inf. Durante Vedi qui un'altra immagine!

Fra il 1861 ed il 1910 (come scrive A. Capone, Destra e Sinistra, da Cavour a Crispi, in Storia d'Italia, XX, UTET, Torino, p.431) ammontò a circa 13.130.000 persone, in stragrande maggioranza di estrazione rurale: cause incentivanti del processo emigratorio si ebbero però a partire soprattutto dagli anni '80 del XIX secolo sia per l'arresto dello sviluppo capitalistico (dopo i successi degli anni precedenti) ed eminentemente per la crisi dell'agricoltura meridionale susseguente alla politica doganale del protezionismo. L'esportazione vinicola dal Mezzogiorno verso la Francia, agevolata fra gli anni '70 ed '80 dal fatto che la malattia dei vigneti (fillossera) aveva falcidiato le campagne transalpine indusse gli agrari meridionali a nuovi investimenti, anche a costo di indebitarsi con le banche, ipotecando le proprietà, nella prospettiva di rapidi introiti. L'applicazione del protezionismo fece sì che il vino meridionale venisse sempre meno richiesto a partire dal 1890 in Francia, con la conseguenza che, specie in Puglia, gli espropri per insolvenza rispetto alle banche divennero rilevanti con la conseguenza di un grave immiserimento dei ceti agrari. Peraltro la cerealicoltura più che giovamenti trasse penalizzazioni nel Sud d'Italia, sì che anche i lavoratori in questo settore dell'agricoltura caddero in gravissima crisi economica. L'incremento demografico, la disoccupazione conseguente, il sempre minor numero di braccia da impegare nel mondo agricolo tradizionale completarono questo quadro di disagio estremo: peraltro anche al Settentrione, seppur in maniera, molto meno evidente le trasformazioni sociali, il protezionismo, l'arresto dello sviluppo industriale, l'incremento demografico contestuale alla carenza di nuovi posti di lavoro agevolò per molte famiglia la scelta dell'emigrazione.
Il PORTO DI GENOVA (qui FOTOGRAFATO alla fine del XIX secolo, mentre una folla di emigranti si accalca su un piroscafo destinato a raggiungere le Americhe) divenne un punto di riferimento per tanti individui, e spesso intiere famiglie, che svenduto quanto loro era rimasto avevano optato per la scelta dell'EMIGRAZIONE in altri Stati, europei e non.
Gli anni nei quali prese via il decollo industriale si collegarono ai massimi livelli emigrazione temporanea e permanente, da valutare in grossomodo in 300.000 unità ogni anno, per tutto l'arco cronologico di fine '800, e pressapoco in mezzo milione per gli anni susseguenti al 1901.
L'emigrazione italiana venne caratterizzata da considerevoli quote di espatri temporanei e stagionalili rispetto a quelli definitivi con la conseguenza di un forte "nomadismo". Gli studiosi valutano che nei decenni 1880?1890 e 1890?1900 il 43,4% e il 47,6% degli espatriati tornò in patria, percentuale destinata a crescere nei decenni successivi "Nel periodo aureo di libero mercato internazionale del lavoro (1880-1913) l'emigrazione italiana in ciascuno di questi paesi, Francia, Germania, Canada, Stati Uniti e Svizzera, crebbe in misura quasi perfettamente proporzionale ai rispettivi tassi di crescita del prodotto nazionale" come scrive lo stesso Capone rifacendosi ad una frase emblematica di E. Sori alle pp. 338-339 del suo lavoro L'emigrazione italiana.
[l'immagine originale è custodita a Roma presso il "Centro Studi Emigrazione"]







Io sottoscritto GIUFFRA ANTONIO, figlio di Giuffra Matteo, sono nato nel 1871 a Cassanesi nel comune di Trebogna, sono cresciuto nella casa paterna fino all'età di 16 anni poi non avendo voglia di studiare mi sono imbarcato per l'America": tutto ciò per fuggire, come in questo caso, a MISERIA E DISOCCUPAZIONE e senza particolari esigenze, sì da diventare anche vittima di imprenditori spregiudicati, accettando qualsiasi LAVORO In questa maniera comincia un taccuino di 29 pagine, conservato presso l' ARCHIVIO LIGURE DELLA SCRITTURA POPOLARE in Genova, redatto con una grafia abbastanza larga e dalla sintassi incerta tipica di chi non ha consuetudine con la pratica dello scrivere. La narrazione diaristica fa riferimento a due viaggi da EMIGRANTE negli Stati Uniti (rispettivamente nel 1888 ed ancora nel 1896), al servizio militare del narratore, al suo matrimonio, ad ancora altre vicende esistenziali, tra le quali merita un cenno una tempesta incontrata durante uno dei viaggi marittimi, nel corso dei quali a malapena il BASTIMENTO su cui viaggiava il Giuffra riuscì ad evitare un naufragio.
ANTONIO GIUFFRA faceva parte dei ben 15 milioni di ITALIANI che, tra 1861 e 1920, raggiunsero gli Stati Uniti (gli emigranti che definitivamente vi si fermarono furono, naturalmente, di meno, grossomodo 4 milioni e mezzo: invero la maggior parte, come il GIUFFRA, erano dei temporanei, gergalmente detti UCCELLI MIGRATORI) e rientrava tra i circa 2 milioni di italiani che presero il via per la loro avventura oltre oceano dal porto di Genova: più estesamente era altresì da annoverare tra i ben 22 milioni di passeggeri che, tra il 1892 ed il 1924, sbarcarono a New York, passando per il sito obbligato di ELLIS ISLAND, il luogo in cui gli immigranti venivano ACCOLTI, VISITATI E SCHEDATI ma non obbligatoriamente AMMESSI ad entrare nel paese nordamericano e che, per certe vicissitudini, in qualche modo meritò l’etimo di ISOLA DELL'INFERNO.
Esiste, per investigare su questo enorme fenomeno di spostamenti di massa, un sito internet (appunto di Ellis Island) che se visitato permetto ricerche interessanti ed opportune riflessioni critiche. A proposito del cognome GIUFFRA, quello dell'estensore del citato diario, si individuano 50 schede che riguardano 30 uomini e donne: la replicazione dei nomi citati oltre che ad omonimia dipendeva anche dalla circostanza che alcuni emigranti (come appunto ANTONIO GIUFFRA) raggiunsero quel porto in più di una occasione.
La precisione delle tecniche di schedatura ai tempi della grande immigrazione italiana non era sempre puntuale e risentiva di una certa approssimazione, anche in dipendenza di una tendenza linguistica all'americanizzazione degli etimi italiani: così il paese di TRIBOGNA (appunto patria di Antonio Giuffra ed altri emigranti liguri) alternativamente divenne TRILOGNA, TRIBEGNA, FRIBUGNA, TERIBUGNA (ma d'altronde anche la ben più nota GENOVA in varie occasioni fu trascritta dai funzionari americani con una serie di forzature sì da diventare GENOA se non addirittura GENOSA.
Districandosi fra questi impacci nella registrazione dei dati si individua alla fine un certo ANTONIO GIUFFRA ma ben presto ci si rende conto che non può essere identificato con l'autore del menzionato diario: "questo" ANTONIO GIUFFRRA infatti nel 1913 aveva 30 anni epoca in cui invece l'"autore della cronaca" doveva contarne almeno 42.
La mancanza dei dati dell'ANTONIO GIUFFRA, estensore del piccolo diario, si giustifica proprio leggendo il suo scritto: il viaggio del 1896 (quello che poteva servire per identificarlo, atteso che il viaggio del 1888 non è utile per siffatte ricerche atteso che si svolse in epoca anteriore alle procedure di registrazione e schedatura degli immigranti) ebbe in effetti i crismi della clandestinità.
ANTONIO GIUFFRA lo aveva infatti intrapreso allo scopo di evitare la chiamata alle armi onde partecipare alla infausta spedizione italiana in Abissinia, per quell'impresa coloniale che si concluse invece con la tragica sconfitta di Adua: e del resto questo nostro GIUFFRA in tale circostanza nemmeno sbarcò a New York scegliendo di raggiungere diverse destinazioni, lavorando quale marittimo allo scopo di mantenersi assieme al vitto anche le altre spese di viaggio.
Scorrendo la documentazione elettronicamente registrata nella banca dati della "Fondazione Agnelli", intitolata "Italiani nel mondo", si arriva alla definizione degli elenchi di 200.000 italiani giunti via mare a New York nel periodo 1882-1891, quello cioè del primo viaggio da emigrante fatto dall' ANTONIO GIUFFRA estensore del citato, piccolo diario: ed in questo caso il personaggio viene individuato.
Dalla documentazione si apprende che ragazzo di 17 anni, senza alcuna professione dichiarata, ANTONIO GIUFFRA, del quale era anche ignoto il luogo di provenienza, si era imbarcato per gli Stati Uniti a Le Havre sul piroscafo "La Champagne" sì da raggiungere New York (che nel diario risulta sostituita dal toponimo italiano gergale "Novaiorche") il giorno 20 agosto 1888 (quello appunto dell'arrivo del primo viaggio transoceanico). ANTONIO GIUFFRA grazie alle pagine che scrisse (ed alla tesi di laurea che ne è stata ricavata e che risulta consultabile in forma di ipertesto multimediale) risulta essere, alla fine delle ricerche, uno dei più documentati testimoni di quel fiume di uomini che, sulle vie dell'emigrazione e della speranza, si riversarono in New York .




Il punto di ingresso principale negli Stati Uniti è New York dove dal 1855 è in effetti attiva la stazione di ricevimento e sosta di Castel Garden (che era stata prima una fortezza e successivamente un teatro). Castel Garden chiude però nel 1890, anche a seguito di polemiche su presunte truffe ai danni degli immigrati. Il 1° Gennaio 1892 apre il primo nucleo di ELLIS ISLAND.
Per chi arriva a Boston, il secondo porto di ingresso, vi è un cupo capannone messo a disposizione dalle compagnie marittime. A Baltimora gli immigrati vengono ispezionati al Baltimore & Ohio Railroad Reception Center. Gli immigrati in arrivo a San Francisco, prevalentemente cinesi, erano esaminati a Angel Island.
Per chi arrivava in Canada il passaggio obbligato era il molo 21 (Pier 21).
In Brasile i molti italiani diretti a Sao Paulo sbarcavano nel porto di Santos ed erano avviati verso l' Hospedaria de Imigrantes prima di raggiungere i nuovi luoghi di residenza.
ELLIS ISLAND era stata disegnata per SELEZIONARE SCIENTIFICAMENTE E SELETTIVAMENTE migliaia di immigrati al giorno, spesso più di 5000. Con la nota passione per le curiosità statistiche degli americani, l’ autore del libro Ellis Island, Una storia illustrata dell’esperienza degli emigranti ci segnala che il giorno di maggior traffico per Ellis Island è stato il 17 Aprile 1907 con 11,747 ingressi. Il 1907 vince anche la palma dell’anno di maggior transito: oltre un milione di arrivi.
Il ciclo di ispezione doveva funzionare come efficiente catena di montaggio con agenti federali che esaminano sistematicamente "il candidato" per verificare che, come richiedeva la legge sull’immigrazione, avesse "senza dubbio diritto allo sbarco".
Ognuno aveva compiti specifici e, mediamente, il processo durava dalle 3 alle 5 ore.
Il tasso di "rigetto" era del 2%, ma circa il 20% degli emigranti era trattenuto per più giorni al fine di completare esami complementari.
Siffatta sorta di "catena di montaggio" si applicava solo a chi viaggiava nelle stive (o terza classe), mentre chi viaggiava in prima e seconda classe poteva essere ispezionato a bordo per poi sbarcare al molo di arrivo.
Queste ispezioni erano molto più superficiali tanto da spingere alcuni emigranti, che temevano di non superare le visite più rigorose di Ellis Island, a pagare il più caro biglietto di seconda classe.
Appena la nave attraccava ai moli sul fiume Hudson ai passeggeri veniva ordinato di raccogliere i propri BAGAGLI e di raccogliersi sul ponte per l’appello.
Ognuno portava cucito sugli abiti un cartellino con un numero corrispondente al libro mastro dei passeggeri.
Secondo questa numerazione gli emigranti venivano trasferiti sui traghetti che li avrebbero portati a Ellis Island.
Questi traghetti, noleggiati dalle compagnie di navigazione, erano di solito sovraffollati e, per le loro condizioni, potevano tenere a malapena il mare. Ma chi doveva passare per Ellis Island veniva tenuto su queste imbarcazioni senza acqua né cibo per ore.
Alla fine i passeggeri erano fatti scendere da ispettori che urlavano ordini in molte lingue diverse, MESSI IN FILA e fatti entrare nell'edificio principale (dal 1900 un nuovo edificio in muratura sostituì la struttura originaria in legno, bruciata nel 1897).
Appesantiti da BAGAGLI di tutti i tipi e spesso trascinandosi dietro uno o più BAMBINI gli immigranti iniziavano la fase decisiva del loro viaggio.
Dentro l’EDIFICIO potevano lasciare i BAGAGLI presso il deposito che occupava quasi interamente il pian terreno ma molti, temendo di perderli, insistevano nel tirarsi dietro tutti i loro averi durante l’intero processo di ispezione.
Gli esami iniziavano immediatamente.
In cima alle scale degli ispettori osservavano chi saliva per identificare chi aveva problemi di deambulazione o mostrava segni di affaticamento che potessero segnalare problemi cardiaci.
Gli immigrati ad ogni passo mostravano la scheda sanitaria che veniva timbrata ed annotata. Appena dentro la sala dei registri un altro dottore VERIFICAVA LO STATO FISICO DEL CANDIDATO da testa a piedi in cerca di sintomi di malattie e deformità. I sospetti venivano marchiati con il gesso sugli abiti utilizzando segni convenzionali.
I "marchiati" venivano esclusi dal flusso principale ed inviati in un’altra stanza per un esame più approfondito. In questi casi spesso venivano a separarsi dei nuclei familiari. La natura "industriale" del processo e le difficoltà linguistiche facevano si che non fossero date spiegazioni.
Le visite iniziali avevano il solo scopo di di individuare chi doveva essere trattenuto per ulteriori controlli, e duravano da due o tre minuti. Ellis Island era considerata fra i medici la miglior scuola di diagnostica del mondo e chi vi lavorava ne andava molto orgoglioso. Nei giorni più affollati un dottore aveva non più di 6 (sei) secondi per identificare più di sessanta malattie. In generale, comunque, chi passava da Ellis Island era di buona salute, temprato dal lavoro nei campi.
Passate le visite mediche gli immigrati sedevano sulle panche nella sala dei registri in attesa del colloquio. Erano raggruppati secondo il numero di sbarco che, come detto, corrispondeva al numero del registro passeggeri. Il registro conteneva 30 nomi per ogni pagina e questo metodo consentiva di esaminare il gruppo senza dover girare pagina.
Accanto agli ispettori vi erano interpreti nelle principali lingue e dialetti. L’attesa poteva durare ore ma, una volta arrivato il proprio turno la conversazione era molto rapida.
Nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione, precedenti penali.
La domanda più insidiosa era sempre posta per ultima: Hai un lavoro?.
La legge sul lavoro straniero del 1885, appoggiata dai sindacati, escludeva gli immigrati che erano giunti dall’estero con un contratto di lavoro. Questo doveva in teoria proteggere i salari americani dalla concorrenza di manodopera a basso costo proveniente dall’estero. Spesso questa legge veniva applicata anche a chi diceva di recarsi a lavorare presso parenti e amici.
Occorreva dimostrare di essere in condizioni di lavorare e di mantenersi, ma senza dire di avere un lavoro già pronto.
Gli immigrati dovevano mostrare abbastanza denaro per dare prova di non essere dei derelitti. Il quantum era lasciato alla discrezionalità degli ispettori fino al 1909 quanto fu stabilito che ognuno dovesse avere il biglietto ferroviario fino al luogo finale di destinazione e $25, líequivalente di una settimana di paga di un ispettore.
La norma fu applicata senza preavviso e generò confusione e panico fra le centinaia che si videro rifiutato líingresso. La regola fu annullata dopo pochi mesi in seguito alle proteste del pubblico, ma i $25 rimasero un valore di riferimento per gli ispettori ancora per molti anni.
L’obiettivo di tutto il processo era di evitare di ammettere immigrati che sarebbero divenuti "un peso per la società". Nel corso degli anni le leggi ed i regolamenti dellimmigrazione divengono sempre più severi. Aumentano le malattie che determinano l’esclusione. Aumentano le domande nel colloquio.
Dopo il 1903 viene chiesto ai candidati se sono anarchici.
Dopo il 1907 non furono più ammessi bambini sotto i 16 anni non accompagnati dai genitori. L’Immigration Act del 1917 portò i cambiamenti più significativi: furono istituite 30 motivi di espulsione, fu reso obbligatorio un esame medico completo per tutti e non solo per coloro che mostravano alcuni sintomi e fu introdotto un test di alfabetizzazione per tutti i maggiori di 16 anni.
Queste nuove e più rigide procedure ridussero le capacità di selezione di Ellis Island a 2000 persone al giorno.
Per la maggior parte degli emigranti l’esperienza di Ellis Island durava 4 o 5 ore. Ricevevano alla fine il permesso allo sbarco e venivano indirizzati verso il molo del traghetto per New York o verso la biglietteria ferroviaria.
All’uscita, ad attenderli, spesso c’erano parenti e conoscenti. Prima di lasciare l’isola i nuovi arrivati potevano utilizzare una serie di servizi come la vendita di biglietti ferroviari, il cambio di valuta, l’invio di telegrammi etc. Tutti questi servizi erano gestiti da privati in regime di concessione.
Nei primi anni di attività mancò un adeguato controllo su questi servizi. Si registrarono di conseguenza gravi casi di abuso quando non vere e proprie truffe - nei confronti degli immigrati. Le compagnie ferroviarie si divisero il traffico e, per generare ricavi anche sulle tratte meno battute, facevano fare agli ingenui immigrati giri viziosi. Il cambio di valuta, la vendita di cibo ed i servizi di movimentazione dei BAGAGLI erano controllati da veri rackets che sfruttavano in tutti i modi l’ingenuità e la posizione di intrinseca debolezza degli immigrati.
Tutti questi abusi furono eliminati dal presidente Theodor Roosvelt che, nel 1902, nominò un nuovo commissario.
La cattiva reputazione di ELLIS ISLAND come Isola dell’ Inferno o Isola delle Lacrime deriva non dall’ esperienza dei milioni che vi transitarono in modo relativamente rapido ma da quella delle migliaia che vi furono trattenuti per accertamenti di tipo medico o di altro tipo.
Una DONNA IN VIAGGIO DA SOLA O CON BAMBINI veniva tipicamente trattenuta fino a che gli ispettori non ricevevano prove sufficienti (es. telegramma, biglietto ferroviario) a garantire che il nucleo avrebbe raggiunto la destinazione finale senza pericoli.
La causa principale di "detenzione" a Ellis Island erano le malattie. Il primo ospedale dell’isola, di 125 letti, fu da subito insufficiente e dovette essere ampliato due volte fino a 275 letti. Anche dopo questi lavori, tale ricovero non poteva isolare e curare le malattie infettive. Gli immigrati che ne soffrivano dovevano essere trasferiti negli ospedali di New York.
Nei mesi invernali il freddo mieteva numerose vittime. I medici stimarono che il 30% dei bambini malati di morbillo morirono per il freddo patito sui traghetti. Un ospedale per le malattie infettive, disegnato secondo i più moderni criteri di profilassi, fu realizzato nel 1909 ma entrò in funzione solo nel 1911 a causa di ritardi nella fornitura delle attrezzature.
La gran parte dei pazienti erano affetti da morbillo, ma vi erano anche ammalati di scarlattina, difterite e varie infezioni multiple. Quasi tutti erano bambini, esposti più di altri al contagio nelle stive affollate dove si viveva a stretto contatto uno degli altri. La vita dei genitori dei bimbi ospedalizzati erano difficili in quanto venivano trattenuti nelle camere di detenzione senza quasi ricevere informazioni sui loro figli. Per questi ultimi, i giorni passati nell’ospedale rappresentano spesso un ricordo piacevole. Così racconta il siciliano John Titone, arrivato nel 1920 a 9 anni.
Molti però, adulti e bambini, morirono. I registri indicano che dal 1900 al 1954 sono morte a Ellis Island più di 3500 persone di cui 1400 bambini.
Nel corso degli anni aumentò la sensibilità e l’attenzione verso le malattie mentali. I dottori ne cercavano i segni nel comportamento degli immigrati durante gli esami. Scherzare, mangiarsi le unghie, sorridere ed altri "comportamenti eccentrici" erano guardati con sospetto.
Occorreva tuttavia tenere in conto le differenze etniche. Se un italiano rispondeva alle domande con la freddezza di un nord europeo, poteva essere afflitto da psicosi depressiva.
I sospetti di malattia mentale erano circa 9 ogni 100 immigrati.
Per circa la metà di quelli che erano stati trattenuti, una sorta di "processo" decideva fra deportazione e autorizzazione all’ingresso.
Lasciata l’isola, gli immigrati raggiungevano destinazioni da un capo all’altro degli Stati Uniti.




Dal 1880 era tramontata l’era della navigazione a vela ed era cominciata l’epoca dei grandi bastimenti a vapore. Una traversata atlantica poteva durare da 8 a 14 giorni, contro le molte settimane necessarie ai tempi della vela. L’introduzione del vapore modificò tutto il settore marittimo. Cunard,White Star, Hamburg-America ed altre grosse flotte si facevano concorrenza non solo sul traffico "di lusso" ma anche sul trasporto degli emigranti. Ogni nave poteva portare nelle stive più di mille passeggeri.
Con la crescita dei passeggeri, le grandi compagnie marittime del nord Europa costruiscono dei centri di accoglienza dove gli emigranti possono sostare fino all’imbarco. La Hamburg-America gestiva un vero e proprio villaggio con due chiese, una sinagoga, una cucina kosher e 5000 posti letto. Prima dell’imbarco i passeggeri venivano lavati con un bagno disinfettante, i loro BAGAGLI disinfestati e dovevano passare una prima visita medica. Poiché le compagnie marittime potevano pagare una multa di $100 per ogni cui veniva rifiutato l’ingresso negli Stati Uniti, queste si rifiutavano di imbarcare chiunque apparisse malato o menomato. Medici della Hamburg-America si recarono persino negli Stati Uniti per studiare i metodi di esame dei medici americani.
Le condizioni di viaggio variavano molto ma, anche nel migliore dei casi, viaggiare nelle stive ("steerage" visto che in fondo alla stiva vi erano i meccanismi di direzione della nave) significava scarsa ventilazione, spazi ristrettissimi, assenza di privacy, rumore.
Uno scrittore, Edward Steiner, così descrive le condizioni degli emigranti nelle stive del transatlantico di lusso Kaiser Wilhelm II :Non c’è né spazio nè sotto coperta né sul ponte. I 900 passeggeri sono stipati come bestie. Col tempo buono è impossiblile passeggiare sul ponte e con quello cattivo egualmente impossibile respirare aria pulita fra le cuccette.Le stive delle moderne navi dovrebbero essere considerate inadatte al trasporto di passeggeri.
I pasti venivano serviti, da grosse marmitte di oltre 100 litri, ai passeggeri in fila con le loro gavette.
Le condizioni erano anche peggiori nella maggior parte delle navi. Un rapporto al Congresso del 1909 concluse che le condizioni nelle stive erano non solo inumane, ma anche dannosi alla salute ed alla morale. Al 1910 la maggior parte delle linee marittime avevano sostituito le stive, nelle nuove navi, con sistemazioni di terza classe. Gli enormi dormitori sono sostuiti da cabine da 4 o 6 letti. Degli stewards servono i pasti in sale da pranzo su lunghi tavoli.
Per molti italiani il viaggio verso le Americhe era anche il loro primo contatto con il mare. Le tempeste ed il mar di mare aggravavano per molti le condizioni del viaggio.




La carestia ha determinato la fuga di oltre 1,5 milioni di Irlandesi verso gli Stati Uniti: ma la fuga per evitare repressioni etniche e persecuzioni politiche non è da meno: si veda il caso per cui dal 1915 al 1924 si sono rifugiati negli U.S.A. oltre 100.000 Armeni per sfuggire ai periodici massacri da parte dei Turchi.
Gli Ebrei dell'Europa dell'Est e della Russia fuggivano ai "pogrom" che avevano assunto particolare virulenza nei 40 anni successivi all'assassinio, nel 1881, dello zar "liberale" Alessandro II.
Solo in quell'anno oltre 200 comunità ebraiche subirono attacchi che erano tollerati quando non incentivati dal governo.
Nel pogrom di Proskurov (15 gennaio 1919) furono uccisi 1500 ebrei e migliaia furono feriti.
Questo fu uno dei 1200 pogrom occorsi in Ucraina nel 1915-19.
Come conseguenza dal 1880 al 1924 oltre 2,3 milioni di Ebrei dell'Europa dell'Est migrarono negli Stati Uniti.
E' vero che diversi EMIGRANTI ITALIANI scelsero la VIA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA per ragioni politiche e tra i casi emblematici si rammenta quello del mazziniano CARLO CAMILLO DI RUDIO ma in nessun caso l'EMIGRAZIONE ITALIANA PER RAGIONI POLITICHE si rivela massiccia al pari di quella da altri STATI EUROPEI E NON.
Ed è altresì vero che alcuni si spostarono verso la NUOVA FRONTIERA AMERICANA spinti dall'esigenza di nuove imprese od allo scopo di mettere a frutto determinate competenze acquisite nel vecchio Continente: come nel caso di GIOVANNI MARTINO poi noto alla storia come JOHN MARTIN, IL TROMBETTIERE DI CUSTER ALLA BATTAGLIA DI LITTLE BIG HORN.
Se comunque, alla base della scelta dell'EMIGRAZIONE negli U.S.A. nella maggior parte dei casi risedeva, prescindendo dalla nazionalità, l'unanime ricerca di migliori condizioni socio-economiche di vita, nello specifico CASO ITALIANO l'opzione per nuove terre in cui lavorare era quasi costantemente connotata da motivi economici.
La rilevazione sistematica dell'EMIGRAZIONE ITALIANA data dal 1876.
E' in quegli anni che il fenomeno cresce fino a divenire preoccupante.
Tra quell'anno e la prima guerra mondiale lasciano l'Italia oltre 14 milioni di individui.
Inizialmente le regioni più colpite sono quelle settentrionali, in primo luogo il Veneto (con un flusso particolarmente massiccio verso il sud del Brasile) ma anche Friuli, Lombardia e Piemonte.
Il fenomeno si estende massicciamente al meridione solo nella metà degli anni ottanta in conseguenza dell'aggravarsi della crisi agraria.
A sud le regioni più colpite sono Campania Sicilia e Calabria.
Un esame del fenomeno a livello regionale è possibile analizzando i dati degli espatri medi per 1000 abitanti.
In quasi tutte le regioni l'emigrazione cresce regolarmente sino ai primi del 900 quando raggiunge i livelli massimi.
L'analisi dei dati rileva un collegamento fra emigrazione e cicli economici del mercato interno ed internazionale.
Le partenze seguono l'andamento della crisi agraria con un primo picco nel 1883, ed un secondo picco nel 1887 cui segue un momentaneo ma significativo calo che riflette la svolta protezionistica del governo.
Dopo il 1896 inizia a prevalere la dinamica economica dei mercati esteri. I nostri connazionali sono attratti dagli effetti del ciclo economico positivo che interessa Francia, Germania e Stati Uniti.
Numericamente molto più modesta è, in Italia, l'emigrazione per sfuggire a persecuzioni politiche. A parte pochi perseguitati "politici" nel periodo risorgimentale e post-unitario (prima i "liberali" poi gli anarchici ed i socialisti), è con il fascismo che si registra un importante esodo motivato dalle persecuzioni politiche e razziali.
Anche se non coinvolse i milioni di individui registrati dalle migrazioni degli inizi del secolo, questo fenomeno non fu meno importante per la società italiana, in quanto privò la nazione di una significativa porzione della propria classe dirigente ed intellettuale.
Da ricordare, nel secondo dopoguerra, l'esodo delle popolazioni Italiane in Istria, di fatto espulse dalla Yugoslavia di Tito e l'emigrazione "di ritorno" degli italiani di Libia espulsi da Gheddafi dopo la rivoluzione.




Dopo la Guerra Civile si osserva negli Stati Uniti un vero boom economico generato dalla seconda rivoluzione industriale. La colonizzazione del West stimola lo sviluppo. Vengono costruiti oltre 200 mila chilometri di ferrovia. Gli Stati Uniti sorpassano, come potenza industriale, Gran Bretagna Francia e Germania.
Uno dei fattori critici di questo sviluppo fu la disponibilità quasi illimitata di mano d’opera immigrata. Se gli immigrati rappresentavano nel 1910 il 14% della popolazione, contribuivano il 50% dei lavoratori dell’industria.
Gli immigrati prendevano spesso il primo lavoro gli si presentasse. I livelli salariali erano bassi, e consentivano a malapena la sussistenza del nucleo familiare. Questo fino a che il precario equilibrio non veniva rotto da una malattia invalidante o dal licenziamento del capofamiglia.
Questa precarietà porta le diverse comunità a stringersi, per facilitare il mutuo soccorso. Si creano quartieri "etnici" ed anche le professioni ed i settori industriali divengono appannaggio di specifici gruppi nazionali.
Gli Scandinavi andarono verso il Minnesota e si dedicarono all’agricoltura, gli Slavi andarono nelle miniere in Pennsylvania e nei macelli di Chicago.
Gli Ebrei dell’est si orientarono su New York e sul settore tessile. Nel 1897 i tre quarti dei lavoratori edili di New York erano italiani, sostituendo gli Irlandesi che avevano un tempo dominato questo settore.
A New York i napoletani si concentravano attorno a Mulberry Bend mentre i genovesi erano a Baxter St. ed i siciliani a Elisabeth St.In queste oasi gli immigrati potevano parlare la loro lingua, trovare i loro cibi e conservare le loro tradizioni.
Se questi quartieri fornivano un’atmosfera di supporto reciproco e di "comunità", nondimeno le condizioni di vita erano difficili. Sporcizia, sovraffollamento, rumore erano la regola nei "tenements" la base dell’edilizia residenziale ad alta intensità.
La legge sugli alloggi di New York del 1901 prevedeva un gabinetto e acqua corrente per ogni unità ma, prima che venisse fatta rispettare, ogni piano divideva due latrine. Molti inquilini, per aiutare a pagare l’affitto, subaffittavano il proprio appartamento, aggravando il problema del sovra affollamento.
TBC, colera e tifo dilagavano ed a farne le spese erano spesso i più piccoli.
Alcuni emigranti, detti gli "uccelli migratori" lavoravano a contratto per alcuni mesi per poi tornare in patria. Questi come gli altri immigrati erano spesso vittime di intermediari che procuravano posti di lavoro speculando su una serie di servizi che fornivano ai lavoratori (alloggio, trasporto etc.).
Le fabbriche di abbigliamento riducevano il costo di produzione terziarizzando il lavoro a piccoli laboratori familiari. Questi lavori, pagati a cottimo, erano compiuti da ebrei e, dall’inizio del 900, dagli italiani. Quasi sempre in questi lavori venivano impiegati tutti i membri della famiglia, compresi i bambini.
Donne e bambini non si limitavano a lavorare in casa ma erano occupati anche nelle fabbriche, in condizioni terribili. Il tasso di incidenti sul lavoro per i bambini era triplo rispetto a quello degli adulti.
In seguito alla campagna iniziata nel 1904 dal national Child Labor Committee, nel 1914 34 Stati proibirono il lavoro di minori di 14 anni e portarono a 8 ore la giornata di lavoro dei minori di 16 anni.
Le donne lavoravano prevalentemente nelle lavanderie, come domestiche e nelle industri tessili. Al 1923 39 Stati avevano introdotto norme che limitavano l’orario di lavoro delle donne. Questa che voleva essere una conquista si tradusse spesso in un aggravamento delle condizioni di vita in quanto ad un orario di lavoro ridotto equivale una paga minore.
I nuovi arrivati non erano ben visti in quanto considerati in concorrenza con i lavoratori nati o di più antica residenza ñ negli Stati Uniti. Il sindacato vedeva gli immigrati, in particolare gli stagionali, come una grave minaccia.
Nei settori dove gli stranieri erano più numerosi i sindacati dovettero aprirsi alle esigenze di questi immigrati. Non fu facile mettere insieme uomini e donne divisi da lingue e tradizioni secolari. Il sindacato tessile fu uno dei primi a mobilitare gli immigrati, fra cui spiccavano gli italiani. Il disastro dell’incendio del Triangle Shirtwais Company (1911) dove morirono 140 operaie immigrate rafforzò la partecipazione al sindacato. Entro gli anni 30 gli immigrati rappresentavano la spina dorsale del movimento sindacale americano.
Nonostante le difficilissime condizioni, dall’inizio le comunità furono capaci di esprimere una ricca vita culturale e politica. La stampa etnica raggiunse líapice durante la prima guerra mondiale. Sono oltre 1300 i giornali in lingua stranieri pubblicati negli Stati Uniti. I giornali in italiano avevano una diffusione di 700 mila copie mentre quelli in tedesco, Yiddish e Polacco superavano, ciascuno, il milione di copie vendute.
Lentamente gli immigrati iniziarono a farsi strada nel nuovo paese, raggiungendo in alcuni casi posizioni di prestigio. La progressiva integrazione ed il succedersi delle generazioni tendono a sfumare i caratteri nazionali.
Il processo, in atto da oltre un secolo, ci porta ai giorni nostri con comunità di italiani e discendenti di italiani che vivono una realtà a cavallo fra due culture, quella locale e quella di origine.