellenza quietarono, non avvertendo tanto alla gravezza del morbo, & eta del povero Abbate, quanto a dar satisfatione all’ingordigia del lupo.
Così mentre danno fuoco alla rapacità dell’empio, e scelerato, il povero Abbate per usar troppo liberalità al boia, che lo uccidesse, se ne passò all’altro secolo con dolor delli suoi Monaci, che lo amavano di buon cuore per le bontà sue. Io mi credo certo, che questi scelerati siano essanimi, & ateisti, cioè che si pensino, che come le bestie così hli huomini siano mortali, & Dio non habbia cura (come Lucretio, & suoi complici tengono per fermo) delle cose di questo mondo. Uccider un uomo perche lo premia gagliardamente? & che diavolo operaranno poi contro di quelli, che ò per povertà non possono, ò per mera asenaria non vogliono far cortesia al Medico? & con dirgli, che ben faranno, & ben diranno, si riducono in porto sicuro, & poi gli voltano le spalle, come per mia mala fortuna fanno la maggior parte meco, overo come altri, che non mi donano mai altro, che cerimonie, riverentie, offerte, & proferte, ma guardati la gamba poi di domandargli servitio, che hanno le migliaia di scuse in pronto, con le quali non ti servono, & vogliono parer di haver l’animo più che prontissimo, & paratissimo a tutti li tuoi servigi, piaceri & commandi.
FILO. Dunque non vi premiano quelli, che vi ricercano di aiuto nelli loro disaggi?
BOVIO. S’io fossi pagato, come si pagano ordinariamente li affitti in questa nostra Città a ragion di sei per cento, io haverei tanti denari, che non ne vorrei più; come di già mi raccordo, che fece il Sig. Gieronimo Contugo in Ferrara, a cui volendo suo suocero dar quattro mila scudi, che andava creditore per la dote della moglie, non li volse, dicendo, che ne haveva troppi, & non voleva travaglio di tanti, & a me convenne entrar amicabile compositore co’l suocero, che si contentasse tenergli, poi che il genero così contentava, & spesso si doleva meco di haverne troppi sopra li suoi bisogni.
FILO. S’io fossi in voi, io non medicarei, ò s’io medicassi mi farei intendere per quei modi che fanno gli altri.
BOVIO. S’io havessi studiato, ò studiassi per fine del guadagno, od’a questo fine facessi quest’arte, forse farei ancor io così, ma io non hebbi mai per scopo delli miei studi questo guadagno, mà solo il sapere per nutrimento dell’animo mio, nè in altro mi compiaccio, che nel procurar questa benedetta cognitione, & sapienza: il voler mò premio del mio compiacimento da gli huomini mi par una cosa che tenghi dell’inhumano.
FILO.Non intendo io che vogliate esser premiato per li studij vostri, mà per le fatiche vostre nel giovar’altrui.
BOVIO. Il giovare, & beneficiare è cosa divina, & quanto più gioviamo, & beneficiamo all’altrui calamità, & miserie, tanto più si renderemo simili al formator nostro Iddio, però nè di questo par a me, che sia conveniente il domandar premio: ben è vero, che quelli che ricevono beneficio doverebbono rendersi grati a suoi benefattori; ma se non lo fanno poi, che colpa vi ho io? sono asini certo, & tali io li stimo, mà perche hanno la sembianza humana voglio stimargli huomini, & creder che habbino l’anima da Dio come ancor’io. Se mò sono ingratisuo sia il danno. Nonne decem mandati sunt] (disse il Redentor nostro) [& novem ubi sunt? non estinventus qui daret gloriam Deo, nisi hic alienigena]. Delli dieci un solo ritornò a riferir gratie al suo Salvatore: io non voglio per tanto restar di trafficar li miei talenti, & dargli ad usura qui in terra, poiche il mio Datore qui in terra mi hà detto (& è verità infallibile) che reposita est mihi me ses[?] in Caelo, quam mihi reddet Pater in illa die iustus iudex.
Ma torniamo alli ragionamenti nostri di medicina, poiche la venuta vostra ame tende a questo fine.
FILO. Io hò letto in questi vostri trattati, che voi nelle febri aministrate il vino alli vostri infermi, & questa vostra dottrina par a me, che repugni al commune uso delli Medici di Lombardia, però ditemi di gratia lo date voi a tutti li vostri infermi.
BOVIO. Io lo dò a tutti quelli, che lo bramano, eccetto gli squinantici, alli quali lo levo in tutto, & per afatto, lo vieto sotto pena della vita alli pleuretici: benche in certi casi si puote administrarlo pro una vice tantum, come (verbi gratia,) già fece il grande Esculapio de i suoi seculi maestro Gerardo Boldieri, & gli riuscì per eccellenza, & vi dirò il come.
Era tornato questo gran Medico da Venetia, ove per lo più faceva la sua vita, & fù chiamato a vedere una giovinetta da marito delli Verità sua parente: la quale era pleuretica, & era il settimo giorno, che giaceva nel letto tenuta a strettissima dieta, over più presto inedia da’ suoi Medici carnefici: in modo che la troppo eccessiva dieta stava per essalar l’anima: il che veduto da questo huomo prudente, mandò a casa sua, & si fece portar un poco di malvagia di Candia, & preso un pane glie ne fece una suppeta in un bicchiero, & gliela diede di sua mano, dandogli a bere ancor la malvagia, che il pane non si havea assorto, & se ne andò per il caso suo dicendo al padre, & alla madre, fate provigione delle candele se morisse. Io ho fatto prova di resuscitar costei, se mi verrà verrà: bene istà, se non pazienza ella era morta per la troppa inedia essequita da voi, per ordine di questi vostri Tiranni, però staremo vedendo. Mandò il buon Medico la seguente mattina, ad intender come si trovasse la buona giovane, & il servitore rapportò, come si era riposata la notte, & stava assai bene. Il buon Medico andò a rivisitare la giovane, & gli ordinò un poco di cibo atto alla restauratione, & la servò in vita. La troppa inedia havea ridotta questa figlia alla morte, & il vino la rivocò in vita. Io prohibisco parimente alli tormentati dalle Erisipile, ma non però a tutti, nè sempre, & vidirò un caso, che a giorni passati mi avvenne.
Il Signor Francesco Cerino era fatto hidropico, & era stato in mano de altri, mà non si trovando egli satisfatto de loro, mandò per me. Io ne presi la cura, & gli ordinai, che bevesse il vino puro, con il frassine, & ecco che fu assalito da una Erispila in una gamba: onde egli voleva lasciar il vino, & io gli dissi più importa la hidropisia, che la Erisipila faccio io poco caso, & tra dui giorni di questa io vi liberarò, così feci tagliar lardelle d’una mezena di porco con un coltello, come si tagliano le fette del cavigliaro, & glie ne caricai tutta la parte offesa, & in circa per due dita, poi feci pistar lattuche abbondantemente, & porvele grosse sopra, & d’intorno caricata una pezza di tela vecchia, & il giorno, seguente gliele ricambiai, & in dui giorni fù libero, seguì poi la cura mia della hidropisia con le sementi di ebulo per quattro, ò cinque prese, a due dramme per volta, & poi con lo elaterio ogni terzo giorno quindeci giorni, con li suoi correttorij, & si fece sano, & gagliardo come un daino, & rubicondo come una rosa fresca di Maggio.
FILO. Le febri Terzane nascono pure per ordinario da humor colerico, & già lessi nelli vostri Libri, che gli davate il vino, & i nostri Medici lo dannano, come và quello negotio?
BOVIO. Questi mesi passati il Conte Lodovico Canossa honoratissimo Gentil’huomo, quanto altro nella Città nostra, s’infermò di questa terzana, & gli durava il parosismo ordinariamente ventitre hore, mi mandò il cocchio, acciò io andassi al Garzano a medicarlo, ove egli si trovava, & perche la Luna era nel suo fine io non volsi dargli medicina, & meno trargli sangue. & perche il suo accidente era nato dall’andar a sparaviere, & star fuori per li caldi grandi, percosso da i raggi del Sole, gli facevo metter cristieri per evacuar’il corpo, & quando l’ardor maggiore del parasismo lo tormentava, nel bell’ardor della febre io gli davo un gran bicchierone di acqua della sua fontana con il giuleppe violato, e la quantità era quarant’una oncia, & copriva nel letto lievemente, onde egli sudava la camiscia, & il calore si diminuiva insieme con la febre. & come la Luna si fù allontanata dal Sole per vinticinque gradi, doppo la congiontione gli diedi un’oncia, e meza di manna sciolta nella decottione di acetosa, ove haveva tenuto due dramme di senna, una di tartaro, & meza di canella, & fatto romper il bollore, colate & espresse & davo da lavarsi, & scialacquarsi la bocca acqua, ò decottione di acetosa, & secondo la predittione mia in cinque giorni sanò, havendo evacuato l’humor peccante per secesso & orina, & era pura colera, nè però volsi, che si astenesse giamai dal vino, ò bianco, ò rosso, come più gli aggradiva, nè mai gli diedi pane amollito, ò panatella, come sogliono questi vostri Medici: mà gli davo una minestrina di zucche, ò bietole con boragine, & acetosa, & insalata acetosa, & boragine cotti insieme. & poi od’ovi rotti in acqua, & cotti, ò tordi, ò lodole, ò vitello come più gli aggradiva, & doppo il cibo pomo cotto con zuccaro in un pignattino, & con quest’ordine sanò bene, & felicemente.
FILO. Voi dunque gli davate tanta acqua in una sol volta, & non gli faceva male.
BOVIO. Male haverei io processo, se havessi vagato per il corso trito da voi altri Medici Diavoli incarnati, nati solo per tormento de’ miseri afflitti, lasciandoli morir di sete, & di ardore nelle fiamme roventi dell’ardor febrile, se le febri sono calor acceso [in igneum mutatus] che si hà a che fare per estinguerlo, salvo che con l’aceto, & io se non ho giuleppe, accompagno l’acqua con lo aceto, & acqua suoi oppositi a chi non hà, come volte occorre giuleppe. Ruppe Annibale le montagne con il fuoco, & l’aceto, & io se non ho giuleppe, accompagno l’acqua con lo aceto, & con questa estinguo la febre, & suo ardore. Il giuleppe è cosa più gentile, & grata alla natura nostra; mà chì non ne ha usi l’aceto, & chi non havesse aceto per sua fortuna piglia la quinta, ò sesta parte di vino, & il restante acqua pura, & buona, & lo accompagni insieme, & glie ne dia quanto puote bevere senza interporvi tempo, & sarà opera buona, così faccio io, & sempre bene, & quivi non mi occorre di contender di parole, & far il sacente con disputar se sia bene, ò non sia bene il farlo, io lo faccio, & faccio bene, & poiche la cosa mi riesce in bene non occorre stendersi in ciancie per parer di saper più de gli altri.
Di che ve ne darò l’esempio.
Pigliate un vomero, od’altro instrumento di ferro, & affocatelo bene, poi gettatevi l’acqua a goccia, a goccia, questo vomero ogn’hora diverrà in più ardore, & cacciarà da se quelle goccie con impeto, & strepito, mà se cacciarete questo vomero in un gran mastello di acqua, al primo impeto sarà romor grande, poi si anderà accommodando, & diverrà freddo.
Così l’ardor febrile domato dalla moltitudine dell’acqua corretta con questi licori domarà l’ardore come il vomere resta superato dalla moltitudine dell’acqua, & il povero languente si ricrearà, & ristorarà.
In questo modo doverebbono fare li Medici, che hanno pietà, & misericordia, & sono privi di avidità, & cupidigia: mà quella maledetta sete de gli altrui denari gli trafigge l’anima, & con questa rigorosità simulata fingono pietà, & carità dell’altrui salute, & tormentano li poveri languenti contro ogni debito ragionevole: mi fanno sovvenir questi manigoldi, di certi Giudici, ch’io non nomino per convenienti rispetti: i quali spinsero alcuni ladroni de strada imponendoli alle forche, e poi svaligiarono le putane di quei ladroni, & s’impatronirono de i bottini fatti da quelli, mà non però restituirono le robbe robbate, ò depredate, mà le ritennero per se, & cangiarono paese arricchiti dall’altrui spoglie, & fortune.
FILO. Et come vi reggete voi nelle febri Quartane, che pare, che in proverbio si dica, che fanno le fiche alli Medici?
BOVIO. Fanno le fiche a gl’ignoranti; mà io le spedisco bene, & presto, & ve ne darò l’essempio, che ne potrei dar mille.
Li Monaci neri di S. Benedetto, che gran parte di loro sono miei amantissimi, mi pregarono, ch’io mi transferisce a Vicenza per curare un loro cellerario: il quale quantunque rosso & strabone, era però huomo da bene, & haveva la febre Quartana, & era ilo mese d’Ottobrio, & gli suoi Medici lo havevano abbandonato, con dirgli. che per quell’inverno se ne passasse, come poteva il meglio, & che a tempo nuovo l’haveriano liberato. Discorrete come un Quartanario, & Monaco Claustrale se la possi passar bene nelli rigori dell’Inverno? In somma io presi il camino, & in sei giorni lo posi in libertà. Di che dalla felicità de i nomi ne presi felice augurio, il Monasterio lo chiama San Felice. & la camara, che mi fù assignata per stanza San Fortunato: la onde sendo condotto a visitar l’infermo disse: Padre Reverendissimo state di buona mente, che sanarete, sendo io giunto a San Felice, & albergato in San Fortunato: però sperate bene della salute vostra, ch’è in prossimo! Così la seguente mattina mi accinsi all’opera, & per primo ingresso gli diedi per minorativo sei grani del mio Hercule in un’ovo fresco, & con questo gli provocai il vomito, dandogli ogni tratto un poco di brodo caldo, acciò con quello uscissero gli humori putridi dello stomaco, nelli quali la febre si haveva posto il suo letto. Lo nutrì il giorno con malvagia, pistachea, & carne di capone vecchio, & grasso: il giorno seguente gli diedi la decottione di mezza oncia di sena con il tartaro, & canella in decottione di boragine, & feci il medesimo il terzo dì, il quarto gli la decottione di due dramme di gratiola, una di cinnamomo, & una di tartaro. Il quinto giorno li diedi l’antimonio, & il sesto giorno quindici grani di latiri scorticati con anisi confetti, & in questi sei giorni lo nutrì sempre con pistato di capone, tordi, pistachee, pignocati, & vini honesti a bere, et in questi sei giorni rimase libero dalla febre: onde gli altri giorni si ristorò sempre di bene in meglio, nè più sentì alteration di febre, che gli accennasse, non che poi lo travagliasse, et tra pochi giorni venne egli stesso a Verona a riferirmi gratie della ricevuta sanità. Egli era di età di trentasei anni in circa, et di honesta temperatura di corpo, quando è sano, et però processi alla gagliarda, et mi riuscì con felicità, quando mò le temperature non sono così in proposito si farà in dodeci giorni quello, ch’io feci in sei et più, et meno secondo la disposition del patiente: io per me sono audace, et le cose mie riescono, et queste riuscite mi danno cuore a far da vero nelle mie cure.
FILO. Se egli è lecito dire quel ch’io sento, a me pare che voi foste molto vehemente, et terribile in questa cura, et certo io non sarei ncosì oso, che mi desse il cuore far un così fiero assalto senza interpositione di tempo, et con tante continuate medicine travagliar un povero Quaternario tormentato da così fiera peste, come è questa febre.
BOVIO. E’ regola trita tra voi Medici che gravibus morbis gravioribus medicinis sit insistendum.
FILO. Gravioribus, si bene, mà toties continuatis, et che la natura lo comporti, mi sarebbe potuto difficile, et non lo haverei mai fatto.
BOVIO. Nè io lo farei in corpo debole, mà in corpo robusto, et di buona habitudine, et con nutrimento gagliardo, non dubitarei mai farlo, come ho fatto in tanti altri ancora, mà se voi haveste maggior cognitione delle scienze alte, et profonde io vi assignarei una ragione, che vi ammutirei, ma non l’havendo io me la passo.
FILO. Deh caro Signor Bovio ditemela vi prego, che se io non la capirò così affatto, et concentrarò quanto sarebbe bisogno, non sia però che non ne senti alcun gusto, come fanno molti infermi ancora: i quali quantunque sentino il vino amaro, lo bevono però sapendo che egli è vino, così farò ancor’io, che sapendo, che direte cosa bella, et buona, non sarà, che io non ne habbia alcun diletto.
BOVIO. Io son contento di satisfarvi. Io ho la Luna nella nona casa del Cielo, nel domicilio del Sole: la qual mira Giove Signor dell’ascendente di aspetto trino partile, vicina a dui gradi, et mezo a detto Giove, et essa alberga il Sole nella sua casa, et Giove riceve detto Sole nella essaltatione sua; il qual Sole è nella ottava mansione del Cielo luoco assignato alla morte.
Questa constitutione un’Astrologo ben intendente la intenderà, et conoscerà, mà un mago Celeste la discorrerà molto meglio: il quale saperà che questi Giove, Sole, et Luna sono instrumenti delle tre Intelligenze, delle sette assistenti inanzi all’inennarabile trono dell’incomprensibile Iddio; le quali Intelligenza sono Zachiele, Rafaele, & Gabriele, & perche queste tre Intelligenze tengono il principal Dominio sopra di me, della vita, & delle attioni mie, & esse reggono la mente, et l’intelletto mio con lo assenso del mio volere, alle quali quando io ho a fare cosa, che mi prema, io mi dò, et emancipo tutto, io faccio bene ciò ch’io opero, et le cose mie mi succedono secondo li desiderij miei, conformi a quelli che bramano soccorso, aiuto, et sperano salute dalla mano di Dio, et per l’opera mia, et se questo negotio paresse duro a gli huomini communi per lasciarselo entrar nelle menti, non parerà duro, ò difficile alli dotti, et intelligenti: il che fù chiaro, et attestò eccllentemente il gran Platonico Iamblico nella terza sessione, al capo quarto De Misterijs Aegyptiorum, Assirirorum, & Caldeorum con queste parole: Volo equidem in his etiam coniecturas depromere non obscuras, quibus intelligamus, quando mentes ab ipsis Dijs vere possidentur.
Et sappiate, che quando od’egli, ò gli altri huomini dotti, intelligenti, et saputi hanno parlato delli Dei in numero plurale, hanno sempre inteso de gli Angeli ministri del grande, ineffabile, incomprensibile Iddio Creatore dell’universo: così l’ha inteso egli, così Mercurio Trismegisto, così Platone, et così tutti gli altri dotti.
Seguendo Iamblico il suo ragionamento dice: Nam si propriam vitam subijciunt universam instar vehiculi, aut organi, inspirantibus Dijs, aut commutant humanam in Divinam vitam, aut etiam vitam propriam in Deum agunt, tunc neque sensibus operantur, nec evigilant, usque adeo, ut sensus tentant experrectos, neque apprehendunt ipsimet futurum, nec moventur, ut qui impetu instinctus operantur, se neque seipsos animadvertunt, neque vi prius, neque aliio quovis modo, nec prorsus convertunt in seipsos propriam intelligentiam, nec ullam penitus proferunt cognitionem, nec suae spontis amplius, sed totam habent animam, mentemque in Deorum equitantium positam potestate.
Si che Eccellente mio s’io opero alcune cose fuori del commune uso de’ communi Medici, non io, mà Dio per mezo de gli Angeli suoi ministro opera per me, come suo instrumento: leggete San Tomaso contra Gentiles nel terzo libro, che ve ne discorre a pieno, & nel nonagesimosettimo capo, nel fine, dice: Chi negasse, Dio oper’innoi questo governo del Mondo inferiore, negarebbe la providenza Divina: mà chì volesse negar mò ancora, ch’egli non si servisse del ministerio Angelico qin questo governo parimente negarebbe la verità. Et questa dottrina è conforme con li Testi Evangelici, & con la dottrina de’ saggi Gentili, così Poeti, come Filosofi, Astrologi, Theologi, Latini, Greci, Hebrei, Caldei, Assirij, Egiptij, Arabi e Mori, ch’io habbia letti.
Delli nostri Christiani io non ragiono, perche in ciò convengono tutti quelli, che hanno avuto cognitione delle belle, & buone discipline & scienze; ma vedete di gratia bella simpatia, & convenienza tra li nostri, & Pagani.
Noi dicemo che Rachele che nella nostra lingua suona Medicina Dei, sanò Tobia per ordine del grande Iddio, & li Pagani ascrivono l’inventione della Medicina ad Apolline, che significa il Sole: il qual Sole con tutto il suo orbe, & spera, secondo li Rabini Hebrei, & Cabalisti, eretto, & governato da Rafaele uno di sette assistenti innanzi al Trono d’esso Iddio, così egli stesso afferma nello scoprirsi all’uno, & all’altro Tobia padre, & figlio, così attesta la Sacra Scrittura tenuta, & approbata da noi.
Et tra gli tanti Pagani, che in ciò convengono di Apolline significato per il Sole, dice Ovidio: Inventum Medicina meum est.
Li Astrologi così Latini, come Greci, Hebrei, Caldei, Arabi, & Mori, & li capi tutti di Tolomeo, & Alboazen Alì, che non conobbero mò le intelligenze moderatrici de gli orbi, assignarono queste cause delle operationi delle intelligenze a gli orbi, & sfere loro. & San Tomaso, S. Agostino, Eusebio, e tutti li Theologi nostri, che hanno havuto lume di questa scienza sono convenuti con detti Astrologi, & hanno approvato la scienza loro per buona: mà per hora voglio, che restiate pago delle semplici assertioni mie, havendone io discorso & trattato a longo in un’altro mio Libro, che si darà in luce quando piacerà a chì regge il tutto, & al Papa suo Vicario in terra.
FILO. Io vi hò sentito con molta sodisfattione dell’animo mio discorrer queste vostre dottrine, le quali sono poco note a noi Medici ordinarij, & per dirvi il vero non ne ho mai sentito trattar queste materie in questi mdi, che havete discorso voi, & io mi confesso poco capace di loro; però desidero che in somma mi concludiate, ciò che habbiate voluto prsuadermi.
BOVIO. La somma è che non vedendo noi mortali, nè potendo vedere con questi occhi carnali le intelligenze, od Angeli Celesti, che sono spiriti, ma sapendo, & conoscendo le virtù,& potenze loro, & le positure, & governi loro assignatele dal suo, & nostro Creatore, potemo dalle loro positure, & luochi conoscere quali di esse, & in che cose concernente a noi più, ò meno ci siano propitie, & favorevoli.
FILO. Carto Signor Zefiriele mio amorevolissimo voi mi havete in modo acconcio con questi vostri ragionamenti, che mi è nato un desiderio incredibile di studiar, & imparar ancor io queste scienze, poi che elle inalzano l’huomo alla cognition di Dio sopra, & oltre la cognition comune de gli huomini dozinali, & le rendono admirabile a gli altri huomini: però non è meraviglia se voi sete stimato fuori del comune de gli altri: la onde per acuistar ancor io maggior cognitione delle cose, ditemi come ho a che far ancor’io a riuscir simile a voi.
BOVIO. Bisogna studiar come hò fatto io le Arti, le Scienze, le Dottrine belle, descritte dalli grandi, legger’assai, & buoni Auttori, & gravi,& farsegli famigliari. Io per me ho letto tutti quei Poeti Latini, Greci, Hebrei, & Caldei, che mi sono capitati alle mani, ho studiato li Rettori, Latini,& Greci, & grandissimo numero d’Historici, & perche questi non si ponno intender bene senza la cognitione della Cosmografia, mi hò fatti famigliari Tholomeo, & li moderni Cosmografi con le historie de Scrittori, che hanno trattato le navigationi de’ Castigliani, e Portoghesi, & questi non si ponno ben concentrar senza la cognition della sfera, & de’ Cieli, ho appreso Astrologia, & mi son compiaciuto d’intendere le grandezze de’ Pianeti, & Orbi dal centro dell’abisso alla circonferenza del primo mobile, & conoscer particolarmente, & nominatamente le Intelligenze motrici del primo Orbe della Luna sino all’ultimo sopra il Cielo stellato. Che dell’Empireo non occorre ragionarne; si che ho voluto concentrar le simpathie, & antipathie, non pur de gli Orbi tra se, mà delle intelligenze ancora & Celeste, & infernali ribelle al suo Fattore, & nemiche delle Celesti.
Di queste scienze poi più minute, che gli altri huomini istimano tanto, ne ho fatto anotomia, come è a dire Arithmetica, Geometria, Filosofia naturale, & morale, & di quella, che gli Alchimisti chiamano recondita, di Medicina ordinaria, & recondita, della cognitione dell’herbe, alberi, gemme, animali, & minerali, fuochi artificiati, Artiglierie, & simil’altre mecanice, & nobili, & ignobili, ho posto io la mano in tutto istimando sempre che sia meglio il sapere de omnibus aliquid (si eprò che l’huomo posseda la base delle cose) che il saper una sola Arte, ò Scienza perfettamente, & esser poi del resto ignudo, e scalzo, come ordinariamente se ne vedono tanti per tutto: però fate voi come ho fatto ancor’io, & diverrete in fama, & grido come son’io, mà volendo far questo spogliatevi di avidità, & ambitione, & fate questo a solo fino di desiderio di sapere: & inquesto modo imparerete, & saperete.
FILO. Gran doni havete voi conseguito dalla divina gratia, & bontà.
BOVIO. Questi medesimi doni concede Iddio benedetto a chi gli vuole, di che ne fà fede amplissima tutta la Sacra Scrittura, nuova, & vecchia. Ma oltre la Religione nostra tutti li Platonici, che con più vero nome diressimo Mercuriali, ò Trismegistici, quando che da quell’huomo Divino ne habbi havuto origine tutta la setta, che poi noi havemo chiamata Platonica. Che dice il vostro Aristotele ingrato discepolo al suo maestro? Leggetelo nel 10° della sua Ethica, & vederete, che attesta che se gli Dei curano le cose humane, come curano, certo maggior cura tengono di quelli, che nella lor parte Divina procurano più d’assimigliarsi ad essi, che è l’anima, ò spirito, od intelletto, ò mente, chiamatela mò come vi piace, & segue, & a questi fanno maggiormente gratie, & doni de gli altri ben par egli a voi Signor Dottore, che quello sciagurato di Alessandro Afrodiseo, & suoi seguaci comprendessero bene la mente di Aristotile, & sua dottrina quando che vogliano contendere, ch’egli tenisse l’anima mortale? vergognoso, ignorante ch’egli fù, & chì lo reputa scientifico. & quale è questa parte Divina in noi, se con il corpo l’anima perisce. Mà passiamo di gratia ad altri ragionamenti, poi che per causa di altro sete venuto a me.
FILO. Io intendo, che voi fate prove mirabili nelle gotte, & sciatiche, però desidero che me ne facciate una ricercata su’l liuto.
BOVIO. Le gotte, le sciatiche & li dolori artetici credo che sappiate, che sono un medesimo morbo, una medesima infermità, & habbia la medesima base, origine, & fondamento: il quale non è altro che humor flemmatico, che discende dal cervello giù per la nucca, & và a ferire, & porsi quando alle gionture tutte, & allora si chiama dolor artetico da quella parola artus che significa giontura. Alcune volte ferisse una spalla sola, & potrebbe chiamarsi armutica, alcune volte descende alla chiave della coscia,& perche noi Latini non vi havemo posto nome, la chiamano ischiade, con il vocabulo Greco, overo sciatica con il vocabulo Arabico. Altre volte descende alli ginocchi, & ghiamiamo genugra, altre alli piedi, & chiamiamo podagra, & quando descende alle mani la chiamiamo chiragra, da podos pedes, chires manus. In sommaquesto humore come vi hò predetto non è altro che flemma: il quale quando è puro non cangia colore nel luoco affetto, mà quando si piglia compagnia di sangue, tinge la parte offesa di rosso: quando si mischia con colera, tinge la parte affetta in eitrino, & quando con l’atra bile, la tinge in livido, in somma dalli humori, che questo flemma si prende in compagnia, se ne piglia le tinture ancora, & le mostra nella pelle, & parte affetta a questo affetto si soccorre con il purgar l’humor peccante, di che ne sono pieni li vostri libri: ma avvertite, che se l’humor è corso l’agarico, & suoi simili, se non sono aiutati da medicamento gagliardo poco giovano, & conviene haver ricorso a quelli medicamenti, che più vagliono, & hanno maggior forza dalle parte lontane, come ellebori, ò suoi estratti, coloquintide, ò suoi estratti, che sono senza controversia migliori assai, Hermodattili, turbiti, & simili, tuttavia trovarete, che non faranno quanto desiderate, pure giovano assai con un poco di processo di tempo, mà molto migliore operationi fanno l’Hercole administrato due, ò tre volte con interpositione d’un giorno, ò dui per volta, overo l’antimonio, ò suoi fiori con la medesima interpositione: li suffiti fanno ancor essi gagliardi giovamenti provocando il sudore, però che aprendo essi la porrosità della pelle, & carne danno esito all’humor peccante, & lo assottigliano assai, & in questi principalmente vagliono le decottioni delle urtiche, ò verde, ò secche, ò sue radici secondo le stagioni alleviano gli dolori, & per evaporatione alleviano l’humor peccante.
L’oglio fatto al Sole, od in bagno Mariae di fiori di alcuna, detto ligustri da latini, & da noi Veronesi conastrello sopraposto con stoppa di canape calda in meza hora conferisse giovamento notabile. Il grasso liquefatto di quell’uccello, che noi Veronesi chiamiamo Terrabuzeno, di cui ne diedi io questa primavera al Signor Ricciardo Avogadro Honoratissimo Cavagliere, & conduttiero di una banda di Huomeni d’Arme delli nostri Signori Venetiani, giova in modo, che sendo io ito a visitare lo trovai giacere sopra un letto, & la mattina seguente si levò, havendogliene io dato un vasetto per questo effetto, & uscì di casa, li cerotti di gomma, ò resine applicati liberano molti per tempo. Li cornetti tagliati d’introno le parti affette, & messi,& rimessi danno mirabile alleviamento a poveri afflitti. Io potrei recitarvi molte cure, che io ho fatto, che sono state tenute per mezi miracoli, mà vi contentarete di due, ò tre acciò vi potiate aiutar voi ancora nelle occasione dalli essempij di queste. Era il Signor Pietro Francesco di Verità, Gentil’huomo, bello, buono, & da bene travagliato da nuna sciatica grave, & gagliarda, & vi erano iti dui delli nostri Medici principali, dui mesi, ad accrescergli travaglio, & spesa: quando il Sig. Gio. Battista Zacharia mio cugino lo admonì, che mandasse per mè, vi madò un gentil’huomo suo parente pregandomi, che io volesse favorire in aiutarlo, vi andai, & diedi cinque pomi, in cinque mattine cotti con lo elleboro sotto le cinise del fuoco, la sesta mattina gli feci applicar alquanti cornetti tagliati sopra la natica, coscia, & gamba oddesa,& cinque altre mattine lo fei sudare secondo l’ordine descritto da mè nelli miei Flagello e Melampigo, & così rimsa sano, & libero,& sono alquanti anni, & non ha mai più sentito travaglio.
Era una giovanetta, honesta, bella, & da bene, moglie d’un tessaiuolo da panni di lana, detto Giulio, & essa Paula alla via bassa di di Santo Paolo, & haveva costei l’humore, che cominciava alla spalla, & l’accompagnava fino all’ultimo deto del piede, & era rimasa gobba, & attratta tutta da quel lato, vi andava alla cura sua il Medico Pozzo, & vi era ito tre mesi, venne il marito a trovarmi, pregandomi di aiuto, la vidi, & ne presi la cura con mala satisfatione del detto Medico: la purgai con elleboro, gli applicai li cornetti, la fece sudare, & non bastando questi rimedij per esser l’humore molto contumace, gli applicai ceroti fatti di pece navale, grasso di orso, oglio di camomilla, & rose, questi trè in poca quantità,& in un mese fu fatta sana,& libera, et sono da cinque in sei anni, che mai più ha avuto risentimento alcuno, si che quel Medico da indi in poi non pure si è contentato di honorarmi quando mi trova, mà di più nelle occasioni ragiona sempre honoratamente di mè.
Si trovava il Conte Gieronimo Canossa Gentil’huomo molto stimato, & honorato nella Città, & fuori della Città nostra al suo Garzano, & erano dicisette giorni, che giaceva nel letto con febre, sciatiche, dolori arterici, & fianco. Mi mandò la carroccia con una lettera cel Conte Lodovico suo fratello, che mi contentasse andar ad aiutarlo, vi andai,& vi trovai la Sig. Creusa sua moglie con quattro servitori, & tredeci cucini di piuma intorno a sostenerlo come si poteva il men male, & diceva non haver mai dormito in tutto quel tempo, & haveva le lagrime grosse a gli occhi per la gravezza del male, & dolori, che l’angustiavano: il che veduto rimandai alla Campana d’oro a pigliar manna, senna, cinnamomo, & tartaro: secondo, che vi hò antedetto, feci la decottione di acetosa, & in essa posi, & fabricai la medicina la sera, con la presenza della detta Signora sua moglie,& glie la diedi a servare, che la mattina seguente ella stessa glie la desse. & così fece.
In quattro hore scaricò il ventre cinque volte, desinò, & poi dormì tre hore, svegliato si levò del letto, & urinò la pietra con sua,& mia maraviglia, che con così poca medicina, in così breve spazio di tempo havesse ricevuto così notabile beneficio.
Il giorno seguente gli feci metter dieci cornetti tagliati d’intorno le parti offese: indi a dui giorni glie ne feci metter altri, & si levò di letto,& di camera, & cominciò a passeggiare: indi ad otto giorno gli feci far un sedagno sopra li dendoni del collo, & lo hà portato dieci mesi, & si fece sano, & gagliardo. L’ho poi ripurgato, fatto sudare al mio solito modo, & levato il sedagno. & perche l’humor flemmatico con difficoltà puote levarsi, che non fluisca per dargli altro ricapito, gli feci far una fontanella nel braccio manco, per non impedirgli il maneggio della spada nelle occorrentie, & l’altra sotto il ginocchio destro, acciò le strade restino aperte al fluore catharrale dall’uno, & dall’altro lato, & con questi modi io lo conservo.
FILO. A qual fine gli fate voi metter gli cornetti tagliati.
BOVIO. A fine di cavar parte della flemma dalle parti dolenti, & è quella, che causa il dolore, però quando vi si applica il cornetto, & si taglia, se voi gettarete la materia estratta nell’acqua calda, & po la lasciate così trè, ò quattro hore, vedrete sopranatare il flemma secondo che ne haverete estratta più, ò meno: quando io gli feci porre al Conte Gieronimo, & hebbe desinato, & dormito un pezzo, io gli feci arrecar il vase, ove havevano servato l’acqua, & la materia, pareva proprio un reticello di porco, di che egli ne prese una grandissima maraviglia, così quando hò fatto far alli altri, hanno fatto il simile.
Io mi credo, che ne facesse cavar al Reverendissimo Monsignor Alvigi Delfino Vescovo della Canea, più di cinque libre, ad un tratto, et al Calrissimo Sign. Pietro Trivigiano altrettante, et erano grosse come hò li deti delle mani, di che, et l’uno, et l’altro, rimasero attoniti.
FILO. Voi mi havete detto, che quando l’humore è molto contumace, gli fate applicar un ceroto: questo a che fine? non bastano dunque li cornetti a svellergli tutto l’humore?
BOVIO. Quando il fluore è inveterato, si condensa, et però il cornetto non basta per solvere, et cavare l’humor grosso, perciò gli aplico il ceroto, acciò lo dissolvi, et soluto molte volte trovando la porosita aperta, se ne sce senz’altro in acqua viscosa.
FILO. Questi mò, che hanno li tossi come ne ho veduto io, come fare a liberarli?
BOVIO. Io non ne hò mai medicato alcuno, et però non ne ragiono. Theofrasto Paracelso dice, ò scrive adoperar il rasoio, io non l’hò mai adoperato, et perche io non debbo ragionarne in aere, non ne voglio dir altro.
Ben mi pare, che quando mi occoresse casi simili, farei ogli di gomme lambicati in vasi di vetro, et farei prova di solvergli con questi, servendomi solo delle parti aeree di detti ogli: i quali trovandosi privi delle parti terrestre grosse, et hessendo essi sottigliati bene doverebbono penetrar, et procurar di acquistar nuova terra, che sarebbero le gomme, ò tossi, che vi piaccia chiamarli, mà perche non ne hò mai fatto prova non voglio ostinarmi a disputarla, che lo facessero, la ragione così mi mostra: mà non lo havendo messo in prova, non lo contendo.
FILO. Voi mi havete detto che havete purgato questi vostri ischiadici, & gottosi, mà mi pare che non mi habbiate ben detto li modi, che havete usati.
BOVIO. A me pare, che vi habbia detto di haver usato lo elleboro negro, che il bianco è troppo fiero, & gagliardo, & periglioso.
Hò usato molte volte l’Hercule, mà non in tutti, & in un solo lo replicai trè volte, con l’interpositione di dui giorni er volta: il quale era un stomacaccio, & una naturazza gagliarda.
Mi son valso spesso dell’antimonio con felici successi, & voglio dirvi cosa grande, ch’io l’ho adoperato in una giovinetta maritata, forse venticinque volte, domandandomelo ella stessa, havendo ella uno stomaco, oltre modo flemmatico: la quale finalmente si sanò, ingravidò, & partorì con felice successo, vero è che io non gli davo il corpo dell’antimonio, mà solo la infusione in moscatello buono per eccellenza, che mi haveva mandato a donar il Conte Cesare Giusto da Santa Maria in Stelle.
Di che il Medico Sarego, huomo di buona mente, & mio amantissimo, maravigliandosi mi disse: & non è morta?
& io gli replicai: voi sete di poco animo, & di minore è il Guarinone: il quale quantunque sia huomo di belle lettere, & Medico di buon nome, non si osarebbe darlo mai per via alcuna, & tiene maggior timore di questo medicamento, ch’io della cassia mia natural nemica, ò suo compare il lenitivo i quali non ho mai usati in vita mia, & egli si crede, che questo antimonio sia veneno, in modo, che chì lo hà preso una volta debba, viver poco per essere secondo lui venenoso, & io l’hò preso trè volte, & sono ben quarant’anni, che lo presi la prima volta, & non è in Verona huomo, ch’io conosca dell’età mia più sano, più gagliardo ad ogni impresa, nè più giovine di mè, che corro per li sessantanove anni: & non è chi mi stimi di cinquanta: che questo antimonio non pure non è venenoso, ma all’incontro è il Re delli medicamenti. & se gli Medici l’abborriscono, nasce dal loro poco intenderne la virtù, 6 potenzaq sua, ò da non volerla conoscere per mera rapina di spelar le borse a’ miseri languenti. In somma la maggior parte de’ podagrosi sono huomini, che ò non fanno quell’esercitio che deveriano, ò mangiano, ò buono, ò lussuriano oltre il dovere, & però non sanno le debite digestioni, onde ne germogliano gli catharri, slagono al capo, e descendono poi a queste, ò quell’altre parti, & se ne causano queste trè infermità dette: a sveller queste flemme,& catharri ci fanno bisogno di altro, che cassie, ò lenitivi: a romper le mura grosse della Città bisognano colubrine di cento con polvere di sei asso, & asso, & pertugiar le muraglie, & poi con canoni dopij farle cader a basso. Ad esterminar queste congierie catharrali vi vogliono medicamenti potenti, come Herculi, & Anthei, e poi con estratti di coloquintide, di ellebori, diturbiti, di hermodattili indi con senne, polipodij, & agarici trar gli huomini di pene, e trravagli: chi tiene timore a far questi assalti, si ritiri dal medicare, & se gli patienti non vogliono star saldi a questi Medicamenti gli dica, che si provegano di altri Medici, & non s’ingeriscono a pigliar cure, delle quali non ne possino riportar honore.
Io dunque in queste occasioni rotto, che hò la massa catharrale con li miei medicamenti gagliardi secondo la naturea del male, & del patiente, procedo à staccargliu den ventriculo quegli catharri, che gli sono annessi con melle rosato solutivo per il meno oncie due & meza, & meza di ossimele scillitico misti insieme, ogni mattina tanto, & poi ogni quarto giorno uno delli miei medicamenti antedetti,& così procedo sino, che vedo la natura sgravata; il che si conosce quando le medicine non portano fuori del corpo più materia, & tra tanto voglio, che si nutriscano di buoni cibi, & che facciano buoni chili, & buoni sangui, buoni humori, & buoni spiriti.
Il vero modo dunque di medicare, & distrugger i mali humori, generarne di buoni, & fomentar la natura deperdita, il che non si fò con diete, od inedie: io a guisa di Medea levo ad Esone il sangue putrefatto, e con nuovi sughi glie lo rimetto, cioè con li miei medicamenti conformi, e convenienti alla destrutione dell’humor peccante levo a poveri languenti la corruttione, e con cibi, e potioni di ovi freschi, pistachee, caponi, vitelli, capretti, colombini, pernici, e buoni vini rifaccio, riformo, e rimetto nova carne, novo sangue, & novi spiriti, & il retrogado alli anni,& età passata.
Ho trovato ancora nelli semi del sambuco, & del ebulo mirabili virtù, Potentia; son solito darghli di questi semi due in tre dramme ben peste mischiate con zuccaro rosato, ò diantos, ò Diamarinato, ò simili che piacciano al gusto del infermo, & se per avventura è alcuno di questi delicatucci, che pare, che ogni cosa li abborrisca, uso far trarne l’oglio per espressione, & glie ne dò una dramma, od’in vino odorato, od’in brodo che gli piaccia; nelli flemmatici, ò per natura, ò per accidente, & nelli hidropici fanno operationi mirabile.
Si colgono quando sono maturi, & primache inaspriscano, ò dissecchino, si follano, & pongono in un mastello di acqua, & come si ha disguacciato si declina , e si lascia andar ciò che si vuole, & così si fà tante volte che il seme grave, che resta addietro sia ben purgato da ogni immonditia, & poi questo seme si secca, & serba per le occorrentie: quello del primo anno suol mover vomito, del secondo meno, & del terzo ancor meno, mà purgano dal basso molte flemme, & acquosità, & perche sono certi Medicuzzi indegni, del nome di Medico, che si credono provocar li vomiti con acqua calda, dico che (salve le gratie loro) non sanno ciò che si facciano.
& dico che quando si hà da provocar vomiti, si denno usar vomitivi che habbino forza, & potere; delle quali l’Hercule, l’antimonio, la gratiola, il satiri, il rizzino, & le segmente de gli ebuli del primo anno tengono il principato, & dico per diradicare i tartari, & le flemme annesse, al ventriculo, lo aceto squilitico è una mala bestia, & però è meglio usar l’ossimele squilitico, misto con il melle rosato, ò semplice, ò solutivo, secondo il bisogno del patiente, & assevero, che nelle persone communi non se ne debbe dar meno di due oncie,& meza di mel roasto, & meza di ossimel squilitico per volta. & perche il longo uso mi hà reso dottore in questo negotio, così dico, & attesto, dico ancora, che l’antedetto composito usato, & usurpato da me in tante occasioni della senna, tartaro, cinnamomo,& manna è nel purgar na flemma dal ventriculo, & mesenterio eccellentissimo rimedio: & perche sono delle genti povere, che male hanno il modo di comperar la manna, si debbe,& puote fargli usar meza oncia di senna, & due dramme di tartaro, & una dramma di canella, & si puote dargliela senza scandalo due,& ter mattin e continuate senza temenza di danno, od’isconcio alcuno nelle donne gravide ancora: & di questa medicina mi servo io ogni anno in gran numero di poverelli, per il che molto volte li Spiciali spesso si dolgono di mè, mà io hò à render conto a Domeneddio delle attioni,& delle operationi mie, & perche è medicamento sicuro l’usurpo io spesso, facendone l’infusione in acqua, ò decottione di acetosa, & la dò in vece di cassia, che costa meno, & non si corre pericolo di ventosità: mà sopra tutto fuggo, & abborrisco il lenitivo per le fraudi, che vi fanno la maggior parte de gli Speciali, & il medesimo fa il Medico Fumanello mio amicissimo per li medesimi rispetti (parlando dell’abborrire il lenitivo).
FILO. La senna non ascalda troppo molte volte, ove hà bisogno di rinfrescare con la cassia?
BOVIO. Il Reubarbaro non è egli calido, & pure si usa con felici successi nelle inflammationi del fegato.
FILO. Si usa certo come dite voi con felici successi: mà questo avviene perche egli lo purga, & purgato, che si hà cessa la infiammatione: perche remota causa removetur effectus.
BOVIO. Questa medesima ragione, che serve a voi serve a mè ancora, & la compagnia dell’acqua, over decottione dell’acetosa, over latuca, over radichi, serve, & contra opera alla inflammatione della senna, & così io assequisco l’intento mio con minor trravaglio, minor spesa, & più sicuro partito.
FILO. Molti Auttori scrivono, che per sopire il dolore podagrico, li annodini fanno operatione mirabili, che ne dite voi?
BOVIO.Quegli auttori, che scrivono simili pazzie tengono poca dottrina, & non sanno ciò che si dicano. Egli non si vuole, nè si debbe mai chiuder il nemico in casa. Themistocle fù un’huomo saggio,& prudente Capitano: il quale volendo Greci intercluder il passo a Xerse, egli glie lo fece sapere, di che sendone accusato, & volendo Greci maltrattarlo per questa cagione, disse che alli nemici, che sfuggono si denno far li ponti di oro, perche come non trovano scampo sanno di necessità virtù, di che ve ne potrei dedur mille essempij, mà migiova darvene uno piacevole, che mi avvenne.
Erano andati molti per dar la caccia alli lupi, che sapevano, ch’erano in un bosco al Magnano, nel luogo proprio ove già Monsig. di Fois ruppe Gio. Paolo Baglione. Ove stando io a ragionamenti dilettevoli con alcuni aspettando, che li lupi cacciati dalla turba di cani, & huomini, & che erano entrati nel bosco uscissero: il cane, ch’io havevo à mano, mi fuggì, & si pose a caciar un montone, il quale correva quanto il cane, mà gionto al fiume di Menaco, temendo più dell’acqua, che del cane, che lo seguiva, se gli voltò contro con l’urto solito à montoni: onde il cane, che aspettava ogn’altra cosa saltò da un alto per la sua maggior sicurezza, il qual’atto ci mosse tutti à riso veder una bestia così vile metter terrore ad un cane così fiera bestia, che non teme il lupo; però io dico, che li annodini storpiano gli huomini, privando,& stpefacendo li membri del calor naturale con la sua frigidità, si che il calor naturale, & humor radicale fugge,& abbandona il membro a cui si applica,& resta esangue,& storpiato, e perso. Sono simili questi vostri Scrittori ad un Gentil’huomo Ferrarese Nobile per sangue, & ricco di beni di fortuna: il quale havendo scritto un gran Romanzagine, & havendomela mostrata, & detto, che desiderava di saperne il mio parere, udì cosa, che non havrebbe voluto, però io gli risposi quello, che intendevo, & glie lo dissi in modo, & con ragioni tale, che mi prestò credenza, & si dolse tardo, di che lo haveva persuaso a darla fuori alla Stampa.
Vi sono alcuni pazzarelli, che per saper tre cuius in grammatica, & haver conseguito il titolo di dottore si danno a scriver libri, havendo di quà, & di là le altrui dottrine,& formano una congerie di mercantia, aggiognedovi sempre qualche pazzia, de suo poco intelletto, come conosco io tanti; & si fanno poi far dietro le fischiate, bestiali, ignorantelli, sciaguratuzzi, che sono, quando si hà a scrivere per giovare, conviene dir cose, che il senso, & la ragione le approvi, & non volendo far il sacente, insegnarci cose, che poi facendosi ci portino danno,& vergogna insieme. Io no hò chiariti a maiei giorni molti, mà fra gli altri ci fù un certo medicatulo nostro veronese, che mi apportò una sua operotela, che haveva dissegnato mandar fuori, & poi m’addimandò doppo alcuni giorni, se io l’haveva veduta, & voleva rendergliela.Io gli risposi, io l’ho benissimo culretta, vi ringratio disse egli, & ve ne tenirò obligo, mà quando me la volete restituire, & io gli dissi, se voi mi havete posto a mente, vi hò detto, che l’ho culretta, cioè me ne hò forbito, & cetera, cancaro vi mangi pecoraccio, non vi arrossite a scialaquar la carta con così fatte pazzie? andate, andate, & fatevi restituire li vostri dannari al vostro Collegio, che,& voi,& loro havete bisogno di miglior riforma. Caro Sig. Dottore s’io son uscito dalla lizza habbiatemi per scuso. Io son in colera contro questi scioli, che non sapendo cosa buona, vogliono con la riputatione della giornea od’insegnarci li danni,& le ruine nostre, ò condannare li buoni, come ho veduto io molti di questi vostri Dottori titularij, che si hanno posto a biasimar l’Astrologia, negar’i libri da Hippocrate, & Galeno di quest’arte, volendo ascrivergli ad altri, & biasimarne gli Auttori, di che a questi giorni il Medico Fumanello mio amico se ne dolse meco; improvar la cognitione de i semplici, biasimar li Paracelsisti, perche non l’intendono, & simili altre pazzie, degne più presto di castigo, che di riprensione,& vanno per le Città su le Mule, mirando, che se gli cavi la beretta, perche si sono vestiti di longo,& s’intitolano Dottori,& Medici, & non hanno più dottrina, che il Caval rosso di Mondela, che conosceva meglio Borgo Lecco, che li Giudei quel mio amico dal petto del faglio di veluto, & la schiena di tela vecchia, mà tornamo onde siamo partiti.
Quando si hà ad alleviare il dolore podagrico, conviene usar medicamenti diaforetiti, i quali habbino potentia, & virtù di aprir la porrosità della pelle,& carne, si che l’humore peccante interiore scopri, & essali,& di già vi ho detto che le ortiche sono di potenza mirabile, ove l’humore sia solo flemmatico, overo flemmatico,& bilioso, di bile atra: la quale vi ho già detto come si conosca dal livore. Quando sarà colerico,ò sanguineo misto con detta flemma, potete usar una camomilla, ò meliloto, ò simili, & poi lavande, ò fomentationi di ebuli, ò salvia, acciò pur esse ancor parte scoprino, & parte dissechino per sua natura, & l’ebulo prohibisce il corso dell’humore alla parte, ò membro che vogliate dire: mà per vietar, che non descenda dalla testa sarà buono usar sternutationi per revocarlo dalla nuca al naso: il che si fà con ellebori, & li bianchi sono più potenti, sono ancor buoni li ciclamini,& l’irios tagliati in longo, & tenuti nel naso più che si possi, & chi ne tiene nel naso quando si va a dormire hanno virtù come la calamita di tirar a se queste flemme, & giovano molto.
FILO. Bene non ci sarebbe modo di di adoprare sì, che noi, overo questi che sono vessati da simile morbo, non generassero flemma?
BOVIO. Questo è un volere, che la carne, che si pone a cuocere nel lavezo non faccia schiuma: la difficoltà dunque è molta, pure si potrebbe operare, che un solito farne una libra, per modo di dire, ne facesse sei oncie, vivendo sobrio, & fortificar lo stomaco alla digestione più gagliarda, mà per lo più di questi, che sono vessati da queste infermità, sono huomini golosi, mangiatori, bevitori, lussuriosi, & di poco essercitio, & però con difficoltà vi si puote riparare, pure se purgati, che si haveranno come si debbe, usassero l’acqua Tiriacale ordinata da me, & descritta nelli miei libri per quindeci, ò venti giorni ogni mattina due dramme per due, ò trè hore innanzi il cibo, & sempre fossero, come son’io parco nelli suoi atti del cibo, essercitio non immoderato, nel sonno, & altre nostre operationi non è dubbio, che ò del tutto sanerebbono, ò certo sarebbono travagliati assai meno.
Io ne ho medicato molti, & puochi mi hanno fatto honore per queste cause,& rispetti, in fatto la crapula, la lussuria,& l’otio sono la ruina de molti,& vi voglio dirvene uno de tanti è questo, mi chiese la licensa di mangiar tre lumaghe, & bere un bicherotto di vino buono,& io gli dissi vi concedo, che ne mangiate sette, & beviate dui bicchieri di questo vostro vino, mà di gratia non passate poi il termine. Descese un suo fratello dopo il disinare nella sua camara, & vedendol con occhi abbragiati, e faccia affocata, gli disse: voi dovete haver fatto alcuun disordine, per quanto ne testifica la faccia vostra tutta affocata,& gli occhi lucenti. A cui egli rispose: Questo Medico mi tiene troppo alla stretta, io ho mangiato meza scudeletta di farro, e tre lumaghe, & bevuto dui bicchieretti di vino piccolo acqua: onde il fratello, ch’è saggio,& prudente, passò ad altri ragionamenti, & dimorato ivi un pezzo, nel partirsi fece moto al servitore, che lo haveva servito in tavola, che lo seguissa, a cui addimandò ciò che suo fratello havesse mangiato quella mattina, & egli li rispose: ha mangiato quaranta lumaghe cucinate in diversi modi, & hà bevuto sette bicchieroni di moscatello,& marzemino, c’ha mandato a pigliarne dui fiaschi l’uno dal Sign. N. & l’altro dal Signor T.
Ah sciagurato disse quel gentil’huomo, egli ne vorrà poi dar la colpa al Medico, & esso è il malfattore.
Un’altro ne vidi io con gli occhi miei: il quale io havevo medicato di simil morbo, mangiarsi una testa di vitello pelata tutta, & altra robba assai, & bere senza alcun’ordine, ò ritegno; & volendolo io avvertire di proceder con più misura, mi rispose, egli bisogna rifar’il tempo perso; in ogni modo voi non mi venirete mai manco. Si che, se le gotte poi, ò i dolori artetici, diguacciano d’intorno questi simili, non è da farsene maraviglia; mà il caso non stà solo in questi disordini nel mangiare, bere, & otiare, che volgiono poi lussuriare sopra le forze loro, il che disordina li stomachi, & debilità le complessioni, e divengono zocchi, si che è quasi peccato il rimedicarli. E certo, questi, che sono causa a se stessi delle loro indispositioni sono peggio, che bestie, perche esse mangiato, che si hanno il suo bisogno si riposano, ma questi tali non mai si trovano satolli.
& ne hò conosciuto io uno, che fù il mio compagno alla guerra dell’Alemagna, ilquale quando era ben pasciuto vomitava,& poi ritornava a mangiara, & questo lo faceva ben spesso, si che stancava gli cuochi nel cucinare, che ben spesso per questo rispetto se gli levavano dalla servitù,& chi l’havesse levato de libro viventium, haverebbe fatto un degno sacrificio al pesce Uronoscopo, che si dorme sopra il cibo, acciò gli altri pesci non venghino a devorarglielo. Il vero rimedio dunque dalle gotte è la sobrietà nel mangiare, bere, dormire, & usar’ il coito con temperamento, et far ogni giorno moderato essercitio. Le sedagni nella colpa sono di gran giovamento, & senza comparatione migliori, che la fontanella, perche quelli occupano più luoco, eet danno maggior esito al fluore, et quando poi si voglion levare, allhora è bene farsi cauterij nelli bracci, ò gambe, et quando questi ancora si vorranno levare è bene purgarsi un poco, et per alcun giorno usar la mia acqua tiriacale, et questo è quanto io ho voluto discorrervi in questa materia di gotte, sciatiche, et dolori artetici, per causa delle quali, io non hò mai dato ad alcuno come certi acqua di legno, ne salsa pariglia, et pure io li ho medicati, et Dio gratia sanati meglio di molti, che danno di questa, et di quello ma passiamo ad altri ragionamenti.
FILO. Hieri mattina trovandomi nella Spiciaria del Rè, vi era un Genthil’huomo, che per esser’io forastiero non conobbi, che si lodava molto di voi, che lo havete liberato di una grave infermità di stomaco: però ditemi di gratia ciò che gli havete fatto per liberarlo?
BOVIO. Io ne hò medicati tanti, che non saprei mai appormi chi egli fosse, et meno ciò che gli habbia fatto: però vi dico, che sono molti, che patiscono aposteme nello stomaco, et ventriculo, et questi nostri Medici ordinarij non ne fanno entrar, od uscire, come questi patienti vengono a me per sì fatte indispositioni, io voglio toccarli molto bene, et essaminarli con diligentia. Se si sentono dolor pongitivo è segno di apostema, se non è pongitivo e flemmazzo, od’humor colerico ivi condensato. Sia come si voglia io gli dò uno delli miei medicamenti vomitivi, & facco servar ciò che vomita, & quello ancor che esce per di sotto. S’è colera, ò flemma, già vi dissi di quello che feci con quella moglie di quel Mercante del mel rosato, & ossimile scillitico, & come processi con llei non occorre replicarlo, ch’io l’incamino poco più poco meno di quella cura,& modi: se è pongitivo significatore dell’apostema gli dò del latiri, ò gratiola per minorativo, se l’apostema è maturo si spezza,& esce, parte per vomitivo, parte da basso: mà in questi casi conviene star avvertito, acciò nel vomito non si affoghi, tenendogli il viso alzato, & poi seguo facendoli far decottione caso, che non sia uscito per vomito, le quali si fanno in questo modo.
Recipe un gran manipolo di scabiosa, della quale ne sono sei sorte, & ognuna per se è buona, & tutte insieme sono buone, & di tutte, & di ogn’una mi son servito io con felici successi, liquirizia, fichi secchi, dattili, uva passa pista, iviube, melle, & acqua a tua discretione, & giuditio, & queste si cuocono bene insieme, poi si colano, & spremono, & di questa bevanda se ne piglia per siroppo quattro hore innanzi pranzo, un’hora innanzi cena, questa bevanda matura lo apostema, & come giudicate, che possi esser in termine io gli replico il latiri, overo gli dò la decottione della gratiola, & questa spezza, rompe, & porta fuori lo apostema di questi tali oppressi ne ho io, come ministro del mio Signor Iddio, sanati un’infinità abbandonati per morti da’ Medici, i quali poi sono rimasti meravigliosi, & detto come è loro costume, ch’ella mi è andata ben fatta, non si volendo riconoscere delle sue malignità, & ignorantie crasse.
Frà molte persone, ch’io ho medicato fu mia Cugnata Madonna Fulvia, la quale ne haveva una grandissima, & febre continua, a cui io davo a bere a pasto ordinariamente mattina, e sera un bicchieretto di malvagia, & dipoi a tutto pasto vino bianco buono,& per venti giorni gli feci pigliar di questi decotti sopradetti, & poi servata una constitutione benigna tra Giove,& Venere gli diedi la decottione della gratiola, & tartaro con un’oncia di manna,& cacciò da basso un’apostema longa più di cinquanta braccia, bianca come neve, e fredda come ghiaccio, si che doppo disinare andò alla Festa con l’altre Donne, nè mai più ha sentito una minima offesa.
Un’altra Gentildona medicai in Savona, la quale era giacciuta sette mesi nel letto, dandogli à credere li Medici, che havesse un scirro nel fegato, & lo volevano persuadere à me ancora, mà io gli feci repugnantia alla gagliarda, contendendo che fosse, come poi ci mostrò il fatto, un’apostema onde la Gentildonna s’apprese al mio parere, & la sua fantesca gli fece li decotti, & il quarto giorno cacciò l’apostema sanguinoso da basso, si che quel Medico, c’haveva fatto maggior contesa meco voleva contender’ancor poi che fossero l’Hemorroide: onde la buona Gentildonna mossa a colera gli disse: io havevo male allo stomaco, & hora me lo sento tutto scarico, & non nel culo con il mal’anno che Dio vi dia. & se lo cacciò di casa con parole acre,& mal commode: questo Medico poi stando nella sua perfidia mandò la moglie sua per meglio chiarirsi a visitarla, & questa moglie era una bella Donna, & trovò la già inferma tutta gioiosa, allegra, & consolata, ove capitando io, & non conoscendo quella moglie del Medico, ella mi disse: Magnifico questa Madonna si loda molto dell’opera vostra, però haverei bisogno ancor’io dell’aiuto vostro. A cui io replicai: voi mi parete bella come una rosa di Maggio, & non mi sò dar a credere, c’habbiate bisogno di Medico. & essa mi rispose: io ho marito, & non faccio figliuoli. & io la interrogai. Se egli pagasse il debito matrimoniale come si debbe,& se havesse li suoi menstrui ordinarij, ò se sentisse indispositione di rene, ò di matrice.
& ella mi rispose: mio marito fà quello, che se gli debbe, & io non mi sento alcuna di queste indispositioni, che addimandato m’havete.
Allhora gli soggionsi: Madonna contentatevi di ciò che piace al Sig. Dio, poi che le Leggi Divine,& humane di Hebrei, Christiani & Gentili dannano l’adulterio, & l’honor vostro così ricerca. Io non hò medicina per voi,& se l’havesse non la voglio havere.
Di queste aposteme dunque ne hò io medicate assai con felicissimi successi, per la virtù specifica di questa scabiosa, la quale ancora masticata, ò pistata si rende mirabile nel sanr gli antraci nel termine di tre hore, replicandogliela sopra quattro, ò sei volte nel detto spatio: sendo io un tratto in Cremona, un calzolaio, che haveva pure, secondo il giuditio mio, un’apostema nello stomaco, m’addimandò soccorso, a cui io feci fare li sopradetti decotti, & ordinai che salisse tre, ò quattro volte ogni mattina un campanile alto per aiutar lo stomaco all’operatione, mà che tenisse sempre appresso un garzone per la occasione di farsi tenir la mano al viso in ogni caso, che l’apostema spezzasse, & egli fece secondo l’ordine, mà quando avvenne il caso di tenirgli il viso alto, il garzone s’impaurì, & corse a basso a dimandar aiuto,& trà tanto, che egli andò a casa, & ritornò, lo apostemalo affocò, per non aver havuto l’aiuto a tempo: però vi hò detto, che conviene star ben’avvertiti, perche quelli a’ quali non viene tenuto il viso alto, se ne muoiono soffocati:& questo medesimo avvene ad un marito di una mia massara, che per non haver ancor’egli havuto chi lo aiutasse nel rompersi l’apostema morì soffocato, ma poi che siamo in questo ragionamento, vi voglio dire, che per aggravamenti stomachali non sempre si denno dar medicine: però che non sono sempre aposteme: ma repletioni di humori corrotti, che ci levano l’appetito.
Trovandomi io in Vinegia venne a pigliar parere da me un povero artigiano, che faceva bottoni, & haveva lo stomaco mal conditionato senza alcun’appetito; io discorrendo aiutarlo con quella minor sua spesa, e travaglio, che si potesse, gli imposi che ogni mattina pigliasse seco una camiscia, & se ne salisse il campanile di San Marco; il quale sino alle campane ha trentasette scale, & salito tornare a basso,& se si sentiva forza ritornasse a risalirlo, si che il primo giorno lo montasse due volte, il secondo tre, il terzo tre, ò quattro, & così continuasse tutta quella settimana, & come più quella mattina non poteva, ò non voleva risalire, si mutasse la camiscia, & andasse al suo lavoro, & egli così assequì, andando poi io il Sabbato a trovarlo alla sua bottega lo addimandai come egli sistesse. & egli mi rispose: io son Sanato Signore, & voglio, che godiate questi bottono per amor mio. Io lo ringratiai, mà perche era pover’huomo non li volsi.
Questo medesimo mi avvenne con Monsignor Illustrissimo Cardinal di Verona, il quale andandovi io, secondo il mio costume, una mattina a dar il buon giorno, mi disse: io mi sento tutto grave da alquanti giorni in quà,& non vorrei medicine,& tuttavia mi temo, che mi sovrasti alcuna infermità. Io discorrendo che sua Signoria Illustrissima stava gran parte del giorno occupata in palazzo in audientia,& espeditione di tanti suoi affari, & che la mattina si nutrisce di buoni cibi, quantunque la sera se la passi con più sobrietà,& però potesse avvenire, che questo otio corporale ne fosse cagione gli risposi: Se Vostra Signoria Illustrissima mi promette essequire quanto io gli disporrò, gli prometto certa, & indubitata salute. & egli a me: voi mi potreste commetter cosa, che non istesse bene il farla. Oh là Monsignore, gli diss’io, m’havete voi in questa consideratione? non son io vostra pecorella, & voi a me Signore, & Pastore? Et come tratterebbe il pastore la pecora poi, quando ella volesse da lui quello, che non deve? onde egli mi disse: O sù dite ciò che volete ch’io lo farò.
Voglio, li soggionsi io, che domattina nell’uscir del sole dal suo colorato orizonte, Vostra Signoria Illustrissima esca dal suo palagio,& se ne passi per il Ponte della pietra, verso le bellissime stanze,& Giardino del nostro gentilissimo Conte Augustino Giusto: degno herede del nostro Conte M. Antonio, la cui benedetta anima hora, secondo il creder mio, gode nella patria Celeste, & quindi ve ne saliate il monte, che con soavità,& dolcezza ascende a San Giovanni in Monte, & montando tutta questa costa, ve ne tiriate a San Felice, e d’indi ne discendiate al vaghissimo sito di San Pietro in castello, di onde si vede tutta la nostra gran Città, il Fiume,& grandissima parte del Territorio Veronese, vista oltre ogni credenza dilettuevole,e gioconda,& di qui ve ne calate à basso,& come pervenite di nuovo al Ponte della pietra mandate dui servitori innanzi ad ascaldar dui sciugatoi,& una camiscia,e come giongete in camara vi facciate spogliare, e con li sciugatoi lievemente fricar tutta la persona dal capo a’ piedi, poi vi mettiate la vostra camiscia, e rivestiate, dandovi poi alle vostre consuete attioni,& questo Vostra Signoria Illustrissima continuarà per se, sette, od’otto giorni, però che questo essercitio, & fricationi disopilaranno la carne,& pelle vostra: la quale come acqua di stagno, ò palude, non si muovendo si corrompe,& chì la dibatte,& conquassa bene, si ripurga,& chiarisce. Così ho veduto far io in Boemia, che raccolgono le acque piovane in certi suoi stagni fatti a posta,& come hanno fatto quel verdoso,& le vedono ben corrotte, le dibattono con certe loro palle, & indi a dui giorni, si fanno chiare, delle quali poi ne fanno le loro cervose, birre,& pive, così si chiamano quelle sue bevande, che gli servono in luoco di vino. Così dunqua sua Signoria Illustrissima essequì, & andandogli io doppo otto giorni a fargli riverentia, mi disse, ho fatto quanto m’imponeste, & Dio gratia per opra del consiglio vostro mi sento tutto rinovato, si che io non temo più d’infermarmi, & mi si è risuscitato l’appetito, che haveva perduto, onde mi pare di essere rinovato non solo del corpo, ma dell’animo ancora. A cui all’hor io dissi: hora vedete Monsignore che il consiglio,& parere mio fù buono, quando io vi dissi che haverei medicato bene, & con felicità, se vi disponevate far quanto io vi haverei commesso. Io vi dirò mi disse egli: questi Medici mi vi dipingono per huomo fiero, & terribile nel medicar vostro, & però dubitai a prima fronte di promettervi. Oh diss’io Monsignor Illustrissimo Beati estis (dice il Redentor nostro) cum persecuti vos fuerint, & dixerint omne malum adversus vos, gaudete,& exultate quoniam merces vostra multa est in coelis, perche io scopro le malignità,& ignoranze loro: mi vanno lacerando, mà per ogni modo Domenedio giusto giudice, darà loro il premio condegno delle sue operationi, brutte,& manigolde.
Hora vedete Signor Filologo mio carissimo, che non occorre dar sempre medicine, nè sempre gravar le persone con farmaci,& dispendio della borsa,& del tempo, mà con altri modi piacevoli, si deve soccorrere alli miseri afflitti: ne deve sempre pensar il Medico alli utili proprij, & guadagni, mà con quelli miglior modo, che sia possibile, consigliare,& aiutar il prossimo, havendoci Iddio benedetto ordinato di sua bocca, diliges proximum tuum sicut te ipsum.
Mà sentite quest’altra,& pagatevi: erasi infirmato un mercante honestamente ricco di questa Città, a cui non faccio ilo nome per convenienti rispetti; i fratelli gelosi della vita del fratello vedendo il male grave, & così persuasi dal Medico, che lo curava, chiamorono altri Medici per far, come essi dicono, colleggio per consultare, ciò che si havesse a fare: i quali veduto lo infermo si tirorono in altra camara a trattar tra loro; & uno de fratelli, si pose in un camarino vicino al consulto, non veduto da loro, tra quali un di questi ribaldi propose di tirar le infermità a longo, a cui uno dei collegianti di buona mente, si oppose dicendo, non star bene prolongar i mali, potendosi provedere, e soccorrere con poca spesa, & travaglio, in somma l’alteratione fù grave,& gagliarda, finalmente si sciolse pur il consiglio,& quel fratello che haveva sentito ben il trattato, come huomo di poco spirito, diede uno scudo per uno alli Medici, & ritenne l’homo da bene, & il fratello sanò.
FILO: Per qual cagione voi faceste salir quelli monti lo vedo,& conosco, mà perche questi la torre,& campanili?
BOVIO. In Cremona, & Vinegia non sono monti,& non porta la spesa far nuovi monti, in quelle Città, io mi servo della torre,& campanili in vece di monti, quando che, il salire di questi mi servi come in vece di monti,& questo essercitio sia di maggior beneficio, che lo caminar per il piano.
FILO. Io resto pago,& satisfatto, mà perche io aspetto mia moglie,& mio cognato suo fratello, con vostra buona gratia voglio transferirmi all’albergo, quali ho preso commune con quest’altro mio cognato,& vi ringratio delli documenti tanti che mi havete dato, come a Medico di non molta esperienza in pratica. Si rivedremo con maggior mio commodo,& aggio,& con questo mi vi raccomando.
BOVIO. Io producevo li ragionamenti nostri, con animo che restaste meco questa sera a cena, mà la causa, che mi allegate è così giusta, che non vi farò altro invitto, che si godiamo insieme per questa sera, ma havendo voi a star quivi voglio che si godiamo alcuna volta insieme,& con questo patto, & conditione vi lascio andar ad accettar la moglie,& consorte vostra.
Il fine del primo Dialogo
FULMINE DE’ MEDICI PUTATITIJ RATIONALI
DI ZEFIRIELE THOMASO BOVIO NOBILE VERONESE
DIALOGO II
INTERLOCUTORI FILOLOGO, ZEFIRIELE ET CURIO
L’altro giorno mi consolaste in modo con quelli vostri dolci, soavi,& ardenti regionamenti nel dir male di quelli scelerati Medici sofisti, che non si fanno mai partire da quelle sue cassie, & siroppi virtuali, con il medicar tute le infermità,& tutti li infermi, in tutti li tempi, ad un medesimo modo, che io son ritornato, acciò me ne facciate un’altra lettione, però di gratia non vi sia grave, che hoggi ancora voi mi prestiate la lingua libera in trattar meco, & discorrer qualche cosa in materia di questi sciagurati ribaldi,& io a voi presti le orecchie intente ad ascoltarvi. Voglio però, che lasciamo da canto gli huomini d abene,& non intendiamo mai di biasimar le loro opere: quando procedono con dottrina, lealtà,& carità verso li suoi infermi.
BOVIO. Io hebbi sepmre in riverenza gli huomini da bene, di buona mente,& di sana dottrina, & fù solo il pensier mio di biasimar li ribaldi, & ignoranti, così Medici, ò Spiciali, (bonos semper excipio) i quali sempre amo, honoro,& riverisco, mà certo questi non sono molti, come all’incontro conosco molti scelerati, ribaldi, nemici,& destruttori della natura, però che sendo io chiamato per lo più, ad emendar le altrui ruine, come vado allo Spiciare à vedere le medicine, od’ordinate male, ò composte peggio da Medici,& Spiciali, trovo tanto li errori,od’ignoranze, ò scelerità, si in questi, come in quelli, che mi confondo,& non posso tacervi questa tra le infinite.
Era un Mercante, huomo da bene, travagliato gravissimamente da Epilepsia, con accidenti quindeci, venti, & veenticinque tra il giorno,& e la notte. Et il suo Medico, che io non lo nomino per convenienti rispetti, gli dava medicine,& siroppo, come essi ordinatamente danno a queste febri ordinarie. Mirate di gratia se sentiste mai scichezza più sciocca, ignoranza più ignorante, & pure è tra famosi, & grandi, nè questo è stato errore di un giorno solo, quattro, se,ò dieci, dui mesi alla fila è durata questa tela, & vi andava due volte il giorno, nè in tanto sempre mai si avvide per una sola volta dell’error suo.
Finalmente il buon’huomo infermo trovandosi ad andar sempre dal male al peggio, mandò ad un Monasterio di Monache a far pregar nostro Signore Iddio che gli provvedesse di Medico di miglior fortuna, od’intelligenza,& gli fu risposto che mandasse per me,& io all’hora non era nel paese, mà subito ritornato v’andai,& ragionando seco scoprì l’infermita, & la causa, il giorno seguente gli diedi l’infusione delli fiori dell’antimonio,& l’altro giorno seguente, la manna sciolta nell’infusione della senna, tartaro,& cinnamomo,& gli altri giorni alternati dodeci grani dell’estratto dell’elleboro nero per cinque prese.
& egli mi diceva che, ogni volta, che pigliava la pilluala di detto elleboro gli pareva, che uncini tirassero dal cervello a basso parte di detto cervello: il che era la la flemma che l’occupava. Gli appesi al collo un pezzetto dell'ongia della Gran bestia, & gliene posi un'anello in deto con detta ongia, si che gli toccava la pelle,& poi gli ho fatto usar'il confetto del craneo humano con musco, & zuccaro, & in venticinque giorni si è liberato, nell' quali gli ho fatto lavar il capo sette, od'otto volte con liscia, ove erano infuse rose rosse, sticados, assaro, scorze di agarico, betonica,& garofoli fini a fine di aprir la cuticagna alla evaporatione delle ostruttioni interiori.& gli ho provocato starnuti con le radici dell'elleboro negro, & di ciclamino, acciò la flemma, che gli haveva occupato l'anterior parte del capo, descendendo lo lasciasse sgravato,& perciò più presto si liberasse.
FILO.Oh voi gli havete fatto tanti rimedij, che non è meraviglia se è sanato, ma di gratia quel craneo a che fine?
BOVIO. Di certo io non ne saprei render la ragione, ma poi che serve al bisogno non lo dovevo tralasciare, tuttavia io vi dirò ciò, che ne hò per relatione del Signor Camillo Borghetto mio Compare carissimo,& amorevolissimo.
Era uno che pativa di morbo caduco,& un'essorcista addimandò ad uno spirito, che gl'insegnasse il modo di sanar questo patiente suo amico.
Lo spirito li risposa: cerca il tal Prete, c'ha l'ordine scritto sopra una carta doppo il suo Breviario, che con quell'ordine l'amico tuo sanarà: trovò il Prete,& trovò la ricetta, la pose in prova,& gli riuscì,& egli l'ha data a me: io l'ho essequita,& l'amico mio è sanato,& con questo confetto ne sono sanati molti altri,& tra questi due Monache di San Michele, fuori della Porta del Vescovo della Città nostra.
Siano mò state l'altre cose, ch'io gli ho usato, nè lo saprei dire. Sò bene, che Arnaldo ha scritto un Libro de Phisicis ligaturis per sanar gli infermi.
& sò Giovanni Fernelio gran Medico a nostri secoli, ha lasciato scritto in un suo libro de Abditis rerum causis, di un'osso di lepore, che è sopra la congiontione de gli dui ossi longhi delle gambe di dietro nel lepore, che fà orinar li cavalli ponendosi nell'acqua, & dandogliela a bere. La cagione, ò ragione di questa operatione, & tante altre sono lontane dalla intelligenza,& cognitione nostra, come è ancor quella dell'ongia d'asino salvatico, di cui io non ne sò render altra ragione, come non la sò render ancora perche la senna purghi il corpo per solutione,& la betonica non lo solva, quantunque siano ambedue i medesimi gradi di calidità,& di siccità, nè voi me la saprete render ancora, perche l'agrimonia lo purghi per urina, & la senna per secesso: a me basta consocere,& usare questi remedij, che l'uso ci ha dimostri specifichi à quella, ò questa infermità.
Scrive Theofrasto Paracelso, il purgar questo humore epilettico esser proprio dell'elleboro, & massime dell'estratto suo. Io ho usato tutti quelli, che a me è paruto doversi usare per salute del povero languente, il pensiero mio è successo, & questo basta a lui,& a me, che ne havevo la cura.
Quando io gli administrava lo estratto dell'elleboro mi diceva parergli, che gli uncini gli spicassero dal cervello parte di detto cervello,& questo erano le flemme, che la forza del medicare glie le tirava all'ingiù, che gli uscivano per eccesso. Il medesimo facevano li starnuti, che tiravano pure,& purgavano dette flemme che cagionavano il morbo: Et il lavar del capo, gli purgavano pure le flemme più sottili per insensibile transpirationem.
Tanto sia che egli è sanato senza tante stercorationi usate da questi vostri Medici. Et tuttavia con il solo antimonio in questi medesimi giorni ne ho liberato un'altro con sua buona ventura, il quale havendo udito Messa in Santa Anastasia d'intorno l'hora di terza, & entrando in casa con dui suoi compagni cadeo in terra tutto tremante,& con la schiuma alla bocca: i compagni sbigottiti, nè spaendo che rimedio trovargli, corsero alle Spiciarie in piazza per trovar alcun Medico che li aiutasse, ove sendo io a caso, o per meglio dire per dispositione Divina, & narrandomi eglino il caso,& bisogno mi pregarono, che favorisce al loro desiderio, così con tutto che la pioggia fosse grave, andai con loro,& trovai, che l'havevano posto, nel letto, ove gionto ricadè con attrattione di tutto il corpo, & con schiuma al naso, & alla bocca; la moglie, il fratello, quelli dui suoi compagni,& altri che si erano tratti allo spettaculo si posero in genocchioni a pregar Dio nostro Signore per l'anima sua, credendosi, che egli morisse, a quali io dissi, voi fate bene pregar sua divina maestà, mà egli non more,& non dubitate ponto, che tosto ritornerà in se,& così fece, non però parlava, nè poteva parlare.
Io dunque, che mi trovava adosso Hercule, antimonio, & fiori di antimonio, come è mio costume, andai in cucina,& presi un poco di brodo dal lavezo, che bolliva,& vi posi dentro un poco delli fiori dell'antimonio,& glielo feci metter giù per la bocca con un cucchiaro da una bellissima donna sua vicina, dicendogli io, egli vomitarà,& tra due hore darà libero,& tanto seguì, ritornai la sera a visitarlo,& mi disse, sete voi quel Medico, che dicono che mi deste questa mattina quella medicina? Sono: diss'io. & egli mi riferì molte gratie,& da indi in poi non hà mai più sentito alteratione. Questi ordini ho servato io in questi dui, perche l'origine del loro accidente nasceva dallo stomaco, mà quando detto morbo tiene altra radice conviene trovar il fondamento,& quindi trarne la radice. Mi racordo haver già letto un'autor grave Greco: il quale scrive alquanti versi in laude della Iberide, notissima herba tra noi, mà non hò a memoria, il nome dell'autore ,perche conquesta herba era sanato un'amico suo, che pativa simile morbo,& la base del morbo era nel pollice del piede, che così il Medico haveva osservato dal principio del moto, & con questa herba havevano vessicato il luoco,& dalla vessica rotta haveva fatto la essalatione detto morbo, si che con questo modo l'amico suo rimase libero.
FILO. Voi mi havete detto due cose, che mi paiono strano a sentire: Una che uno spirito maligno, nemico per ordinario della generatione humana, insegnasse a quell'essorcista,come havesse a trovar rimedio per sanar quel patiente del morbo caduco: l'altra, che quelle creature religiose facessero intendere a quel Mercante Epilettico, che chiamasse voi alla cura sua. Stante questi dui termini, & gli buoni spiriti, & gli rei sono propitij alla salute nostra corporale, quando che non si debbe creder che persone Religiose siano mosse da altro, che da Angeli, ò da inspirationi divine.
BOVIO. Il Conte M. Antonio Giusto cognomine, & re, che morì vecchio di novanta anni,& un mese, mi raccontò che un figliuolo di una sua Balia, giovinastro di vintidui anni, condotto da altri giovani suoi compagni, andò con loro a rubbar frutti in un brolo di un Gentil'huomo cinto di mura:& perche gli patroni sentirono i ladri,& diedero mano all'armi, questi pazzi si gettorno giù dalle mura: onde che cadendo questo giovanazzo con il capo all'ingiù, divenne pazzo. Una sua sorella maritata a Butapietra villa del Veronese, ove ancora un'altra donna spiritata dimandò a quello spirito, come si potrebbe sanar suo fratello,& egli li disse, che pigliasse quattro cucchiari di rosata di sù l'herbe,& dui cucchiari di acqua rosa,& dui Marchetti di Tiriaca,& le componesse insieme,& poi radesse per tre dita il capo al fratello dalla fronte alla nucca,& bagnando una pezza di lino sopra la parte rasa,& coprisse la testa con una cuffia di tela,& così reiterasse per tre giorni, notte,& sanarebbe,& ella così fece,& il fratello sanò & poi detto Conte M. Antonio si servi di questo giovine per suo strucciero,& poi per altri servigij della casa fino alla sua morte. Si che Iddio benedetto molte volte dispone ancora che da male piante se ne cavi buon frutto: che poi quelle persone Religiose,ò per inspiratione divina,ò per conoscenza, che havessero di me, me gli proponessero non vi paia strano; però che se Dio benedetto hà cura dell'universale, come attestano Hebrei, Gentili,& Christiani, conviene ben'ancora, che habbi cura de i particolari, quando che delli molti particolari se ne formi l'universale: & questo avvenne per una sera a me, che andavo per la strada da una Donna incontrandomi si affermò, & disse: Signore habbiate compassione di me. Io ho un figlio, che quattro Medici me lo hanno abbandonato per morto,& questa notte una mi ha monstro,& detto, questo sanarà tuo figlio: a cui io dissi: Madonna havete preso errore, ch'io non sono stato fuori di casa questa notte, nè voi sete stata in casa mia. & ella a me rispose; io vi ho veduto in visione giacendo nel mio letto, a cui io dissi: se cosi stà, andiamo a vederlo, in somma andai seco, lo vidi, lo medicai, & in ventiun giorno rimase in tale stato, che li Frati di San Fermo dell'Ordine di San Francesco lo ferono suo campanaio, nè io haveva mai più veduta questa Donna, nè essa me. Ella si chiama Madonna Isabeta,& egli Fra Gabriele. Mà se vi volete chiarir dottrinalmente di queste cose andate a leggere Iamblico de Misterijs Aegyptiorum, Caldeorum, & Assiriorum, tradotto ad verbum di Greco in Latino da Frate Nicolò Scutelio dell'Ordine de gli Eremitani di Sant'Agostino Dottore,& Theologo, il quale vi dice tra molte sue dottrine:Nonne Alexandri exercitus servatur omnis nocte fubditus periturus, viso per somnum Bacho,& docente quomodo immedicabiles morbi sanarentur? Deinde Aphutis dum Lysandro sub rege obsidetur, missis ab Iove Amone in somnijs liberatur eo statim misso exercitu conflato illinc, quo repente obsidio solvitur? quid, opus est singula enarrando ostendere, cum quotidie semper occurrunt talia, quae praebent factum,& opus verbis dictisque praestantius?
Io ve ne potrei addur di questi essempij un'infinità, descritti da nostri Catholici, da Pagani,& dalli Hebrei; mà non occorre; però vadi questo negotio come si voglia, il tutto si riferisce da me a Dio prima causa di tutte le cause: il quale quando per sua propria dispositione così ordina,& quando per sua permissione così lascia, che corrino, però non trattamo più oltre di questo, & passamo ad altro.
FILO. Passamovi, mà certo haverei pure per gratia singolare, che mi chiariste meglio questo negotio, si che io ne restasse capace.
BOVIO. Questa non è dottrina dozinale, nè di modo trattabile, che chi non è versatissimo nelle scienze di Filosofia naturale, Astrologia, Theologia; e Magia Celeste se ne possi trattare, sì che l'huomo resti capace: però si come Mosè trattò nella sua Genesi la fabrica del Mondo, così alla grossa, acciò gli huomini restassero con qualche satisfatione, così vi darò io un essempio mecanico, per dar alcun refrigerio a questo vostro ardente desiderio d'intender quello, ch'io conosco ecceder la capacità, sì del vostro come de gli altrui intelletti. Io sò, che sete stato in Venetia, & in Milano, mà non sò già se voi habbiate veduto quegli edifici, ove si tessono quei drappi di seta,& d'oro con tanti fogliami, figure, & ricami, opere per lo più di astuti Genovesi, & industri Fiorentini, & superbi Luchesi?
FILO. Io ci sono stato, & ho veduto, che vi si trova tal Mercatante, che tiene in questi traffichi cento, ducento, et trecento milla ducati.
BIOVIO. Bene questo Mercatante hà il suo fattor generale, a cui ancora per la moltitudine de i negotij da un coadiutore, et molti ministri ineriori per le provigioni necessarie, a tutto questo lavoro,& negotio: la somma del quale finalmente si conduce alla fabrica,& construttione delli draèèi, mediante li tellari, che siano compiuti di quanto occorre di calcole, licij, petini, navicelle, spollette, subij, rotelline,& perpendiculi necessarij all'ordinamento,E trama.
Ha però il Maestro di questa tela li suoi sottoministri,& aiutanti al lavoro impostogli dal suo superiore, e tutti insieme si accingono all'opera,& essequiscono il lavoro impostogli.
Qual volta od'il maestro, ò gli coadiutanti,ò il tellare,ò le calcole,ò i licij,ò li pettini,odìalcuno de gli altri instrumenti fossero stati divertiti, non si sarebbe potuto finir l'opera, ò se nell'ordinamento,ò tramma fosse stato il difetto, non si sarebbe potuto in bene,& la tela ne darebbe il segno, si che vi si vederebbe il diverso,& errore, il gran Mercatante è iddio sommo; il suo fattor generale è Mitatron moderator del primo Mobile: il quale quando affermasse il suo corso, & lavoro tutti gli altri Orbi quietarebbono, il coadiutor suo è Osaniele rettor del Cielo stellato.
Il Maestro della tela commandata dal dal gran Mercatante Dio Ottimo Massimo è l'uno de' sette assistenti innanzi al suo Divino Trono moderatore dell'uno de' sette Orbi planetarij,& è quello che gli Arabi chiamano Almuten,& noi Latini diremo vincent, cioè quello, che tiene il predominio della fabrica della tela, il nome di cui vi mostrarà il Mago Celeste con l'aiuto dell'Astrologo trattone il dominio del Pianeta, che tenirà più dignità nelli cinque luochi hilegiali [?].
Il tellaro fornito con tutte le cose necessarie è tutta questa machina de i cieli, che ci circonda.
Gli aiutanti sono gli altri Angeli moderatori delle loro sfere, che corrispondono al bel lavoro.
Gli ordinamenti, & la trama sono questi elementi inferiori, de' quali si forma il composito di questo nostro corpo humano.
La tela dunque è questa nostra humanità, rispetto alla parte inferiore, così creata, formata,& constituita da gli Angeli ministri del grande Iddio, con l'instrumento di questi Orbi,& sfere superiori, & dell'estratto di questi elementi, nella quale humanità l'inefabile mercante Iddio infonde l'anima rationale senza l'altrui ministerio,& gli dona la libertà del proprio volere,& attioni suo,& acciò poi che questa tela mirabile non perisca, l'assegna in custodia,& governo a quelli suoi ministri, che sono convenuti alla fabrica,& constitutione sua: però egli è scrritto: Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus uijs tuis: in manibus tollent te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum.
Se quest'anima si lascia reggere da questi ministri egli li dona ancor potestà, & balia sopra gli Angeli rei, nostri avversarij,& è scritto: Super aspidem,& basiliscum ambulabis, & conculcabis leonem,& draconem. Mà si lasciano in preda alla sensualità,& appetiti nostri mondani permette molte volte la sua Divina Giustitia, per nostra pena,& castigo, che siamo vessati,& travagliati da infermità,& malatie.
Ci travaglia anco molte volte per tentarci di patienza, come di già si legge di Giobbe,& Tobia, all'uno de' quali la sua Divina gratia soccorse poi liberandolo da tutte le avversità, raddoppiandogli tutte le cose perdute. All'altro mandò Rafaele, uno de' sette assistenti innanzi al suo inefabile, Trono, che lo rimesse sì de' beni di Fortuna, come di sanità. & liberò la casa di Raguele,& la figlia della vessatione dell'Angelo cattivo, mediante questo Celeste. Liberò ancor (come havemo detto) Afutis dall'assedio di Lysandro Rè per opera di Giove Amone falso Dio,& Alessandro Magno per opera di Bacco falso pure,& lo essercito di Lisimaco dal flusso del corpo con l'herba lisimachia mostratagli in sogno, della cui virtù mi son servito io in molti con felice successo.
Si che Iddio benedetto quando con opera de gli Angeli buoni, si serve in beneficiar noi altre sue creature, si serve ancora delli cattivi, quando così piace alla sua Divina volontà,& a noi non s'aspetta il cercarne altra ragione dalla Divina dispositione, la cui Maestà sia lodata in secula,& oltra li secoli. Io vi ho posto l'esempio innanzi a gli occhi cosi formato alla grossa pigliatane quello che potete, io più oltra per hora non voglio ragionarvene, bastivi sapere, che quello, che sottogiace a gli occhi nostri corporali di questo nobilissimo magisterio l'ho veduto con detti occhi, mà tornamo alle materie medicinali.
FILO Io son venuto a voi per questa cagione, mà la dolcezza delle cose celesti: alle quali è fabricata l'anima,& mente nostra, me ne havevano levato, però io intendo, che voi fate cure miracolose nel male, detto da noi Francioso,& da Franciosi Napolitano, però di gratia ditemi un'ordine universale per curar questa infermità, che hà però preso hoggidì tanto possesso nel mondo.
BOVIO. Come volete voi che io vi dia ordine universale per curar questa infermità? Sono tante, così diverse,& alcune opposite, come quella del Signor Gieronimo Campagna:il qual'è stato medicato dal Medico Giuliaro, huomo secondo li Medici ordinarij, di buon nome,& molto adoperato nella Città nostra, mà non guarito, & fatto tutto piaga peggio di San Giobbe, hebbe ricorso à me: volendogli,& dissegnando il predetto Medico, che gli havea dato l'acqua del legno, replicarglielo,& io vedendolo in quel stato discorsi di medicarlo all'opposito in tutto,& per afatto delli medicamenti usatigli,& della dieta, che lo havea quasi ucciso, lo purgai dunque con li miei decotti di senna, epitimo, mirabolani, sandali,& tamarindi fatti in acqua di acetosa,& dipoi, dandogli decotti di salsa, sandali,& turbiti in acqua di epatica, endivia, lattuca per tre giorni mattina,& sera,& il quarto giorno due dramme di semente di ebuli, replicando, poi gl'altri trè giorni li medesimi decotti, & il quarto giorno le dette semente, li trè giorni pigliava li decotti entrava nel vezoto usato da me, mà questo haveva il fondo di sotto, in cui gettava un gran calderone di acqua, in cui erano decotte malve, sempreviva, rose,& solatro abbondantemente, mà il giorno, che pigliava le semente di ebuli riposava dal sudatoio,& così continuai fino, che fù sano,& gli caderono tutte le scaglie da dosso,& consolidarono le gionture delli piedi,& delli brazzi: delli quali male si poteva valere, tra tanto volsi che bevesse vino puro non molto potente, mà non troppo debole, mangiasse carne di polli, vitelli, tordi, lodole,& pernici,& li giorni magri, ovi freschi, pesce di lago, ò fiume, ò fontana,& si nutrisce di questi cibi, levandosi il terzo del cibo consueto: quando era sano, si custidsce dell'area della sera tarda,& dalla mattina per tempo, dal vento, dalla pioggia,& quando era bel tempo,& buona aere se ne passeggiasse innanzi alle case in strada con li compagni,& nel suo giardino vago,& bello, si per li molti fiori,& semplici, che vi sono in abondanza, come per li molti alberi di cedri, che vi hà,& conserva, con spesa del giardiniero,& delli carboni che il verno vi mantiene accesi, serrando,& coprendo li alberi con le tavole di legno compaginate insieme per la diffesa della neve, brine,& se egli sanò, come sanò, con questi ordini, che rinfrescano, non è dubbio, che moriva con quelli, che lo haverebbono ascaldato, affocato,& incarbonito,& se egli con l'acqua del guaiaco contrasse tante piaghe, et et scaglie per tutta la persona, et sanò, et rimase mondo con questi miei ordini tutti intenti a rinfrescare, sano fù il mio parere, et consiglio in usar questi medicamenti oppositi a quelli, che gli haveva usato il suo Medico, & haverebbono tutti gli altri suoi compagni colleghi, et satelliti, mà perche medicato, che io l'hebbi divenne poi quasi cieco, et molti ne diedero la colpa alli miei medicamenti, io mi voglio spurgar dalle lingue serpentine, et maldicentie loro,& egli stesso ne fece fede a molti, mà perche la Città è grande, et li miei emuli loquaci, voglio dirvi questo, acciò vi sia in essempio, et avvertimento per gli altri.
Io haveva lassato il Signor Gieronimo in stato di sanità, et perche era sequestrato dalli Clarissimi Signori Rettori della Città, che non si partisse di casa, gli venne in pensiero andarsi per un suo servitio, et negotio senza la saputa loro, così la sera nel chiuder le porte della Città, se ne uscì a cavallo con vento, et pioggia, et stette tutta quella notte a cavallo, con malissimo tempo, et si trovò la mattina seguente alla porta,& ritornò in casa senza, che altrui havessero saputo della partita sua. Questa intemperie di aere, et vento gli entrò adosso, che era pertugiato come un crivello dalli tanti sudori delli giorni precedenti, et si pose in letto cadendogli sopra de gl'occhi una distemperantia di humori che lo acciecò quasi, però io per divertir l'humore, procurai con ventose tagliate sopra le spalle, ma fù frustatorio, et però mi risolsi fargli un sedagno, giudicando una fontanella nel collo, non esser bastevole, perciò che il sedagno occupa assai più paese, et l'humore trovando maggior campo per potersi difondere, purga più valentemente, et cosi posi in essecutione, et mi riuscì il pensiero conforme alli dissegni, che egli si ricoverò, et ricuperò sanando benissimo, non fù, però che gli emuli miei non mi lacerassero, et a me conveniva di passarmela con silentio, per non offender l'amico, rendendolo contumace presso gli Clarissimi Signori Rettori, se io havesse publicato il successo, però acciò non avvenghi a voi simili contumacie, in ogni caso avvertitene li vostri maltrattati, acciò non venghi a voi dishonore, et ad essi danno, et incommodo.
Vedete dunque come posso io darvi regola generale, per curar questo morbo, sendone tante, et così diverse specie.
Un'altro ne curai nel Castel Vecchio di Verona, la base, et fondamento del cui male era nel petto interiormente, et questo curai con siroppi purgativi di senna, tartaro et scabiosa in quantità per cinque giorni. Poi con scabiosa, polipodio, cardo montano et liquiritia mattina, et sera, dandogli ogni quarto giorno alcuna delle mie medicine solutive: li giorni, che pigliava quelle decottioni, entrava nella botte a sudare, con le decottioni nel corpo, mà il giorno della purgatione non entrava, et in venticinque giorni sanò, dandogli però sempre cibi buoni, et di buon nutrimento, mà ischifando il troppo.
Li mal Franciosi dunque non sono uniformi in tutti, nè sono tutti di una medesima natura, et complessione, nè sono tutte le stagioni uguali, nè ad ogn'un convengono li medesimi medicamenti. Ci son bene alcune cose prodotte dalle nature specifice a certi membri, et à certe infermità, che di raro certo fà errore il Meico administrandole, nel qual caso se fallarà si potrà, et deverà haver per iscuso, come verbi gratia la senna, la quale purga le flemme, catharri, et humor melanconico eccellentemente, et pare, che si convenghi in universale a tutti; però il Marchese Gieronimo Malaspina non puote tollerarla, et gli fà notabile danno: l'Epatica nelle infiammationi, che hanno origine dal fegato giova universalmente a tutti, et io me ne servo assai, ho però alcuna volta trovato alcuni, che ne sentono alteratione notabile, et se dall'infermo non mi giustifico, non posso per altro intenderne la cagione, perche non giovi.
Se mò dicesse alcun Medico, che il guiaco sani universalmente tutti gli infranciosati, io direi, che ho trovato gran numero di gente che non gli fà profitto alcuno, però io non dirò, ch'egli sia specifico a questo morbo, perche ne hò veduto molti, a' quali non pure non hà scacciato il male, ma di più glie lo hà essacerbato, et ridotto a peggior conditione, et stato.
Debbe dunque il Medico prudente metter ogni sua cura, arte, et diligentia nel trovar la base, origine, et fondamento del male, et a questo invigilare per estirparlo con quei medicamenti, che più sono creati, et atti per natura loro ad estirparlo.
Io l'anno passato medicai un Gentil'huomo con la moglie, il quale era stato in cura di cinque de i principali Medici della nostra Città, principali dico per nome, et fama appresso il volgo ignorante, et poi non sendo risanato si ridusse in Padoa sotto la cura, e governo del gran Capo di vacca quattro mesi, nè però sanò: la base del suo male era nel fegato,& nervi. Io glie feci fare gli suoi siroppi purganti in questo modo.
Recipe optimi oncie cinque, polipodij quercini, oncie quattro sennae electae, oncie tre mirabolanorum citrinorum, oncie due febsten num.xxx, iviubarum num. xl, glicirrise, oncie due dactiolorum num.viii florum cordialium m. due, anisorum, oncie una aquae ivae artetice l. due e s. succi epaticae l. due e s. infundantur,& decoquantur secundum artem Zepyrielis.
Recipe huis decocti oncie quattro mellis rosati colati,oncie una e meza oximellis scillitici drach. due, pro uno siroppo,& sic de aliis, nè si far maraviglia alcuno, ch'io pigliassi tanto di quelle droghe, perciò che servì ad ambidoi marito,& moglie, et erano ambidoi, et sono per natura flemmatici, et sanguinei. Per minorativo gli davo ordinariamente dodeci grani di estratto di colloquintida innanzi, et doppo la presa di detti siroppi, et gli feci trar sangue d'intorno una libra per uno. Finiti questi siroppi, et medicine gli feci far l'infrascritti decotti secondo l'arte mia, cioè in vase di vetro con il suo capello, et recipiente servando ciò che n'esce, et riaggiongendolo alla parte colata, et espressa.
Recipe aquarum cicorj, endiviae, acetosae, lactucae an., onc. tre succi de fumo terrae, epaticae, ivae arteticae an. ldue, salsae periliae, oncie diece polipodij, oncie cinque cardi benedicti, oncie quattro sandalorum rubeorum, oncie due citrh, pimpinellae, rosarum rubearum an. m. uno, quatuor seminum frigidorum, oncie due seminum foeniculi, anisorum an. drach. quattro, fiat infusio,& decoctio secundum artem Zephirielis. Et di questi ne pigliavano ogni mattina oncie sei per uno, et ogni quarto giorno gli davo le semente dell'ebulo duo dramme per ciascuno. Il giorno delli decotti entravano nella botte con il decotto in corpo, nella qual botte si gettava un gran paiuolo d'acqua bollente in cui si cuocevano le infrascritte herbe. Malva, madre di viole, rose rosse, solatro in buona quantità, et un poco di salvia, et ci stavano d'introno tre quarti d'hora, et sudavano alla gagliarda. I loro cibi buoni, et di buon nutrimento, ma scaricandosi un pocarello del consueto, quando erano sani. Il giorno da carne, vitello, pollo, tordi, quaglie et simili: il giorno da pesce mangiavano pesce del migliore, et ovi freschi, et vini mediocri.
E quello, che non havevano fatto tante diete, od inedie, e tanti argenti vivi, ch'erano stati unti sei volte, operorono questi miei medicamenti, et ordini a' quali siano mò dall'ordine mio delle decottioni, ò da qual si voglia altro, questo sò che sanarono, e lo sà tutta la Città nostra, e sono di presente belli, sani, e gagliardi, nè è in tutta questa Città che hà pure settantacinque mila anime, che gli precede di bellezza di carne, che paiono rose, e sono come dice Virgilio, parlando di Lavinia:
Indum sanguineo veluti viola veris ostro
Si quis ebur, tales virgo dabatore colores
Così costoro marito, e moglie paiono Cherubini, e tuttavia si fanno lecito gli emuli miei di dire, il male era stracco., conveniva, ch'una volta sanassero.
Et si vede pur il contrario ogni giorno, chè quelli, che non sanano per le cure loro, si solvono come neve, od il ghiaccio à gli ardenti raggi del Sole, ò vento sirocale. Ove all'incontro questi miei son divenuti simili a quelli, che nascono ascendente l'Ariete col Sole: però Signor Dottore mio eccellente s'io non vi sò dar regola universale, con la quale io curi questa sorte d'infermità habbiatemi per iscusato, quando che io medichi ordinariamente secondo la varietà de' languenti, la varietà delle stagioni,& varietà delli morbi, come Iddio benedetto mi suggerisce, la cui bontà mi regge, e governa:& io ogni mattina, prima che faccia altro, levato ch'io mi sono dal letto, postomi in genocchione gli riferisco gratie delli ricevuti benefici, poi gli dico queste formali parole: Dirige dignare Domine vias, manus, mentem, cogitationes, omnes actus, omnes actiones omnia opera,& omnia studia mea in semitam virtutis tuae, ut te donate tibi placita cupiam,& tota virtute proficiam.
Et con questo pensiero, che Dio mi habbia a reggere, & mi regga vado, opero,& ordino quello, che mi occorre, & le cose mi passano con felicità, conforme alli buoni desiderij miei pieni di zelo, e carità verso di quelli, che mi si raccomandano in fede,& mi chiedono soccorso,& aiuto.
FILO. Per questa strada discorro di caminar ancor'io, mà ditemi, se gli infranciosati hanno piaghe, come fate voi a sanarle?
BOVIO Io medico come Fisico,& non come Chirurgo, e non m'intrometto in simile negotio per ordinario, mà voglio che chiamino li Chirurghi; però caso che ò non sappino, ò come molti si piglieno a mercantia l'assassinare in scambio di medicare gli infermi, gli provedo,& faccio, che ò le mogli,ò le massare, od'altre donne, ò gli servitori a gli huomini, facciano il servitio. & gli faccio far da qualche Spiciale, huomo da bene, ò gli faccio di mia mano questo unguento, & con questo sanano, & non falla mai.
Recipe cera bianca raspata oncie due, colato di porco maschio, overo grasso di porco rapsato, & lavato con acqua rosa più volte, oncie sei, sublimato di Mercurio, però che ci sono delli ribaldi, che lo fanno con arsenici, od'altre ribalderie, dramme due, canfora dramma una, argento puro di copella,& piombo d'ogn'uno il peso di un scudo, calcinati dall'acqua forte,& lavati con acqua fresca,& chiara,& poi con acqua cordiale,& di queste cose faccio un unguento,& di questo si serve sino, che le piaghe sono ben nette,& monde da ogni putredine, poi con unguento citrino, ò di Tabaco, ò con mondificativo faccio venir le cure,& questo medesimo unguento serve a Caruoli,& carnosità della verga, mà come vi ho detto bisogna avertir bene,& tenir gl'occhi aperti, che il sublimato sia di puro argento vivo sublimato dal sale,& vitriolo, perche io ho trovati Spiciali di gran nome,& facende, che a me, che sanno pure ò doverebbon saper chi mi sia, l'hanno voluta caricare, con volermi dar sublimati falsificati con arsinici, risegalli,& altre loro scelerità,& la colpa poi è del chirurgo,& si doverebbe dar al Spiciale,& io ne ho fatto castigar alcuni.
I buoni sublimati sono di minutissima grana,& gli altri di grana grossa, ò mediocre,& io alcuna volta gli ho fatti di mano mia mpropria, & così ho assicurato le partite, ho trovato ancora molti scelerati, che mi hanno voluto dar minio per precipitato,& io ne ho voluto far prova,& trovato lo inganno, gli ho smaltiti, si che ne accusai uno un giorno, che gli costò più di cento scudi d'oro, oltra la vergogna, che egli n'hebbe, mà certo rarissimi sono ancor quelli che lo facciano, come si debbe: io lo faccio eccellentissimo, per quanto mi rende chiaro la esperienza,& ne ho donato alcuna volta a qualche chirurgo, che poi hi hà riferto operar meglio un quarto del mio, che una oncia del commune delle Spiciarie, lo fà buono per eccellentia M. Marchioro Agostino Torniello mio amico,& compagno,& egli come huomo da bene procede realmente, & lo fà come si debbe.
FILO. Io sò il modo, che il Clarissimo Signor Giacomo Alvise Cornaro me lo disse.
BOVIO. Lo facessimo Missier Augustino,& io in casa mia,& egli disse al Clarissimo,& ad un'altro nostro commune amico Medico,& io per insegnarglielo, lo feci in sua presenza, & M. Augustino glielo rifece in casa del medico,& egli non lo seppe mai imparare.
FILO. Non fate voi prima l'acqua forte commune,& per dargli maggior vigore gli aggiungete l'allume di piuma,& fatta, la rimettete sopra le sue feccie, & ponete in un cantone serrata la bocca della storta, che non possi respirare, & poi la ritornate al fuoco, & con un recipiente postovi, lasciate svaporar l'acqua, sino che il recipiente cominci a tingersi in citrino, all'hora mutate recipiente,& chiuse benissimo le gionture, con clacina sfioratra farina,& chiara d'ovo ben miste insieme raccoglietre quella poca acqua, che esce,& ne cacciate li spiriti a tutta oltranza,& con questa acqua fate il vostro precipitato?
BOVIO. Signor sì, mà non bisogna lasciar più che sei, ò sette giorni l'acqua sopra le feccie, poi disciogliere a sua volta, però, che si amicano in modo insieme, che non vogliono uscirne li spiriti nelli quali siede tutta la forza, per il precipitato: il che havemo imparato dalla esperienza,& quando si fà l'acqua per la prima volta, usciti gli spiriti conviene dargli almeno sei hore di fuoco gagliardo di buone legne per calcinar bene la fecia, & acuirne il loro sale,& questa seconda, che si hà cavato: & caccitai li spiriti, conviene con buone pezze abondanti, & ben bagnate in acqua fresca far ogni opera, che detti spiriti cadino a basso a congiongersi con la sua acqua,& subito poi levargli,& dargli il suo Mercurio ben purgato,& mondo,& subito ancora dargli il suo recipiente,& chiuder bene le gionture, perche ogni poco, che respiri, l'opera, la spesa, e la fatica sono perse. Io i son trovato tal volta haverla condotta bene, che quattro oncie d'acqua m'hanno reso una libra di precipitato buono in eccellentissima eccellenza: del quale ponendosi sopra la lamina di ferro affocata, non ne evapora una oncia per libra: mà conviene, quando si fà, non mirar alla miseria del tempo, perche quanto più gli darete fuoco longo, doppo che ne sono uscita l'acqua,& gli spiriti, tanto migliore vi riuscirà il precipitato,& non denno esser meno di sei hore di fuoco, doppo che ne è uscito l'acqua,& li spiriti, acciò il precipitato meglio salischi,& si affissi,& faccia ben igneo.
FILO. Io hò inteso tutto questo negotio,& lo sò fare, si che ne hò a casa di fatto una libra,& per meglio ignirlo,& farlo tutto fuoco, io hò tenuto il mio doppio fatto,& estratto sotto il focolare di cugina, chiuso in un corezolo trè mesi.
BOVIO: Io hò caro haverne ragionato con persona, che intende bene il negotio,& io ve ne hò tenuto sotto il foscolare sino sei mesi,& ha acquistato non pure gagliarda igneità, mà odore,& fragranza ancora soave,& molto grata: come il precipitato è fatto si puote usar per farne gli unguenti per le ulcere maligne, mà chi vuol usarne per dar per bocca, risesce meglio quello tenuto sotto il focolare.
FILO. Voi dite il vero,& così io scrivo. Mà desiderarei saper meglio,& meglio intender come facciate quell'unguento del sublimato, poiche serve come dite a queste piaghe franciosine,& alla carnosità.
BOVIO. Io faccio l'acqua da partire secondo il commune uso,& in una parte di questa, come si stà, pongo il Mercurio,& essa se lo mangia, a ragione di quattro oncie di acqua un'oncia di Mercurio, nella sua boccia, poi gli dò foco nel suo fornello, con il suo recipiente, ben congionte le gionture, che non respiri,& come è passata la metà poco più dell'acqua, lievo il fuoco,& lascio freddar la boccia,& tra due giorni parte,ò tutto quel Mercurio si converte in giaccio,ò lapilli, che vogliate chiamarli; declino l'acqua,& rotta la storta piglio quelli lapilli,& lavo con acqua di pozzo,ò fonte; a quell'acqua, che havevo posto da canto, dò tanto argento, fino che basti a scalcinarla, poi la declino,& faccio mangiar tanto argento quanto pesa un scudo, & all'altra quarta parte di acqua, tanto piombo, quanto pesa un'altro scudo,& poi faccio passar le acque, mi restano le calcine di questi dui metalli in fondo,& le lavo ancor esse,& poiche hò preparato, tutte queste cose in questo modo, piglio cera bianca raspata, oncie due, grasso di porco raspato,& lavato,& lavato come vi dissi, oncie sei, lapilli di Mercurio, dramme due, calcina di argento dramma una,& una dramma di calcina di piombo,& una di canfora,& fatta la mistura di tutte queste cose insieme, mi resta l'unguento per li bisogni,& è mirabilissimo a levar le carni putride,& mondar le piaghe da ogni peste, & lue francesca, poi come vi hò detto con digestivo le mondifico,& con unguento citrino, over di Tabacco lo riduco a sanità integra.
FILO. Le gomme franciosine, come le solvete voi?
BOVIO: Io mi son servito di varij cerotti, in varij tempi, mà questo hò io trovato sopra tutti mirabile.
Recipe assungia di porco levata, oncia una,& meza, butira dramma una,& meza, oglio laurino, Camomellino, anetino, Dialthea, an. dramma una, argento vivo estinto, oncia meza, disteso sopra di un soatto, od'altra pelle di pecora.
FILO.Et io mi serva dell'oglio di cera. Mà che sia bello, chiaro, trasparente, perche tutti non lo sanno fare.
BOVIO. Io lo sò far benissimo,& non occorre, che di ciò trattamo tra noi, sono tanti gli scrittori, che lo scrivono bene, chi non lo sa fare vadi ad impararlo leggendo, mà più rompendo vasi come havemo fatti ambidoi,& chi non ne rompe,& non viene all'atto prattico non impara mai per migliaia di Theoriche, o pratiche, che se gli ascrivano, né mai sapranno cosa che vaglia. Di che vi voglio dire ciò che mi avenne un giorno con un Gentil'huomo tra tanti, che mi sono passati per le mani. Io passavo per il Corso,& M. Gieronimo da Santa Barbara mi vide, & chiamò il quale secondo lui è Filosofo, filosofante, filosofantissimo, monarca,& protoprincipe delli Filosofi,& disse: Ragionate un poco con questo Dentil'huomo della Filosofia havemo a trattar noi? della morale, over naturale commune,ò pure della recondita,& astrusa? della recondita mi rispose quel Gentil'huomo, a cui io replicai, secondo la dottrina di cui havemo a trattar noi,& egli mi disse: secondo la dottrina commune della turba filosofica,& quivi cominciò ad allegarmi Gebber, Raimondo Lullo, Christhoforo da Parigi, Ruggier Bacone, Arnaldo de Villa nova, Giovanni de Rupe scissa, il Conte di Treves, il Conte della Mirandola, & mille altri suoi simili.
& io a lui: Conoscete voi una bozza da un recipiente, un fagietrto da un'orinale,& gli altri vasi per questi vostri lavori?
Oh disse egli non ho mai lavorato di mano, ma hò sempre studiato per trovar la prima materia.
A cui io dissi: volevate dir la prima materia, mà dilataste troppo la bocca nella prolatione della è, pazzi che sete da catena; non vi ha detto il vostro Gebber, che tutte le theoriche di cento anni di studi non faranno quanto l'atto prattico di un'anno?
cancaro vi vegna pecore insensate, non sapete voi che sine auro non sit aurum? questo è la prima matteria: quello che lo solve è l'acqua di vita acuita con il suo sale, e circulata,& quello in cui egli si hà a nutrire,& augmentare è il Mercurio corrente, che si vende alle Spiciarie,ò fer huomini,& questo è il suo embrione. Qui habet aures audiendi audiat, mà questo Mercurio si debbe prima mondificare, digerire,& ridur in solfere renitente ad ogni impeto di fuoco con l'acque communi delle fontane. Mà voi sete di quelli, de' quali canta il Salmo:Manus habent,& non palpabunt: pedes habent,& non ambulant: aures habent,& non audient: oculos habent,& non videbunt. Questi thesori sono doni del grande Iddio, io sò quello che sò, ho operato quello, che hò operato,& hò fatto quello, che hò desiderato. Et poi quello Iddio, che me lo havea donato, quello istesso me lo hà tolto, posso dire con iobbe: Dominus dedit, Dominus abstulit, Sit nomen Domini benedictum. Più oltre non debbo, nè voglio, che sarebbe pazzia, & temerità grande la mia: io vi hò aperto il foglio,& con questo mi vi raccomando,& me ne partei.
Sono a questa guisa certi medicuzzi, i quali non si sanno mai partir dal Recipe per ligni Guaiaci oncie sei, corticis ligni oncie tre, salse pariglie oncie doi acquarum communium libre dodeci decoquantur ad consumptionem duarum partium,& de ista potione recipiat patiens uncias octo, in mane,& in sero uncias sex. cooperiatur,& sudet,& c. pro cibo unc. tres biscocti, passularum oncias duas,& bibas de aqua secunda quantum voluerit.
& ogni otto giorni la infusione della senna nell'acqua seconda per medicina pecore, arcipecore, protopecore, & li tengono così per quaranta, & più giorni. Divengono questi meschini secchi, come ossi, per far copelle d'affinar'argento, nè però di cento sanano dui, vogliono questi ignoranti, che un paio di scarpe convenghino ad ogni piede. Io all'incontro voglio, che li miei infermi mangino, bevano,& si nutriscano del bello,& del buono,& quelli, che ponno vadino a diporto a sua voglia, pure che l'intemperie dell'aere non ce lo vieti, e non mi spiace, che quelli, che non sono impediti da troppa gravezza del morbo, vadino a pigliar delle quaglie,& starne,& le mangiano insieme,& in quaranta giorni di tutta cura sanano,& crescano di peso quindeci vinti,& vinticinque libre e ne ho trovato ancora che sono cresciuti ventinove, più di quel che si trovavano, quando mi si diedero in cura. Io l'ho detto,& l'ho scritto,& li miei libri si vendono con satisfattione de' lettori, nè di cento Medici uno segue la mia dottrina: il che vien pure, ò da mera avidità de gli altrui denari, overo da ignoranza supina,& crassa: si che io mi comparo in questo a S. Giacomo di Galitia, il quale con tutto che predicasse la nostra Fede alla Spagna per alquanti anni, a pena si trovarono sette che lo seguissero. Tali sono questi nostri Galenisti, ò Medici, come essi intitolarono, Rationali: io scrivo, dico, predico,& opero, vedono l'opere mie belle, e buone, le lodano, perche non ponno far di meno,& non mi vogliono seguire. Piaccia almeno a N. Signore Iddio,& suo unigenito Figliuolo nostro Redentore, che si come in vita di quel buon'Apostolo non volsero seguire le sue tante enunciationi,& doppo la morte l'hanno honorato,& honorano, & vadano à visitar le sue ossa, come di gran servo,& ministro del Salvator nostro, così doppo la morte mia seguano le mie traditioni per salute dell'anime loro, & delli corpi de' miseri languenti.
FILO. Voi mi date la vita a raccontarmi di questi vostri ordini, i quali non hanno ordine, rispetto questi medici communi, ch'egli è pur troppo vero, che non si fanno mai partir da un certo loro commune uso,& medican tutti ad un medesimo modo, siano pure li malfranciosati di qual si voglia sorte,& li miseri afflitti di quali si vogli natura,& corra qual si vogli stagione.
BOVIO. Questo Natal passato mi caderono dui casi nelle mani, i quali vò raccontarvi in questo proposito, e furno cure notabili,& degne di commemoratione ad instrutione vostra, e di molt'altri, e sono a tempo.
Un cittadino della nostra Città, ch'io non nominio, giaceva nel letto per doglie artetice, accompagnate da un poco di reliquie di mal Francese, per quanto dicea l'istesso. E dui Medici che l'havevano visitato, l'havevano abbandonato ancora con dirli, che la stagione era troppo repugnante,& il principio di Decembre con freddo, oltre il consueto de gl'altr'altri anni,& il pover'huomo giaceva in mdo, che non si poteva mover da se dall'uno, nè dall'altro lato, senza l'aiuto de i servitori. Questo vedendosi abbandonato da detti Medici, hebbe ricorso a me, lo visitai,& egli mi raccontò la fuga delli Medici, et io gli dissi mandate mò a dimandargli, mentre che io son quivi; mandò, ma egli intendendo, che ero io ivi, non vollero venirvi, il che vedendo io, dissi dimani farò ritorno, così vi tornai, et portai meco la prattica di Giovanni Fernelio. Et mostratala dissi: con questi medicamenti, voglio trarvi di letto bene, et presto. Però rimandiate per li vostri Medici,& ditegli, che io vi voglio medicare con questi,& vi lasso il luoco segnato con il libro, mandò, vennero,& improbarono il mio pensiero, lasciandogli scritta certa sua ricetta di legno,& scorza con dieta, vi ritornai,& vidi l'ordine loro,& io all'hora scrissi il mio, et imposi, che mandasse per il tale muratore che gli fabricasse un fornello, secondo, che io lo haveva instrutto, et quale lo haveva fabricato il Signor Gieronimo Campagna, et tanto fù essequito, ritornarono li Medici, et gli dissero, che se egli si lasciava medicar a me, con quelli medicamenti, et ordini egli senza fallo sarebbe morto. & moiami disse egli, mà egli mi dice che sanarò,& io voglio farne la prova,& mi confido che sanarò. Era la mia ricetta questa:
Recipe ligni raspati pinguis uncias tres, Corticis ligni unciam unam, Salse perilie uncias duas, Hermodacrilorum uncias duas. Agarici albi grattati uncias quattuor, turbit albi unciam unam, Aquarum communium libras viginti infundantur,& decoquantur secundum artem à me traditam in libris meis in vasibus vitreis clausis iuncturis, & perche il decotto fosse meno insuave gli facevo gionger zuccaro,& una passula pista a mia descrittione,& quanto per prova trovano, che egli rimanesse pago, secondo il suo gusto,& acciò la decottione non si corrompesse sendo tanta, gliela facevo cuocere il quarto per volta,& glie ne davo mattina,& sera oncie sei per ogni siroppo,et ordinai, che si cibasse di cibi buoni,& nutritivi a sua voglia defraudandosi per il quarto, del solito civbo quando è sano, per bevanda gli davo acqua, over decottione fatta sovra le feccie avanziate dalla prima decottione, raggiungendovi pure altra uva passa nella decottione.
& ogni quarto,ò quinto giorno, gli davo due dramme di semente di ebuli ben piste in un poco di brodo, per hore cinque innanzi il cibo, & con questi modi in puochi giorni sanò, & se ne andò a pigliar il possesso d'un governo, che gli era stato assignato dalla Città,& da indi in poi è invigorito,& ingagliardito, si che fà le fiche alli Medici, che l'havevano derelitto, per causa della stagione,& magnifica le mie medicine come salutari contro le assertioni loro, che sarebbe morto protestandogli, che quello mie medicine erano troppo gagliarde,& destruttive della vita sua,& pure sanò, con loro poca reputatione, che non contenti di havergli essi protestato la morte, glie lo havevano fatto dir ancora per suo fratello,& altri parenti,& egli hora predica,& publica, che le medicine mie, & il mio modo ha fatto forza alla stagione,& morbo.
FILO. Et che cosa di gratia sgomentava questi Medici?
BOVIO Il turbit,& l'agarico in tanta quantità, quando che certi Medici hanno lasciato scritto, che l'uno sia quasi veneno, e bestiale. el'altro torpido, e languido, e languido troppo nelle sue operationi, e però vogliono prepararlo con certe loro ignoranze,& scempierie, quando che queste sue preparationi, siano il roverscio della medaglia li levano le aprti sottili aeree,& virtuose,& vi lasciano le grosse,& terrestri,& in fatto queste sue preparationi non sono altro, che trar il mosto dall'uva,& gettarlo via. & servirsi delle graspe per trarci la sete. Sciochi, ignoranti, goffi,& privi della cognitione della vera,& reale filosofia, la ragione che essi dicono della torpedine dell'agarico proviene, non perche l'agarico per se sia torbido, mà perhce con la preparatione (così essi la chiamano) ne tranno la virtù sostantiale: la quale è una pinguedine, che si trova nell'agarico, che è quella, che opera, & essi gliela tranno,& lo privano,& però nell'oprare resta poi torbido. Se ne trarrete quella pinguedine,& l'administrarete, lasciando a dietro la parte terrestre, della quale essi si servono per medicina,& io la getto via, trovarete tutto il contrario,& la prova ce lo dimostra: però, che se io con le mie decottioni cavo la virtù,& la sostanza del legno, della scorza, della salsa , delli hermodattili, del turbit,& dell'agarico,& l'infermo mio sana: manifesto è, che questa pinguedine è la parte medicinale, e non la parte terrestre di tutti questi semplici: però ch'io li getto via la terrestreità,& servo la pinguedine di quel semplice,& questo è quello che fà l'operatione,& che ciò sia vero più opera una mia pillula di elleboro di dodeci grani, che quattro scropoli di pillule ordinarie di elleboro preparato secondo loro della Spiciaria. & il medesimo mi fà, & opera lo estratto della colloquintida, & sono l'una,& l'altra medicine sicurissime ad ogni età,& sesso, non però ne hò mai administrato a femine gravide.
FILO: Et come fate voi questi estratti?
BOVIO. Io hò usato diversi modi,& holli trovati tutti buoni, mà hora mi son ritirato in questo,& mi serve per eccellenza & ve ne darò l'essempio nell'eleboro. Io piglio lo elleboro da mezo il Mese di Giugno fino a mezo Ottobrio: però che ne gli altri tempi la virtù sale sopra terra, in questo semplice,& lo lavo,& purgo bene della terrostreità, poi lo faccio pistare in una pila di pietra così alla gorssa. Et piglio un lavezo di pietra grande,& vi pongo dentro questo elleboro,& poi le empio di vin bianco, e puro:& lo faccio bollire un pezzo, come sarebbe dir due hore giongendovi vino se fà bisogno, poi lo cavi fuori, e pono in uno di questi sacchetti di tela fissa,& nuova,& lo metto al torchio,& esprimo quanto posso. Piglio questa espressione,& la rimetto in un lavezo di pietra minore, & lo faccio cuocere a quella spirissitudine, che mi pare, facendone prova con pigliarne un poco,& metterlo sopra un'asse,& lasciarlo freddare,& come lo vedo ridotto a quel termine, che lo giudico star bene alla spissitudine della pece navale, lo levo dal fuoco,& serbo in un vase coperto,& uso alle mie occorrenze. Se reiterarete lo elleboro espresso a nuova decottione con nuovo vino, poca estrattione ne farete più, però che poco vi resta di buono, pure lo potete fare,& non sperder quel poco ancora quello elleboro mò, ch'è restato dall'espressione hà più poca, ò nulla virtù. Quanto non vi hò detto dell'eleboro servato negli altri estratti,& haverete molta virtù in poca robba: all'incontro, li Speciali pongono li ellebori, li agarici,& altre loro droghe nelli aceti, od'altri licori,& ve li lasciano per trè giorni, ne' quali quelli licori ne tranno le sostanze, poi li ripongono al Sole,& chiamano queste preparationi,& io all'incontro le nomino precipitationi delli medicamenti,& ruine de' miseri patienti: di che ve ne potrei addur mille essempi, mà voglio, che uno mi basti. Io era in Vicenza,& il Rverendo Abbate di San Felice, dell'Ordine di San Benedetto negri mi ricercò, ch'io lo medicasse di certa sua indispositione: giudicai che'l meglio medicamento, che potesse darli fosse lo elleboro, secondo questo mio ordine. & però ordinai, che mandasse alla Spiciaria del Re a Verona a pigliarne. La transcuraggine del suo messaggio lo portò ad un'altra Spiciaria, & gli mandarono trè pillole del comune usato nelle Spiciarie. Io gli dissi voi non sete servito; però pigliate questo, tra tanto che rimandiate l'ordinato per me, lo prese,& fecero poco più che nulla di operatione con tutto che fossero quattro scrop. Vennero poi le buone, e mezo scropulo bastò all'operatione conforme al suo bisogno,& mia intentione. Vero è, ch'io faccio usar queste pillule quattro, cinque & più volte alternatamente nelle infermità delle gotte, sciatiche,& dolori artetici, humori melanconici, mà basta mezo scrop. per volta,& operano con felicità,& successi mirabili.
FILO. Non sarebbe questa medesima estrattione l'acqua pura di fonte?
BOVIO. Lo farebbe sì, mà il vino conforta più la medicina,& quel poco di tartaro, che rimane del vino, nell'estratto della cosa di cui lo havete estratto, serve per correttorio al medicamento estratto, io in somma così faccio, e l'opere manifestano, che l'operatione mia è buona, poiche la felicità delli successi nell'operare ce ne rendono testimonio chiaro,& ampio. Non è vero dunque, che la stagione ci impedisce il medicamento nelli bisogni,& non è parimente vero, che le diete,& inedie sanino gli huomini, poiche in stagione così fredda,& con buoni cibi,& nutrimenti, medicasse questo povero derelitto da questi miserabili Medici, degni più tosto di compassione, che di castigo. Et è vero all'incontro, che gli Dottori, ben intendenti dell'Arte del medicare, dicono queste formali parole.
Natura proba vivendi ratione adiuta,& innixa, morbum profligat, aut patefacit, aut foras profert.
Et adunque non dicono dieta, aut inedia ma proba ratione vivendi, ch'è cibar ragionevolmete di buoni cibi, di buon nutrimento,& alle hore convenevoli,& non è il far morir di fame,& di sete, come fanno certi cani nemici della Natura.
L'altra cura, che io ho detto volervi riferire, furono dui giugali Franciosati, il marito di quindeci anni,& la moglie di cinque,& l'uno,& l'altra ben traditi di questi manigoldi.
Stavano questi due giugali a guisa di San Iopi, carichi di piaghe,& ulcere (& era da Natale,& grandissimo freddo) & erano come agghiacciati, mercè che sopra quelle piaghe havevano usato unguenti di biacca, la quale come sapete, è fatta di piombo calcinato con il vapore dell'aceto: laonde questa loro repercussione gli havevano quasi marciti chiudendo li nemici in casa, ove io all'incontro datogli un poco di purgatione gli apersi le porrosità della pelle con gli miei consueti sudatorij nella botte nel medesimo modo, che haveva fatto al Signor Giacomo Campagna,& perche non potevo haver solatro, invece di quello presi la vermicularia, sempre vivo, malve,& rose secche. & fatto, che io gli hebbi sudar cinque volte se gli aperse in modo la porrosità, che per molti giorni levatogli gli dui terzi delle coperte da dosso sudavano nel letto, si che quando io andavo a loro, essi alzando le coperte mi mostravano, che dalli corpi loro uscivano tanti fumi, che parevano fornaci da mattoni non ancor svaporatene l'humidità,& si caricarono in modo di bruffole rosse,& dense, che parevano che havessero la pelle di sorgo, ò melica, che vogliate chiamarla, & le spalle, il collo,& testa gli divennero tutte in una crosta, al che io reparai ungendoli,& caricandoli con questo unguento.
Recipe oglio di mandorle dolci oncie quattro, unguento rafino, cera bianca anna oncie una, solvi al fuoco,& come è soluto prima, che raffreddi giongivi quattro dramme di precipitato del nostro consueto,ò del migliore, che potiate havere,& con questo unguento benedetto gli tenni forse otto giorni impastate le parti offese delle spalle, del collo,& del capo, & poi li feci lavar'il capo atrettanti, o più giorni con quella mia solita liseia. & con questo unguento, liscia, sudori,& soliti decotti già dati al Campagna,ò certo poco svariati, sanarono nutrendoli pure di cibi buoni, come il Campagna, però che mostrandomi le ulcere,& le piaghe, che il fegato era il malfattore, conveniva medicar quello con la epatica,& miei soliti,& altrove detti decotti, medicine,& siroppi. Vero è, ch'io feci trar al marito sangue copiosamente dalla vena epatica,& alla moglie dal braccio, dalla salvatella,& dalli piedi sette libre in quattro volte, interponendo pochi giorni dall'una all'altra volta, ove questi nostri Medici srebbono caminati con oncie.
FILO. Voi havete dunque così poca discrettione, che ne fate trar tanto ad una Donna?
BOVIO. Giongetevi che la donna era di poca ciccia, di poca statura,& per sua natura di poca carne,& pochi ossi,& di natura non molto valida, ma per rispondervi alla poca discrettione, poca ne hanno quelli Medici, che fanno trarne poco, ove il bisogno ricerca trarne molto. Basta lasciarvene quanto non se amazzi, mà trarne tanto,& tante volte, che non ve se ne lasci de putrido,& corrotto,& con cibi,& potioni buone introdurvene di buono e sano.
Servitore Vostro, il Signor Curio Boldieri viene di sopra.
BOVIO [FILO.?]. Alla buona hora, debbe esser tornato questa mattina da Venetia, che hieri sera tardi passai da casa sua,& non era tornato ancora, però mi dissero alcuni Servitori, che is apsettava di hora in hora, mà andiamovi contra.
CURIO. Oh Signor Bovio mio carissimo,& amorevolissimo, io non vedevo l'hora di abbracciarvi, bacciarvi,& starmi una meza hora con voi.
BOVIO. Oh Signor Curio mio tutto amore,& honore, siate il bentornato per le migliaia di volte,& percghe non mi facevate motto per un servitore, che sarei venuto a vedervi,& godervi?
CURIO. Io spasimava di martello,& però non ho veduto l'hora d'abbracciarvi,& bacciarvi,& ribacciarvi, ben diece volte,& dirci che havemo pur finalmente vinto la lite, con quasi tutti li voti, si che adaquaremo oltra il consueto ottocento altri campi per far rise, che ci porteranno molte migliaia di ducati da poter giovar,& beneficiar il mondo,& li poveri,& gli amici come sempre desiderai.
BOVIO. Lodato sia Il Signor Dio, che ha favorito li communij desiderij, si puote dir di tutta questa nostra Città: la quale vi ama, stima,& honora sopra,& oltra tutti li Gentil'huomini della patria nostra: il che si vede pur chiaro nelle infermità, che vi sopraprese in Venetia: quando che tutti li Monasterij de' Frati, di Monache, tutti li Sacerdoti,& tutti di tutte le età pregavano a garra sua Divina maestà per la salute vostra,& quanti s'incontravano per la Città s'addimandavano l'uno all'altro, che nova havemo del Sig. Curio, tal che pareva, che non ci fosse altro nel mondo, che tanto ci pesasse quanto la salute vostra: mà sedemo,& ragioneremo più adaggio.
CURIO. Sediamo, ma che ragionamenti sono questi vostri con questo Dottore, che mi par pure di haverlo veduto in Venetia in Casa del Clarissimo,& Illustrissimo Sig. Giacomo Soranzo?
FILO. Io son Servitore di sua Sig. Clarissima & di Vostra Signoria insieme quando quella si degnarà commandarmi.
CURIO. Io ringratio Vostra Eccellenza delle sue offerte,& voglio che mi siate amico,& fratello, offerendovimi alla pariglia: però non son venuto per esturbarvi, et desidero non incommodar li ragionamenti vostri.
BOVIO. Questo Dottore è Medico,& era venuto a trovarmi per ragionar meco delle ingnoranze,& scelerità di molti Medici nostri moderni,& però con vostra buona grazia io seguirò il mio ragionamento, il quale sò, che non vi spiacerà poi, che è conforme al nostro Flagello de' Medici, che pure voi & io trattassimo insieme altre volte.
CURIO. Altra ventura è stata hoggi la mia, però seguite di gratia, che dirò pur ancor qualche cosetta.
BOVIO. Eravamo sopra il trar sangue, et dietar gl'infermi però seguendo dico, che il lasciar sangue corrotto nelle vene, et sottrar il cibo a poveri patienti con diete, li conduce à morte: mà il sottrarre le corruttioni per orina, per secesso, per sangue, per vomito, et per sudore, et nutrirli tra tanto con cibi, et potioni ragionevoli fà, che gl'infermi sanano, quando che il Medico reale, e fedele non sia, salvo che un saggio ministro della natura, a cui egli serva come instromento per sottrarne le corruttioni, et somministrarsi cose ragionevoli a fomentarla, et nutrirla. Così dico io, et così faccio, et dico, et faccio bene, et chi altramente dice, od'opera è od'ignorante,ò maligno, come ne conosco io tanti, i quali hanno fatto tra loro setta, et monopolio, et dicono male di me, perche io non voglio adherire, et consentire alle loro od'ignoranzie, ò barrarie sceleratissime.
CURIO. Vi dirò io come passa il negotio; che per esser'io fuori di passione, et fuori di quest'Arte la sò, et intendo molto bene. Hanno questi nemici di Dio convenuto tra se di assediare li poveri infermi con sete, et fame, prorogando, et tirando in longo le infermità, a fine solo di spelargli le borse, et arricchir se, et suoi delle altrui calamità, et miserie, et tra tanto ogni giorno li vanno devorando, finalmente dicono il male è tanto contumace, ch'io desiderarei, che si chiamasse un poco di collegio ad altri Medici per non lasciar perir quest'huomo per mia colpa ò difetto. I parenti, et amici, che non intendono, et non sanno altro, gli dicono: Vostra Eccellenza ordina, et commanda, che li pare più al proposito, il ladrone, che ha li suoi suoi colleghi ordinati dice: a me parrebbe, che si chiamasse l'Eccellente tale, et tale: così sono invitati al funerale, ove condotti, gli dipinge l'infermità, ch'egli in vero non hà conosciuta, ma la collera, ch'è stata, et è così, et così le loro Eccellenze approbano il detto del suo collega ben'intendente, et egli aggiongono qualche cianciarella per parer pure, che il collegio non sia chiamato frustatoriamente: vengono finalmente alli remedij, laudando ciò, che la sua Eccellenza hà fatto, et operato, mà che l'oppressione de gli humori era troppo gagliarda, et li medicami non ponno tanto; finalmente si aggionge alle medicine usate due foglie di boragine, et due radici di petrosellino, et passa cantando. Gli danno il suo scudo per uno, e vi si fà restare per collega l'uno,ò dui delli suoi fedeli, e perche il mal'è ingravato molto, si accresce lo stipendio, chiama il Prete, et provedi alle candel, et manda per dar'ordine al mortorio, che il povero sciagurato, poi che l'hanno spellato, spogliato, et svaligiato, lo mandano alla sepoltura. In fatto questi ribaldi non hanno altra mira, ò pensiero, che arrichirsi delle altrui calamità, et miserie, et perche voi non volete convenirvi con loro, quando si trovano nelle camare, et occorra ragionar della persona, et dottrina vostra, v'acconciano per le Feste, et v'espediscono per cieco, et balordo, et che voi non havete studiato Medicina, et foste sempre discorde da tutti gli altri letterati, et scientifici, nè però hanno risposo al vostro Melampigo, ove gli havete chiarito le partite, in modo, che sendo amutiti dalle ragioni, et auttorità dedotte da voi, mettono li ragionamenti in una Padoana, come gli posero ancora tutti gli Astrologi, che havevano trattato della Cometa, che a gli anni passati apparve nunciatrice della morte di quei Re nell'Africa, che havendogli voi scritto contro rimasero rane Serifie,& le scritture vostre rimasero con riputatione vostra honorate. Sendo corrisposo quello, che ne seguì conforme alle predittioni vostre mà certo grande infortunio è questo vostro, che come il Mondo,& la Città nostra vi reputi huomo di sapere, intelligenza,& bontà singulare, nella pugna che havete continua con questi Medici, non vi creda più che si facessero Troiani à Cassandra, ò gli Heberei alli suoi Propheti,& al nostro Redentore, lo quale pro bonis operibus conficcorono in Croce;& pure in consiglio nella pugna, che haveste con questi Medici con universale applauso haveste tutti li voti a voce viva a favor vostro. Hora dunque con questi collegi, così condotti da loro si mettono ogn'anno sicuri quattro,& cinquecento scudi nella borsa, oltre quelli che ogni giorno se gli danno perche ci medichino,& essi all'incontro ci assassinano. Impiccarono li Farinelli, che non uccidevano alcuno,& solo si contentavano torre li danari alli viandanti. & questi, che ti tolgono la borsa,& la vita sotto ombra di medicarsi,& trarci di pene, si honorano,& riveriscono. Che ve ne pare Signor Bovio mio carissimo.
BOVIO. S'io havessi l'auttorità equale al buon volere, molti di loro darebbono essempio,& sarebbono specchio à gli altri, mà non potendo quello che vorrei, mi taccio con la lingua, mà sgrido con il buon volere. Mà seguendo il ragionamento nostro di queste diete, che questi ribelli di Dio c'impongono di panatella,& acqua cotta, dico che il suo Arnaldo di Villanova nella cura della febre quotidiana, nella quale essi così ci trattano, dice queste formali parole: Non nimis tenuis dieta, iuniugantur, carnes, pullinas,& minorum avium, perdicum, turdorum, fasianorum,& huiusmodi similia comedat,& ollera vinum odoriferum,& clarum cum aqua decoctionis, radicis feniculi,& seminum eius bibant,& c.. Parvi Eccellentissimo Signor Filologo,& voi Signor Curio mio osservandissimo che questa sia la vita,& ordine, che danno questi nostri carnefici,& ordinano alli suoi infermi? panatella nell'acqua senza sale, & acqua cotta?
CURIO. Vede Iddio benedetto queste sceleratezze,& le comporta forse per li nostri peccati, ò per altri suoi giudicij occulti a noi, alli quali il mio basso intelletto non pertinge, come comport,ò che Giuda traditore vendesse il Redentor nostro Christo, però le percosse poi due morti, una di diperation della sua clemenza,& misericordia, che s'impicò da se per la gola,& la seconda, che ne cacciò la mal nata anima nelle fauci di Lucifero, nell'ultimo centro del baratro infernale: così relegarà la divina giustitia le dannate anime di questi Alessandrei manigoldi,& Atheisti d'intorno a Giuda,& Lucifero, che s'hanno preso per mercantia la salute,& vita di chi fida in loro,& gli dà premio acciò li salvino,& essi li uccidono,& assassinano. Io hò molti essempij innanzi à gli occhi,, mà quello di mio fratello il Sig. Francesco mi trafigge il cuore, il quale voi volevate salvare,& havereste salvato, come poi si vide doppo la morte sua,& essi lo uccisero, mà perche eravate solo,& essi sei, credessimo ad essi, che l'uccisero,& non volessimo prestar fede a voi, che l'havereste salvato.
BOVIO. Quantunque la morte sua per molti,& molti rispetti mi fosse di gravissimo dolore, però hebbi questa consolatione, che vedeste, che il mio era stato sano consiglio,& la morte sua fù fuori di ogni mia colpa,& essi furono li carnefici. Ma così forse era determinato dalla Divina dispositione: mà comunque si fosse, quei Medici non vacarono di colpa, quando che vedendo,ch'egli si doleva, che il suo male fosse sotto il petto,& le mammelle, essi gli attaccarono le mignate al culo, dicendo di voler divertire,ò tirar a basso li humori, non sò se questa sia la strada, mà ragioniamo d'altro, che alle cose fatte non si puote dar'altro rimedio.
CURIO. Certo Signor Bovio io ero fuori di me, poi che non seppi risolvermi per voi, & parer vostro.
BOVIO. Troppo lo vidi, che le lachrime,& li singulti me ne rendevano testimonio.
FILO. Veramente questi Medici sono in tutto;& per affatto privi di carità, poi che trattano così male li suoi infermi, i quali si commettono alla cura,& governo loro mà all'incontro ci sono de gli infermi ancora privi di discrettione: però che ne provo io molti, che vorrebbono esser medicati,& mal riconoscer le spese,& fatiche fatte da noi altri ne gli studi.
BOVIO. Io non sò ciò, che vi habbiate fatto voi, ò gli altri, questo sò bene ch'io ho speso più di tre milla scudi della mia borsa ad imparar quello ch'io sò,& ho scorso,& peragrato più di quattro cento Città,& varcato valle, monti, e fiumi tanti per trovar'huomini periti in varie professioni, & conoscer piante, animali,& minerali,& vigilato più di due milla notti per osservar motti de Cieli, de Stelle, e pianeti,& concentrar gli influssi loro, sì in questo basso globo habitato da noi, come nelli nostri corpi, con non picciole alterationi de gli animi, di chi si lascia in preda alle sensualità,& appetiti suoi. Vero è che dalla intelligenza di queste cose, io ne prendo consolatione grandissima, per nutrimento dell'animo mio: mà il convenirmi poi star di continuo in perpetua agitatione di mente,& di corpo per altri meritarebbe, pure che ancor quelli per causa de' quali io vigilo, discorro,& soccorro dovessero riconoscer parte delle spese,& studij miei. Mà certo io non sò come facciate voi. Trovo veramente poca gratitudine tra le genti,& se non fosse la speranza, ch'io tengo in Dio largo rimuneratore dell'opere nostre, io metterei molte volte la carità in un cantone, e me la passerei con maggior riposo, sì del corpo, come dell'animo mio: Mà avvicinandomi hoggimai al termine finale, per corso di Natura, nè questo poco, che mi avanza di vita, debbo, ò voglio impoltronire, poi che egli è scritto; Non qui inceperit, sed qui perseveraverit usque in finem salvus hic erit. Tutti gli Astrologi di tutte le sette,& nattioni, ch'io ho letto, Latini, Greci, Hebrei, Caldei, Arabi,& Mori,& tutti li Sacri Theologi,& Dottori nostri Ecclesiastici unanimi,& concordi, che hanno lume di Astrologia direbbono, che questa mia mala fortuna proviene proviene come da cause seconde, da Giove retrogado Signore del mio Ascendente, & della quarta casa del Cielo nella mia genitura, moderatore della parte della Fortuna,& da Saturno retrogrado pure Signore della seconda, a cui essi essi ascrivano gli acquisti,& guadagni, mà io, che son'io, che mi credo penetrar meglio questi negotij de gli altri dico,& assevero, che detta mia Fortuna è disposta così da Zafchiele,& Zadchiele moderatori di quelle sfere, lumi,& fuochi celesti ministri della Divina dispositione, si che quei Giovi,& Saturni,& parte di Fortuna, non sono altro che instromenti di quelle Sacre intelligenze ministre della Divina volontà, & questi Giovi, Saturni,& parte di Fortuna, con l'altre stelle fisse,& mobili servono a me come caratteri, ò lettere, per congietturare quale sia il Divin volere.
FILO. Voi dunque non chiamate questi pianeti,& Stelle celeste, seconde cause come mi par che chiamino questi professori di Astrologia?
BOVIO. Se tutti li professori di Astrologia havessero conosciuto,& descritto nelli libri,& trattati loro questo negotio, come par a me d'intenderlo,& conoscerlo non sarebbe questione tra detti Astrologi,& certi professori, ma non possessori di Theologia quando che S. Tomaso, Agostino, Bonaventura, Antonino, & gli altri, che l'hanno ben'intesa, non discordino da detti Astrologi, mà havendo io trattato questa materia più diffusamente altrove, e non sendo di vostra professione, non istarò à farvene longo discorso, ma ve ne dirò cento parole così alla sfilata per darvene alcun ragguaglio,& del resto me ne rapportarò a quanto ne ho scritto altrove,& voi per aventura mediante qualche fatica, che in ciò potrete porre, potrete ancor meglio chiarirvene,& rendervene più capace con questi fondamenti, ch'io vi discorrerò hora così alla grossa. Dico dunque, che quella prima causa di tutte le cause, quella essenza di cui tutte l'altre essenze dependono,& sono detta da noi Dio, Padre,& Buono (che così lo chiamano quegli huomini, che come huomini hanno inteso più che gli altri huomini) quando creò,& formò tutta questa machina dal centro alla circonferenza divisa in varie sfere, orbi giri. Creò parimente li Rettori, e Moderatori di queste sfere, orbi, & giri, & glieli diede in governo con norme, e leggi inviolabili, le quali essi invilabilmente servano. Mà perche à rarissimi hà concesso,& fatto gratia il sommo Moderator dell'universo della universale cognitione delle scienze,& discipline; rarissimi sono stati ancora i cognitori di questo negotio,& però gran romori sempre, fiere battaglie, e gravissimi conflitti sono stati tra Filosofi, Astrologi,& Theologi, Latini, Greci, Hebrei, Caldei, Indi, Arabi, & Mori circa il numero delle sfere Celesti, sì per diffinir quante veramente siano, sì per se, come per sapere il numero delle Intelligenze motrici, le quali io non istarò a riferir per voler parere di haverle lette,& essaminate,mà venendo a meza spada dico, & contendo che havendo descritto,& determinato li Sacri Theologi nostri Christiani approbati dalli Sacri Concilij, retti dallo Spirito Santo, che nove sono li Chori Celesti,& uno Iddio trino in persona,& uno in essenza, nove sono li Orbi retti,& governati da questi nove Chori Angelici,& nel decimo ch'è l'Empireo stassi quell'ineffabile Trino in unità,& uno in Trinità, che i Cabalisti Hebrei chiamano Ensof,& noi Latini chiameremo infinito. Mà torniamo alle nostre sfere,& intelligenze moderatrici, le quali concludemo, che sono nove,poi che li chori Angelici sono nove, due delle quali reggono una il primo mobile,& è detta per nome rispetto all'officio suo Mitatron da Caldei, da Greci Pantomorfon, di cui (per non intender bene il negotio) Apuleio, Marsilo Ficino,& altri di maggior nome, ch'io taccio per riverenza male parlarono,& nulla intesero in somma, è quello detto da noi Latini Princeps facierum, à cui tutti gli altri inferiori diferiscono,& è quello che piglia l'homaggio da tutti,& lo distribuisce poi secondo l'ordine Divino in questa bmachina inferiore,& è principe de' Serafini.
L'altro che segue per ordine è Orsaniele, di cui io non hò nome latino significante la potenza,& officio suo, se però a me stesse ilo formarne uno lo chiamarei Volifer, che potrebbe dirsi uno che portasse con le man gionte insieme in modo di scutella slcuna cosa, come facemo quando non havendo noi vase, pigliamo con le man gionte l'acqua,& vi bevemo dentro,ò come quel buon contandino l'offerimo ad altro, che gli bea,& questo è che con le mani gionte porta la machina mondiale,& questo Angelo, od'intelligenze è il Prencipe de' Cherubini, moderatore del Cielo stellato, il quale con suoi ministri cura, modera,& governa per ordine del suo Creatore, quella bellissima sfera ornata di tanti,& così vaghi lumi Celesti, dette da noi stelle,& è Vicario, e coadiutore di Mitraton predetto.
Sono poi sette altre intelligenze presidenti alli sette Orbi Planetarij, de' quali la prima detta Zafchiele prencipe de' Troni regge gli Orbi,& corpo di quel fuoco,ò lume, che noi chiamiamo Saturno, & in nostro linguaggio Italiano significa contemplatione,& però gli Astrologi dicono, che gli huomini di natura Saturnia, a' quali esso Saturno domina, sono per lo più gente Eremitica,& dediti alla contemplatione delle cose celesti, ma per il vero nè Saturno, nè alcuno de gli altri pianeti, ò lumi superiori, sono nostri dominatori, mà bene con il lume, moto,& positura loro influiscono nelli corpi nostri certa qualità di humori, dà quali poi li spiriti nostri ricevono alcune alterationi, od'inclinationi più ad uno che ad un'altro studio, od'arte,& però quel vostro disse:Actiones animi plerumque sequuntur temperaturam corporis. Non disse però: ex necessitate neque semper, ma plerumque, perche havemo il nostro libero volere. & il nostro San Tomaso nel terzo contra Gentiles, al cap. 24 servendosi della dottrina di Tolomeo dice: Cum Mercurius in nativitate alicuius fuerit in aliqua domorum Saturni,& ipse fortis inesse suo dat bonitate intelligentia mea ullitus[?] in rebus.
Segue doppo Saturno,& Zafchiele, Zadchiele moderator dell'Orbe di Giove, il cui nome significa giustitia,& però esso inclina gli suoi ad amministrar giustitia,& dar legge,& ammaestrar gli altri a ben operare, & vivere, come Sacerdoti, e iusperiti. Et questo è presidente alle Dominationi. Segue dopoi Camaele rettore dell'Orbe,& lume di Marte,& significa desiderio di dominare,& punir li delinquenti,& tale è il suo influsso,& è capo delle virtù. Segue per ordine Rafaele presidente al lume,& Orbi solari, capo & presidente delle Podestà,& significa medicina di Dio,& fù quello che discese per spetialissimo dono del grande Iddio alla liberatione della cecità di Thobia padre, guida di Thobia figliuolo,& liberator della casa di Raguele, il quale nel partirsi da loro gli disse: Ego sum Raphael unus ex septem qui astamus ante Dominum. Et questo trovandosi nell'ascendente di alcuno, quando esce dal ventre materno, dona bella, & honorata presenza,& animo veramente regale. A questo segue Haniele, che significa ossecratione, infonde ne gli animi de commessi sotto la sua protettione animi,& pensieri pij,& amorosi, con faccia modesta,& gratiosa regge l'Orbe di Venere, è capo,& prencipe de' Principati. Ne viene poi Michele Prencipe grande, Capo de gli Arcangeli,& significa fortezza di Dio,& fù quello, che si constituì Prencipe della militia Celeste contro Lucifero,& suoi seguaci,& questo dona desterità d'ingegno,& acume nel penetrar i profondi misterij delle attioni humane, et regge il corpo, et Orbi di Mercurio. Ultimamente segue Gabriele Nuntio del grande Iddio alla gratiosissima Madre del Redentor nostro: et moderatore de gli Orbi, et corpo Lunare, infonde ne gli animi de' suoi mutabilità, et alteratione continua nelli cuori, et pensieri di chi è sotto la cura,& governo suo.& è Capo , & Prencipe degli Angeli. Oltre questi Angeli, e ministri,& moderatori di questi Orbi ci sono dodeci portieri Celesti, e trentasei decani, et altri minori, et dipendenti da questi, i quali tutti intenti a gli uffici loro con perpetua vigilanza adempiscono le a loro commesse cure. Mà perche gli Astrologi communi non hanno havuto occhi spirituali atti a veder questi spiriti, mà si bene gli corporali atti alla visione de' lumi, et corpi Celesti, si sono abusati molti di loro nel credere, che quei lumi, et corpi siano seconde cause doppo Dio, che influiscano in questo nostro mondo inferiore et gli chiamarono Dei, mà Dei secondarij però, e dependenti dal grando, ineffabile, incomprehensibile Iddio architetto dell'universo.
FILO. S'io non offendo l'animo vostro, et non vi grava, di gratia chiaritemi meglio queste intelligenze moderatrici, et onde è, che non le havendo molti Astrologi conosciute, et se le hanno conosciute non ne hanno favellato, mà puramente credendo, che quelli Saturni, Giovi, Marti, et altri Pianeti erranti, Stelle fisse, che voi chiamate carboni Celesti, siano seconde cause, et voi chiamate instromenti delle seconde cause, vi habbino posto amori, et odij tra se?
BOVIO. Caro Signor Filologo non mi fate hora entrare in questo Oceano, ch'io non ne uscirei in cento giorni, et voi sete hora mal'atto a navigarvi entro,, però vi piacerà come à scolar Pitagorico per hora acquetar l'animo, et credermi senza l'indagarne altre ragioni. Basti a voi di saper che le intelligenze siano Angeli immortali per gratia, et per natura a parte post così creati, et formati dal grande Iddio in suo ministerio, et che essi come fedeli ministri essequiscono gli officij dimandatigli, et commessigli senza il cercarne più oltre il perche nella voglia sua, poiche Lucifero, et suoi seguaci vi dimostrino, che per voler passare li suoi prescritti termini, furono relegati nel profondo del baratro infernale, et quelli che furono ubidienti, et non passarono li confini con quell'altier, et superbo furono confermati in gratia, et contenti delli suoi charismati in essi si godono perpetua pace d'intelletto, et tranquillità di monte. Et se le attioni od'operationi di questi, e quelli sono parute contrarie a certi Astrologi, et Poeti, et hanno finto guerre tra loro, siate certo, che altro dicono, et altro intendono. Et noi lo vedemo chiaro nell'ordine di natura, che per il freddo, et caldo si fà la corrutione, et senza questa non sarebbe la generatione, et il fine delle guerre è la pace, il fine della pace il principio della guerra, et però Lucretio Poeta impio, il quale par che neghi la providenza Divina, proruppe però in questi versi tratto dalla forza della Verità; il quale voltosi a Venere gli dice:
Non tu sola potes tranquilla pace iuvare
Mortales, quoniam belli fera munera Mavors
Armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se
Reicit aeterno devinctus vulnere amoris,
Atque ita suspiciens tereti cervice reposta
Pascit amore avidos inhians in te Dea visus
Eque tuo pendet resupini spiritus ore
Crederestevi voi mai, che Lucretio gran Filosofo, et Peta fosse stato così grosso, et hebete d'ingegno, et d'intelligenza, che havesse pensato, che Marte, et Venere fossero veramente Dei, et l'uno regesse le cose Martiali, et l'altra le pacifice, et fossero innamorati l'uno dell'altra, come noi huomini mortali, si che Marte drudo per amor di Venere amasia havesse deposto i pensieri militari per lei? altro suonano le parole, altro è il significato. Quando Daniele Profeta, et gran servo di Dio pregò con digiuno grande sua Divina maestà, per saper ciò che fosse per esser del suo popolo Giudaico, non vedete voi, che l'Angelo venuto il vigesimo quarto giorno gli disse, che non haveva potuto venir prima per il contrasto, che gli haveva fatto l'Angelo Prencipe de' Persi? il che tutto vi dimostra che gli Angeli sono constituiti da Iddio al governo, si che gli Orbi, et sfere Celesti, sì al regimento generale, et particolare di noi altri mortali. Et essi ben vedono gli animi, et pensieri, l'uno dell'altro, mà in Dio sommo vedono prescrittamente, se non quanto ad ogn'uno di essi è concesso, et però ogn'uno in particolare essequisse quanto da esso Iddio gli è imposto, et ordinato. Laonde quel gran Poeta Dante originario Fiorentino per stanza nostro Veronese, però che egli habitò et scrisse il suo immortal poema nella torre del Capitano là in alto sopra la piazza de' Signori con alta voce indicò:
State contente humane genti al quia;
Che se l'huom potea ben veder'il tutto,
Uopo non era partorir Maria.
Queste Intelligenze Celesti moderatrici, dunque dette da noi Catholici Christiani Angeli, et da Poeti, et Filosofi Dei secundarij dignatione non re, sono quelli, che per ordine del suo creatore, et dispositore Iddio sommo independente, regono quegli Orbi, et governano queelle stesse, lumi, et fuochi Celesti, et mediante il moto, lume, et positura loro operano in questo basso globo sublunare quello, come e quanto voi vedete: gli corpi nostri dunque come piccioli Mondi, sono agitati, mossi, et alterati da loro; mà gli animi nostri, quantunque per la colligatione, che hanno del più,& meno, con questi elementi, uno più che l'altro, quantunque siano inclinati più ad uno humore, che all'altro, non per tanto sono artati, ò constretti, però restamo liberi,& di nostra volontà,& potestà. Et questa è la somma di tutte le dottrine,& essertioni di tutti gli Astrologi, Filosofi, Poeti, & Theologi di tutte le sette,& nationi. Di questo negotio ne ho io trattato con più longo discorse altrove, come si vederà a suoi tempi,& luochi. Con questi ordini procedo io,& con questi sono processi quelli, che hanno ben'intese le dottrine delli saggi,& intendenti.
FILO. Io mi acqueto di credere,& credo veramente, che questi Angeli, od'intelligenze superiori regino,& governino questa machina mondiale, come mi havete discorso, mà mi turba l'animo vedere, che li giudicij annuali delli professori di queste arti non corrispondino alle predittioni loro.
BOVIO. Io l'anno passato osservai con gli occhi,& instrumenti alcune congiuntioni descritte da gli Astronomi,& le trovai conforme alle scritture loro. Dopoi per un'anno intero non ne ho trovato una sola corrispondente alle loro assertioni, però se gli Astrologi hanno detto, ò diranno cosa alcuna nel giudicar natività, od.altro fondandosi sopra di questi loro libri riusciranno mendaci,& bugiardi. Però che sopra, di falsi fondamenti non si puote stabilir cosa vera. La scienza dunque per se è vera, mà molte volte il professore d'abusa,& inganna. Sono ben quaranta anni, ch'io con gl'instrumenti in mano mi son'avveduto di questi errori, mà la gran spesa ne gli instrumenti,& aiutanti per ripararvi mi hà tolto il poter di porvi la mano.
CURIO. Voi dite, che li corpi sono sottoposti al governo di queste intelligenze,& gli animi sono liberi, di gratia chiaritemi un poco questo negotio.
BOVIO. Li corpi nostri come composti di questi elementi, nelle quali le intelligenze operano con il moto, lume, positura corporale,& intersecationi de' raggi di quei Carboni Celesti, per ordine Divino fanno le loro operatione secondo la subicente materia elementare,& gli animi, che sono in questi corpicelli ne sentono alcune alterationi: però Iddio benedetto ci hà donato legge, ordine,& statuti. E noi si aspetta di mandargli ad esequutione. Non ci hà gravato il formator nostro sopra le forze nostre. Conviene, che noi ancora ci mettiamo del nostro, se vogliamo ilschifar, fuggir,& declinar Celesti influssi. Quello, che depende da me è in mio potere, quello che dall'altrui mano è diverso: verbi gratia io mi sento l'animo inclinato a furti, ad adulterij, ad homicidij, da questi posso temperarmi con il mio libero volere. Et poi, ch'io sono creatura fatta da Dio, il quale ci hà detto, che. Misericordia Domini preveniet me,& sento la sinderesi nell'animo mio, ch'è questa Divina misericordia, che mi perviene, debbo pregar sua Divina maestà,& l'Angelo mio, che mi custodiscano dalla offesa delle sue Sante leggi. Et così: Misericordia Domini subsequetur me. & me ne liberarà, mediante il favore,& aiuto Celeste. Mà se dandomi in preda a gli appetiti,& lasciandomi subagitar,& pessundar dalli cattivi spiriti, commetterò cosa contro le divine leggi, mia ne sarà la colpa. Et questo è quanto a gli animi. Quanto alli corpi poi, io in me stesso ho preveduto molte volte molti pericoli, che mi sovrastavano per causa d'infermità,& ho preveduto parimente li carboni Celesti, che me le apportavano, però con ordinar la vita, le attioni,& operationi mie alcune ne hò schiffato, si però che ne hò sentito una certa aura leggerissima. Altre, secondo che mi son passate con minor custodia, mi hanno gravato più, mà certo io gli hò passati con minor travaglio, che quelle che non hò provedute, ò non proveduto: Quelli casi mò o fortune, che dependono dall'altrui volere, come litigij, prigionie, ferite, od'assalti per uccidermi non hò potuto farvi altro, che mettermi su le diffese, ò vestirmi di patienza. Mà di gratia passamo ad altri ragionamenti. Questo vi resti per massima, la quale servate per sempre, che ove mi occorra parlar delle operationi nostre come Astrologo dico che: Solus Deus directe ad electionem hominis operatur, Actio autem Angeli per modum persuadentis, Actio vero corporis Celestis per modum disponentis. Et con questi suppositi io intendo tutti li termini Astrlogici,& così l'hanno intesa tutti i Filosofi, Poeti, Astrologi,& Theologi bene intendenti di tutte le sette,& nationi. Mà tornando alla potenza, che voi mi havete detto,& io vi hò risposo, sua assoluta non lo hà concesso ad alcuno,& così s'intenda quel Testo: Quae pater posuit in sua potestate. Così fanno ancora li Prencipi di questo Mondo, che danno a' suoi Vicarij,& Luogotenenti governi di Stati, Provincie, Città,& Castella con ordini prescritti,& essi si servono poter alterar a sua voglia ogni loro ordinatione,& commissione mà acciò crediate, che così habbino creduto,& conosciuto gli Antichi Pagani sentite Mercurio Trismegisto capo, principe,& guida delle dottrine loro, che vi dice: Omnis anima velata carnis umbraculo ad Deorum Coelestium discursum suscipiendum, ad opera Dei, ad naturae progressus, ad bonorum signa, ad potestatis Divinae cognitionem portio quaedam tributa est.
Et non dice conoscer'il tutto, mà certa portione posta nell'ordine di natura da sua Divina Maestà,& questa è mediante la scienza dell'Astrologia con la cognitione del motto de Cieli superiori, nelli quali è posto l'ordine di natura retto,& governato sempre da detti Angeli suoi ministri. Che gli Hebrei habbino conosciuto Iddio solo Creator dell'universo, architetto,& moderator non lo starò a dedurre, ò provare, quando, che noi Christiani havemo la dottrina da loro, nè tampoco vi dirò, che habbino conosciuto le intelligenze,& sostanze Angeliche, poiche essi ce lo habbino insegnato,& ci siano stati li maestri.
Mà vi dirò,& citarò alcuni pochi testiminij di Mercurio Trismegisto, capo,& precipe delle dottrine de' Pagani, a cui Platone,& Pitagora,& gli altri intelligenti riferiscano li dogmi loro,& questo Mercurio secondo il parer mio fù prima di Abraamo, sendo ch'egli fù Rè di Egitto, & diede le leggi alli Egittij prima delli faraoni, i quali faraoni regnanti Abraam prima,& poi Iacob nepote suo con la sua famiglia entrorono nell'Egitto,& vi dimorarono per ducento,& quaranta anni, di onde poi gli descendenti da questi ne uscirono guidati da Mosè per ordine,& commandamento di Dio, il quale Mosè erat imbutus omni doctrina Aegyptiorum. Sparsavi,& descrittavi,& intagliatavi da Mercurio, il quale nel suo Pimandro dice così: Universum mundum hunc verbo non manibus fabrica unus est summus rerum Opifex, ipse vero sic cogita illum praesentem, sempre agentem omnia, Deum unicum voluntate sua cuncta constituentem, & altrove: Gloria omnium Deus, divinum Divina natura principium universorum, Deus, meus, natura, actus, necessitas, finis,& renovatio. Ove parla poi de gli Angeli ministri della sua Divina volontà dice: reliqui Dij cuncti immortales, honorati nomine Dei, Deus autem bonum, non secundum honorationem, sed ipsa sui natura. Dice poi di questi Angeli ministri detti Dei honoratione:Quisque Deorum ex interna virtute ascriptum sibi opus explevit, del qual opus asriptum dice altrove, septem deinceps fabricavit gubernatores, qui circulis suis mundum hunc sensibilem circumplectuntur, & eorum dispositio Fatum vocatur.
Questo Fatum è correlativo con la necessità,& ordine, delli quali tre altrove dice: Fatum, necessitas, ordo, Dei nutu sunt effecta, qui mundum gubernant sua lege,& ratione Divina; la qual legge,& ragione Divina sono poste nelle mani di questi Angeli, od'inttelligenze Celesti, delle quali ne è capo, come di già vi hò detto innanzi, Pantomorfon rettore del primo mobile, detto per altri nomi Omniformis, Mitraton, Princeps facierum. Di cui dice Usiarthis, vel Princeps defixorum syderum, quem Pantomorphon, vel omniformem, vocant, qui diversis speciebus diversas formas facit. Mà perche voglio, che mettiamo fine hormai a questo ragionamento de Dio, de Dei,& delle loro cure,& governi, sentite quest'altro, hinno, il quale è di Mercurio,$ vederete se egli, ò suoi seguaci credderono Multiplicità de' Dei, ò che li celesti influssi si facessero forza. Omnibus animi viribus patri Deo gratias ago. Sanctus Deus cuius voluntas a proprijs potestatibus adimpletur. Et questa potestà sono le intelligenze, o Dei secondarij, che noi chiamiamo Angeli, Sanctus Deus qui sui familiaribus innotescit, Sanctus es, qui verbo cuncta constituisti, Sanctus es, cuius imago est omnis natura, Sanctus es, quem numquam natura creavit, Sanctus es omni potestate validior, Sanctus es omni excellentia maior, Sanctus es omni laude melior, excipe verborum, sacrificia sancta ab anima,& corde debito tibi manantia, ineffabilis, solo silentio praedicandus ab eo, qui fallacias verae cognitioni contrarias declinavit, anne corrobora me, atque huius gratia versantur cognatione mihi quidem fratres, tibi autem filij, etenim tibi fidem praesto, testimonium de te perhibeo, in vitam, ac lumen assurgo, ipse Pater es venerandus, homo autem tuus sanctitate unà tecum potiri desiderat, cum potestatem illi omnium, arbitriumque concesseris.
Bene, Signori miei amorevolissimi par egli a voi, che questo Prencipe,& capo, duce,& maestro de i Filosofi Pagani, credi la moltitudine de gli Dei, od'astringa l'huomo alle constitutioni delle Stelle? Havete avvertito a queste ultime sue parole? Cum potestatem illi omnium arbitriumque concesseris. S'io vi volessi discorrer per questa amplissima campagna della cognitione,& lume di queste dottrine, non credo, che mi bastasse un'Anno di tempo, quando che la molta bontà del mio Creatore in queste cognitioni sia stato meco liberalissimo,& queste poche, che vi ho detto le ho scorse così alla sfilata, acciò venghi ancora a voi pensiero,& desiderio d'imparare Astrologia, sì per farvi capace delle opere di Dio, & consolatione de gli animi vostri, come accioche mediante la cognitione de i lumi, de i moti,& influssi Celesti, voi Signor Filologo, ve ne serviate nel curar i vostri infermi, perciò, che sendo agitati questi nostri corpi da loro, ista bene regere,& governare, quelli che si sottopongono alle cure vostre con queste cognitioni, delle quali Hippocrate, Galeno, Aetio, Paolo, Egineta, & tanti altri ve ne hanno scritte le dottrine. Et il vostro Cossone, de Modo medendi cap. 12, vi dice queste formali parole: Secundum tempora diei,& noctis consideratio haberi debet, cum enim quatuor,& vignti horae diei,& noctis sint, unusquisque humorum dominatur sex horis. Sanguis enim dominatur ab hora noctis nona, usque ad tretiam horam diei, colera ab hora tertia diei usque ad horam nonam diei, melancolia verò ab hora nona diei, usque ad horam tertiam noctis, flegmà verò a teria hora noctis usque ad horam nonam noctis. Quare ratio habenda est horarum,& dierum secundum Lunae cursum.
FILO. Io ho letto in Cossone quello, che mi havete recitato,& mi havete posto un desiderio ardente di voler ancor io essercitarmi per imparar Astrologia, poiche da questo discorso vostro non vedo che più possi nascer difficultà tra Astrologi,& Theologi,& caminando per questa strada battuta da voi non vi si posi più trovar inciampo, mà certo non ho sentito in vita mia più trattar questo negotio nel modo, che mi havete discorso voi. Et hora che mi trovo pago di questo ragionamento desidero saper da voi, se haveste già un Mese una mia littera, nella quale desiderava d'intender da voi una frotta di cose d'intorno l'arte nostra del medicare; perche non ne ho mai havuta risposta.
BOVIO: Io ho havuto molte vostre lettere molte volte, come dite di molti,& varij quesiti, che mi havete fatti, ma sarebbe ella mai questa?
FILO. Legiamola.
Molto Magnifico
& Eccellente Signor mio
colendissimo
Molto mi piace lo stile e methodo che usa,& le novelle sue medicine, di cui si serve per scacciar'i mali,& per render la sanità perduta a gli desiderosi infermi di recuperarla, mà per dirgli il vero, sentirei sommo contento, se insegnasse per quai segni si possa, da chì seguita la sua dottrina, rettamente venir'in cognitione del luoco affetto,& amalato, secondo quella ragione, che la spinse già tenire strada tale; perche se bene noi altri Medici sappiamo, che la notitia de' luochi affetti da quattro cose haver si può chiaramente, cioè: Ex actione laesa, excretis, doloris proprietate, ex proprijs accidentibus. Tuttavia però non è certo così ad ogn'uno, che la vostra Eccellenza da questi pigli le marche,& veri segni (sendo che non ne fà mentione) quando scaccia quei mali gravissimi, che si sanno homai per tutta Europa: perche mi rendo certo, che non riguardando a questi è di mestiero n'habbi de gli altri occulti, non intesi da noi volgari,& di quì ne cava la ragione, perche se non si conosca se il luoco affetto è da se medesimo, o pure per consenso d'altra cosa ridotto a patire, in che maniera si potrà ritrovare giamai la qualità del rimedio, rimovendosi egli solamente per il suo contrario? Per tanto tal cognitione giudico io molto necessaria.
Oltre questo vorrei che satisfacesti alle genti a quelli massime (che pur ve ne sono infiniti) che hanno applicato l'animo alla sua dottrina, ragionando de' generi di morbi, che avvenir possono, ò sogliono bene spesso nelli corpi humani,& a fine, che dovendosi pratticare co'l suo methodo, si habbi innanzi agli occhi in guisa di un lucidissimo specchio, in cui ogn'hora vi si possi mirare de' generi, quali non sogliono essere più che trè, intemperie, compositione vitiata,& unità sciolta: intemperie, ò calda, ò fredda, ò secca, od'humida, ò calda & secca, ò fredda & humida: materiale & sanguinea, come flemmone, ò biliosa come erisipila, ò pituitosa, come endema, ò melanconica come scirrho, priva di simptomi de' morbi, che bene spesso accompagnano i mali; vorrei che mi diceste qualche cosa oh Signor Zefiriele mio caro, si cui credo sieno dui soli generi. Universalium, aut functionum noxae, aut effectus corporis nostri. Che hor delle divisioni naturali, od'animali io non ragiono, come meno delle sensibili motrici,& suoi principij, nè ponno toccar voglio delli inditij delle cause tanto necessarie di sapere.
Mà ben sapere desidero, che cosa intende circa le cause de' morbi, poi che queste ci appartengono; che quasi Medico non giudico a cui sien note totalmente. La mi farà dunque cosa gratissima farmene intelligente, secondo la sua dottrina, che quelle di Galeno,& Avicenna assai intendo, le Paracelsice non ci sono oscure,& quelle del mio Sucthem ancor sò benissimo, mi restano le sue sole; il che facendo, come non dubito, che farà, sarà cagione, ch'io un'altra volta con maggiore mia commodità le ricerchi de i segni salutari, ò pur mortali per gli infermi, veggendo tanto li communi ingannarsi. Se il male appo di lui si termina con crisi, o senza, della cognitione della crisi & inditij, che sogliono esser messaggieri alla precognitione della futura crisi,& d'infinite altre mie intentioni, ch'io bramo saper da lei, o se pure con il Paracelso non riguarda a queste cose. Desidero saper circa l'orina ciò ch'ella tenghi,& circa li polsi perche odo, che non vi mira la Vostra Eccellenza cosa che non credo, pure me cavi di dubbio, perche trovo, che nel corpo humano sono quattro humori, sangue, colera, flemma, e melancolia, generati nella vena cava del fegato, nella cui massa si contengono gli quattro humori, quali a punto per similitudine parmi che s'assimigliano al vin novo, quando egli è dentro la botte al quale fannosi varie sostanze per il suo bollire, cioè una vena sottile detta aerea, che sono i fiori, overo la schiuma corrispondente alla colera, l'altra più grossa,& spessa, che hà alquanto del terrestre, assimigliata alla melancolia. L'altra temperata, che hà conformità con il sangue,& così medesimamente si vengono a far tre sostanze di chilo al fegato,& poi un'altra acquea, ch'è il condimento de gli altri humori contenente il nome di flemma, o vogliam dire pituita, quali humori sono reali inditij del temperamento del corpo, secondo, ch'egli è sano poco, o molto, in quell'instante, che si trova:& di quì avviene l'incremento, & diminuitione loro, perche alcuna volta cresce la colera, sminuisce il sangue, s'assottiglia la flemma, s'ingrossa la melancolia, & retrogradansi l'un l'altro spesso,& perciò per l'eccesso loro l'orina si muta di colore,& sostanza, dove che il proprio della calidità è di colorarla, della humidità d'inespessirla, della frigidità discolorarla, della siccità finalmente di attenuarla, per essempio, si come riferiscono i dotti, e dalla quotidiana esperienza ogn'hor si vede, se domina la colera rossa homogenea allhora la urina sarà russa mediocremente tenne.
Mà se ssa colera si corrompe genera il causon,& alcuna volta le terzana,& perciò da detta urina si mostra la rossezza più infiammata,& con lipitudine al tutto tenue. Mà se domina la colera, citrina, la sua urina sarà citrina con sostanza non molto tenue, se si putrefà mò fassi la terzana,& essa orina appar citrina, e russa con sostanza mediocremente tenue. Dominando poi la colera vitellina l'orina apparirà mezza citrina con un poco di spessezza simigliante al color dell'uva;& se si fà terzana del medesimo colore si fà veder accendendosi più di colore con certa spessezza,& così si muta secondo le qualità de gli altri humori, come se il flemma falso domina appar citrina, meza citrina, remessa alquanto spessa: se il dolce flemma genera la febre continua,& mostra il sopradetto colore del salso tinta, mà in sostanza al tutto spessa. Il flemma mò acetosa, ch'è di melancolia misto, fà l'orina pallida, glauca, altre volte lattea biancheggiante mediocremente spessa,& putrefacendo fà la febre continua,& più s'infiamma l'orina di colore. Il flemma vitreo parimente, che per debolezza di sostanza naturale si coagula fà l'orina spessa,& per tutto globosa, mà appressandosi la digestione dell'humore, essa orina si comincia a tenuare,& perciò il segno di qualunque orina della digestione sua sarà la attenuità che mostrarà, e nel cominciamento di qual si voglia morba, si vederà spessezza. L'orina della sanguinaria sostanza procedono è rossa,& spessa, eccetto se il sangue non fosse aquoso,& spesso, con adustione, che in tal caso l'orina sarà rubiconda,& oltre misura spessa,& fà il sinocho. La melancolia naturalmente fà l'orina pallida, verdeggiante,& bianca,& accendendosi genera quartana. Delli polsi mò, che sono secondo li Medici moti dell'anima, e che si mutano alterando,& si sminuiscono secondo la qualità,& mutation de gli humori, ne desidero anco saper da lei qualche cosa, anchor che Avicenna ne ragioni assai: perche io tengo, che non basti toccar solamente il polso de' brazzi,& mani, mà con Theofrasto Todesco, che si debbino toccar'anco quelli de i piedi, del collo, de i fianchi, degli assili,& delle tempie,& per tanto secondo i quattro humori vuol'egli, che il polso habbia quattro virtù, come quì veder si può dal typo levato dal libro De Urinarum iudicijs,& pulsuum examine.
PULSUS QUINQUE VIRTUTES HABE
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TARTARI = GLOBOSUS/GROSSUS = DURUS
MINERAE = CONSTRICTUS/OBSCURUS = SUBTILIS
SANITATIS/MORBI = AEQUALIS = MEDIUS
& HABET DEMONSTRATIONEM = TARTAREM & MINERALEM = EST SIGNUM = TARTARI/MINERAE
ESTRANEORUM EST DUPLEX = CALIDITATIS/FRIGIDITATIS = SECUNDUM ELEMENTUM
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DE ISOLA DALLA SCALA, IL 3. FEBRARO 1589
DI V.S. ECCELLENTISSIMA & MAGNIFICA
SERVITORE AFFETTIONATISSIMO & OBSEQUENTISSIMO
FILOLOGO MEDICO
BOVIO
Questi sono molti capi, dalli quali con breve parole intendo di volermi spedire & prima: Quanto si aspetta alle indicationi, dico ch'io son'huomo come gli altri, & non faccio professione saper più di quello, che sappino quelli che sanno. Ma altro è far professione di sapere, altro è sapere,& però dico non saper più di quelli, che sanno. Però vi significo, che Augenio Ferrerio Tolosano ne ha fatto un bel ritratto il quale è intitolato Augerij Ferreri Tolosatis vera medendi dethodus duobus libris conprehensa. In questi due libri egli pone sedeci indicationi necessarie, se non lo havete compratelo & studiatelo bene, che senza, che date questo travaglio a me voi ne restarete sotisfatto, quindici sono mere medicinali, & l'ultima Astrologica conforme a quanto io ne ho discorso nel mio Melampigo con l'autorità del vostro Hippocrate, del vostro Galeno Gioseffo Strutio,& tanti altri, si che per quanto si aspetta a queste indicationi mi rapporto a quanto egli ne scrive, il libro è stampato in Leone, in qual trattato egli vi chiarisce le partite,& zara à chi tocca. Io certo non vorrei non haver letto quel trattato per mille ducati, per mia consolatione quelli ignoranti, che si vogliono parlar di quei che fanno, e conoscono il bene, e'l male, che ci puote apportar la scienza Astrologica più necessaria alli Medici, che il pane a fanciulli. Le indicationi mie, li miei polsi, orine,& gli altri elementi, ch'io hò in osservatione sono descritte dalli vostri Auttori buoni, & gravi, ch'io hò studiato con diligenza, a questi ho congionto la carità, con la quale io medico gli miei infermi, io hò cura di osservare quegli ordini,& methodi, che sono descritti dalli Auttori vostri, con questa carità tanto raccomandata da Dio,& suoi Santi, prego Iddio che guidi le attioni mie a gloria di sua Divina Maestà. a salute dell'anima mia,& satisfattione di quelli miseri languenti, che mi si danno in mano, acciò io le restauri, fatte voi il medesimo, studiate con diligenza li vostri Dottori,& pregate Iddio, che drizzi la mente,& le attioni vostre conforme a questo zelo di carità,& haverete pronto lo Spiritosanto, che vi dettarà ciò che haverete a fare, l'ingordigia del guadagno fà pericolar la maggior parte de' Medici,& gran numero de' miseri afflitti. Molti di essi per non haver modo di empir bene la gola a questi Mergoni;& parte, che mentre gli pagano bene, & essi si compiaciono nel guadagno, lasciano perir li patienti per la troppa avidità, che hanno di espilargli,& spiumargli più che le oche, che si spelano tre volte l'anno,& quando alla quarta hanno rifatte le piume le uccidono,& tolgono la piuma, la vita, la carne,& l'interiora,& se le mangiano tutte per affatto.
CURIO. Oh Signor Bovio mio dolcissimo egli è forza, ch'io vi bacia. Siate benedetto per tutti i secoli. Voi mi havete dato la vita a dircela come va.
BOVIO. Oh Signor Curio mio amorevolissimo, io resto attonito,& stupefatto della tanta melansagine, transcuragine, ignoranza,& rapacità di questi pazzi, ignoranti,scelerati. & non sò bene, che titoli dargli. Giaceva à questi giorni un'amico mio nel letto, il quale havendo mandato per me, & non trovatomi mandò per un'altro Medico, il quale non nomino, perche non lo voglio scoprire per debiti rispetti. Gli dà una cassia,& se ne voleva passar con li siroppi ordinarij. Io à caso passando di là mosso da buon spirito entro in casa sua,& lo trovo giacer nel letto, gli tocco il polso, discorro la infermità, me dice del Medico,& ordine. L'addimando se è confessato. Mi dice: a qquesta Pasqua passata. Gli replico: il male vostro è mortale,& però date ordine alla Confessione,& Testamento. Egli se ne burla. Mi parto,& incontro il Medico,& gli addimando: perche non havete fatto confessar,& dar'ordine alli casi suoi il vostro parente, il quale io ho visitato,& il suo male è mortale? mi risponde: io ho rispetto, lo riprendo,& lascio andare al suo viaggio. Dapoi riscontro un suo fratello, gli racconto il fatto, mi prega, che ritorni con lui, vi ritorno, descende il Medico,& gli dice: s'egli campa fà cosa, che non credo.
Il buon fratello si pone a pianger dirottamente, si manda per il Confessore,& in somma se gli danni gli Ordini della Chiesa; però non fà Testamento, parendo all'infermo, che il mal sia lieve. Io dico al Medico: dategli una medicina gagliarda, altrimente io correrò all'Anchora sacra del mio Hercule,& glielo darò. L'infermo, & fratello vengono in mia opinione,ò che gli dia la Medicina gagliarda, overo che pigliarà l'Hercule; la onde egli risolve,& fà quanto deve essere di nostra intentione. Il corpo era pletorico, la complessione forte,& la medicina operò cacciando gran quantità di materie d'ogni sorte,& con cibi di notrimento buono si sostenta secondo la voglia mia, tuttavia egli impazzisce, per quattro, o cinque giorni stette fuori di sè,& prevalse, e sanò. Il Medico quivi non mirava al guadagno,& non harebhbe ancor preso un Thesoro, se gli fosse stato dato, mà la consuetudine del commune uso lo deterriva. Finalmente rimase satisfatto,& confessò, che se io non lo cacciava non gliela dava,& sarebbe morto per mera sua dapocagine. Di queste cose così fatte melansagine ne vedo, e trovo ogni giorno; però vi dico, che conviene cacciar gli humòri corrotti,& che tuttavia vanno corrompendosi, i quali quanto più traheno dimora nelli corpi de' poveri languenti, tanto più presto gli conducono alla morte, fine della calamità,& miserie humane nostre certo: ma però rari si trovano, che bramino d'uscirne. Questi Medici dunque attendono a dire, ch'egli si conviene digerire.& io lo dico, che conviene,& bisogna cacciar gli humori peccanti,& non dargli tempo a radicarvi, perche a svellergli poi vi si suda da vero,& molte volte avviene, che il Medico, ravvedendosi dell'error suo vorrebbe ripararvi, mà non si trova più tempo, di che non hò io l'essempio fresco innanzi gli occhi.
Li Signori Conti suoi fratelli unanimi, desiderosi di saper la cagione della morte sua,& se il male havesse potuto sanarsi, mandarono a farmi sapere, che il desiderio loro era, ch'egli fosse aperto,& essaminata la causa della sua indispositione:& così io in compagnia del predetto Gualtieri, chiamato M. Giorgio de' Georgij Chirurgo, di buona mente,& di buon nome, lo facemo aprire, era il cuore bellissimo,& grande molto, li polmoni benissimo conditionati, il fegato alquanto flosso,& verdiccio, la milza piccola,& tarlata, il ren sinistro pareva mezo rosso,& era più piccolo del dovere, il ren destro più grande assai di quello che porti la natura ordinaria,& era ulcerato di piaga maggiore un tallero di Argento, con molta sanie uscita ivi appresso, le budella piene di fecie, quanto potevano capire, il ventriculo pieno di colere vitelline ben cariche di colore, il resto pareva tutto sano. Doppo morte sudò assai per due giorni goccie grosse come ossi di ciregia, il che nacque da gli humori nescrementosi non mai purgati, come si doveano, s' per colpa de' Medici, come sua, che non consentiva mai a far'una purgatione, come si devea, verò e, che il male non era sanabile, però si haverebbe pur potuto prorogargli la vita per alcun giorno. Et addimandandomi l'Illustrissimo Signor Conte Gieronimo suo fratello, onde potesse essaer cagionato questa indisposition renale, gli dissi: Voi sapete, che il Conte Paolo sempre si ha compiaciuto cavalcar grandi,& possenti Corsieri,& l'uno delli due, che ultimamente cavalcava tirava meglio di calzi, ch'io vedesse mai altro in vita mia,& egli se ne pigliava giuoco tenirlo ogni giorno esercitato in questo, però io giudico che un tratto lo habbia trovato in disconcio,& fatto urtar nella sella, di che egli tenendone poco conto sia caduto in questa infermità. Al che egli prestò fede,& credenza. Questa moltitudine di colere vitelline, che il Conte Paolo haveva nel ventriculo, gli causavano un'ardore continuo nelle fauci,& in bocca, che gli pareva, che sempre havesse un Mongibello, che vomitasse fiamme, però conviene esser ben circonspetti,& non mai dar tempo alle male qualità de gli humori corrotti, ch'egli è scritto:
Orincipijs obsta sero medicina paratur
Cum mala per longas invaluere moras
Perciò io dico, replico, triplico, quadruplico, che le mie cure,& il modo ch'io tengo nel medicare è il vero,& relae, poiche con ogni mio miglior modo, con medicine convenienti scaccio l'humor peccante il primo, secondo, terzo, quarto, & quinto giorno con vomitivi, cacciativi, urinativi, suaporativi,& sanguitrattivi, tra tanto aiutando la natura con quei cibi,& potione, che si denno:& sopra tutto procurar di riformar buon chilo per nutrire li corpi. Di che ve ne darò un'essempio grosso, mà vero. Pigliate due sacchi pieni, l'uno di grano buono, l'altro di cattivo, appendete l'uno,& l'altro al solar della casa, ma che quello dal buono sia superiore,& quello dal cattivo inferiore, fatte nell'uno,& l'altro buchi, si che il cattivo cada sopra il solaro,& il buono discenda nel cattivo,& state a poner cure,& vederete, che il cattivo sacco restarà pieno di grano buono, mà se cacciandone la cattiva robba, non vi ricadesse la buona egli rimarebbe vuoto. Così cacciate la cattiva robba, non vi ricadesse la buona egli rimarrebbe vuoto. Così cacciate pur voi dalli corpi de' miseri afflitti, li cattevi humori,& rimettetevi gli buoni,& vederete, che in breve sanaranno. Mà il lasciare, che li cattivi humori facciano radici nelli corpi nostri con queste digestioni vostre per cinque, sette,ò nove giorni, i quali bollendo senza essito, di continuo mandano,& eshalano fumi corrotti,& infettano gli corpi, humori, e spiriti nostri, questa è una becaria troppo grande, atteso che, mentre questi humori soperchi si vanno digerendo,& non evacuando, vanno ancor parimente eshalando,& corrompendo il sangue, la carne, li spiriti,& in somma tutto il nostro composito,& ci conducono più presto à morte, che forse non era prescritto di sopra, quando che Dio benedetto ci habbia prescritto, definito il fine non trasmeabile, mà non ci ha vietato, che fino a quel termine non potiamo tagliarci il filo vitale, si che ci hà concesso, che si vagliamo del vivere modestamente,& con medicine convenienti provederci,& soccorrerci secondo i bisogni.
FILO. Voi, per quanto me ne avvedo non approbate questi vostri siropi digerenti,& pure tutta la Schola universale de i Medici,& l'uso lo approba.
BOVIO. Et io dico, che questo uso, over più presto abuso non è bello, nè buono,& come dannabile lo improbo,& detesto nel termine,& stato, che si è introdotto,& dico assevero,& contendo, che il vero modo di siroppare è far decottioni secondo le traditioni mie,& non secondo le usuali delli Spiciarie. & il vero modo di medicare, (ove sia superabondanza di humori che si tormentino) e pigliar le descrittioni vostre, (parlando delle buone,& ben'intese, & descritte dalli Auttori vostri buoni,& gravi) & giongervi tanto di solutivo, che basti a cacciarne ogni giorno quel poco, ò molto di humore, che si digerisce. Si che finita la siroppatione ogni medicinuccia basti a restituirci la deperdita sanità, 6 tra questo tanto dar quel nutrimento alli corpi, che non sperdino nel suo,& dico,& contendo, che queste panatelle senza sale,& acque per bere disertano la natura, ne ho io revocato in vita le migliaia, che gli Medici loro uccidevano, con ristorargli con cibi,& potione ragionevole, mà non sò già di haverne mai ucciso alcuno, perche io gli habbia dato, od'ordinato, che si nutriscano in questi modi. Quel primo saggio, che pronunciò. Il Ne quid nimis, meritarebbe una statua d'Oro, con la lingua di Diamante, come già l'eressero Atheniesi a Bcroso di marmo con la lingua d'oro.
FILO. In fatto Sig. Bovio mio dilettissimo,& amatissimo, voi sete molto ardente nelle essertioni vostre contro li Medici Dietarij, & servatori secondo le dottrine,& uso loro del digerire gli humori con li suoi siroppi usuali improbati da voi.
BOVIO.Zelus Domini comedit me. Signor Dottore mio amorevolissimo, però se io havessi il potere, che già hebbe Elia contro li falsi profeti di Baal, io farei a questi Medici scelerati, quello che egli fece a quelli, che sendono egli presi a sua persuasione dal popolo, si che ne unus quidem effugit ex eis, interfecit eos omnes ibi. Prima che tramontasse il Sole. & salverei tanti miseri afflitti, che essi conducono al fine con queste manigolde inedie, dette da loro mentitori diete, e siroppi, nutrienti li mali humori nelli corpi de i mal consigliati,& peggio condotti infermi. Di che sentitene questo caso. Haveva il Signor Eliseo del Bene huomo di spirito, di lettere,& di valore segnalato, come è il costume della Città nostra, fatto molti disinari,& cene a molti amici:& egli parimente era stato a casa di molti amici alli medesimi convitti,& come sapete vi si procura di honorarli con cibi,& vini esquisiti, si che molte volte vi si mangia,& beve oltre l'uso,& bisogno di natura. Egli era stato a banchetto dal Signor Aurelio Brandino Dottor di Leggi, Orator fecondo,& Poeta ingegnoso,& polito, degno figliuolo della Signora Aquilina Gentildonna di beltà, d'ingegno, & valore singularissimo, la quale era talmente grata a tutta questa Città, che quando passò a vita migliora per colpa de' Medici ignoranti, che ove doveano trargli sangue con i corneti, la uccisero trahendoglielo con salasso dalla vena. Fù portata nel suo giardino sotto la pergola di vita,& perche le porte del suo palaggio passano a retta linea dall'ingresso primo della porta per la corte,& giardino alla Rena, grandissima, & meravigliosa mole di pietra viva, fatta per i spettacoli publici, parve tutto quel giorno, che vi fosse un Giubileo, che vi passarono più di quindeci milla persone, per vederla,& baciarla. A cui io feci lo Epitafio,& fu questo:
Dura in textricem Pallas descevit Aracnen,
Latona in Niobem prolis ob invidiam.
Marsya dum calamis vocat in certamina Phoebum,
Stultitiae infelix pelle pependit opus.
Te Prandina tamen coluere haec numina semper
Textura sidibus, prolaeque conspicuam.
Suave decus nocuit, morum, formaeque venustas,
Te sibi praeferri dum paves orta salo.
Haec te tabefico [?] decepit saeva [?] lavacro.
Heu Paphiae insidijs hic Aquilinae iacet.
Mà tornamo al proposito. Era uscito detto Signor Aurelio con altri Gentil'huomini la notte di casa alle cinque hore di notte per andar'alla Festa, fù chi sparò un'arcobuggio,& ferì detto Signor Eliseo in un braccio,& ruppe l'osso nel gombito, ove a caso aprendo la porta il Signor Francesco dal Bene,& il Dottor suo fratello ambi parenti,& amici, lo servorono in casa sua, ove fù trattato,& servito honoratissimamente, la camara buona, il letto di molte piume, ben coperto, un padiglione gagliardo d'intorno il letto, un buon fuoco continuo di buone legne grosse, di modo che quella camera era sempre una stuffa. Io lo andai a visitare come amico, e lo viddi con tre Medici d'introno, a' quali, veduto ch'io hebbi il tutto dissi: Signor Eliseo state di buona mente che il male vostro è sanabile,& se questi Medici faranno l'officio loro sarete libero in breve, poi voltomi a detti Medici dissi: Eccellenti miei se quest'huomo persice daretene la colpa alla vostra dappocagine, però che se io lo curasse,& in vinti giorni non lo facesse sano, torrei perder la vita. Mi risposero: non mancaremo al debito nostro,& con lo aiuto di Dio lo ridurremo alla pristina sanità, lo tennero alle sue solite diete,& non gli procurarono mai solutione del corpo. & il sestodecimo giorno passò a vita migliore. Et questo per mera dapoccagine,& poltronaggine de' Medici. Era quel corpo pieno di cibi,& vini buoni, gagliardi,& potenti, che volevate voi che facesse quella robba in quel ventre. Salvo che putrefarsi,& mandar'essalationi pessime, corromper il sangue, la carne,& tutto quell'individuo? Io all'incontro andando in Villa trovai fuor della Porta un carrettino, sopra del quale era un povero Contadino, con sette,od otto femine, che lo seguivano, feci fermare il tutto,& addimandai, che cosa fosse mi dissero è Battista Bottisella, à cui sono state date cinque ferite di arcobusate nelle coscie,& lo conducemo alla Pietà, per non haver modo da se di farsi medicare. Io considerando l'ordinario del medicar di quei Medici, dissi menatelo a casa mia & venghi una di voi a governarlo, che lo medicarò io,& farò le spese a chi lo servirà,& a lui.
Lo condussero,& datagli una camara, lo curai, dandogli ogni mattina dui ovi freschi per colatione, a desinare carne di Manzo,& minestra in quel broso: una supa nel vino a merenda. & la sera a cena carne,& minestra,& di continuo vino con un poco di acqua. Gli cavai fuori una palla grossa,& quattro pallini delle coscie,& sanò con oglij di perforata,& altri fatti da me a lambicco. Se lo conducevano alla Pietà sarebbe morto, come morirono quell'anno tutti quelli, che vi furono condotti feriti di simili instrumenti. & questo perche non vogliono nutrirli. Io lo nutrivo come villano, ch'egli era,& gli tenevo il corpo lubrico con quegli ordini, che si denno. Il dietargli,& lasciargli le feccie nel corpo gli uccide,& il cibarli,& purgarli li conserva in vita. Ma perche voi mi ricercate ancora, in questa vostra lettera, delle urine,& delli polsi, vi rispondo che havete tanti vostri dottori ben'intendenti, che ne hanno scritto,& bene, che non occorre, che ne ricercate da mè, dice il Signor nostro: Moisem habent,& Prophetas, ipsos audiant. Così io dico a voi: studiate bene li vostri Dottori,& quando li studiate ponetevi diligenza,& cura,& con la guida di alcun vostro Medico di buona mente,& ben intendete fatevene patrone,& non occorerà travagliar me. Nella nostra Città, come che ve ne siano molti di manigoldi ve ne sono di ben'intendenti ancora.
& il Medico Gualtieri in questa parte al parer mio tiene il primo luoco, mercè che è Musico,& suona,& canta bene, onde io non ve ne voglio dir altro; però ch'io vi rimetto a quello, che ne hanno scritto gli vostri medesimi,& io non faccio professione di saper più di loro però quando vi occorre (come vi occorre) toccar li polsi ogni giorno essaminateli con quelle diligenze, & considerationi che vi si denno. Di tante occasioni, che mi sono nate intorno queste partite ve ne recitarò una ò due,& con queste vi chiarirete. Giaceva una figlia maritata in letto (che non nomino per convenienti rispetti) & andava a visitarla uno di questi nostri Medici principali, la quale deteriorando sempre, fui chiamato dal Compadre, andai, gli toccai il polso,& dimandai chi la medicasse,& che cosa gli dava. Il Compadre mi disse: il Medico,& li siroppi. A cui io risposi: io mi credo, che hieri sera bevesse soverchiamente; però che questo non è polso a cui si convenghino, al parer mio, siroppi di osimele. Tornarò doppo disinare, a ritocarglielo. Vi andai, & replicai: certo io debbo haver bevuto più del dovere, ritornarò questa sera. Vi tornai, che era ben'un'hora di notte,& glielo ritoccai,& dissi: dunque il tale la medica,& gli dà l'ossimele per siroppi? glielo dà, rispose il Compadre. & io sgridai, scelerato, ribaldo, ignorante apparecchiategli le candele, che trà quattro giorni passarà all'altro secolo. & voi figlia mia mettete il cuore in pace, disponete le cose vostre, raccomandatevi a Dio, che sete espedita, così il quarto giorno se ne andò (secondo credeiamo fermamente) a congiongersi alli beati Spiriti era ethica,& questo manigoldo gli dava l'ossimele, per più presto finire di essicarla,& condurla alla morte, ove il bisogno suo (volendo conservarla in vita) era di humettarla con lumaghe, ò tartarughe, farfare, & simili. Questo Eccellente medesimo medicava un'altra delle più belle Genildonne di questa città. Di cui sei mesi prima havevo detto io ad un suo barba: Questa vostra nepote, che hora è così bella,& sana, in breve si infermerà, diverrà ethica,& morirà. Così avvenne, ch'ella s'infermò nel predetto termine, & questo medesimo Medico fù chiamato alla cura sua,& questo non puote essere altro, che occulto giuditio di Dio, che ci da questo per Giudice retto, quello per Tiranno,& quell'altro per Manigoldo: & peggiorando il negotio gli fù dato per compagno un'altro Medico, uno pure de' tenuti tra' principali. Io, incontrando questo un giorno, lo addimandai come passasse la infermità di questa meschina. Egli mi rispose: hà un poco di quartanella & io a lui: guardatevi da un poco di ethichella. & egli alzando gli occhi al Cielo,& battendo l'una all'altra mano disse: ella è ispedita,& io non gli havevo posto cura. A cui io soggionsi: non vi hanno chiamato per sopramedico? & egli si bene, mà io mi rapportavo a lui, come à più vecchio. & io a lui: con il mal'anno, che dia Domeneddio ad ambidoi. & come essercitate questo ufficio di medicare,& sete pagati per questo? fidano in voi, e voi la passate così di sopra via? mal nate anime qual pene vi aspettano alle case del gran Diavolo infernale? in caso ove va la vita ve ne passate così alla balorda? In somma egli è una mala cosa il far arte ove vi vadi la vita, ò la robba altrui, con l'occhio solo intento al guadagno, senza la mira dell'honore, ò conscienza; però voi che sete ancor giovine mirate bene,& considerate, che il fine del medico non è quello di quel vecchio sciagurato, che mi disse Guadagnare. Ma è apposite curare ad sanandum, apposite autem curatque cito, tutè, nec iucunde confert. Questi nostri di Verona, per lo più di loro, nec cito, nec tutè, nec iucunde curant. Quando che (parlo di quelli, che caminano per questa strada sua ordinaria) vanno come la torpedine, la tartaruga, ò la lumaga,& tanto passano procrastinando, che molti glie ne muoiano nelle mani per pura procrastinatione. Non medicano tutto, prò che non hanno consideratione all'humor peccante, che tutti gli humori non si purgano con la cassia, ò scommunicato lenitivo tanto loro famigliare. & pure che cacciano la merda par loro di haver fatto assai. Se mo l'humor peccante resti annesso alla bocca dello stomaco, del ventriculo nelli spiriti,ò nel sangue, od altrove poco loro importa. Non medicano jocunde, poiche gli danno bicchieroni pieni di diavolarie brustolate, mal conditionate, mal'ordinate,& da molti Spetiali peggio condotte per colpa dell'ignoranza de'Medici,& rapacità delli Spitiali, che mettono cento Quid, pro Quo,& molte cose meze marze, tarlate, ò raccolte fuor di tempo. & se il Medico gli haverà ordinato qualche cosa, che monti danari lo Spiciale scelerato ve nè metterà un pochino, per poter giurar havergliene posto, mà si poca, che non potrà operare.
Verbi gratia per una dramma di Rhabarbaro uno scropolo,& in vece del restante,ò dia grido,od'altro,& ingannarà il Medico,& l'infermo insieme. Io mi trovai un giorno dolermi con un Spiciale ben riputato di certa sciagura a lui occorse,& egli mi risposa: sono gli miei peccati,& fattosi recar l'osicroceo me lo mostrò,& disse: queste sono le nostre furfantarie, perche non gli havevano dato la dose del suo croco,& così lo riformò alla presentia mia,& mi riferi altre sue robbarie,& inganni,& disse per l'avvenire volersene astenere.
Ma seguendo il mio primiero ragionamento dico, se io voglio dirgli la mia ragione mi vogliono far transvedere,& come ho loro voltate le spalle dicono,& sognano mille mali di mè.
Colpa dirò ancora di molti infermi, che vorrebbono esser medicati gratis,& pagar li Spiciali di ciancie,& non scancellar mai le partite. Nè io posso ripararvi.
Mà poi che non posso più, voglio almeno con parole sfogarmene, con la carta, con l'inchiostro,& con la penna.
Quanto poi si aspetta a quanto mi havete scritto di Theofrasto Paracelso, io [Zefiriele Tomaso Bovio nel Fulmine ina delle tre opere del suo Corpus scientifico] rispondo, che non ho letto salvo, che trentasette Volumi scritti da lui, & per quanto ne ho raccolto da quelli, egli ne ha scritto molti più.& & vedo parimente una certa concatenatione delle sue dottrine,& libri che chi non gli ha letti tutti, non può concentrar la chiarezza della sua dottrina,& modi di medicare, & di medicine; perche non finisce mai in un libro quanto fa bisogno a medicar'un'inermità.
Oltre che usa certi suoi modi,& parole,e vocabuli cosi fuori del commune uso, ch'io veramente confesso non penetrar quanto bisogna a chi vuol far professione di Paracelsista, mi servo ben'io di molti medicamenti usati da lui, mà ne sempre, nè per tutti quei modi, ch'egli descrive.
Non perche non siano belli,& buoni,mà perche varia sunt hominum ingenia.
& prima che havesse ancor sentito il nome suo usano molte cose, che poi ho trovato, ch'egli usava prima di me: il che non è gran fatto per la communanza dell'arti distilatorie, come verbi causa l'Hercole, l'antimonio,& tali, le quali veramente io non ho apprese da lui, nè io le componeva, ò compono à misura come lui, mà d'introno a detti suoi modi.
& certo se quell'huomo fosse stato un poco più aperto nel descriver li suoi medicamenti,& ordini la sua dottrina haverebbe molto più fautori,& seguaci.
Ma veramente egli hà lasciato troppo in preda alla invidia dell'altri bene nel descriver li suoi medicamenti,& ordini la sua dottrina haverebbe molti più fautori,& seguaci.
Ma veramente egli ha lasciato troppo in preda alla invidia dell'altri bene nel descriver quelli suoi medicamenti oscuri, non pure alle communi Schole de' Medici,& Spiciali, mà alli proprij suoi Alchimisti,& come, ch'io habbia pratticato molti, che fanno professione d'intender questa arte fino ad honesto termine, non ho però mai trovato alcuno, che osi confessar concentrare,& intender bene queste sue dottrine; & discipline.
FILO. Veramente voi dite la cosa come passa, che come io sia stato in Francia,& in Alemagna,& habbi per diversi Paesi,& Studij procurato di trovar, chi mi dichiarasse molte cose descritte da lui,& da me non pienamente intese, non ho però mai potuto conseguir questo mio desiderio; laonde io ne havevo ricercato voi per tentar, se per avventura foste quello, che mi poteste dar questa satisfatione all'animo, discorrendo di passar più oltre, se il pensiero mi andava fatto.
BOVIO. Procacciatevi pur altri maestri, ch'io non faccio professione di essere puro suo buon scholare, non che poi interprete, ò maestro di molti suoi oscuri vocaboli,& sensi di quest'huomo, reputato da me certo che sapesse molto, mà che non curasse di mostrar poi a gli altri da buon senno,& però trattamo di altro, che in questo non posso darvi quella satisfatione, che desiderate da me,& io medesimo bramo a mia contentezza per beneficio de' miseri afflitti.
FILO. Havete voi mai potuto intender ciò che sono quelli suoi cheri,& anthos, de' quali egli ne fà tanto caso?
BOVIO. Non io. Sò bene, che cheiri appresso de' Greci sono quelle viole che noi chiamamo dalli ovi, perche quando la Pascha di Resurrattione si mandano alla Chiesa a benedire è costume ornare i canestri ove si pongono.& sò che anthos sono li fiori del rosmarino.& mi credo, che questi suoi medicamenti possino rappresentare il color di quei fiori, ma certo non sò bene intracciare ciò che si siano, perche quei libri nelli quali egli debbe haver scritto la compositione di questi dui medicamenti, non mi sono ancor capitati nelle mani. Bene hò inteso il suo precipitato, il quale è il mio Hercule, le cui virtù sò io, che sono note in gran parte à voi. Mà vi voglio a mia consolatione legger'una lettera del Reverendo Don Pellegrino Righetti mio amantissimo ab origine mundi,& compagno della sua pueritia di mio fratello Pompeio,& sempre amico fedele,& è questo nella quale vederete le virtù mirabili,& operationi stupende, sì dell'Hercule, come dell'antimonio. Medicamenti perfettissimi.
FILO. Mi sarà gratissimo l'udirla.
BOVIO. Udite dunque.
MAGNIFICO ET ECCELLENTE SIGNOR TOMASO
Io ho letto il vostro Melampigo,& ho avvertito, e considerato molto bene, che voi havete tralasciato alcune cure notabilissime, fatte nella persona di mia madre,& mia,& sarebbe pur bene, che si sapessero ad essempio di altri. Dovereste pur haver'à memoria, che l'Anno mille cinquecento settantadui, che faceste ritorno da Genova, dal Piemonte,& Monferrato, ove eravate stato cinque Anni con dolore de gli amici vostri, per la tanta vostra lontananza,& dimora fuor della Patria, io ero crucciato da infermità gravissima,& voi come antico amico veniste più volte à visitarmi,& vedendo che il male ogn'hora più cresceva, non ostante, che gli Eccellenti Medici Lando,& Sarego mi facessero molti rimedij, per un catarro, che mi descendeva dalla testa nello stomaco,& m'impediva il mangiare,& dormire,& mi haveva consumato di sorte, che si pensavano ogni notte trovarmi morto la mattina voi mi persuadeste à pigliar sei grani del vostro antimonio preparato da voi con diligenza, affermandomi ch'io sarei sanato; onde vedendomi mancare,& essere ridotto al fine della vita mia presi per ispediente, contro la opinione di detti Medici, di pigliarlo, i quali vedendomi di animo determinato a prender lo tolsero licenza da me. & io lo presi,& egli in termine di tre hore mi cacciò parte di sopra,& parte di sotto tanta robba, che un bacile,& un cantaro ne rimasero pieni. La sera cenai benissimo,& la notte riposai meglio,& in termine di tre giorni, tutti quelli di casa mia gioivano,& quelli che attendevano alli miei beneficij rimasero delusi. Dui anni doppo mia madre fù oppressa da mortalissima infirmità,& fù abbandonata da Medici,& correva per li ottanta Anni, haveva un rocco nello stomaco,& ciò che se gli dava per bocca mandava a basso come mergo, né più vi era speranza di vita, onde ella mandò per voi,& pregò, che voleste dargli la medicina, che giò havevate dato a me. Così a suoi prieghi,& mia instanza glie ne deste tre grani con dodeci di cordiale tolto alla Spiciaria di Missier Marchioro dal Rè, la quale doppo presa vomitò collere giallissime,& tenacissime sì, che mi conveniva aiutarla à cavargliela dalla bocca con un fazzoletto; il che fatto addimandò da mangiare,& poi si riposò per sei hore,& tra cinque giorni si levò di letto con meraviglie d'ogn'uno,& è campata doppo tre anni sana,& gagliarda. Voi doppo questo mi liberaste un'altra volta dalla squinantia, (sendo si poteva dir morto) con l'Hercule vostro. Et se ben vi raccora, li Reverendi Don Pietro Agnus Dei,& D. Raimondo furono quelli, che vennero à trovarmi,& voi mi apriste li denti con una punta di coltello,& poi con manico di un cucchiaro,& poi con il manico di un coltello, dopoi postomi ambe le mani sbarraste le gannasse,& cacciaste giù per la gola con deto della mano, aiutato da un poco di brodo, l'Hercole vostro, il quale malgrado della squinatia mi provocò il vomito,& cacciai per la gola di molti humori,& portò parimente da basso molta materia. La mattina seguente poi veniste con Mastro Giovanni Bevezzano da Legnago,& mi faceste cavar più di quattordeci oncie di sangue dal braccio,& la mattina che poi segui dalle due vene sotto la lingua quanto ne volse uscire, con i quali aiuti io rimasi libero. La onde per opera vostra,& di quel Barbiere, che mi servì per ecclelenza,& cosi bene, che non mi avidi pure, che mi havesse ponto posso dire di haver la vita. Per la qual cura io vi volsi donare la mia Catena d'oro, di valore di cento & venti scudi, la mia Copetta d'Oro da bere, che ne pesava vinticinque,& il mio Rubino apprezzato cento scudi d'Oro, con altri danari, ch'io havevo,& voi come magnanimo,& vero amico mio, non voleste cosa alcuna. Mi liberaste pur anco la terza volta con il latte dell'asina del storolo, che mi premeva à morte, volendo gli Altri Medici darmi l'acqua del legno, contendendo pur loro, che il mio male fosse mal Francese,& voi salito in collera correste à pigliar'una mazza da letto,& essi corsero fuori della camara,& giù per la scala più che di passo, l'uno non aspettando l'altro. Di queste cure cosi notabili voi non havete fatto mentione alcuna nel vostro Melampigo, & sono pur state cure notabilissime, le quali dovevate recitare per far conoscere al mondo, che l'antimonio,& l'Hercule vostro sono medicamenti Eccellentissimi,& voi non sete quel rapace, che havevano detto gli nemici vostri nella loro invettiva bugiarda, che siate quando che non istimate tanto il danaro come vi calumniavano, havendo ricusato da me presente tale, se non convenevole alle virtù,& valor vostro, tali almanco, che ponno far fede al mondo della magnanimità,& grandezza, dell'animo vostro Nobilissimo,& sprezzator delle ricchezze, tanto stimate dal commune de gli huomini; però io vi ho voluto ridurre a memoria queste cure, acciò ve ne potiate servir nelle occasioni contro le maledicenze de gli Emuli vostri, quando alcuno volesse insimularvi di avaritia, rapacità, ò condannagione delli medicamenti vostri salutari.
Di casa
Affettionatissimo servitore
Don Pellegrino Righetto
FILOLOGO
Et che dissero il Lando,& il Sarego quando viddero sanato quest'amico vostro, il quale intendo esser huomo di molto valore trà Preti,& se havesse posto cura alle armi sarebbe riuscito un gran Soldato?
BOVIO. Che dissero? quello ch'è il loro costume: ella gli è andata ben fatta. Il Lando era huomo di Lingua,& esplicava con bella maniera gli suoi concetti più presto per dono naturale, che per molto dottrina, mà era ricco di parentelle, haveva honorata presenza, era affabile, e dolce nelli ragionamenti suoi,& queste parti gli davano riputatione, e credito. Il Sarego sapeva,& valeva assai in molte cose,& era huomo nelle sue cure di buona fortuna, mà non teniva cognitione di lambichi, e però non intendeva quanto valesse l'arte chimica, laonde non l'istimava. In altro huomo da bene, e di buona mente.
FILO. Io mi son valso,& vaglio molto,& spesso dell'Hercule,& antimonio, ove vedo li casi disperati, od'haver bisogno di presto riparo, mà mi taccio per non cader in mala dita con gli altri.
BOVIO. Così fanno li saggi,& intendenti, e se io non mi copro, avviene, che non voglio esser Medico, & quantunque io medichi è però contro il genio,& voler mio,& per non sepellir'il talento donatomi disopra; pero non sendo io obligato à legge, come essi fanno professione di essere in parole,& non havendo giurato in verba magistri, posso proceder come mi detta la dottrina, la esperienza, il giuditio, l'Angelo, od'il Dio mio. Mi servo parimente de gli estratti dell'elleboro, e della colloquintida con stupendi felicissimi successi, che sono pur conformi alla dottrina Paracelsica, perche io le sò,& intendo bene. Nel restante delle sue cose tante, ch'egli descrive mi vaglio di poche. Altre perche non invigilo molto d'intorno alli suoi libri, come troppo oscuri, come non attendo gran fatto a quest'arte di medicare, per non esser'ansioso di questi guadagni,& non urtai' in occasione di dolermi della tanta ingratitudine di certi poltroni, che vogliono esser medicati senza recognitione alcuna, ò con così poca di chi gli procura la salute della vita, del corpo, dell'anima,& le conservatione delle case loro, come per mia fortuna ogni giorno mi occorre; non posso dirvi poi le pene, che mi affliggono per le tante ignoranze di questi carnefici togati, i quali tormentano li poveri languenti, così fuori di proposito & ragione,& essi tra tanto se ne vanno gonfi & altieri vedendosi honorare,& premiare delle tristezze loro. Ma voglio dirvi una cosa notabile d'introno l'Hercule,& antimonio,& poi seguirò il ragionamento nostro d'intorno l'ignoranza,ò scelerità di costoro. Se voi pigliarete un'oncia di Hercule,& la mischiate con otto oncie di zuccaro fino,ò di medera,ò di altro,& lo serbate per sei mesi in un'ampolla, in capo delli sei mesi haverete nove oncie di Hercule nell'atto medicinale buono come era quella sola oncia,& questo nasce dalla virtù minerale del Mercurio, il quale converte a sua natura le cose convertibili. & questo l'ho io trovato a caso, e non vi paia meraviglia, che questa è opera naturale. Io hò veduto passando per il monte detto Avarone, ove io trovai loppe minerali ramigne, che per non esser ben purgate dalla parte metallica, havevano quegli spiriti metallici converso, e tratto in sua natura le loppe, e di nuovo ridotte in minera ramigna. & andando poi per l'Alemagna hò trovato molti huomini industriosi andar'à porsi d'introno alle loppe de' metalli fusi, e trarne non pure il viver loro, mà delle loro famigliuole ancora. & hò veduto in una minera aurea, ch'io non dico ove ella è posta, che gli fumi metallici, ch'essalano, convertono à sua natura le pietre pirrite, ò focaie, che vogliate chiamarle: nè vi paia gran fatto, che in Bresciana ove si cavano le minere del ferro, quelli mercanti, che comperano le minere stratte, le lasciano a maleficio di natura allo scoperto, alla pioggia, vento, e Sole, giorno, e notte, le cuocono, e trovano guadagnarne dieci per cento l'anno, mercè della virtù metallica, che va convertendo a sua natura la mistione terrea,& la arrichisce di metallo.& dell'antimonio hò fatto quest'altra prova, parlo del preparato. Io l'ho preso,& postovi sopra vino,& mescedato, poi l'ho lasciato far la residenza. & dato quel vino per medicina,& mi hà operato quanto era l'intentione mia & bisogno del patiente,& di novo postovi vino,& lasciato far la residenza, & administrato questo vino,& fatto la medesima operatione,& cosi son processo per sette fiate,& tutte sette mi sono riuscite conformi al desiderio mio, ho poi dato la residenza delle sette fiate per medicina,& questa ancora mi ha fatto quanto desideravo.
CURIO. Voi mi raccontate le gran cose, & se voi non foste quello, che sete durarei molta fatica a lasciarmele persuadere, mà sapendo qual sete posso, & credervi questo,& altro, hora & sempre.
BOVIO. Et potete,& dovete crederlo Signor Curio mio honoratissimo, mà voglio tornar al proposito mio delli Medici ignoranti,& scelerati. Mercordi della settimana passata venne a trovarmi un calzolaio, cognato di quello, che medicai del morbo caduco, che vi raccontai. & disse come quell'Evangelico: Signor mia moglie giace nel letto travagliatissima da un'eccessivo dolore, che gli ferisce una natica,& discende giù per tutta la gamba sino nelle ultime gionture del piede, e sgrida sì, che nè giorno, nè notte potemo haver requie di dormire per gli suoi sgridi. Di gratia venite ad aiutarla. Vi andai,& la trovai tutta giacere su'l lato destro,& non poteva tolerare di appoggiarsi sopra il sinistro. Tuttavia dolendosi,& querelandosi sopra modo sì del dolore, che la premeva, come del Medico indiscreto, che l'haveva tenuta oppressa con panatella,& acqua cotta,& con medicine di tante,& così diverse sorte, ch'era una compassione a ragionarne; io gli ordinai buon vino,& puro,& buoni cibi nutritivi, con profumi alla parte offesa di rose,& camomilla decotte in acqua, coprendo la parte offesa, sì che li fumi durassero per un'hora continua, la mattina due hore innanzi pranso,& la sera un'hora innanzi cena, vi andai hieri a vederla,& la trovai in piedi con una sua creatura alla poppa,& mi disse: Signore ho fatto quanto mi havete imposto, & Dio lodato dalle sei hore di notte in qua mi avedo apena di risentimento alcuno. Era giaciuta quella meschina tre mesi nel letto in continui travagli,& pene,& questo manigoldo l'haveva trattata in questo modo,& se lo vedete andar per la Città se ne và con certa sua gravità, che pare un bolzon da balestra mezo spennato. Questa mattina me n'è capitata un'altra nelle mani vecchia di settantacinque anni,& pure un'altro scelerato l'ha trattata nel medesimo modo di panatella,& acqua cotta;& perche non si puote muover del letto & positura in cui giace, gli ho imposto buon vino,& buoni nutrimenti,& che pigli due gran zucche vuote,& le empisca di acqua bollente, ove siano decotte ortiche abondantemente, e se le ponghi appresso la natica;& coscia offesa per due,ò trè giorni innanzi cena,& pranso un'hora,ò due, coprendosi honestamente,& poi si parleremo, sò io che non farà questo cinque,ò sei fiate, che levarà di letto al sicuro,& poi in otto,ò dieci giorni la finirò di ridurre allo stato suo primiero di sanità, mediante l'aiuto del mio Signor Iddio, che non mi abbandona mai nelle mie cure.
FILO. Voi dunque così presto,& con sì deboli medicine vi sbrigate da cure tali da sciatiche reputate quasi insanabili dalla turba de' Medici correnti?
BOVIO. Bene diceste voi turba de' Medici, poiche sono la istessa confusione, mà vi dirò: Queste due Donne hanno avuto tante medicine,& diete da questi Medici, che non occorre salvo: che applicar cose risolventi l'humor,& flusso peccante: però con li sudori soli sia cosa facile far svaporare il flusso flemmatico,& caso, che questi non finissero la cura, vi applicarò un cerotto di molti, che sò io comporre,& questo è tra i migliori.
Recipe resinae pini oncie quattro, ammoniaci preparati oncia una & meza, mastici oncia una, draganti,& gummi Arabici ana dramme sei, misce,& a fuoco conveniente fiat cerotum: mà conviene usar diligenza a farlo.& questo disteso sopra una pelle di castrato acconcia, come si usa far per guanti in pochi giorni finisce la risolutione,& humor peccante.
FILO. Et se questi rimedij non bastassero?
BOVIO. Rare volte, ò non mai bastano; mà quando l'humor fosse così contumace,& ribelle, che non bastassero fategli trar sangue dalla parte offesa, da quella vena, ch'è sotto l'anca quattro dita,& non farete errore come fanno molti, che lo fanno trar sotto la caviglia,& rari sanano, mà i sudatorij,& il trar sangue con gli corneti dalla parte offesa dal principio della scia sino alla caviglia fà mirabili effetti; mà per meglio disporre,& preparar la materia è bene dargli cinque pillule di estratto di elleboro,ò di colloquintide di dieci,ò dodeci grani l'una alternando li giorni nelli teneri,& continuandogli in quelli, che ponno reggersi causa mirabili effetti. Ne hò io medicato molti,& non ho mai preso errore, salvo in uno, di che io maravigliandomi lo addimandai se haveva havuto mal Francese,& egli mi confessò il peccato. Lo medicai per tanto del Francese,& sanò della sciatica, la cui base era nel mal Francese.
FILO. Buona giornata è stata hoggi questa per me, poiche hò impreso tante cose belle, mà ditemi: Quelli, che per causa di arenelle patiscono nella vessica come li medicate voi?
BOVIO. Io ne ho medicato con l'antimonio,& mi è successo il dissegno. Altri con il botris, administratogli con vini buoni, bianchi,& dolci in polvere,& son sanati urinando arenelle,& pietre. Altri con la semente della personaccia, semente di sparto,& succo di limone,& acqua di vita. Altri con mezo scropulodi oglio di vitriolo,& due oncie di acqua di buonaga, ò malega, detta da gli Herbarij rosta bovis mà grandissime virtù ha in se l'oglio del vitriolo in moltissime infirmità administrato a gli infermi in acque di quelle herbe, che hanno virtù specifica con le infermità. A far questo oglio molti vanno per molti modi,& il vostro Theofrasto non intende,ò vuole, che sia mosso dalla sua viridità. Io non intendo l'ordine suo: il mio è questo. Io piglio verbi gratia sei libre di vitriolo Romano, od'aureo, se lo posso havere, che il ramigno non mi piace per la virulenza di esso rame; il che si conosce bagnado un coltello lustro,& fregandovi sopra con il vitriolo, se il coltello resta di color di rame non lo voglio,& non me ne servo. Se non lo tinge in detto color piglio di questo. Hora io pongo questo vitriola in una storta,& gli alligo il suo recipiente ben chiuse le gionture, che non respiri,& posto nel suo fornello ne scaccio tutta la humidità con il fuoco,& come più non esce humidità gli accresco il fuoco per due hore, poi rompo la bozza,& trattone il vitriolo mezo rubificato, lo trituro, e pono in nova bozza, riponendovi la sua acqua, che n'era uscita,& così posto in fornello ne scaccio l'humidità di novo,& dò sotto carboni per hore vintiquattro & così reitero per nove fiate questa operatione, sì che l'humidità si consuma quasi tutta. Alla decima volta l'oglio mi vien bene,& presto, rubicondo come fuoco,& di questo mi servo in mille modi, di mille infermità,& trà infinite è mirabile per cacciar li vermi alli bambini,& ad ogn'uno in acqua di gramigna, od'altre acque, che hanno proportione a questa peste de' corpi humani.
FILO. Questi vostri Medici non vedono, e non sanno questi vostri modi di medicare?& non li mettono in uso poi che vedono tanta felicità nelle cure vostre?
BOVIO. Li vedono,& li sanno,& hanno li miei libri ne gli studij loro,& ponno veder'alle Spiciarie gli ordini miei,& dal Medico, & dal Medico Marogna in fuori, & Medico India non sò chi altro mi voglia seguire,& questi ancora lo sanno con maggior secretezza, che loro sia possibile; il che non sò se avenghi per la invidia, che loro rode il cuore verso di me, overo per la loro sceleraggine, o per loro mala natura, che abhorrisce le cose buone;& delicate come quel Gastaldo di M. Francesco Calzolaio Spiciale amico mio,& coetaneo, il quale sendo venuto le Feste di natale a trovar'il suo padrone, entrato in casa caddeo tramortito; però che sendo tutta quella stanza piena di soavissimi odori per le tante compositioni, che vi si fanno per la bottega, egli ch'era avezzo tra pecore,& buoi,& letami,& stalle non poteva sentirli,& odorarli; di che avedutosi una figliuola di M. Francesco,& avisandosi ciò che ne fosse la cagione, corse ad una cassa di cedri,& prese di quesi sterchi di cavallo, che vi si tien sopra,& portatili,& appoggiatili al naso del buon Gastaldo rinvenne in se, mà bisognò condurlo ad uno stallo, ove alloggiano li cavalli de' vetturali,& quivi tenerlo la notte, altrimente sarebbe morto. Cosi questi nostri, avezzi a queste sue barrarie ordinarie non sanno, nè ponno sofferir la sana mia dottrina,& miei methodi, od'ordini, e non fanno, ò vogliono levarsi dalle sue panatelle senza sale,& sue acque cotte,& scommunicate diete. Vi ho detto di queste due povere donne, che le havevano crucciate in questi loro modi una tre,& l'altra cinque mesi,& vedete come io camino,& come mi riescono le cure.
FILO. In questi sudori, che voi fatte far'a queste persone sentono elle dolore sudando?
BOVIO. Quando l'humore è molto contumace per esser egli concentrato gagliardamente occorre molte volte, che per dui,tre,& quattro giorni,& massime la notte sentano alcune alterationi ravagliose per causa delle antiparistasi, ò vogliate dir contrapositione però che mentre il calore circonda l'humor frigido, che causa la sciatica, il patiente leva di mezo come vedete l'Estate, che mentre le nubi si condensano nell'aria circondate dal freddo, che fugge li raggi del sole, esse nubi si stringono in modo insieme, che si convertono in tempesta, così questo flemma, circondato dal caldo esterno, tormenta il patiente, ma sotto entrando il caldo, si solve in humore,& esce per li porri aperti della carne,,& il patiente ne resta libero,& consolato.
CURIO. Cert Sig. Bovio queste vostre ragioni sono tali, che un'asino non che un'huomo ragionevole doverebbe conoscerle,& approbarle,& quelli Medici, che non vi seguono sono del tutti ò privi di sentimento, ragione & intelletto pazzi, & sopra tutti gli huomini ignorantissimi,ò ladroni sceleratissimi, degni delli più orribili supplitij, che mai trovasse Fallari; ò Mezentio: con inedie dunque vogliono curar queste infermità,& acque sendo prodotte, causate da flemma tutto acqueo? Questi tali come ribelli di Dio,& destruttori della natura per lo avvenire voglio, che siano honorati da mè come comportano le sceleragini loro.
BOVIO. La natura a me detta,& la ragione mostra, che bisogna nutrir le creature humane,& la esperientia quotidiana chiarisce le partite mie, che li nutrimenti honesti salvano le persone,& queste loro inedie li manda alla sepoltura. Convene dunque nutrire con cibi,& bevande ragionevoli, si che non soprafacciano per non dar'occasione ad escrementi,& sostener la natura, che non perdi del suo natural calore,& vigore, purgar poi con quelle Medicine,& ordini, che si convengono a cacciarne l'humor peccante: come ellebori, turbeti, colloquintide,& simili, i quali hanno forza di tirar'a se gli humori lontani peccanti,& cacciargli di casa per vomiti, secessi, orine, sudori,& cavar sangue,& quando questi non finiscano l'opera i ceroti,& oglij balsamini: lambicati ci soccorrono,& ci danno il compimento alle opere,& desiderij nostri. Questo servo io sempre, & sempre bene. Quando mò avviene, che alcuno non si riduca conforme al desiderio mio, questo non è mia colpa, mà loro è il difetto, i quali per troppo cibi,& nutrimenti,& dishordini di chiavasterij disperdono se medesimi con loro danno,& poco honor mio. Sono simili questi tali ad un certo Rè di Francia il cui nome hora non mi sovviene, a cui serviva per Medico un nostro Italiano, era il Rè disordinatissimo nella vita sua, nel mangiare, bere, lussuriare,& otiare,& era il Medico per la molta sua assenza dalla patria desiderosissimo di tornar pure un giorno a riveder (come Ulisse) il fumo del suo camino, quando che un tratto, con occasione del ben'essere corporale del Rè suo Signore,& patrone, chiese licenza di poter per alquanti giorni tornarsi a riveder li suoi. A cui il Rè gratiosamente la concesse,& egli incaminatosi al suo viaggio cavalcava allegramente verso laq bramata patria, quando a non ancora uscito dal Regno, sopravenne un corriere, che lo richiamava per parte del Rè, che risentito lo cercava di ritorno, per nova indispositione del Rè così ritornato,& venuto alla presenza del Rè gli disse: è pur gran cosa questa Sire, che non mi vogliate mai lasciar quieto con tanti vostri disordini. A cui il Rè replicò: s'io volessi viver con ordine,& regola non occorrerebbe, ch'io stipendiasse voi, od'altro. Che regolasse, od'ordinasse li disordini miei. Et però io che son'io,& consoco come,& quanti siano gli appetiti delli ricchi & grandi,& maggiormente delli Principi non ho mai voluto lasciarmi convincere da consigli di amici,ò stipendij grossi per servirne alcuno, però che havendomi la munificentissima mano del mio Creatore donato da poter viver del mio, nè sendo molto vago di acquistare, od'accumulare per lasciarlo poi ad heredi di suo capo, mi son contentato,& contento del grado, stato,& conditione mia, chì più ne vuole , se ne buschi. Io per me ne hò,& voglio haverne quanto mi basta, poiche non mi manca il vitto,& vestito,& che Iddio benedetto mi hà fatto gratia di saper mettere freno a quel vis,& amor sceleratus habendi. Se li nepoti miei ne haveranno maggior sete, e non vorranno, che quello, ch'è stato bastevole a cinque fratelli,& due sorelle sia sofficiente a dui fratelli,& una sorella gli mostrarò,& darò modo di poter bere a gran sorsi, non voglio dire ad satietatem, po che l'appetito humano è insatiabile sì, che il gran Rè David promosso da vil cacciarolo di pecore al seggio Regale, non trovando modo,ò si nella sua insatiabilità, disse: Tunc satiabor cum apparverit gloria tua Domine. Et Alessandro Magno intendendo che vi erano altri mondi, pianse, pensando al non ne haver'ancor'acquistato uno onde quel Poeta disse:
Unus Pelleo Iuveni non sufficit orbis
Sarcofago contentus erit
All'incontro riferisce il nostro Plinio Secondo, la cui famiglia fù già molto Nobile,& numerosa nella patria nostra, per quanto ne danno segno li tanti sepolchri, che si trovano de' Secondi, che Aglavo Pfosidio fù giudicato felicissimo tra gli huomini del suo secolo dall'Oracolo Delfico, il quale haveva una sua possessioncella nella sterile Arcadia, di onde ne cavava il vivere annuale, conforme a quanto gli bisognava,& di cui non era mai uscito in vita sua. Questo humore di posseder molto,& desiderio pazzo di arricchirsi tanto, par a me un'estrema calamità,& miseria poich
Crescit amor nummi quantum ipsa pecunia crescit
Et voglio dirvi in questo proposito, che quando io stavo in Brescia il Conte Aluigi Avogadro era in quella Città di reputatione tale, che tutti li Bresciani li davano il primo seggio, in tutti i luochi, trattone li Magistrati,& ufficiali, alli quali per legge se gli dovesse la precedentia,& egli mi amava singularissimamente,& l'amor suo era noto in modo a tutti, che quando mi si dava occasione od'accompagnando li Rettori di quella Città, od'in qual'altro si fosse loco,& io mi vi trovasse (il che era quasi ogni giorno) tutti gli altri Gentil'huomini di Brescia sapendo di gratificare al detto Signore, come mi vedevano comparire mi cedevano il luoco appresso lui, sapendo quanto egli si compiacesse della mia conversatione. Hora egli mi diceva ben spesso: Io mi contento,& godo più di essere Aluigi Avogadro, qual'io sono, ch'essere Signore assoluto; perciò che s'io fosse libero Signore non haverei mai l'animo quieto,& mi converrebbe haver tutta la cura sopra le spalle mie, con sospetto continuo di esserne cacciato dalli più potenti di me, ove in questo modo mi godo con molta felicità, nel mio grado, potendo giovar'a molti, sicuro d'impetrar tutto quello, ch'io voglio da quelli che reggono ogni honesta petitione, quando che s'io fossi Prendipe non concederei altri se non le honeste, nè io le chiederi, quando le conoscesse fuori del ragionevole,& homnesto. & di più quando io fossi Principe sarei tenuto a far le vendette de' più deboli,& oppressi, ove nel grado mio non ho ad intrometermi in questi negotij, si che io posso giovar,& beneficiar molti senza haver'occasione, od'obligatione di offender alcuno giamai. Haveva letto questo Signore il Dialogo di Xenofronte tra Gierone Siracusano,& Simonide Poeta ove egli dimostra quanto più sia sicuro felice,& tranquillo lo stato del Cittadino commodo, che quello del Prencipe,& però come prudente, quantunque havesse la condotta di cento huomini d'arme con questi nostri Illustrissimi Signori Venetiani, però contento di questo carico,& honore, avvenga che questi Signori havessero voglia di dargliene altri, come mandarlo Governatore, in alcuna delle sue Città,ò simili,egli però non voleva, e non li accettava, contento del suo sicuro,& primario fuori d'ogni invidia nella patria,& casa sua. Et certo questo Signore era molto prudente,& saggio, perche il tempo padre della verità scopre di molte cose, alle quali gli huomini comuni non pensano,ò pongono consideratione, discorso. I, che hò servito l'Imperator Carlo Quinto di felice memoria, e Paolo Terzo Pontefice su le guerre, e considerando alla conditione,& stato del presente Imperatore pronepote di detto carlo, non vorrei certo essere Imperatore,& non mi vorrei trovar nel termine del Rè Filippo, figliuol di detto carlo, considerando a gli assedij, ch'egli ha d'intorno d'amici,& nemici, che l'opprimono. Non mi vorrei trovar nel luoco,& persona del Rè di Francia, con tanta disdetta,& discordia di se stesso,& del suo regno. & della Santa Chiesa Catholica Romana non vorrei anco haver,& seder nella Cathedra di Pietro, con il triplice Regno in testa nelli frangenti, che sua Santità si trova, dovendo egli come padre universale essere,& non potendo l'arbitro per la compositione della Christianità travagliata tra se stessa da membri suoi afflitti,& angustiati con tante,& cosi diverse opinioni,& pareri, le quali cose quando io considero,& rivolgo nella mente mi piange il core; non parlo poi de' Prencipi minori, che certo io non mi saprei eleggere di essere nello stato di alcuno di loro. Non dirò del Turco con tanta disobedienza dei suoi proprij ministri,& disordine dell'Imperio suo, in modo che esaminando io lo stato,& conditione loro, a me pare nuotar in lago di latte rispetto loro. Mà ove son'io trascorso? però tornaremo al ragionamento nostro Medicinale, se saprò trovar'il calle, onde mi son partito, dal quale mi sviò l'empito del mio dire.
FILO. Voi ne sete passato alla secca parlando di questi gran Regi,& governatori del mondo.
BOVIO. Io presuppongo la mente loro buona,& li peccati essere de' popoli,& perciò l'ira di Dio giusta haver provocato detti Prencipi all'armi, quando che, Cor Regis in manu Dei est,& quocumque voluerit vertet illud: onde poi Plectanius Archivi. Però tornàmo pure alli ragionamenti nostri primieri, tanto a voi dilettevoli.
FILO. Come conoscerò io questa mente,& dispositione Divina di questo, che mi dite, che habbia peccato il Rè, od il popolo.
BOVIO. Dal fine. Quando Iddio volse punir Faraone,& il popolo suo, de' suoi peccati introdusse il Rè,& suoi popoli à perseguitare il popolo Hebreo,& affogò il Rè,& il popolo nel mar Rosso. Quando volse poi punir gli Hebrei delle incostanze,& poca fede loro, fece che vagarono per quarant'anni nelli deserti di Arabia, potendo per la brevità del viaggio condurli in terra di promissione in quaranta giorni,& di tante centinaia di migliaia, v'introdusse soli dui Giosuè,& Caleb, i quali erano stati constanti in fede. Quando poi volse punire il Rè solo, ecco che di tanto esercito fù ucciso con una saetta Acab Rè,& il rimanente dell'esercito tornò salvo nella patria,& alle case loro. Mà di gratia ritorniamo hormai alli primi ragionamenti de' nostri Medici, di che mi giova recitarvi un'historia non men bella, che vera. S'informò alli giorni passati il Reverendo Don Paolo Xaibant Dottor di Legge,& Arciprete di Lazisio, che fù il figliuolo del Dottor Pietro mio compagno a Schola di Gramatica,& poi nello Studio di Padova di gravissima malattia,& il Medico Pozzo ne haveva la cura. Passando la infermità dalli giorni alle settimane,& al mese, andò il Dottor Algaroto suo amico a visitarlo,& discorrendo della longhezza,& gravezza del suo male prononciatolo mortale dal Medico Fumanello ancora, a ciò ricercato, studiò di persuaderlo a pigliar l'antimonio, vedendo, che le medicine prese non operavano conforme al bisogno suo. L'infermo tratto dalla desperatione per le cose passate,& con poca,ò nulla speranza delle medicine ordinarie, finalmente s'appigliò al parer dell'amico,& mandato alla Spiciaria del Rè, ove si serviva ancora dell'altre medicine, se lo prese,& ne senti mirabile giovamento. Venuto il Medico,& trovato l'infermo di miglior conditione, disse: hora il Rhabarbaro comincia a mostrar la virtù sua, non sapendo dell'antimonio preso; onde sì l'infermo, come gli astanti se ne pigliarono gabbo tra se. L'infermo per il beneficio passato rincoratosi lo ripigliò la seconda volta,& tuttavia ne sentì novo beneficio, di che il Medico ne faceva festa, dandone pur la causa al Rhabarbaro,& cosi segui la terza,& quarta volta. & l'infermo prevalse, credendosi tuttavia il Medico che li suoi Rhabarbari dati nove volte, hora mostrassero le virtù loro. Prevalso lo infermo dalla infermità, mà non ingagliardito però, il Medico per monstrar il sacente ordinò, che pigliasse non sò che ossimele per rinvigorire lo stomaco, e ne riuscì contrario effetto, si che fù riassalito dalla febre, debole però,& egli fatto dotto dalli precedenti medicamenti, riprese la quinta volta l'antimonio senza far ne altro moto al Medico,& terminò il male, il Medico credendo al sicuro, che li suoi medicamenti fossero stati li domatori dell'infermità faceva festa,& si dava l'incensoalla barba se medesimo, quando che il Reverendo mosso dal zelo del rimorso della conscienza,& accioche il Medico non ricadesse in novo errore con gli altri infermi gli revelò, che non le sue medicine, nè li suoi Rhabarbari, mà l'antimonio lo havevano ricoverato,& risuscitato, preso di consiglio del Dottor Algaroto amico suo. A cui la sua Eccellenza disse: Ben per voi, che se lo Spiciale vi havesse dato il buon'antimonio sareste morto, mà vi debbe haver dato di quello, che sogliono preparar certi Alchimisti, nè si avvede la sua Eccellenza, insieme con la turba stercoraria, che hanno appannati gli occhi del corpo,& dell'intelletto, nè sono, nè vogliono rendersi capaci alla intelligenza della vera Filosofia,& filosofica separatione del puro, dall'impuro nelle cose, non dirò solo minerali, delle quali non hanno cognitione alcuna, mà nè delli animali, nè delle vegetabili,& però tutti insieme sono ciechi, nè fanno, nè ponno, nè vogliono nelle loro Schole,ò Collegij, salvo che: Eadem animalia eodem cibo viventia.
FILO. Voi mi havete dato l'anima a dirmi questa cosa, ma certo egli è una gran desperatione, che questi Medici non vogliono accettar questo antimonio.
BOVIO. Maggiore è, che mi volsero esterminar del mondo con quella invettiva, che mi scrissero contro per causa del mio Flagello nella improbatione del mio Hercule, dalla quale poi mi diffesi con tanta riputatione col mio Melampigo, si che sono rimasti muti. Mà sentite questa dell'Hercole ancora. Era a queste settimane passate il Signor Paolo Lippomani Provveditor a Peschiera malamente travagliato da insomneità, & tremor di core,& per levarsi di quell'aria grave di Peschiera si era ritratto a Cologna in Val di pantena in casa del Signor Giulio Olibuono suo antiquo sviscerato,& il Medico Fumatello istimato da me tra' migliori d'Italia, lo medicava,& dava il scholo di capra; il quale scholo gli teniva purgate le budella tre,& quattro volte il giorno, mà però nè pigliava sonno, nè il tremore del core cessava,& era tornato il Clarissimo Signor Gieronimo Cavagliere suo fratello in questi giorni di Spagna dall'Ambasciaria ordinaria appresso il Re Cattolico, mandarono molte volte per me, il quale i miei di casa non sapevano ove mi fosse. Come a Dio piacque mi trovarono pur'un giorno, andai ad essi,& ragionato, che havessimo forse cinque hore insieme, il Cavagliere disse: io vi pongo nelle mani mio fratello, frate voi. Et io a lui con patto, che non voglio compagnia [a] questa cura. Così io soggionsi: la insomneità nasce dalla offesa del cerebro,& hora non è Luna secondo il parlar commune de gli huomini communi, però che domattina ella fà la congiuntione con il Sole, onde io voglio dargli questo medicamento, il quale li purgarà lo stomaco aggravato,& levarà la causa delle fumosità, che salgono al cervello,& erano vinti tre hore. Così gli diedi sei grani di Hercule in un'ovo, il quale gli fece far per bocca alquanti catarri grossi, indi ad un'hora gli feci dar da cena & cenato, ch'egli hebbe andamo a cena noi ancora, nè passò molto, ch'egli vomitò meza secchia di robba, lo lasciai quieto tutto il seguente giorno,& l'altro ancora, la mattina poi gli diedi l'antimonio,& di nuovo rivocò nuovi humori, lo lasciai quieto la Dominica,& il Lunedì gli diedi una dramma di Tiriaca,& egli dormi sei horè in dui sonni, con increndibile contentezza del Cavagliere suo fratello, il quale mi disse: Io resto consolato di doppia consolatione, la prima che mio fratello cominci a pigliar sonno, l'altra, che il Medico Fumatello laudi,& approbi li vostri medicamenti. Gli preparai poi l'elleboro, mio preparato. & gli lasciai ordine, che un giorno gli si desse lo elleboro,& l'altro la tiriaca,& se occorresse maggior'occasione gli dessero l'antimonio,& mi partì aspettato altrove. Ho inteso poi ch'egli prese sonno,& si quietava dormendo,& se ne è ritornato a Venetia havuto licenza dalla Signoria Illustrissima di lasciar quel governo di Peschiera, havendogli io fatto fede, che quell'aere grave è contrario alla salute sua, si che l'Hercule,& l'antimonio sono medicamenti, che servono ad infinite infermità. Conviene però essere prudente,& circospetto,& sapersene servire a tempo et loco.
Peccano parimente questi nostri Medici nel medicar li catarri, però che alcuni hanno il catarro nello stomaco et ventriculo, et altri nelli polmoni et quelli che lo hanno nelli polmoni non sono però del tutto liberi da ventriculo. Et si credono questi nostri Medici con sue pillole di agarico,ò cocchie,ò di tribus,ò simili altre cose trargli di pena. Et delli cento glie ne muoiono novantanove nelle mani. Et questo perch? perche si caricano tanto di tanto numero d'infermi. Mà veniamo al fatto. Sono molti, che hanno li stomachi deboli per causa della constitutione celeste, sotto cui nacquero, come è ben noto a gli Astrologi,et a molti Sacri Theologi, come a Sant'Agostino,et S. Antonino di Firenze, S. Bonaventura, Eusebio Cesariense, al gaetano, Alberto Magno, et altri. Altri poi se l'acquistano per suoi proprij disordini del mangiare, et bere oltra, sopra, e più di quello, che si convenghi. Altri ancora (et questi sono pochi) per elettione propria di digiuni, et astinenze fuori del dovere. A quelli che hanno lo stomaco debole per mala constitutione Celeste, si soccorra con medicine fatte sotto buone constitutioni Celesti, de quali ne tratta Marsilio Ficino di triplici vita leggetelo a vostra voglia. Et chi non lo crede a me lo creda al gaetano nella Summula delle Confessioni, in verbo, imaginum, l'osservo io, et mi riescono. Mà chi non si contentasse dell'auttorità del gaetano lega le ragioni discorse, et trattate da me nel mio libro della providenza, dispositione,et ordine di Dio nel governo del Cielo, della terra, et dell'abisso,& restarà pago a pieno, se non è più che affondato,& immerso nel pantano,& luto della caliginosa ignoranza: Quanto alli crapulosi, ò per natura, ò per accidente io ne ho medicato moltissimi, nè mai mi opposi in fallo. A questo negotio convengono gli vomiti,& questi vomiti si provocano con latiri, gratiola, elleboro bianco ò nero, Hercule, od'antimonio, con cose, che hanno vehemenza nella sua operatione, de' quali ne hà fatto catalogo il Fernelio nel quinto libro, al cap. 12 del suo Methodo. Qui le acque calde,& aceti,& simili sono ciancie,& non hanno forza,ò potere, conviene valersi di medicamenti forti,& gagliardi. & se mi dicesse alcuno, che non si denno dar medicamenti gagliardi alli stomachi deboli,& io ti dico, che la debolezza nasce dal soverchio de gli humori. Caccia gli humori,& fortificarai li stomachi. Io la intendo per questo verso,& con questo ordine camino,& questo mi riesce. & ciancia poi chi si sia. Sono morti quest'anno tanti per causa di questi timiduzzi, pusillanimi, a me nessuno tra tanto numero.& ne ho pur curati trentasei da Pascha in quà in casa delli Signori Conti Canossi, oltra tanti altri nella Città, ho menato le mani alla gagliarda,& Dio gratia son sempre rimaso vittorioso ma veniamo al fatto. Questo Maggio passato venne a me da Milano sopra di una carroccia, un Reverendo D. Cesare di Nobili da Fano, vessato da un gravissimo catarro, che dal capo gli descendeva nelli polmoni,& per tre Anni,& mezo, quelli suoi Medici da Mi9lano lo havevano tormentato,& spellato, come oche, alle quali spiumate tre volte in vita, si cava la piuma la quarta uccidendole. Questo Sacerdote huomo di buoni costumi, & buona letteratura, si trovava assai commodo di rendite Ecclesiastiche dategli dalla felice memoria dell'Illustrissimo & Reverendissimo Monsignor cardinale Borromeo,& però quelli buoni Medici gli attendevano alla evacuatione del corpo,& della borsa, mà non a quella, per cui erano chiamati dal catarro; onde havendo questo reverendo letto li miei libri contro de' Medici procurò con amici,& proferre di danari voler tirarmi a Milano per medicarlo, mà io gli tagliai ogni pensiero iscrivendogli, ch'io havevo ricusato andar'a Roma con migliaia di offerte,& proferte fattemi da Vescovi,& Cardinali,& a sue lettiche per condurmi a loro a sue spese,& che da Milano a Verona, vi è via commoda per carroccie però venisse egli a me, che trovarebbe dui Medici, me come huomo,& il monte come coadiutor alla cura, il quale ci sarebbe di gran giovamento ogni mattina con la salita,& discesa. Così egli prese espediente,& venne a verona. Ove sendo io a caso al balcone della mia sala, che mira alla porta della mia stanza, vidi entrar questo Reverendo con il suo Servitore,& avisando, che fosse egli, discesi,& andai ad incontrarlo dicendogli; Sete voi quel Monsignore, che viene da Milano? Sono disse egli.& io: Siate il ben venuto,& presoli un braccio, e postoli la mano sotto l'ascella lo aiutai a salir la scala,& condussi nella mia camara, ove posto a sedere (mentre si dava alla cerimonia delle belle parole) io gli dissi: non più Monsignore, fermatevi havemo vinto la lite. Dalla voce,& modo del respirare conosco la vostra infermità, la quale è un catarro, che discende dal capo alli polmoni.
Questa infermità non si cura con solutivi, mà con vomitivi. I Medici vostri come vi hanno trattato? con solutivi, mi rispose egli. Et io gli dissi: Sono mal'intendenti dell'arte di medicare. Et come vi hanno trattato del bere? & egli: vini piccioli, od'inacquati bene. Ah ignorantazzi, diss'io, meritano delle sferzate per castigo. Io voglio, gli soggiunsi prima, nettarvi il ventriculo come si debbe,& con poca spesa,& poca fatica,& poco travaglio,& voglio, che sia bene,& presto, voglio di più, che vi nutriate di cibi ragionevoli,& buoni, mà non carichiate la soma. & beviate vini bianchi non deboli,nè troppo potenti. Et se Prisciano,& Guarino, e gli altri pedanti non hanno inteso questa Grammatica, imparatela voi da me. Il vino si declina vinus, vina, vinum. Il vinus è il vino di temperata natura, non grando, non piccolo, mà di mezana conditione, il vinum il grande, il fumoso,& potente, il vina, sono quelle vinesse, che nascono in lchi paludosi,& come diciamo noi Veronesi vini di Vangaizza, che nascono su la schena alle rane. A voi si converrà il vinus di mediocre stato,& natura. Cosi con il favor di sopra gli diedi principio alla cura. Il mio minorativo furono quindeci grani scorticati di latiri misti con cinnamomi da Bergamo, per correttivo,& questo gli provocarono il vomito,& uscirono molte flemme,& cdacciarono parimente a basso molte viscosità,& cattivi humori. Poi gli freci pigliar per tre mattine continuate due oncie,& meza di mel rosato colato,& quattro di ossimel scillitico misti insieme che summarono nove oncie in tutto, a fine di preparar,& disponer le flemme adherenti alle pareti del ventriculo,& bocca dello stomaco,& la quarta mattina gli replicai li medesimi latiri,& cinnamomi,& questi operarono quanto giudicai convenirsi a detto stomaco,& ventriculo. Finito quest'ordine feci farli un'elettuario di questo tipo.
Recipe rosato colato oncie sei, siropo di farfara oncie sei, misce isopo montano polverizato a discretione di tenerlo in bocca supino con detta bocca chiusa per mez'hora per volta, quanto una castagna monda,& questo nel far del giorno, a terza, mez'hora innanzi il pranso, un'hora innanzi la cena,& entrando nel letto per dormire. & come non voleva tenirvelo più lo sputava fuori. In tutto questo tempo, che pigliava,& teniva questo melettuario in bocca, pigliava lo halito per lo naso, il quale descendeva per li polmoni al cuore,& portava seco quel poco del detto elettuario, che haveva potuto maturar,& igrossar il catarro, che si trovava nelle canne di detti polmoni, acciò si rendesse poi più facile per uscir per vomito, quando io glie lo provocavo. Così ogni quarto giorno gli davo cinque grani di sublimato di antimonio, con tanto di zuccaro rosato quanto una castagna. Lo quale gli facevo pur tenir'in bocca chiusa per un quarto, e più d'hora, poi lo trangiuttiva,& questo gli procurava vomito,& gli polmoni si scaricavano,& il ventriculo insieme se vi era materia atta, ò debita allo scaricamento; così continuai quest'ordine alquanti giorni, ne i quali si prevalse in modo, che cominciò ad invigorirsi,& salir il monte ogni mattina,& io quelle volte che potevo gli tenivo compagnia, mà tra tanto ogni giorno doppo pranso cinque,ò sei hore, gli facevo passar la liscia scritta da me in questo libro sopra il capo, per dar'evaporatione al catarro sottile, discendendo il grosso per il naso, havendogli io ordinato, che ogni mattina si provocasse lo starnuto per tre hore innanzi il pranso con radici di elleboro bianco,ò negro, ò scorze di naranzo, ò stecchi fatti di irios,ò di ciclamino. In somma continuandosi questi ordini,& medicamenti nel termine di un mese si fece sano.& acciò più si fortificasse lo stomaco alla digestione gli ordinai,& portò seco l'acqua tiriacale tolta da M. Melchioro dal Rè,& se ne andò al suo viaggio con tanta consolatione dell'animo,& predicando di me honoratamente, che mi messe il cervello a partito, che non si facesse tenir'uscito della strada ritta de' saggi.
CURIO. Egli è una gran consolatione il trovarsi libero da una infermità disperata, e però se gli si partì da voi così giocondo,& ragionasse con tanta honorevolezza non vi paia novo. Ma perche havete detto, che gli davate il vinus da bere, come vi pare che operino questi vostri Medici da Verona? che come uno s'inferma subito gli levano il vino,& gli commandano una dieta esquisita, come fecero al Signor Horatio mio fratello, per una terzanuccia,& se non pigliava il vostro consiglio del bere il vino si trovava a mal partito.
BOVIO. Signor Curio mio honoratissimo poiche ve ne ho a dire il mio parere ve ne sarò tamente chiaro, che ne restarete ben pago,& satisfatto. I principali,& più famosi Rabini,& maestri della Medicina sono Hippocrate, Galeno, Avicenna,& Mesuè.& questi nostri Medici hanno ordinariamente questi quattro in bocca nelle visite de gli infermi.& io vi dico che con le dottrine di questi quattro voglio mostrar'a i nostri Medici, che ò non gli hanno letti, ò se letti non servano le loro dottrine,& pur fanno professione de suoi discepoli,& assecli, la onde ò sono barri, od'ignoranti, mà prima che venghi alli particolari dico per sentenza del suo Hippocrate, che: Natura non sustinet repenjtinas mutationes. Così dice egli ove parla de cibo,& potu. Alla qual sentenza contrariando i nostri Medici, al bel primo tratto, che sono chiamati per medicar, chi si sia, quantunque avezzo a ben mangiare,& bere di continuo vino, gli levano l'uno,& l'altro, contro detta sentenza del suo Hippocrate.& questa è una delle cause principali, che tira a morte i miseri languenti, i quali non potendo sopportar questa repentina mutatione se ne muoiono afflitti,& consumati da questa repentina mutatione. & questa sia una massima, contra la quale non vedo oppositione, ò ragione contraria. Mi dicono di gratia ove, od'in quale di questi loro quattro Authori habbino letto questo suo vietamento del vino a' miseri languenti? sò ben' io, che il loro Arnaldo, detto Gemma Medicorum, nel suo Commento sopra il libro De regimine sanitatis, dice, che il vino porta cinque beneficij seco all'infermo, il primo de' quali è, che con la sua sottigliezza distempera il cibo, lo fà penetrare,& porta a basso: secondo, conforta la natura. Terzo, opera che la colera,& melanconia, che sono humori grossi,& tardi di moto, descendino nelle budelle,& scaricano la natura. Quarto, introducendo il vino (per sua natura) allegria nelle persone gli leva,& scarica da detti humori, il colerico,& melanconico. Quinto, scaccia gli humori crudi,& però fomenta la natura; la onde non si debbe vietar'il vino in generale a gli ammalati, come fanno questi nostri Medici. Oltra di ciò dico, che sendo la febre causata da calor sopranaturale, conviene per iscacciarla usar'humor contrario, poiche con l'humore si estingue il calore,& fuoco. & dico, che l'acqua non è al proposito; perche relassa lo stomaco,& però si debbe usar il vino detto da Medici Oligofero, cioè acquoso, che vuol dire in lingua nostra vino bianco, picciolo per sua natura. Così vuol Galeno nel Commento di quell'aforismo:
Facilius est replense potu, quam cibo
Nè ci vaglia questa ragione sofistica dedotta da questi Medici in contrario, che'l vino per sua natura sia calido,& che non si deve gionger legna al fuoco, che si risponde, che nel vin bianco picciolo maggior è l'humidità, che la calidità,& che la calidità è vinta,& superata dalla humidità, e però non se gli deve dar l'acqua, mà il vino. Nè egli vale quell'altra sua ragione, che sendo ordinariamente i cibi, de' quali si nutrimo, caldi, non si denno cibare, però che senza i cibi la natura mancarebbe, e l'huomo morrebbe. Però sendo i cibi necessarij alla vita nostra,& convenendo cibarsi, conviene ancora dare,& administrare il vino alli soliti bere li vino, per non perder, ruinar, e desert5ar la natura assuefatta a bere il vino, e non l'acqua. E dice Galeno nel Commento terzo De temperamentis: Omne nutrimentum animalis calorem auget,& generaliter omnia assumpta in corpus, ut nutrimentum calefacient, e pure chi non nutrisse morirebbe. Hippocrate nel I libro De victus ratione in acutis, tratta diverse sorti di vini, cioè bianchi, negri, grandi, piccoli, dolci,& garbi,& mette le loro qualità, non però vieta il vino in alcuna sorte d'infermità, salvo che quando l'infermo è aggravato di doglia di testa, over delirio, over grave perturbatione di mente,& se bene essaminarete tutti i suoi libri, ove tratta De febribus, sia terzana, quartana, quotidiana, od'ardente mai vieta il vino, nè anco nella febre, ch'egli chiamasingultiente, anzi dice: Vinum bibat album, dulce, aquosum. Mà nella febre, ch'egli chiama pestilente, che trà il settimo giorno uccide, lo prohibisce; il qual settimo passato rimette à bever'il vino,& la ragione è questa, ch'egli medesimo allega nel primo libro De morbis, videlicet: Qui à febre ardente corripiuntur, internis partibus exuruntur,& lingua,& fauces ab interno spiritu exasperantur,& arescunt,& cum partes internae corporis fuerint resecatae homo moritur. Il medesimo Hippocrate nel secondo De morbis in cura pleuritidis, la quale è un'infiammatione della membrana, che succinge le coste,& hà principio da sangue, od' humor bilioso, dà il vino dicendo: Sorbeat ptisana succum bis in die,& vinum inde bibat album,& aquosum. Et mi sovviene che sendo io in Bavera,& havendo marchiato dui giorni con l'esercito,& affermatosi il terzo giorno, un mio ragazzo, che pativa una gran febre,& io non gli havevo dato mai bere per la incommodità del camino,& alloggiamenti in campagna rasa, andati gli altri servitori alla Città,& portato il vino, egli ne bebbe un fiasco,& vomitò una apostema assai grande, fosse mò pleuritide vera, ò pseudopleuritide, od'altro, tanto fù, che vomitato detto apostema, se gli levò la febre,& fù fatto sano,& fù per opera del vino bevuto in molta quantità. Ma seguendo detto Hippocrate nell'istesso libro, ove mette la cura della peripulmonia, affetto particolare de i polmoni, con febre acutissima da il vino dicendo:Huic primis diebus vinum dare convenit dulce, album, aquosum, paulatim frequenter bibendum. Et nell'istesso libro nella febre causata da humore bilioso, gli dà il vino, nè solo nella intermittente, mà ancora nella continua, si febris remiserit, ptisanae succum, aut mulsum tenue sorbeat,& vinum album odoratum,& aquosum insuper bibat. Si vero febris, neque noctu, neque die remiseris,& ad contactum aeger supernas partes habeat calidas, venter autem,& pedes frigidi sint,& lingua aspera, huic medicamentum ne dederis, sed molli infuso per clisterem subluito,& ptisanae succum bis in die frigidum dato, & vinum aquosum insuper bibendum dato.
Galeno parimente non pure non lo vieta; ma perche fora longa historia il recitar tutti i luoghi, ne dedurrò solo alcuni pochi, per chiarir le partite, senza far'il sacente nel mostrar di haverli tutti alla mano. Et primo nel commento sopra il libro di Hippocrate De victus ratione in acutis, discorrendo le varietà de' vini potenti, medij,& deboli, che gli chiama acquosi, non per l'acqua postavi dentro, mà per la qualità dell'uva, overo del paese ove è nato, dice: Vinum potens vehementer, celeriterque corpus calefacit, caputque ferit; imbecillum è contrario agit modo. Et più a basso dice:Verum, ut uno verbo absolvam, vinum dulce in acutis morbis ad expuitionem, tum propter dictas operationes, tum propter communem omnium vinorum rationem, quae vires roborat, idoneum exiit,& maxime his, qui quamvis humida, quae tum in thorace, tum in pulmone continenter expuunt. Et più a basso dice: Pravum autem febri auxilium est vinum fulvum, quod vehementer calidum sit, verum post vinum dulce non admodum crassum; ad eoru, quae in pulmone sunt, eductionem conveniens est aquosum vinum, virtutem roborans,& humores humectans, tum malefaciens mediocriter. Et ancor più a basso dice: Caput autem,& mentem fulvum magis ferit, quòd & calidius nigro existat, febresque eadem ratione auget, quibus idonea ea sola sunt, quae sunt aquosa,& nel fine conclude, dicendo: De vinis haec locutus Hippocrates praetermisso uno, quod non absolvit,& ego obiter percurram, quod scilicet febrientibus maxime idoneum sit aquosum. Et più a basso dice:Vini igitur vinosi notus tum perspicue, tum exacte recensens percurrensque, quonam pacto tum caput, tum mentem feriat, de aquoso ipsi contrariam disciplinam sufficientem esse existimavit, cum adversa, contrariaque; ipsi inesse ratiocinari possumus. Et nell'ottavo libro De methodo medendi, cap. 3 ove parla delle febri dice: Vinum verò ipse conscius es omnibus me huiusmodi naturis concedere, se quod, tum aspectu, tum viribus sit aquosum, id enim utilius est quam aqua ipsa est, utpote quòd, & concoctionem iuvet,& urinas,& sudores provocer; constat autem ex Hippocrate non indiarijs modo febribus, verum etiam in acutis, ex his quae de acutorum victu prodit, vinum dari. E nel libro decimoquarto dell'istesso methodo, ove ritorna a ragionar delle febri, dice: Sanè fugere in his convenit curandis, ea vina quae multum nutriunt, cuius generis crassa sunt, uti vero vel aquosis, id est colore albis,& substantia tenuibus, vel quibus mare admixtum, id est aqua. Et nell'ottavo De compositione medicamentorum, cap.7, dice: Vinum convenientissimum est citra inflammationem, aut erisipela, nam & nutrit,& concoquit,& roborat,& putrefationi resistit,& si intemperies ex humiditate,& frigiditate facta est, eam citra omnem molestiam,& secure persanat. & in questo loco per avventura parla del vino potente; atteso che quando parla del vino debole sempre gli aggionge questa parola aquoso. Et nel libro 5 De locorum affectuum notitia, ove discorre De oris ventriculi affectibus, dice così, vinum album modice stringens ventriculum robustum efficit, nec caput tentat, sicut facere solent ea vina, quae vehementer vires obtinent: Et nel libro primo De arte curativa ad Glauconem, capitolo 9, De teritiana exquista febris curatione, dice così Galeno: A vino antequam morbus concoquatur, omnino abstinendum est, at ubi concoqui coeperit, dandum est ab initio tenue, aquosum, paucum, ubi vero iam prope est ut morbus solvatur amplius est offerendum, morbus autem, secondo me,& gli intendenti, tunc incipit concoqui, quando apparet, cioè nel principio dell'augmento. & però nel principio del morbo conosciuto, che si ha, debbe darsi il vino, la cui dottrina, seguendo il Medico Chiocco giovine di buona dottrina, saggio, e da bene,& ornato di belle lettere Latine,& Graece, & Poeta elegante in causa propria beveva vernaccia dolce contro l'assertione degli altri Medici, che lo venivano a visitare,& di questa medesima opinione è il Medico Ceruti, giovine pur esso ancora, mà di presentia, & animo, & proprie virtù degno di esser'amato,& di cui io ne aspetto una felice riuscita. Avicenna parimente nel libro primo, nella terza fen, dottrina 2, capitolo 8 ove tratta De regimine aquae,& vini fà pur esso ancor diverse distintioni delle molte diversità d' vini, nè però lo vieta mai assolutamente nelle infermità. & dice tuttavia, che il maggior nocumento, che porti il vino è al cervello: però quelli che patiscono debilità di cervello ne bevano poco,& temperato. Et stante questa dottrina vera come sta, farebbe bene vietarlo alla maggior parte de' nostri Medici di verona. & nella prima Fen del quarto libro, ove tratta delle febri, scrivendo nel primo trattato ove parla dell'Efimera, cap. 9 Deglutiat cibum infusum in aqua,& vino, ut sit magis penetrans. Et al capitolo 12 Sumat vinum plurimae commestionis, est enim bonum medicamen ei.& al cap 18 Et vinum ex magis conferentibus rebus eis,& sumant in potu eum sine timore, nisi fuerit dolor capitis.& al capitolo 24 Et sumant in potu vinum plurimae commestionis, si fuerint assueti & al capitolo 30 Et si indigueris, ut des in potu vinum, fac, & al capitolo 37& vinum sit eis plurimae commestionis. Et nel secondo trattato cui parla delle febri putride;& acutre al capitolo 38, ove parla della terzana dice: Et non timeas post declinationem eos potare vinum plurimum commestum vinum habens caliditatem confractam per commestionem prodest eis,& al capitolo 55 ove parla della febre flematica dice:Et vinum subtile confert eis cum subtilitate sua, quia confortat calorem innatum,& quia provocat,& sudare facit,& nel capitolo 57 della febre humorosa cum sincopi, dice:Et necessarium est vinum eis post cibum,& nel capitolo 64 De cibo patientium quartana interpollatam dice:Et vinum sit parvum subtile & nel capitolo seguente assevera, che si debba dar'il vino. & il medesimo attesta della febre Quartana continua. Et nel terzo trattato ove parla della febre Ethica dice: Non inferatur ei violentia in cibo & potu & siti. Oltre questi Auttori Mesuè, pure tra Medici di gran nome, dice nel libro De aegritudin. memb. nutri. al capitolo de siti: Scivisti quod vinum bene permistum est salubrius in siti extinguenda, quàm aqua frigida, defert enim citius ad loca generantia sitim, portando aquaeum,& magis natura contenta est potare hoc quaàm illud,& ne dubites sitientem febrili discrasia potare vinum sufficienter permixtum, proprie post digestionem aliqualem materiei, cuius calor albus sit,& origo eius montana.
Mà per finirla dico, che tutti gli Auttori gravi di Medicina sono di questo parere,& convengono insieme, che si debbi dar'il vino a gli infermi,& se questi quattro Greci,& Arabi, ove nascono vini gagliardi,& potenti gli commandano,& danno, perche deveremo levarglieli noi, che i vini nostri sono appo gli suoi, deboli & fiacchi? Dico dunque, che si denno dar'i vini, eccettuato la ponta, un grave delirio di capo, squinantia, un'erisipilla gagliardo,& nella febre (detta di sopra) pestilente che tra il settimo giorno ammazza, il quale passato,& sopravivendo, se gli die il vino. Mà questi nostri da Verona quasi tutti convengono nel vietar'il vino,& dar,& commandar una dieta secondo loro, una inedia secondo mè, molto esquisita,& si predicano per Medici,& Filosofi naturali. & io dico, che contrafanno a Domenedio, però che il passar da un'estremo all'altro è contro l'ordine Divino posto in natura, il quale è questo: Ha Iddio sommo Architetto fatto le stagioni Estate, Autunno, Inverno, Primavera. L'Estate,& l'Inverno gran freddo questo, gran caldo quello, tra questi dui estremi sono i dui temperati Primavera,& Autunno, accioche passando i viventi da uno estremo all'altro, non periscano senza il mezo del temperamento. & vogliono questi tirar'un povero languente dal solito nutrimento ad una estrema dieta senza questo mezo? non lo vuole far Dio,& lo vogliono far essi: Et il suo Hippocrate dice al cinquantesimo aforismo del secondo libro: Plurimum, atque repente evacuare, vel replere, vel calefacere, vel refrigerare, sive quovis alio modo corpus movere pericolosum est, omne enim nimium naturae inimicum, sed quod paulatim sit, tutum est, cum aliàs, tum cum ab altero ad alterum transitus est,& ivi Galeno allegandone la ragione dice:Consistit naturae subastantia in elementorum commoderationem, non lo hanno mai fatto, ò comandato i Dottori, & maestri loro.
FILO. In fatto voi ritirate l'Arte del medicare in poche cose; a qual fine dunque hà prodotto la Natura madre universale, tanti vegetabili, tanti animanti, tanti minerali, mezi minerali, sali, alumi, bitumi,& pietre, se con così pochi puotè la natura nostra prevalersi, & liberarsi da tante,& così gravi indispositioni?
BOVIO. La natura le ha prodotte per mostrar la potenza sua,& ha dotato le sue fratture d'innumerabili virtù, per farci nota la varietà della sua providenza; io non divieto ad altri il valersi di queste,& quelle, mà io son'essercitato in questi che ho trattato,& in queste ho trovato le virtù mirabili, che vi ho racconto. Altri si sono prevalse di altre,& tra questi il Monardes Spagnolo hà descritto molte virtù dell'herba da noi detta Regina,& il Conte Nicolò Gambara Cavagliere di molta portata, mi hà detto di haverle egli stesso esperimentato tutte,& haverle trovate tutte vere. Et mi ha detto, di più, che se ne è servito nel mondificar lo stomaco,& polmoni dalle indispositioni catharrali,& asma,& gli intestini inferiori ancora con felicissimi successi, in questo modo.
Piglia una, due, ò tre foglie, secondo che sono maggiori,ò minori,& ne fà decottione in un pignatino coperto,& così replica tre, quattro, cinque, sei mattine, digiunandovi sopra quattro hore, overo gli dà un cucchiaro,ò dui di succo di detta herba, overo mezo bicchiere di acqua fatta a lambicco di questa herba in vece di decottione,& fà mirabili operationi nelle cose sopradette, mà in dolori di fianco,& dolori colici ancora,& in mal di costa,& febre, di che si voglia sorte,& natura. & di più ne ha dato a due donne venenate, & sono liberate,& in ogni sorte di ventosità interiore,& mal di matre applicando alle donne in questo caso una foglia di detta herba ben calda tra la natura,& l'ombelico. Se ne è servito ancora applicandone sopra ferite fatte con ferro venenato,& a morsi de cani rabiosi,& animali venenosi, è vero; che se hà potuto applicar le ventose tagliate alle parti offese, & poi sopra porvi od'herba, ò sugo, le cure gli sono riuscite con più felice successo,& si hà servito di dette ventose sopra le gotte, come ho descritto io per innanzi sempre con felici riuscite, mà più havendosi Giulio Cesare suo Cancelliere slogato una mano, subito racconcia gli fece applicar i cornetti tagliati per levarne l'humor concorso, doppo questo il terzo giorno occorrendogli far questione con la medesima mano, diede delle ferite al suo adversario,& in caso di risipelle gli fà tagliar la moscheta,& applicargli le ventose, in una hora sanano, il medesimo fà alle moroide,& lo hà fatto in se stesso.
Mà tornando alla herba regina, detto Signore pativa di carnosità,& haveva la vessivca piena di pietruccie, renelle,& altre lorderie. Si fece siringare con la candelina,& poi sbociar per la verga nella vessica, con un sgonferino fatto a questo effetto, succo di detta herba,& tra poco vomitò,& divenne come forsennato,& poi cacciò per la vessica renelle, pietruccie di più sorte,& molte immonditie in molta quantità, nè doppo per quattro anni ha più sentito mai alteratione alcuna in queste parti,& perche il Monardes scrive, che questa herba non si debbe usare, ove siano alterationi calde, egli doppo le applicationi de cornetti tagliati, ha usato od'herba,ò succo,& ne hà veduto,& provato giovamenti mirabili conformi à suoi desiderij. Si ha valso ancora il detto Conte dell'oglio del vitriolo, nel trar la sete alli febricitanti,& cacciar le febri,& sopra tutto le maligne, usandolo in brodi, od'acque, & quando non si hà trovato haver così l'oglio alla mano, del quale ne da cinque in sei goccie, usa l'acqua tratta per lambicco da detto vitriolo un cucchiaro, in dui, in detti brodi od acque, mà il vitriolo detto da noi Romano è di miglior,& più sicura operatione,& perche in questo mezo minerale sono virtù mirabilissime in migliara de indispositioni, voglio raccontarne alquante a confusione di questi Medici ignoranti, che se intitolano con falso,& mentito nome rationali,& dicono a noi empirici, i quali appo loro siamo Esculapij.
VIRTU' MARAVIGLIOSE DEL VITRIOLO
Et primo, al tempo della peste, pigliarai ogni altra mattina sei goccie di questo oglio in una oncia di iuleppe violato, a stomaco digiuno,& viverai sicuro. Ad uno apestato, nè darai otto goccie in una oncia di acqua di vita buona,& lo copri bene tra dui letti, che sudi, divisa in tre parti nel termine di due hore,& restarà libero, ad uno che havesse febre Ethica, od'humorale ne darai per sei od'otto mattine, sei goccie ogni mattina in due oncie di acqua di Endivia, ò buglosa, ò che sarà meglio di acettosa,& si farà sano. Ad uno che havesse il cancaro in bocca con questo sanarà bagnandolo,& a questo vale ancor il succo dell'herba Regina a chi havesse la Quartana, sei goccie di detto oglio in due oncie di malvagia, over di acqua di vita il giorno del parosismo,& coorendolo nel letto che sudi,& in tre,ò quattro parosismo si sanarà. & a chi havesse una tertiana nota, glielo darai in acqua di camomilla, nel detto modo. A chi havesse febre continua glie lo darai in acqua di camomilla, nel detto modo. A chi havesse febre continua glie lo darai in acqua di marrubbio, nel sopradetto modo. & a chi havesse vermini nel corpo glie ne darai con l'acqua di gramigna, overamente con l'acqua di silice a chi havesse dolori colici, overo di fianchi con acqua di verbena, od'artemisia. A chi havesse renelle, ò descorationi di vessica nell'acqua di gressoni in scambio di siroppi, per otto giorni continuati. A dolori matricali con acqua di Valeriana, overo matricaria, overamente con l'acqua di artemisia. A chi havesse i denti guasti toccali con detto oglio per tre volte,& sanarà dalla doglia sicuramente. A chi havesse il flusso di corpo ne bevi in vino negro potente per quattro, o cinque giorni, ogni mattina sei goccie in loco di siropo,& sanarà, overo in acqua di tasso barbasso.
A chi fosse hidropico darne per un mese in buona malvagia.
A chi havesse una vena nel petto rotta,& sputasse sangue, ne bea in acqua de bursa pastoris per tre mattine continue. A chi fosse venenato con acqua di vita si bea, overo con buona malvagia. A chi non potesse ritener'il cibo, con acqua, ò vino buono,& retifica il fegato, fà buon fiato,& aiuta i membri nutritivi, & spirituali. Ad ogni sorte di febre con acqua di buglossa innanzi il parosismo: a chi havesse reuma nella testa con buon vino & a chi havesse discorso di sangue con vino negro a chi havesse sordità nell'orecchie poni nell'orecchia bambace bagnato in detto oglio a modo di tasta, a chi patisce di podagre usarne spesso con vino leggiero, overo brodo. Al battimento del cuore con acqua di pimpinella, overo malvagia a chi havesse la lepra con acqua di fumoterre. A chi havesse i peli bianchi l'usi con acqua di betonica, overo indivia per più giorni,& diverranno rossi. Alla doglia di testa con acqua di mazorana. A chi havesse litargia purga prima il corpo,& poi usi l'oglio in vino bianco picciolo. A chi havesse debole memoria usi detto oglio con acqua di accori, over finocchio. Ad humor melanconico con acqua di boragine, over buglosa. Ad uno epilettico con acqua di peonia. Ad uno paralitico con acqua di mentastro. A chi havesse spasimo, ò tremore con acqua di salvia, ò di basilico. A chi hà doglie di corpo con acque di trifoglio. A chi debilita de' polmoni con acqua di finocchio, ò di fillermontano. A chi havesse sbusinamento nelle orecchie con acqua di sigillum Salomonis, alle renelle con acqua di verze, ò caoli. Questo oglio con acqua di pimpinella letifica il cuore,& augmenta il calor naturale. Con acqua di melissa rimuove il dolor del capo,& la lassitudine,& acconcia lo stomaco. Con acqua di nenusari, over papavero, purgato il corpoinduce sonno,& rimove le vigilie. Con acqua di vita, purgato il corpo sana la apoplesia. Con acqua di boccoli di rose stringe il flusso del sangue del naso. Con acqua di isopo, overo di salvia la tosse. Con acqua di trifoglio marino, overo di rafano cura la pietra s'è toffosa. Con acqua di calendula sana la peste. Con acqua di accori,ò di rosmarino leva gli humori, che descendono a basso per i nervi. In somma applicando questo oglio con le cose, che convengono,& sono specifiche alli morbi, augmenta le virtù loro ad operar sempre bene.
FILO. Voi volete, che questo vostro oglio calcantico habbia tante virtù,& tante potenze? Io non sò penetrar questo negotio con il mio intelletto.
BOVIO. Io vi aprirò la mente se sarete atto a concentrarvi, se non armatevi di patienza,& statevi contenti al Quia sit esperienza comprobat. In Piemonte si semina una cosa, che si chiama Ravazzone,& si raccoglie al tempo suo nuova semente di cui si fà oglio, che già tempo solo serviva a far lume (come si servimo noi è quello di semenzina,ò di lino) & al condimento de' cibi,& arrostir'i pesci, & riescono migliori, che se fossero arrostiti con il nostro commune di oliva. Questo oglio di ravazzone à registrarlo, che serva per i cibi, si fà bollire in un caldaro al fuoco,& come bolle si leva dal fuoco,& porta allo scoperto,& vi si getta entro un bicchier,ò dui,ò tre di aceto fatto di vino buono, che sia forte, il che fà, che da questo oglio si leva un fumo grande, & fetente: svaporato questo fumo l'oglio è acconcio in modo, che serve per eccellenza al condimento de' cibi. Le infermità nascono da un veneno, che hà la sua commistione con gli escrementi interiori. Questo oglio di vitriolo entrando nelli corpi nostri alterati da quel veneno si muove quel veneno, come quell'aceto lo rimove da quell'oglio & si come quell'oglio resta purgato,& si rende grato a noi ne i cibi, così quell'oglio di vitriolo, cacciato, che hà quel veneno, accresce centunplando,& mille culpando le virtù,& potenze di quell'acqua,ò vino,ò quella medicina specifica a questa,od'a quell'altra indispositione nostra,& la natura nostra alleggierita da quel gravame si prevale,& và sormontando, se noi con repeter più volte il medicame si aiutaremo,& quando non se habbino così alla mano le acque stillatitie delli specifici alli morbi, basta ad haver questi specifici vegetabili,& farne decottione breve,& mescedar l'oglio con queste decottioni,& serviranno ben spesso meglio, che le acque stillatitie. Se mò l'intelletto vostro le comprehenda bene stà: se non le comprende la colpa sia la vostra. Acquietatevi almeno alla isperienza, che questa vi renderà chiaro, che io vi ho detto il vero.
FILO. Io sapevo che l'oglio di vitriolo haveva molte virtù, ma non ne sapeva tante?
BOVIO. Io non vi ho detto la millesima delle virtù,& potenze sue, procurate pur voi di conoscer i specifici alle indispositioni,& con prudenza servitevi di questo benedetto liquore,& farete opere maravigliose: ditemi di gratia, il letame quando è in via di putrefatione non uccide egli li vegetabili, se glie lo applicate con quel suo nidore, che essala? putrefatto che egli è non rende più fertile il campo,& tutte le piante,& sementi rendono più feraci? Il vino che habbi dato la volta, & sia fatto turbido,& cattivo al bere, se voi gli ponete una libra di acqua di vita fatta di vino buono per carro, non ritorna egli al suo primiero stato? certo si, queste sono cose, che il senso le comproba, così questo oglio mirabile scaccia i cattivi vapori,& venenosi delli corpi nostri,& ritorna in stato primiero da sanità.
FILO. Io resto pago,& più oltra non ricerco in questa materia. Mà ditemi di gratia caro Signor Zefiriele, come le passate voi quando andate a confessarvi, dicendo,& scrivendo tanto sconciamente e di questi Medici? & come fanno i Sacerdoti ad assolvervi, havendogli così mal trattati nel Flagello,& Melampigo vostro,& di più si dice, che gli havete anco composto un'altro detto il Fulmine?
BOVIO. Io son nemico de' Medici, nè tampoco detesto loro come creature d'Iddio, solo biasimo le loro scelerate operationi,& manigoldagini,& non nomino alcuno in particolare, mà statemi ad udire,& vi recitarò un'historia vera, che mi avvenne, et non è ancor l'anno; in questo vostro proposito, che mi ricercate. L'ultima Festa di Pascha di Resurrettione andava a disinare,& per strada fui assalito dal Conte Lodovico Canosso,& Signor Alfonso Morando, i quali uno da un lato,& l'altro dall'altro lato mi gettarono le braccia al collo, dicendo: Voi sete nostro prigione,& vogliamo, che veniate a disinar con noi, a' quali dissi: Habbiatemi per iscusato, ch'io dò disinare ad altri questa mattina. & eglino mi risposero: Mandaremo per loro,& veniranno essi ancora a disinar con noi. In fine doppo molte parole,& contese convenne ch'io mi quietassi: & mandai ad avisar gli amici miei, che si godessero il disinare senza me, ch'io era prigione de i tali. & essi come cortesi disnorono il mangiar preparato con consolatione. Hora fui tratto a casa del Signor Alfonso, a quel suo bel luoco a San Zeno, ove erano Musiche di soavissime voci,& instrumenti,& vi si trovarono alcuni professori di lettere, di Filosofia, Astrologia, Medicina,& Theologia, ch'io non nomino per convenienti rispetti disinato che si fù i Musici, e servitori andorno a pranzare,& questi letterati cominciorono a travagliarmi con vari quesiti,& interrogationi, a i quali io dissi: Signori miei io non sò di havger ragionato altra volta con alcuno di voi,& queste cose, che mi addimandate sono più presto da esser ricercate a Filosofi, ad Astrologi,& a Theologi, che a me, che non sono alcuno di questi, porto le armi,& non sono Dottore, però se vi contentate di stare alle conclusioni,e decisioni, che vi darò, poi vi risponderò come piacerà all'onnipotente Dio, con patto però che le vostre Signorie non mi travaglino poi con altri imaginativi,& strani argomenti, ò sofistarie, ch'io non leggo i libri per voler apparere, mà per essere, non per altercar,& disputar, mà per componer l'animo mio,& così rispondendo io per decisioni me ne passavo,& quantunque non si volessero acquietare, che pur volevano argumentare, io dicevo loro, ò San Tomaso,ò Sant'Agostino,ò Platone,ò Tolomeo,od'altri secondo i quesiti hanno terminato,& io gli credo, se voi sentite altrimente andate a trovar'altri,& disputate con essi loro,& instando gli altri mi disse: Noi havemo letto il Flagello,& Melampigo vostro,& vi fate lecito, non sendo Dottore, di scrivere scioccamente contro tanti Dottori,& Medici; se fossimo Sacerdoti,& veniste a confessarvi a noi ve imponeressimo tal penitenza, che vi avvedereste de' vostri errori,& peccati. Non potè haver più patienza Orlando, si che exarsit dixit violontia Turni. Et dissi loro: Voi certo vi scoprite poco versati nelle Sacre lettere,& come che siate Dottori, sete simili a quel Rhabino, a cui disse il Signor nostro Christo: Tu es Magister in Israel,& haec ignoras?. Ditemi un poco se il Redentor nostro Christo fatto un flagello cacciò ementes, & vendentes de Templo,& mensas numulariorum subvertit: perche non posso io con parole vere, mà acerbe riprender questi sciagurati,& tanto più ch'io gli mostro la strada,& insegno il modo del rettamente medicare, & restituir i poveri languenti alle loro desiderate sanità? Non acciecò de gli occhi corporali il Signor nostro Paulo,& lo illuminò per questo modo alla Santa Fede? Non privò il medesimo Saul converso in Paulo, & fatto Vaso di elettione Elima mago dicendogli: O plaene omni dolo,& omni fallacia; fili Diaboli, inimice ominis iustitiae, non desini subvertere visa Domini rectas?& ecce nunc manus Domini super te;& eris coecus non videns Solem usque ad tempus; & confestim cecidit in eum caligo,& tenebrae,& circumiens quaerebat qui ei mundaret.
Et se il Prencipe de gli Apostoli Pietro disse ad Anania: Cur tentavit Satanas cor tuum mentiri Spiritui Sancto,& fraudare de pretio agri &. Et così morì egli,& la moglie Safira; mà che vado io rammemorando simili essempi? Quando i Religiosi riprendono, e predicano non strepitano contro a peccatori? & se queste cose sono vere in fatto come sono? perche voler dar penitenza a me, che riprendo le loro sceleratezze,& dimostro la vita buona trita da Hippocrate, Galeno, & da gli altri buoni Scrittori i quali od'essi non leggono, ò non intendono, scrivono questi suoi Dottori, che in acutis si debba medicar eodem die, che le diete si danno con temperanza, che si dia il vino a gli ammalati,& questi Manigoldivogliono aspettar le concottioni in scambio di diete ci commandano inedie? & ci vogliono debilitar la natura con acque cotte,& io mi tacerò? Non debbo, non posso, non voglio tacere;& se intitolano Artium,& Medicinae Doctores. Et non considerano, che questa parola Artes si forma dalla dittione Greca Areti, che significa Virtus appresso noi Latini,& essi sono vitiosi,& ignoranti; Cosi quei letterati si acquietarono,& voi altresì Signor Filologo componete l'animo vostro,& assicuratevi, che non odio, ò sdegno particolare, ch'io porti a Medici mi hà commosso ad iscrivergli contro, mà puro zelo di carità humana,& Christiana, però ne aspetto largo premio dalla munifica mano d'Iddio, che non lascia Ullum bonum irremuneratum. Et quello ch'io faccio, od'opero nel mio scrivere è precetto di S. Agostino, registrato nel capitolo non vos 5, q. 5 con queste parole.
Non est malevolus qui crimen alterius indicat, quia indicando, corrigere potest,& tacendo frater periri permittitur
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LO STAMPATORE
L'intentione dell'Auttore era di por fine a quest'Opera con l'antedetta auttorità di S. Afostino, e non gir più inoltre in questa materia; mà costretto d'alcuni Gentil'huomini suoi amici, ha convenuto di nuovo affaticarsi, discorrendo del modo ch'egli usa di medicare questo spaventoso male, che al presente ci dà tanto travaglio chiamato volgarmente Petecchie: Però seguendo l'ordine suo in forma di Dialogo così ragiona.
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FILOLOGO
Voi ci havete dato la vita a discorrerci queste vostre ragioni, fondamenti,& auttorità d'intorno i vini,& le diete, contro & fuori dell'ordine di questi, che si chiamano Medici ordinarij, & che fanno professione di medicar Canonicamente. Ma come la fate voi hora in queste tante petecchie, che ne hanno ucciso, e tuttavia ne uccidono tanti?
BOVIO. La colpa non è tanto del male, grave certo per se, quanto delli Medici. Io ne hò medicati non molti, per certi rispetti: mà vi dirò bene, che il Signor Gio. Battista Zaccharia mio cugino è vivo per me,& ve ne darò dui essempi, che voglio, che bastino per tutti.
Il detto mio Cugino si era infermato con febre gagliarda non intermittente,& haveva mandato per uno di questi Medici, il quale veduto gli disse (come è il loro costume) staremo vedendo, & provederemo poi: mio fratello la sera, che venni a casa, mi disse il fatto. Io mi trassi a lui la mattina seguente,& lo trovai (come egli,& la moglie sua mi riferirono, al suo solito) con la sua febre, che non se gli era mai levata da dosso. Gli feci fricare la persona,& andai io stesso ad ordinargli una di quelle mie ordinarie medicine:& trovai a caso un'altro Medico suo parente,& confidente: lo presi per mano,& tornai con esso lui a mio cugiono,& & gli dissi quanto occorreva,& la intentione del mio ordine,& medicamento. Lo approbò,& io mi trassi alla Spiciaria,& glielo mandai, lo prese, vomitò,& cacò dieci volte, in tra tanto gli ordinai buon brodo di buon capone,& che si nutrisce come poteva il meglio. La mattina seguente sendovi gli altri dui Medici,& trattandosi di trargli sangue, essi volevano per la vena, a quali io dissi fermatevi, , che io voglio trovar'il Barbiero,& ito ad un stuffaiolo lo condussi meco con le cucurbitule, i Medici restarono mezi confusi, vedendo il mio dissegno,& partirono, io gli feci fricar molto bene tutta la persona,& poi gli feci applicar sei ventose sopra le spalle, schena,& sopra la natiche,& trar quanto sangue potei,& poi gli ordinai che si cibasse quanto meglio poteva & bevesse del vino secondo le mie solite traditioni, conformi a quanto ho detto di sopra. Il seguente giorno trattai con questi Medici del siroparlo, volevano dargli un'oncia,& meza in due dì siroppi di boragine, lupuli,& cicorea, io glie ne feci pigliar tre oncie,& meza la mattina,& tre, e meza la sera,& queste sette oncie il giorno lo faceva caccare tre volte il giorno, lo tenivo nutrito di cibi buoni,& fomentatori della natura, per questi cinque giorni, che si siropò, si che quando si venne alla medicina ella poco operò, mercè il corpo era purgato,& gli si era annichilata la febre. Nè si videro petecchie, perche le fricationi,& ventose l'havevano sventato,& le avacuationi trattone la matteria peccante,& i cibi buoni l'havevano sustentato.
Ad un'altro pure, che sarebbe infettato del medesimo morbo, subito feci far le fricationi,& divenne rosso come un panno cremisino,& quantunque havesse la febre gli feci far'una suppa in vernaccia dolce, e pane grattato in brodo di buon capone, andai là nel fargli notte, e lo trovai mezo ricoverato, pure haveva la febre, mà meno grave, gli feci replicar le fricationi,& alle quattr'hore di notte feci replicar la suppa nella vernaccia dolce,& pane grattato in broso del medesimo cappone.& la notte riposò pur meglio, mà la febre non si partì, quantunque si alleviasse, la mattina gli replicai le fricationi,& poi diedi una delle mie medicine, vomitò,& caccò bene,& la febre si si riallegerì. La seguente mattina gli replicai nova medicina, ricaccò.& se gli levò del tutto la febre. E tra tanto non non volli che si stesse a queste diete, mà con brodo,& carne di cappone,& vernaccia solita si nutrisse. Levata la febre lo fei reficiare con ovi freschi,& pistachea,& cibi buoni, mà non in quantità, nè più si ha sentito male. A quelli, che mi hanno chiamato tardo, hò soccorso pure con fricationi,& cibi buoni,& ventose, sono sanati, mà non così tosto. Io dissi questi miei ordini al Medico Chiocco,& al Medico Ridolfi, gli hanno tenuti,& sono riusciti honoratamente delle cure loro; a quelli, che non mi hanno voluto imitare è successo far la strage de' morti,& dar guadagno alli cerraioli,& beccamorti.
FILO. Et perche non sete voi chiamato da tutti i patienti,& amalati?
BOVIO. Perche la Città è grande, ne sà ogn'uno le opere mie,& i più ch'io medico sono gente basse,& di poco nome;& i miei Emuli dipingono le cose per altro verso. Il Dottor Algaroto ha tenuto la strada del dar lo Hercule,& elleboro bianco corrotto con zuccaro,& oglio di mandole dolci,& hà fatto opere stupende, nutrendo egli ancora bene i suoi infermi, mà non vuol fare questo ufficio di medicare salvo, che per pura pietà, & non in ogn'uno. Et questi due Medici Chiocco,& Rhodolfo mi hanno detto, che ove sono intervenuti con gli altri Medici, che hanno voluto dietare i suoi infermi di queste sue diete ordinarie, dette da me inedie, le cose sono ite in desperatione,& i poveri languenti sono passati all'altro seculo a dar nuova di noi: Mà certo questi nostri Medici per ordinario non vogliono far buon ad Hippocrate i Quinto aforismo allegato di sopra a quel gran Dottore maestro supremo della Medicina,& dicono, & ch'io,& miei pari non medicamo Canonicamente,& pure questo suo maestro (che mi giova il replicarlo) dice: In tenui victu aegri delinquunt, quo sit, ut magis laedantur; Quicumque enim error committitur magnus, maior in hoc fit. Il che Galeno transporta in questo modo: Quicumque error accidit aegrotantibus, qui tenui victu reguntur, hic maius affert periculum, tum quia natura a tali victu debilitatur, tum qui ad eum transitus est insuetus. Il che si conviene pure con il cinquantesimo primo aforismo del medesimo Hippocrate del secondo libro detto di sopra, plurimum atque repente,& ecc.. Et ivi dice il medesimo Galeno ancora. Si che io non vedo come con conscientia possino dire dietare, & biasimar me, che non la voglio intender seco, & dicono ch'essi medicano Canonicamente,& io Empiricamente,& pure io convengo con Hippocrate,& Galeno suoi maestri,& essi gli contrariano.
RAGAZZO. Signor Dottore il vostro servitore stà da basso,& v'addimanda.
FILO. Digli che venghi di sopra.
SER. La massara si hà tirato un paiuolo di liscia sopra le gambe, & stà gridando come un'anima, che pena.
FILO. Che vi pare, che gli debba fare di tanti rimedij, che ci sono?
BOVIO. Se haveste bagnato le pezze nel buon vin nero,& applicatovele sopra questo era ottimo rimedio, fà il medesimo l'inchiostro, il succo delle cepolle, & quello delli porri; mà quando io ne ho commodo vi applico sopra la vernice liquida con una carta di straccio,& questa basta.
SER. Vi è di più, ché volendo la Signora padrona correre al suo aiuto, è ita a cadere,& si hà amaccato un ginocchio gravemente.
BOVIO. Se vi havete applicato subito pezze bagnate nell'acqua non seguiva altro, che haverebbono vietato il flusso de gli humori, mà poi, che non è fatto caricate la parte offesa di grasso di porco pisto,& lasciategli sopra una pezza, che dimani sarà libera senz'altro.
FILO. A Dio Signor Bovio,& voi Signor Curio mio Signore.
BOVIO. Signor Filologo non vi scordate, che le panatelle, l'acqua cotta, & le diete di questi vostri stercorarij sono barrarie,& ladrarie, e tenite a mente, che Finis praeceptorum Dei est dilectio: però quando sete chiamato a medicar chi si sia, ò venghi a voi chi si sia per pigliar parere,ò consiglio, proponetevi nella lingua,& applicatevi a gli occhi la Carità, e tutte le cse vi passaranno ad utile, ad honore,& a gloria, ch'egli è scritto.
Qui manet in Charitate in Deo manet,& Deus in eo
Et con questo a Dio Signor Filologo, a Dio Signor Curio.
IL FINE
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TAVOLA
DELLE COSE
PIU' NOTABILI
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[DEDICATORIA DA PARTE DELLO STAMPATORE DELLA RACCOLTA DELLE OPERE COMPLETE DI ZEFIRELE TOMASO BOVIO, ANNO 1626]
[DEDICATORIA DELL'OPERA O DIALOGO INTITOLATO FULMINE DE' MEDICI PUTATITII RATIONALI DI ZEFIRIELE THOMASO BOVIO, ANNO 1592]
[INIZIO DELL'OPERA O DIALOGO INTITOLATO FULMINE DE' MEDICI PUTATITII RATIONALI DI ZEFIRIELE THOMASO BOVIO]
Cura dell'hidropesia - car.7
Cura dell'opilatione - car. 10
Hercule medicina,& sue potenze - car. 12
antimonio, & sue potenze - car. 13
Gratiola,& sue virtù - car. 16
Causa principale per la quale l'Autore non è seguito da gli altri Medici - car 18-19
Diete de' Medici ordinarij ciò che siano - car. 22
Cura delle febbri ordinarie - car. 23
Modo del far'i siropi dell'Autore - car. 23
Siropi usuali dannati, per qual cagione - car. 26
Febri maligne,& sua cura - car. 28-29
Avaritia cagiona la morte a gl'infermi - car. 31
Siropi usati da' Medici mortiferi, & la ragione- car. 34
Vomiti necessarij - car. 36
Lettera dell'Auttore al Capo di Vacca - car.38-39
Cure disperate - car. 47
Tornello per far'i siropi,& le medicine - car.48
Diete, & inedie improbate dell'Autore - car. 50
Causa perche l'Autore non si serve di cassia - car. 53
Tiriaca buono alle ventosità interiori - car. 55
Fiori dell'antimonio - car. 56
Senna, tartaro, e canella, medicina eccellente - car. 57 e car. 94
Cura delle febri per causa delle porrosità chiuse - car. 59-60-61
Sceleraggine per troppo premio - car. 64
Ingratitudine di molti a' loro Medici - car. 67
Vino ad una pleuretica diede la vita - car. 67
Vino ad un'hidropico con erisipilla - car. 70
Vino a terzanarij - car. 70
Bere nell'ardor febrile di molto giovamento - car. 72
Febre quartana,& sua cura - car. 75
Medico fortunato dal Cielo - car.78
Medico deve haver cognitione di molte scienze,& arti - car.81
Nella dedicatione si discorre del medesimo
Gotte, sciatiche, & dolori artetici - car. 83-84-85
Seme dell'ebulo,& sambuco,& sue virtù - car. 92
Semplici al catharro del capo - car. 97
Ordine per custodirsi dalle gotte - car. 100
Aposteme stomacali,& del ventricolo,& sua cura - car. 103-104
Non sempre si deve medicar con medicine, mà con essercitij - car. 108-109
Cura dell'epilepsia - car.113-114
Iddio si serve ancor delli spiriti cattivi ad operar bene - Car. 118-119-120
Mal francese - car. 126-127-128
Precipitato,& modo di farlo - car. 134
Unguento per piaghe di mal Francese,& carnosità - car. 137
Unguento per gomme Franciosine - car.140
Acqua del legno non molto approbata con sue diete - car. 142
Mal Francese con dolori artetici, gotte,& sciatiche - car. 145
Estratto di elleboro come si faccia - car. 148
Unguento,& altre ucere maligne - car. 150
Trar sangue,& dietare secondo il commune uso improbato - car. 153
Scelerità per causa di rapire - car. 156-157
Discorso intorno i moti Celesti - car. 159-160-161
Come operino in noi i moti superiori - car. 169
Opinione de' saggi antiqui intorno a Dio,& a Dei - c. 172
Astrologia necessaria al Medico - car. 175
Quesiti varij fatti all''Autore,& sue risposte - car. 178-179-180
Medicine gagliarde in cause disperate - car. 189
Medicina gagliarda quando si conviene - car. 192-193
Evacuatione gagliarda quando si conviene - car. 197
Feriti doversi nutrire - car. 199
Transcuraggine de' polsi dà la morte - car. 202
Lettera di Don Pellegrino all'Autore - car. 207
Cura delle sciatiche - car. 215
Felicità dell'huomo di mediocre fortuna - car. 223
Cura del catharro ne i polmoni - car. 234
Discorso lungo d'intorno i vini, che si denno dare a gli ammalati - car. 239
Virtù dell'herba Regina - car. 250
Virtù dell'oglio di Vitriolo - car. 252
Diffesa dell'Auttore per haver biasimato i Medici - car. 257
Cura delle petecchie - car. 263
IL FINE