GIOVAN CRISOSTOMO MARTINO (MARTINI) (qui in una rara fotografia di famiglia) fu
l’ultimo uomo a vedere vivi il Generale Custer ed i suoi uomini prima del massacro di Little Big Horn = non era però il solo italiano in tale drammatica contingenze -data la buona reputazione quali soldati provati dalle guerre di Indipendenza- gli Italiani venivano arruolati facilmente se provavano le loro campagne militari in Europa e tra costoro [son ricordati anche il capo della banda del reggimento Felice Vinatieri, l'altro musicista Francesco (Frank) Lombardi, Agostino Luigi Devoto, Giovanni Casella, Alessandro Stella, Giuseppe Tulo insieme a Francesco Lambertini e verosimilmente qualche altro di cui si è perduta la memoria =
Jules Calvin Ladenheim, Alien horseman: an Italian shavetail with Custer, Heritage Books, 2003] ma in effetti -all'epoca compreso il trombettiere desinato a salvarsi, il nome più prestigioso era quello di CARLO CAMILLO DI RUDIO mazziniano, esule politico ed ottimo ufficiale primenti sopravvissuto alla disfatta
anche per la sua personale abilità ed un indubbio sangue freddo.
UNA VITA SPERICOLATA -
CARLO CAMILLO DI RUDIO
[ARCHIVIO FOTOGRAFICO MUSEO DELLA CANZONE DI VALLECROSIA (IM)]
Il maggior problema connesso l’ultimo uomo a vedere vivi il Generale Custer ed i suoi uomini prima del massacro di Little Big Horn [cosa curiosa che lo unisce a personaggi di ben altra caratura quali per esempio Omero e Persio] concerne da tempo il luogo (e la data) di nascita di cui si riportano qui senza interventi preferenziali le versioni più accreditate ma divergenti lasciando da parte la nomea invero sempre ritenuta fragile di una presunta nascita romana e senza trascurare di citare altre istanze d'ulteriori località ancora vantanti ma senza il credito di quelle di cui si sta per parlare d'aver dato i natali a siffatta figura vale a dire APRICALE in provincia di Imperia e SALA CONSILINA in provincia di Salerno
In un libro recente (John Martin, il trombettiere di Apricale. Da Garibaldi a Custer di Claudio Nobbio e David Riondino, Fratelli Frilli Editori, 2007, pp. 213, ISBN 9788875633127 ) il personaggio viene nominato GIOVANNI MARTINI e giudicato nato il 16 marzo 1841 nel borgo ligure di APRICALE da Giacomo e Giovanna Barberis: sposatosi quindi nel 1860 con Caterina Rossi Craveta che nel luglio successivo lo rese padre del figlio Leonida. Giovanni restio alla vita storicamente povera di un borgo rurale quale era APRICALE a differenza della moglie, risoluta a rimanere a casa dei genitori insieme al suo bambino, avrebbe desiderato viaggiare per il mondo e tentare la sorte oltre Oceano. Nel libro citato si legge che in un primo tempo Giovanni si unì forse alla Spedizione dei Mille di Garibaldi acquisendo quell' esperienza militare che gli sarebbe stata giovevole per farsi arruolare fra le truppe statunitensi.
Mutatis Mutandis è ora da dire che con il recente ritrovamento negli archivi dello Stato Civile del Comune di SALA CONSILINA in provincia di Salerno (che parimenti già vantava d'esser patria del "trombettiere di Custer"), ad opera del Dr. Michele Esposito e del Prof. Giuseppe Colitti, del certificato originale di nascita di GIOVAN CRISOSTOMO MARTINO, nato il 28 gennaio 1853 poi meglio conosciuto come JOHN A. MARTIN si è proposta con decisione l'origine campana di questo personaggio passato alla storia come l’ultimo soldato americano bianco che vide vivi il Generale G. A. CUSTER ed i suoi cavalleggeri prima del massacro di LITTLE BIG HORN ad opera degli indiani Sioux e Cheyenne: massacro di cui, a tragica testimonianza, resta tuttora il CIMITERO DEI CADUTI DI LITTLE BIG HORN.
Del pari che ad Apricale la provenienza di G.C.MARTINO da SALA CONSILINA è stata variamente commemorata nella cittadina: la documentazione in merito ai genitori naturali in questo caso non compare attestata risultando (secondo costumanza epocale di molti e non solo miseri purtroppo) come qui di seguito si legge che "abbandonato alla nascita fu portato alla ruota dove fu registrato dal sindaco Fedele Allegrio con il cognome Martino e quindi allevato dalla famiglia della balia Mariantonia Botta".
Il personaggio risulta quindi all’età di 14 anni arruolato quale tamburino presso il Regio esercito italiano a combattere contro gli Austriaci.
Per entrambe le versioni la sua emigrazione negli STATI UNITI data del 1873: e nel corso della vicenda egli assunse la nuova denominazione di JOHN A. MARTIN
Il I luglio dell'anno successivo entrò nei ruoli del 7° Reggimento Cavalleria in qualità di trombettiere.
In seguito a ciò egli prese parte a diversi episodi della GUERRA INDIANA sin al suo momento più famoso, quello del 25 giugno 1876.
In tale occasione il MARTIN stava al seguito del tenente generale G. CUSTER come trombettiere di servizio: anzi, attesa la gravità di una situazione strategica prima valutata con superficialità, fu proprio il trombettiere che venne incaricato da CUSTER di recare un MESSAGGIO col quale venivano chiesti, al Cap. Benteen che si trovava nelle retrovie, immediati rifornimenti.
Accompagnato da supponenza, errori e cattive valutazioni non fu in grado d'opporre poi alcuna seria resistenza alle considerevoli forze indiane disposte intelligentemente in agguato sì che venne insieme ai suoi uomini.
Dopo l'episodio di Little Big Horn, il MARTIN partecipò ad altri episodi della GUERRA INDIANA tra le fila del 7°Cavalleria.
Ciò avvenne sin al 1879 quando il trombettiere si unì in matrimonio con tale Julia Higgins, venendo arruolato nel 3°Artiglieria.
Si congedò dall’Esercito il 7 gennaio 1904 con il grado di Sergente Maggiore.
Visse quindi da civile svolgendo l'impiego di bigliettaio nella Metropolitana di New York.
Si spense il 24 dicembre 1922 Nobbio e Riondini nel citato volume annotano "...quella sera del 24 dicembre 1922 stava attraversando una strada dell'East Side, proprio nelle vicinanze del ponte di Brooklin, quando un camion lo travolse uccidendolo sul colpo. Aveva 81 anni." = fu inumato nel Cipress Hills National Cemetery di Brooklyn: ove gli fu eretta una LAPIDE TOMBALE in cui era espressamente citata la sua partecipazione al tragico scontro bellico con gli INDIANI.
Morendo lasciò la vedova (da cui comunque si era separato) e cinque figli (una femmina e quattro maschi = otto secondo la versione "apricalese") due dei quali si arruolarono a loro volta nell’esercito Usa diventando ufficiali di carriera.
"Risorgimento, anarchia, penitenziario a vita, guerra civile americana, guerre indiane: c'è proprio di tutto nella vita di Carlo Camillo Di Rudio, un italiano che ha attraversato il XIX secolo dal suo lato più avventuroso.
Nato a Belluno il 26 agosto 1832, da famiglia nobile, Carlo Camillo Di Rudio iniziò la sua avventura umana tra le mura del collegio militare austro-ungarico di San Luca, a Milano. Coinvolto suo malgrado nella prima guerra d'indipendenza (1848) il giovane, in compagnia del fratello Achille, assiste impotente ad alcune delle tante stragi perpetuate dalle truppe occupanti sulla popolazione civile. Carlo Camillo maturerà proprio in quest'occasione la decisione di abbracciare la causa del Risorgimento italiano, dovendo però aspettare il ritorno a casa dalla leva forzata in divisa austriaca.
Segnato il temporaneo successo dell'Impero austriaco, il conflitto continuava a Venezia, richiamando nella città lagunare i tanti patrioti ancora convinti nella vittoria e tra essi c'erano i due fratelli di Rudio. I due bellunesi presero parte attiva alla disperata difesa della Serenissima. Carlo tra l'altro vene arrestato dai nemici riuscendo nella prima delle sue tante fughe.
Raggiunta Roma per partecipare all’esperienza repubblicana, il giovane patriota vi avrebbe incontrato personaggi che lasciarono il segno nella storia italiana. Mazzini, Garibaldi, i fratelli Dandolo, Mameli, Saffi, Armellini, Bixio, e altri saranno compagni della nuova avventura risorgimentale del ragazzo bellunese.
Terminata anche questa esperienza, il conte veneto raggiunse Genova. Con Venezia sconfitta dagli austriaci, con Garibaldi costretto all’esilio forzato in quella New York nella quale lavorerà dignitosamente nella fabbrica di candele, anche per Rudio si aprì la stagione della perenne fuga. Intenzionato a raggiungere Garibaldi nella capitale americana, il giovane dovette invece riparare in Spagna a causa di un naufragio. Tornato temporaneamente in Francia, egli non trovò pace nel periodo antecedente il colpo di stato di Luigi Napoleone, costretto a rifugiarsi ancora una volta in terra straniera. Scelta la tranquilla Svizzera, passò prima a Varese e poi in Piemonte per riabbracciare i familiari. Trasformatosi in un vero e proprio tormento per le polizie monarchiche dei vari stati europei, Rudio conservò nella sua vita una convinzione sincera per le istituzioni repubblicane e per esse avrebbe pagato un prezzo davvero notevole.
Sbarcato, in uno dei suoi tanti spostamenti, in terra inglese, Rudio lavorò per qualche tempo come giardiniere al servizio di Luigi Pinciani, un noto filantropo amico di Victor Hugo e costantemente in contatto con Giuseppe Mazzini.
Conosciuta la giovanissima Eliza Booth, la futura moglie che avrebbe condiviso con l’italiano tutte le traversie della sua frastagliata vita, Carlo accantonò per un po’ i suoi propositi romantici dedicandosi alla tranquillità familiare, minata peraltro da continui stenti economici.
L’occasione per tornare nella mischia venne con lo sciagurato progetto dell’attentato a Luigi Napoleone, da poco autoproclamatosi imperatore di Francia. Rudio vi partecipò seguendo Felice Orsini nell’impresa e nelle malsane carceri francesi. Condannato a morte al pari degli altri congiurati Rudio riuscì a sfuggire alla pena capitale grazie all’abilità del suo avvocato, alle manovre politiche del proprio suocero inglese e all’indulgenza (politicamente calcolata) dell’imperatore. Al giovane veneto venne concesso a la splendida prospettiva di finire la propria vita nelle famigerate colonie penali del Sud America!
Chiusa miserevolmente la prima parte della propria vita, Carlo si avviò così alla Cajenna portando con sé un solo pensiero fisso: la fuga a tutti i costi dall'inferno tropicale. La testarda convinzione di riuscire nella disperata impresa avrebbe accompagnato ogni attimo delle terribili giornate ergastolane dell’italiano.
Considerato un sovversivo politico anche dai compagni di reclusione, il giovane anarchico dovette rispondere con coraggio e forza anche alle continue insolenze razziste degli ergastolani francesi, dando vita a più di un episodio di rissa. Nonostante tutto Di Rudio riuscì a trovare nella malsana colonia penale degli alleati disposti a partecipare al suo tentativo di fuga. Fallito un primo tentativo, dopo mesi e mesi di ulteriori preparativi segreti, la fuga riuscì suscitando un clamore eccezionale in tutte le terre coloniali francesi (è probabilmente tratto dalla sua storia il soggetto cinematografico del fortunato film "Papillon").
I fuggiaschi raggiunsero, dopo innumerevoli peripezie, il territorio inglese trovandovi funzionari ben lieti di nasconderli alle pressanti richieste francesi (molti deportati infatti erano condannati politici, invisi alla monarchia francese ma non alla Corona Inglese).
Tornato ancora una volta in Inghilterra il giovane Rudio riuscì a riabbracciare la propria moglie e la prima figlia tornando per un po’ alla serenità familiare.
Alle porte della storia intanto aveva bussato il 1860 ma per l’ex galeotto, ridotto alla miseria economica, non c’era più spazio nel Risorgimento italiano. Gli stessi rappresentanti repubblicani consigliarono il conte bellunese di migrare negli Stati Uniti, e il consiglio si sarebbe rivelato davvero prezioso per l’affamata famiglia Di Rudio.
Sbarcato in terra americana, il giovane Carlo trovò subito impiego presso le truppe federali americane, impegnate nella Guerra Civile Americana. Arruolatosi come semplice volontario nell’Esercito antischiavista del Nord, l' ex patriota si distinse a tal punto da meritare i gradi in una compagnia composta interamente da soldati di colore. Finita la guerra e aiutato dai numerosi amici repubblicani, (i soli a conoscere il vero passato dell'italiano), Carlo restò nei ranghi dell’esercito americano per passarvi il resto della sua vita professionale. Per la famiglia Di Rudio arrivò quindi finalmente la serenità economica, e con essa crebbe anche il numero dei figli, battezzati tutti con gli eloquenti nomi di Italia, Roma, America e Hercules. La destinazione effettiva dell'attempato ufficiale sarebbe divenuta da lì a poco un nome leggendario: l'italiano venne assegnato infatti al 7° Cavalleria degli Stati Uniti, alle dipendenze del personaggio più controverso della storia americana, il tenente colonnello George A. Custer!
L’ultima parte della spericolata vita si sarebbe così svolta per CARLO CAMILLO DI RUDIO in groppa a un cavallo. Ed egli si distinse in molte operazioni del leggendario Settimo Cavalleria diventando anche veterano delle guerre indiane. Pur dovendoli combattere per professione, l'italiano si sforzò di comprendere le ragioni dei pellerossa e cercò con loro sempre la strada del dialogo, cosa che lo invise a "Lunghi capelli" Custer, vero e proprio accentratore di potere e ossequiato dalla gran parte dei suoi uomini.
Non fu possibile per Rudio evitare il leggendario scontro del 25 giugno 1876 ! Nel giorno della grande disfatta del Little Big Horn, Rudio (uno degli italiani presenti nelle file del 7° cavalleria) eseguì diligentemente il suo ordine che lo vedeva impegnato in una colonna parallela.
Assegnato alle squadre del capitano Reno, l'italiano spronò il suo cavallo all'attacco per ritrovarsi circondato da migliaia di indiani pronti a massacrare ogni viso pallido che fosse loro capitato a tiro. Rudio, costretto dagli eventi a una disastrosa ritirata, riuscì a eludere la sorte nefasta di tanti altri compagni nascondendosi in un provvidenziale anfratto. Insieme a un altro soldato riuscì a superare con astuzia l'accerchiamento per poi fare ritorno al proprio reparto, accolto dalle acclamazioni dei commilitoni.
Tutto intorno era morte!
Soltanto dopo altre 24 ore i superstiti della battaglia riuscirono a intraprendere le ricerche dei reparti dispersi per poi imbattersi nei cadaveri degli uomini di Custer.
La disfatta del Little Big Horn traformò gli Stati Uniti in una nazione assetata di verità e di vendetta. Vennero così le prime pagine di tutti i giornali americani, le polemiche, le insinuazioni, le inchieste, le testimonianze in aula.... una serie di vicende che questa volta avrebbe solo sfiorato il maturo ufficiale del 7°. Trasferito ad altri fronti e poi di nuovo nelle terre dell’ Nordovest, Carlo Rudio, ormai capitano partecipò anche all' epica rincorsa a Capo Giuseppe, l’indiano Nez Percé che era riuscito a tenere in scacco l’esercito americano con i suoi pochi guerrieri e la sua disperata fuga verso il Canada.
Raggiunte le calde terre del Texas con nuovi incarichi logistici, l'ormai anziano soldato italiano riuscì a conoscere anche il grande Geronimo degli Apache Chirichaua. Nella ormai tranquilla guarnigione di frontiera egli raggiunse la tanto agognata pensione, benvoluto dai tanti commilitoni che nell'attempato ufficiale avevano trovato una memoria storica eccezionale e affabile.
L' ex patriota repubblicano, l' ex anarchico, l' ex galeotto, l' ex nordista, l' ex ufficiale del 7° cavalleria, per godersi la vecchiaia scelse, come tanti altri italiani la città che portava nel suo nome la venerazione al santo patrono d'Italia: San Francisco. E nella laboriosa città californiana Rudio morì nel 1910, in un letto sovrastato dai ritratti di Calvi e di Mazzini, una causa mai rinnegata nel proprio cuore" [Generoso D’Agnese/News ITALIA PRESS].