ANTONIO PHILEREMO FREGOSO,
Antoniotto Fileremo Fregoso nacque intorno al 1460 a Carrara, unico figlio maschio di Spinetta II potente signore della città, prima doge di Genova e successivamente consigliere di Francesco Sforza. Come unico erede il padre gli lasciò, oltre al cognome (Fregoso o Campofregoso ), vaste proprietà e feudi. Essendo Antoniotto in giovane età venne nominato come suo tutore Cicco Simonetta, presso il quale si trasferì e visse sino al 1476 acquisendo la cittadinanza milanese. Nel 1478 il giorno in cui Gian Galeazzo Sforza assumeva le insegne ducali, Antoniotto venne solennemente armato cavaliere dando inizio alla sua carriera militare che durò ben poco, infatti dopo soli due anni Ludovico il Moro fece imprigionare e decapitare Cicco Simonetta nel Castello di Pavia con l'accusa di alto tradimento e questo costrinse Antoniotto a trasferirsi a Genova ospite di alcuni parenti. Grazie alla sua crescente fama di poeta acquisita nell'ambiente letterario milanese, Antoniotto riprese il suo posto ufficiale alla corte del Moro e di Beatrice d'Este insieme a Nicolò da Correggio ed a Gaspare Visconti, questo gli permise anche di sposare la nobildonna Fiorbellina Visconti dalla quale ebbe due figli (Spinetta e Tiberio). Nel 1500, dopo la cattura del Moro da parte dei Francesi, è costretto a giurare fedeltà ai nuovi signori di Milano. La grave crisi politica e sociale, con la fine del dominio sforzesco, aveva provocato anche il crollo di tutto il mondo culturale ed artistico. Questo ebbe un effetto traumatico sull'animo del poeta cortigiano che decise di ritirarsi in esilio volontario nel suo feudo a Colturano dove visse per il resto della sua vita, seguendo l'esempio dei grandi umanisti come il Petrarca e Boccaccio. Così il poeta cortigiano protagonista delle feste mondane si trasformò in un saggio e solitario "citadin de boschi" intento a meditare sulla fragilità della condizione umana. Proprio a causa della sua propensione alla quiete agreste, il Fregoso finì per l'essere soprannominato "Fileremo" che significa "amante, amico della solitudine". Il 15 novembre 1505 compone l'opera "ex villa Culturani" ma la produzione più originale del Fregoso è rappresentata da una serie di poemetti allegorici e filosofici composti in questa seconda fase della sua vita, tra i quali "Riso di Democrito" , "I doi filosofi" (1506), "La contentione di Pluto et Iro" ( 1507), "Dialogo sulla musica" (1508), "La cerva bianca" (1510) e "Il dialogo de la fortuna" (1519). Tutte opere che incontrarono un notevole successo perché si trattava di una poesia umanistica assai raffinata, nutrita di riferimenti alla cultura antica , che dal punto di vista linguistico e stilistico si ispirava ai modelli aulici di Dante e Petrarca. In alcune di queste opere non mancano riferimenti diretti e affettuosi al " suo Culturano", come Antonio amava riferirsi alla nuova residenza agreste. Il legame con Colturano è un aspetto importante nella sua vicenda umana e poetica. Le sue opere più importanti furono ideate, composte ed ambientate nella sua villa, nelle selve circostanti, nel paese stesso dove decise di ritirarsi provocando scandalo e incomprensioni tra i suoi vecchi amici nobili. Antonio non interruppe i suoi rapporti sociali e culturali con i salotti più raffinati di Milano, ad esempio intorno al 1510 egli era spesso ospite della contessa Cecilia Gallerani (ex favorita del Moro e amica di Leonardo da Vinci ) e della nobildonna Ippolita Sforza Bentivoglio. Presso di lei fece la conoscenza del novelliere Matteo Bandello frate domenicano nel convento di Santa Maria delle Grazie. Quest'ultimo, nelle sue opere, definì il Fregoso uno dei "famosi spiriti" del suo tempo e dedicandogli una delle sue novelle. Nel 1525 pubblicò "Opera nova", nel 1532 il Fregoso morì lasciando ai suoi eredi oltre al feudo di Colturano una immensa fortuna di beni e terreni. Tra i tanti ammiratori del poeta di Colturano possiamo annoverare personaggi famosi come il Poliziano, il Pulci, il Boiardo e perfino Ludovico Ariosto, che nell'Orlando Furioso menzionò "Anton Fulgoso" tra i poeti che lo accolsero , meravigliati, al termine del suo fantastico viaggio cavalleresco.
Nella Cerva Bianca, poemetto allegorico in ottave diviso in sette canti, pubblicato per la prima volta a Milano nel 1510, 26 il Fregoso racconta la vicenda della ninfa Mirina tramutata da Diana in fiera e del
cacciatore Fileremo
"Cerva bianca",
Impresso in la Inclita città de Milano, per Petro Martire di Mantegazzi dicto il Cassano ad instantia de Dominico da la Piaza del Degno Authore amanuense, 1510
CANTO II
(Leggi qui l'incipit del poema = canto I)
"1
L'augel cristato che predice il giorno,
col canto accorti già fatto ci aveva
che 'l chiaro Febo a noi facea retorno
e il lume a le altre stelle ritoglieva
col chiaro raggio suo, e il viso adorno
Clizia ver lo orïente rivolgeva
tutta bagnata dal notturno umore,
spettando il sguardo dil suo antiquo amore.
2
E già la peregrina rondinella
col suo derrotto canto e col suo strido
destava al suo lavor la villanella.
La timida lepretta un loco fido
già ricercava in questa parte e in quella,
per fare il suo covile e occulto nido.
Già rossegiava in cel la bella Aurora:
non era notte, né ben giorno ancora,
3
quando io che di partirme avea desio
per mei cani cercar, me apresentai
dinanti al saggio e degno ospite mio
e così regraziarlo io cominciai:
- Caro benefattor, già mai in oblio
non mandarò quel ben che fatto m'hai;
per fin che 'l spirto reggerà queste ossa,
sempre ti servirò, mentre ch'io possa.
4
Guidime pur dovonque vuol Fortuna,
che questo benefizio in la mia mente
serberò fin che in ciel sarà la luna,
fin che il raggio del sol chiaro e lucente
averà di sua luce parte alcuna.
Se dopo morte ancor l'anima sente,
sempre mai l'opra tua sentirà grata:
tua gloria ognor da me sarà cantata.
5
Partir me voglio, e nel partir mi duole
ch'io non possa con l'opra regraziarte
come faccio ora con le mie parole;
ma se mai il ciel mi dà ch'io possa farte
pur la metà di quel che 'l mio cor vuole,
vedrai che senza far di me altre carte
tuo servo me hai comprato in sempiterno
e che nel cor tal obligo governo.
6
Da te mi parto, come suol dal fiore
la parca e ingegnosa ape far partita,
carca di dolce mele e grato odore.
E ho la mente mia così fornita
di grato cibo e di dolcezza il core
che durerammi mentre arò la vita;
e ne lo inverno de la mia vecchiezza
fia poi mio nutrimento e contentezza -.
7
E ello a me: - Poi che 'l partir ti piace,
sì felice partita il ciel te dia
che sempre abbi nel cor tranquilla pace;
e faciati Fortuna compagnia
prospera e mai a te non sia fallace,
anzi benigna sempre e sempre pia -.
E detto questo, mi toccò la mano
con viso e con aspetto dolce e umano.
8
In breve sceso avendo il poggio santo,
forte a sonare io cominciai il corno.
Essendo intrato ne la selva alquanto,
chiamando i cani e riguardando intorno,
fermo stava a veder se da alcun canto
le voci udisse o a me fessen ritorno;
e di trovargli ardendo in me il desio,
l'occhio ingannai più volte e lo odir mio.
9
Ero a vedere e ascoltar sì intento
ch'io stava ad ogni strepito suspeso
de ogni fraschetta che movesse il vento,
e avendo in vano già gran tempo speso
per quella selva piena di spavento
e nulla mai di lor ne visto o inteso,
già fuor di speme de trovar mei cani,
fra me faceva mille pensier vani,
10
quando ivi, a canto il bosco, in un bel prato,
viddi un seder da me non lontan molto,
che in vista mi parea tutto turbato,
se il core se comprende per il volto.
E così alquanto a quello avicinato,
uscendo fuora anch'io del bosco folto,
il salutai e, ben che fusse mesto
rispose al mio saluto umìle e presto.
11
- Gioven, salute a te render non posso,
perché d'ogni salute io sono privo,
e sì rivolta me è Fortuna adosso
che è maraviglia che me vedi vivo.
Né credo mai da me possa esser scosso
l'aspero mio dolor tanto eccessivo,
né in animi celesti arei creduto
fusser tante ire come ho poi veduto.
12
Lassami pianger la mia dura sorte;
pàrtite, ché al mio mal non hai remedio;
sol remediar gli può la fredda morte.
E io: - Se col venir te ho dato tedio,
or partirommi, e certo mi duol forte
Fortuna al tuo cor ponga tanto assedio;
ma pria ti prego, e non ti sia discaro,
de una picciola cosa farmi chiaro.
13
In questa selva aresti per ventura
sentito o visto doi cagnoli in caccia,
rossi, drieto a una Cerva bianca e pura? -.
Al mio parlar cangiosse ne la faccia,
sì come a chi una sùbita paura
dal colorito viso il sangue scaccia
e corre al cor come a sua rocca forte,
le parti esterïor lassando smorte.
14
Allor cognobbi che la mia rechiesta
fatto gli avea qual malescalco suole
quando il cavallo alcun dolor molesta
e ritrovar il loco infermo vuole,
che 'l va toccando in quella parte e in questa,
fin che pone la man dove gli duole,
o con martello il piè batte in tal modo,
che poi cognosce dove stringe il chiodo.
15
Per che, lettor, allor compresi certo
che 'l nome di quel candido animale
gli era nel cor qual ramo in ramo inserto
e che col mio parlar tocco avea il male.
Essere assai mi duolse discoperto
di quella bella Cerva suo rivale,
né arei voluto per gran preggio allora
mandar più di tal tema motto fuora.
16
E se non che da un suo suspiro ardente
questa risposta venne accompagnata,
mi partiva da lui subitamente;
e così disse: - Ben che renovata
me abbi la piaga e fatto il duol presente,
ché la mia pena alquanto era sedata,
dirotti quel che di toi cani ho inteso,
poi che tu m'hai di parlar teco acceso.
17
Già rossegiava il ciel ne l'occidente
e i vapori dal sol da terra alzati
qual fumo si vedevan da la gente
sopra campagne e sopra verdi prati;
Febo già si mostrava in orïente
coi raggi del bel viso suo infiammati,
non tal, sì come quando è in l'aere puro
sopra di noi in mezzo il ciel azzuro,
18
quando con un sollicito latrare
senti' doi cani in questa selva folta
una fiera gran tempo eri cacciare;
ma perché il sol sua luce avea raccolta
in ver l'occaso, e da me alontanare
udendoli, a' mei passi allor dei vòlta
in ver l'albergo mio non già lontano,
qual sede apresso al fiume nel bel piano.
19
Sol questo ho inteso e questo solo indizio
di toi fieri cagnoli io posso darti.
Ma ascolta, ché secondo il mio giudizio
dubito vogli in vano affaticarti
de riaverli mai al tuo servizio,
perché venir suol spesso in queste parti
la diva che inimica a Amor si dice,
con le sue caste ninfe cacciatrice,
20
e le ansïose voci udei voltarsi
in ver le selve, dove il casto coro
suol con la diva in caccia esercitarsi.
Però se capitati fian tra loro
e convenienti al suo esercizio parsi,
se gli portasti un magno e bel tesoro,
non gli arai, credi a me quel ch'io ragiono:
femine tutte e appetitose sono.
21
Ma se sapessi chi è la fugitiva
Cerva, che i cani tuoi in fuga han vòlta,
sarebbe la tua mente ammirativa;
e se saper il vòi, qui sede e ascolta,
e dirò come fu di forma priva
umana, essendo in questa selva folta.
Ben che fia un rinovare il mio dolore,
pur giova a un bon compagno aprire il core.
22
Tuo aspetto in prima gionta assai mi piacque
e di te molta bona opinïone
subitamente dentro il cor mi nacque:
forse che amici il cielo ci dispone.
Poi che a seder su questo prato io giacque
per disfocar l'acerba mia passione,
sempre desiai un fido amico apresso;
forse qua il ciel te invia e sei quel desso.
23
Sappi che i giorni de la bella etate,
che de la vita nostra è il vago fiore,
ho consumato dentro a la cittate,
a le delizie abiando vòlto il core:
corsier leggiadri e a me veste sfogiate
non mancavano già né gran favore;
vita lieta ho menato e travagliosa,
provato ho (posso dir) quasi ogni cosa.
24
Lite, cordogli e civil cure assai,
infirmità mortali e casi acerbi,
e disfavor non aspettato mai,
e pratticar con umili e superbi,
e già sofferto ho mille strani guai,
(se del viver civil memoria serbi)
che sogliono avvenir di giorno in giorno
a chi fra il vulgo ignaro fa soggiorno.
25
Con l'animo così sazio dil tutto,
anzi pur stracco, in un palaggio ameno
da qui non lontan molto io son redutto;
e per votar di civil cure il seno,
in loco solitario io l'ho costrutto,
ché 'l spirto in simil lochi è più sereno;
e vivea con le Muse assai quïeto,
in la mia povertà ben ricca lieto.
26
Per mei precipui divi aveva elletto
il radïante e gran signor di Delo
e la sorella sua del casto petto:
quello nei studi e quella al caldo e al gelo
fra selve ho già servito con diletto,
qual vòlto ha poi ver me suo acuto telo
e privo in tutto me ha dil suo favore,
ahi lasso, ché cagion ne è stato Amore,
27
anzi più presto il mio fatal destino
e il mio troppo temerario ardire.
E per avere un bel tesor vicino,
fatto ho come un vulgar motto suol dire,
che 'l bel robbar fa il latro e lo asassino.
Vedendome Fortuna uso a patire
e assuefatto al mal, altra via ha preso
a nocermi, e però col ben me ha offeso.
28
A l'intrar questa selva in un pratello
un fonte sorge con sì chiara vena,
che non vedesti mai forse il più bello.
Qua a spasso andar soleva dopo cena,
vicino essendo assai al mio castello.
Era la strada piana, ombrosa e amena,
cui sepi (essendo maggio) eran de fiori,
spirando molti vari e grati odori.
29
Felice, ahimè, felice assai certo era,
pur che mai visto io non avessi quella
che 'l mio cor, che era sasso, ha fatto cera,
anzi più propriamente una facella
che se consuma ardendo mane e sera.
Chi arìa creduto mai simil novella,
che dentro un chiaro e fresco fonte vivo
gli fusse stato un foco sì nocivo?
30
Or che dico io nocivo? anzi soave,
sì che ogni altro piacer che al mio cor sento,
al par di questo parmi acerbo e grave,
e solo in questo foco io sto contento
per lei, che del mio core ha in man la chiave
e dolce fa parermi ogni tormento,
ché tutto quello che da lei procede,
nocer non mi potrebbe (ho questa fede).
31
Ma sol mi duol de la sua avversa sorte
e vedergli Fortuna sì villana:
questo è cagion de la mia acerba morte.
Ahimè, troppo crudel gli fu Dïana!
Doveagli assai bastar de la sua corte
bandita averla, e non in fiera strana
trasformarla, sì come intenderai,
se ad ascoltare il modo attento stai.
32
Sì come volse la mia sorte ria,
un giorno andando in ver il fonte chiaro,
anzi più presto in ver la morte mia,
sentei un canto sì soave e raro
che non credo sia in ciel tal melodia,
sì che il recordo ancor me è grato e caro;
e in ver la voce alzando allor la fronte,
viddi una Ninfa dentro il fresco fonte.
33
Un sottil vel levando, tanto bella
mi parve, ch'io fui foco in un momento
dal radïar di questa viva stella,
e a vedere e udir stava sì intento
che quasi il spirto mio migrava in quella.
Ahimè, ché troppo allora era contento,
ché quel che è fuor de l'uso naturale,
spesso gran ben portende o ver gran male.
34
Poi che ella fu del mio venire accorta,
chinava in ver el fonte il suo bel viso
e diventò più volte e rossa e smorta,
credo per esser gionta a l'improviso.
E io glie dissi allora: - O Ninfa accorta,
guarda non far come fe' già Narciso
e che il tuo dolce e sì soave canto,
per specchiarte ne l'acque, torni in pianto -.
35
De la voce cangiata e di colore,
respose a me: - Nostro costume antico
è di cacciar le fiere e odiare Amore,
de la regina mia mortal nemico;
né bella essendo, non posso esser fiore,
e però vanne a la tua strada, amico,
ché 'l mio curvo arco e la faretra mia
bastami solo a farmi compagnia -.
36
E un riso dopo quel vezzoso sdegno
lampeggiò ascoso sotto l'aureo crine,
quasi di gioco in lei mostrando segno,
tenendo al fonte le sue luci chine.
Io arsi allora come un secco legno
e al cor sentei mille pongenti spine,
che 'l stimularno e ponsero sì forte
ch'io fui tentato di provar mia sorte.
37
Dubioso stando e remirando intorno
se per la selva alcun vedea apparere,
essendo il sole alzato al mezzo giorno,
ecco venir due ninfe al fonte a bere.
E per non fare a quella prima scorno,
ché ogni suo mal già me era in dispiacere,
subitamente feci indi partita
con la imagine sua nel cor scolpita;
38
e discaciando ogni pensier canuto
dal cor, sol revolgea ne la mia mente
come al mio foco dar potesse aiuto.
E intrommi in fantasia subitamente
una, con qual commerzio avea già avuto
(ché nei bisogni Amor fa l'om prudente),
chiamata Mammia e de un pescator moglie,
medica avantegiata a simil doglie.
39
Suspinto adonque da l'interno ardore,
in ver sua casa i passi mei drizzai
per remediar al mio novo dolore;
e così ad ella gionto incominciai:
- O Mammia, or mi bisogna il tuo favore
e se io non l'ho, morir mi vederai.
In tue man sta: se ancor tu vòi ch'io viva,
aiutami da questa recidiva -.
40
Per non tenerte più, giovene, a tedio,
la occulta mia passion gli discopersi
e dil mio cor tutto il novello assedio,
e come è usanza, premi assai gli offersi,
ché se poteva al mal mio dar remedio,
non averebbe il tempo e i passi persi.
Ma da lei fummi tal resposta resa:
- Non intrar, prego, in questa stolta impresa.
41
Tu sai quanto a la diva è Amore esoso.
Se mai per tempo alcun fossi scoperta,
non arebbe mia vita mai reposo,
anzi tua morte e mia cognosco certa:
però questo desio tanto focoso
lascia; poi che la via tu vedi aperta,
la quale in ver la morte ambi ne mena,
questo ardente voler, prego, raffrena -.
42
E io a lei: - Chi lascia per paura,
o Mammia, di provar sua fatal sorte,
raro o non mai felice ha poi ventura,
e se gli avvien che palma io ne reporte
di questa impresa per tua bona cura,
per te me esponerò fine a la morte.
Ma certo il nostro amor sarà secreto;
servime, non dubiar, fa il tuo cor lieto -.
43
Tanto ebber forza" [ si legge nel canto II della "Cerva Bianca di ANTONIO PHILEREMO FREGOSO,
]" i molti preghi mei
che al fine mi promisse de servire
e in breve favellar farme con lei,
ancor che fusse certa de morire.
E poi suggionse: - Il nome di costei
per alcun modo me sapresti dire?
O sua effigie gentil tutta distinta,
sì come in mezzo il cor porti depinta? -.
44
- Né picciola, né granda è di statura -,
resposi, - in ver grassetta par declini;
le guance sue di rose e neve pura
coprono gli annellati e aurei crini
che sparsi al vento avea senza altra cura;
negri non avea gli occhi, e pur divini
parean suoi sguardi e dir: - Qui nacque Amore -,
potenti ad infiammar la Orsa maggiore.
45
E ha affilato e piccioletto naso,
e bocca di corallo sì galante,
da far beato un om sol con un baso,
e arìa fatto diventare amante
Nestor e ogni modesto capo raso,
tanto avea il petto candido e prestante:
i pomi colti nel giardin di Venere
solo in mirando, io diveniva cenere;
46
e parean proprio le mammelle vere
di Citerea, con quale ha Amor nutrito,
da fare a Marte fuor di man cadere
le arme, quando è più fiero in guerra e ardito;
e prendea a contemplarle un tal piacere
che fuor di me quasi era in tutto uscito,
e credo che io sarei anco in quel loco
mutato in sasso, se ancor stava un poco.
47
La sua candida veste avea succinta,
nuda fine al genocchio, e la chiara onda
de una rara bianchezza parea tinta,
che rendea la sua gamba eburnea e tonda.
De una seda incarnata era la cinta,
che con nodo stringea la veste monda;
l'arco e il turcasso avea deposto in terra,
con altre arme a me allor facendo guerra.
48
Certo il suo nome dirte io non saprei;
e quel che hai inteso non sapessi io ancora,
ché ne lo ardente foco non sarei,
qual le medolle e il sangue mi devora! -.
- Solo a la vaga cintola costei
cognosco -, Mammia mi respose allora;
- Mirina ha nome e quella ninfa è sola
che saetta l'augel mentre che vola -.
49
Per dirte in breve il longo mio processo,
la pescatrice esperta in tal imprese
mi pose a questa in pochi giorni appresso;
e ne la mente mia tanto mi accese,
che cominciai ad obliar me stesso,
e sol per troppo dolce il cor mi offese.
Né aveva altro remedio a mia ferita:
sol medica era lei de la mia vita.
50
Prendeva un sì soave nutrimento
l'alma mia da le labbra sue rosate
che a ragionarne ancor nutrir mi sento;
gioven felice in questa grave etate
non invidiava, tanto era contento,
sì sentiva mie forze renovate:
ma chi non sa che sol giovene è il core
il qual rescalda con sua face Amore?
51
Ah, quante volte poi ragionai meco
e dissi: - Mira ove portar te lassi
da lo appetito tuo, quanto sei ceco!
Non vedi quanto il bon camin trapassi,
miser, che la ragion non hai più teco?
Sapral non sol gli uman, ma fiere e sassi,
che di tua vita in la età saggia e grave
una fanciulla tenga in man la chiave.
52
Son questi i lochi solitari eletti
per menar vita casta e contemplante?
E or furtivamente nei precetti
di Aristippo recaschi e più che inante
de uno ardente desio gli sensi hai infetti.
Oh quanto è bel veder canuto amante!
Ahimè, se la ragione alcun corregge,
Amore il sforza poi, che è senza legge -.
53
Come colui che con presaga mente
melancolico sta, ma la cagione
non sa di quello affanno che al cor sente.
ché 'l Fato a poco a poco lo dispone
patir pria che lo effetto sia presente,
sentendo già dal ciel la impressïone
io stava un giorno pien d'affanno e solo,
non sapendo la causa del mio duolo,
54
quando viddi venir Mammia affannata,
che nel suo viso il caso dimostrava.
Poi che più presso a me fu approssimata
disse: - Sarà pur ver quel che io pensava:
seguito hai tua voglia sì ostinata;
sia maledetta tua natura prava.
Cercar dovrebbe ormai tuo cor riposo,
e sei come fanciullo appetitoso.
55
Dove fugirem noi, dimmi, il furore
de la turbata dea? qual fia quel loco
che tener possa ascoso il nostro errore?
Io pur tel dissi, e a me credesti poco,
che era in periglio nostra vita e onore,
ché ben vedeva il fin di questo gioco.
E certamente ognun di pazzia eccede,
chi a divini occhi occulto star si crede.
56
Io udi' pur dianzi la sdegnata diva
a sé chiamar Mirina sventurata:
ella che in fretta dimandar se udiva,
in suspetosa fuga fu voltata
per la selva, qual cerva fuggitiva.
Poi che dal casto cor fu dilongata,
manifestando col fuggir lo errore,
fecessi il sdegno contra lei maggiore.
57
Per quella fuga fu in tanta ira accesa
la dea, ch'io non ardi' mirarla in viso;
e per secrete vie son qui discesa,
solo per darti questo tristo avviso,
acciò possi ogni ingegno a tua diffesa
oprar né fussi accolto a l'improviso.
Io credo, e giurarei per cosa vera,
Mirina è morta o trasformata in fiera -.
58
Pieno di amaro duolo e di spavento,
vedendo in tal periglio nostra vita,
dissi: - Mammia mia, son mal contento;
come vorrei, non poss'i' darti aita,
ma più che al mio starò al tuo scampo intento.
Proverbio è: - Chi se aita, Dio lo aita -:
fuggiamo in qualche loco solitario,
per fin che soffia vento sì contrario.
59
Io mi ammirava pur de la mia sorte,
che contentezza mi lassasse avere
che al fin non fusse un duol acerbo e forte.
Ahimè, come potuto l'ha sapere?
Ah lingue, ah usanze triste de la corte! -.
E gridai spesso: - O stelle inique e fiere,
quando l'alma sarà fuor del mio petto,
allora almen non vi sarò sugetto,
60
non areti più in me iuridizione:
farammi morte questo benefizio -.
Così piangendo (ch'io ne avea cagione)
io me aviai in ver il santo ospizio
de uno qual fu mia vera protezione,
che di Pallade sacra era al servizio,
Eubul chiamato e di tanta prudenza,
che fu estimato un vaso di sapienza.
61
Sede sua cella sopra a un poggio aprico
in la più folta parte dil gran bosco,
di questo bosco qui vicino io dico,
a la qual per sentiero ascoso e fosco
io venni a retrovare il santo amico,
qual già molti anni son ch'io lo cognosco,
anzi è mio zio, e ha grande amicizia
con la turbata dea de pudicizia.
62
A questo io discopersi il caso intero
e accusai mio temerario errore,
e ben che antiquo sia e assai severo,
cognosce chiaro quanto possa Amore,
quanto sia grande sopra a noi suo impero.
Poi che depinto m'ebbe di rubore
col penel de la lingua e assai represo,
mi disse: - Non temer, non star suspeso -.
63
E in pochi giorni il saggio el tempo tolse
di raggionar per me con la regina
e riportò da lei ciò ch'egli vòlse,
tal che fece riparo a mia ruina
e il mio gran male in picciol mal resolse.
Vero è che aitar non puotè già Mirina,
perché era cerva e in leve fuga vòlta
per quella selva solitaria e folta.
64
Ma pur gli fece questo benefizio,
che la scampò da morte, e fu secura
per me più non patire altro supplizio.
Così per monti e valli e per pianura,
il pascere e il mugir è suo esercizio,
con suspettoso cor pien di paura,
e il mio è il piangere il suo caso avverso,
da poi che ho il mio conforto e ogni ben perso.
65
Io stava ad aspettar se a caso mai
a pascer qui venisse il verde prato.
Se in forma umana già tanto la amai,
ancora il ragionar seco me è grato
e discoprirgli i mei infiniti guai
e quanto duolmi dil suo avverso fato;
e certo è verisimil, come io penso,
gli sia remasto ancor qualche uman senso.
66
Ma poi che 'l sole è alzato a mezzo giorno
e ascurtato ha le ombre in ver le piante,
io voglio in ver lo albergo far ritorno:
però ti prego, se mai fusti amante,
che venghi meco a far qualche soggiorno,
e voglio che sian fatte da qui inante
le proferte fra noi e qui presenti
de la amicizia posti i fondamenti -.
67
Dopo mutue proferte fatte assai,
contento fui di andare al bel castello
e il cordiale invito suo accettai.
Ei con suo ragionar soave e bello,
tenendomi per mano sempre mai,
per via ombrosa me introdusse in quello.
E, candido lettor, se leggerai,
quel che dopo successe intenderai""".
Sul Fregoso cfr. G. Dilemmi, "Di un poeta "milanese" fra Quattro e Cinquecento: Antonio Fileremo Fregoso", in Studi di filologia e di letteratura italiana offerti a Carlo Dionisotti, Milano-Napoli, 1973, pp. 117-35.
Il dominio di Antero è descritto quindi come il dominio delle passioni irrazionali. I regni di Antero e di Amore sono inoltre divisi da un fiume che trae la sua origine dalle lacrime degli infelici sudditi del crudo Antero:
Nel regno di Amore ha invece sede Erotopoli sul cui vertice si trova il tempio del divo Amore creato nellaceleste sede (VII 65, 6 e 8), all'interno del quale il cacciatore (Fileremo, cioè il Fregoso) è introdotto dalla Ragione ("Cerva Bianca", VII 72-74).
La descrizione del vero Amor sincero e netto privo di faretra, arco e strali, con una fiaccola nella mano destra e quattro corone nella sinistra serba evidente memoria dell'epigramma dell'"Anthologia Graeca" attribuito a Mariano Scolastico.
Robert V. Merrill, sviluppò le diverse funzioni e i contraddittori significati che in epoca umanistico-rinascimentale sono stati attribuiti a questa figura sfuggente e intrigante che, del resto, già nella mitologia e nella tradizione classica risultava priva di una univoca caratterizzazione. In esse, infatti, poteva rappresentare sia il vendicatore dell'amore disprezzato, sia il patrono dell'amore reciproco, sia il distruttore dell'amore, anche se, nella maggior parte dei casi, la funzione dell'Anteros classico era stata quella di garantire la reciprocità nelle relazioni amorose.
Nei secoli XV e XVI, come ha scoperto Erwin Panofsky, si assiste a una moralizzazione di Anteros: i moralisti e gli umanisti di tendenza platonica erano propensi a interpretare la preposizione antì come ‘contro', anziché ‘in cambio di', trasformando così il Dio dell'amore reciproco in una personificazione di virtuosa purezza e la coppia Eros-Anteros nella contrapposizione tra due tipi di amore, l'Amore terreno e l'Amore celeste. Il tema dei due amori, l'uno terreno e sensuale, l'altro divino e virtuoso è collegato a quello della della duplicità di Venere ("Ouranìa" e "Pandemos") che si trova espressa nel "Simposio" di Platone (180c-181c) e da qui ripresa nel "Simposio" di Senofonte (VIII 9-10).
Afferma Leandro Ventura che nella teoria d'amore dell'Umanesimo viene ampiamente recuperata e discussa l'idea platonica della duplicità di Venere e della conseguente duplicità di Amore.
Tale concetto (concetto peraltro da Angelico Aprosio apertamente condiviso nel suo "Occhiale Stritolato") compare già nel 1433 in un'epistola inviata da Carlo Marsuppini a Lorenzo Valla [Cod.Riccardiano 779, c. 201v]; successivamente Marsilio Ficino nel suo "Commento al Simposio" parla a lungo delle due Veneri platoniche di maniera che questa distinzione diventa patrimonio comune del neoplatonismo e si ritrova in numerosi testi.
Fregoso, Antonio, "Opera noua del magnifico caualiero misser Antonio Philaremo Fregoso intitulata Cerua biancha", Stampata in Venesia: Bindoni, Alessandro
1 - "LA CERVA BIANCA
Fregoso, Antonio ," Dialogo de fortuna del magnifico caualiero Antonio Phileremo Fregoso", Stampato in Venetia: Zoppino, Niccolo & Vincenzo di Paolo
Fregoso, Antonio ," Cerua bianca del magnifico caualiero messere Antonio Philaremo Fregoso nuouamente corretta, et ristampata", [Venezia: Sessa, Melchiorre <1.>Nicolini da Sabbio, Giovanni Antonio
Fregoso, Antonio ," Cerua bianca del magnifico caualiere Antonio Phileremo Fregoso", Impressum Anconae: Guerralda, Bernardino
Fregoso, Antonio ," Opera noua del magnifico caualiero messer Antonio Philaremo Fregoso intitulata Cerua biancha. Corretta nouamente", Stampata nella inclyta citta di Venetia: Zoppino, Niccolo
Fregoso, Antonio ," Dialogo de fortuna del magnifico caualliero Antonio Phileremo Fregoso", Stampato nella inclyta citta di Venetia: Zoppino, Niccolo & Vincenzo di Paolo
Fregoso, Antonio, " Riso de Democrito: et pianto de Heraclito compositi per il magnifico cavalere Phileremo. D. Antonio Fregoso", Milano, Impresso in Millano: Da Legnano, Giovanni Giacomo & fratelliCastiglione, Giovanni
Fregoso, Antonio, " Opera noua del magnifico caualiero messer Antonio Philaremo Fregoso intitulata Cerua biancha. Corretta nouamente", Stampata in Venetia: Zoppino, Niccolo & Vincenzo di Paolo
Fregoso, Antonio," Cerua bianca del magnifico caualiero, messer Antonio Filaremo Fregoso", In Venetia: Rampazetto, Francesco, 1566
Fregoso, Antonio ," Opera noua del magnifico caualiero miser Antonio Phileremo Fregoso la quale tracta de doi philosophi: zoe Democrito che rideua de le pacie di questo mondo & Heraclyto che piangeua de le miserie humane diuisa in. 15. capi. cosa bellissima" Impresso in Venetia: Rusconi, Giorgio
Fregoso, Antonio ," Opere / Antonio Fileremo Fregoso ; a cura di Giorgo Dilemmi", Bologna", 1976
Fregoso, Antonio ," Cerua biancha del magnifico caualliero messer Antonio Phileremo Fregoso", Stampata nella inclyta citta di Venetia: Zoppino, Niccolo
Inestinguibil sete mi sperona
a volgere il desio e la mia mente
in ver il sacro fonte de Elicona.
E la mia Musa in me tanto è potente,
che un pensier meco sempre mai ragiona
sì come secretario suo prudente,
qual dice spesso a me: - Fregoso, scrive,
ché questo è quel che dopo morte vive -.
2
Da' suoi recordi allor resto sì acceso
che tutto al fin mi par consunto in vano
il prezïoso tempo in altro speso.
Così con quel calor la penna in mano,
mosso dal mio fatale influsso, ho preso,
per scrivere con stile umile e piano
un mio concetto, il quale in mezzo il core
con la sua mano già gli impresse Amore
.
3
Era nel tempo quando Filomena
su' verdi rami dolcemente plora,
che se ricorda di sua antiqua pena,
e Zefiro con la sua vaga Flora
il bel tempo sereno a noi rimena,
e che ogni cosa viva se innamora,
e virtù piove da l'aurate corna
del Bue celeste, che la terra adorna,
4
quando in un bel verzer de arbori adorno
prendea sedendo un placido reposo,
sì come cacciator che a mezzo giorno
cerca per reposare un loco ombroso,
ch'ha il dardo in mano e al col gli pende il corno,
e i cani intorno a lui sul prato erboso
giacen tallora, ansando il grato affanno
che a seguitar la fiera sofferto hanno.
5
Così giacean fra fior vermigli e bianchi
inante a' piedi mei doi cagnoletti
per longa caccia
Vero è che eran de corpo piccioletti,
ma in l'opre magni, generosi e franchi.
Non fece mai Natura i più perfetti.
Questi erano il mio spasso e il mio piacere,
il terror furno questi de le fiere.
6
Questi già gli ebbe molto grati Amore;
Pensier l'un nome avea, l'altro Desio;
rosso era come un foco il lor colore,
più bella coppia mai più non vidi io,
tal che la magna dea del casto core
arebbe avuto invidia al stato mio,
ché quanto in suo esercizio è l'om più degno,
si è superato, tanto ha maggior sdegno.
7
O Musa, o Diva mia, poi che a te piace
temperar la mia penna a nove imprese,
manda nel petto mio tranquilla pace;
poi dimmi da qual bosco o qual paese
venne la Cerva candida e fugace
qual questi mei bracchetti così accese
a seguir lei con tanto estremo ardore
per darla in preda al caro lor signore.
8
Eran l'erbette rugiadose ancora
e tutte di cristal parean coperte;
in orïente la purpurea Aurora
le fenestre del celo aveva aperte
con la man che Titon vecchio inamora;
e già mostrava a noi le cose certe
il chiaro Febo, e in su le cime loro
a gli arbori parean le fronde de oro.
9
E già gli augelli con suo dolce accento
salutavano il giorno, e già i destreri
d'Apollo più veloci assai che 'l vento
il ciel montavan rapidi e leggeri,
quando io mi mossi non con passo lento
con questi doi mei piccioli lamieri:
lor da catena sciolti, io da ogni cura,
esplorando le selve e la pianura.
10
Gran pezzo avendo già cercato in vano
il bel paese né trovato mai
fiera selvaggia in così largo piano,
maraviglioso e sazio sì restai
ch'io me revolsi a la sinistra mano
e per fuggir del sole i caldi rai,
in un fiorito prato intrai vicino,
d'arbori cinto a guisa di giardino.
11
In mezzo gli era un chiaro fonte vivo,
del qual ne fu maestra la Natura,
da cui nasceva un piccioletto acqua
con l'onda chiara, tremolante e pura.
Fondo arenoso avea di fango privo,
con ambe sponde ornate di verdura;
parean col mormorar dir le fresche acque:
- Vener qui, lassa, col suo Adone giacque -.
12
Così invitato dal mormorio leve
dil chiaro e fresco e limpido ruscello,
cui grata voce mi parea dir: - Beve -,
presi reposo in questo loco bello
e con quella acqua fredda come neve,
sedendo sotto un florido arboscello,
posto al prato il mio dardo e alcuna rete,
a i cani e a me scacciai l'ardente sete.
13
Un grato vento per le verdi fronde
soavemente sibilava alquanto
e respondeva al strepito de l'onde,
quale armonia a me grata era tanto
che sopra a l'erbe tenere e gioconde
io mi posi a giacer, posta da canto
ogni altra cura, e con la sua famiglia
Morfeo venne a me con gravi ciglia.
14
E per le membra placida quïete
me infuse sì soavemente ch'io
restai come chi beve a l'onde letê
e tutte l'opre sue pone in oblio.
Ecco la Cerva, per scacciar la sete,
venir di passo in ver il fresco rio;
ma poi che al prato vidde me giacere,
in paurosa fuga cangiò il bere.
15
Indi partendo timida e leggera,
poi che da me fu delongata un poco,
fermossi a riguardar con fronte altiera
come tenesse i cani e me da gioco;
ma lor vedendo quella bella fiera,
se accesen ambi come ardente foco
e con ansiose voci me destorno,
e per seguirla in piedi ambi levorno.
16
Io me stimai felice cacciatore
vedendo quella Cerva bianca e pura;
però levato in piè con batticore,
trepido tutto e pieno di paura
de non aver di quella preda onore,
perché so che la caccia è sol ventura,
con i mei >cani la seguiva ascoso,
per fin che intrata fu nel bosco ombroso.
17
Tacito e solo, e pauroso e lieto,
tesi le reti mie con diligenza
a certo passo e loco più secreto;
da poi che ascosa fu da mia presenza,
ambi li cani mei gli lasciai drieto,
e seguendola lor con gran veemenza
e con voci dolenti sì la strinsero,
che in una de le reti mie la spinsero.
18
Ahi lasso, ché per mio maggior tormento
in l'infelice laccio invilupossi
e via passollo come proprio vento,
e subito da quello alontanossi.
E io che stava tacito e attento,
veloce in ver la preda allor mi mossi
credendola secura avere in mano,
ma il creder mio fu allor fallace e vano.
19
Vedèstu mai, lettor, il fanciulletto
gettar certi sonagli gonfi e vani
con la cannucia da fenestra o tetto,
e il pazzo sotto con aperte mani
aspettar quelli con un gran diletto,
e poi gli trova al fin essere inani?
Così aspettando questa fiera intento,
mi trovai con le man piene di vento.
20
Io la credea trovar nel laccio avolta,
lasso! ch'io n'ebbi troppo grave scorno
vedendola fugir leggera e sciolta.
Così pensoso, posi a bocca il corno
e cominciai sonare a la recolta.
Ahimè, ché i cani mei non me ascoltorno,
ma via passando con furore immenso
la seguirno in un bosco ombroso e denso.
21
Da longe alternamente ambi gli udiva,
e affannato e di reaverli incerto,
con leve corso e gridi li seguiva.
E longo tempo avendo già sofferto
gran pena, e che già più non gli sentiva,
e per non esser del paese esperto,
fermaimi in una via tutto pensoso,
ché 'l sole in occidente era già ascoso.
22
E dicea meco ragionando: - Ahi lasso,
quanto pazzo è colui che piacer prende
nel qual la pena sia maggior che 'l spasso!
Quanto il breve piacer d'oggi me offende!
Vedo ch'ho speso in vano ogni mio passo.
Ahimè, ché l'esperienza mi reprende
e fa cognoscer qual frutto riceve
chi segue uno animal selvaggio e leve.
23
Non doveva prezzar tanto una fiera,
ch'io non prezzassi più mia vita assai.
Ben doveva saper se era leggera
e che tenuta non l'arebon mai
mie reti, ché animal per lor non era.
Sì vinto dal suspetto io son, che ormai
ogni arboscello un fiero lupo parmi
o più crudo animal per lacerarmi.
24
De la mia temeraria impresa aspetto
recever conveniente pagamento,
e or è il primo questo gran suspetto,
qual m'empie il core di mortal spavento,
né ancor son gionto al sanguinoso effetto.
Deh, fussi stato a sciogliervi più lento
e prima ben considerato il fine,
ch'or non sarei fra queste acute spine!
25
Io sarei fuor di questa selva oscura,
se sciolti io non ve avessi da catena
e di voi e di me più avuto cura.
Il mio appetito e il vostro ardir mi mena
forse in ver morte paventosa e dura.
Poi che seguirvi (ahimè!) non ho più lena,
vostra ostinata impresa ormai lasciate
e a la mia voce e al corno retornate.
26
Natura è pur de fido cagnoletto
ritornar volontieri al suo signore,
e a me che tanto tempo in vano aspetto,
de far retorno non gli vene in core.
Ah, influsso mio crudele e maledetto,
che per mio affanno e per maggior dolore
a questi cani mei dai tanto ardire,
che fine a morte la voran seguire!
27
Ah, male esperto! ben dovea sapere
che ogni eccellente e generoso cane
segue con più fervor le magne fiere
e che la Cerva qual vidi stamane
boschi passato avria, colli e rivere,
fuggendo in selve solitarie e strane,
e sempre i cani mei l'avrian seguita
disposti averla o ver perder la vita -.
28
De mia salute e dil camino incerto,
col corpo lasso e travagliato core
per l'affanno che 'l giorno avea sofferto,
elessi di montar per mio migliore
sopra a un patente faggio ombroso e erto,
che in quella selva piena di terrore
poco anzi per mio albergo aveva eletto,
per fuggir de le fiere il gran suspetto.
29
Così deposto il mio pongente dardo
e retirato indrieto alquanti passi,
per correre a salir poi più gagliardo,
a certi rami io mi attaccai più bassi;
e s- salito, mentre intorno io guardo,
sopra d'un corno de eminenti sassi
vidi apparer un lume e non lontano,
che portato parea da mortal mano.
30
Così pien di speranza e timoroso,
fiso quel chiaro lume io rimirava
come fra rami e rami augello ascoso,
e con la mente mia così parlava:
- Deggio descender questo tronco ombroso?
Deh, non! Se gente fia malvaggia e prava,
forse mi spogliarà o darammi morte:
donque meglio è star qui tacito e forte.
31
E s'io non scendo e ch'io cadesse a terra,
vinto dal sonno in questa oscura notte?
Ahimè, le fiere che 'l gran bosco serra
mi stracciaranno in qualche strane grotte.
Freddo, fame e timor poi mi fan guerra
e ho dal caminar le membra rotte.
Temo non sia possibil di salvarme,
però fia meglio a la ventura darme.
32
Forse sarà pastor benigno e pio,
a cui rencrescerà mia iniqua sorte
e porgerà soccorso al caso mio;
e se pur fia latron superbo e forte,
ben sarà irrazional crudele e rio,
poi che me arà spogliato, a darmi morte.
E se pur moro, arò questo conforto,
ch'io sarò almen per man de omini morto,
33
e non d'artigli de animal cruento,
e non da fame o sete o da paura,
e non d'afflato de notturno vento;
non mi sarà negato sepultura,
ché de mia morte forse arà spavento
e getterammi in qualche fossa oscura.
Sì che, ogni modo, voglio gridar forte,
venga che venir vuol, soccorso o morte -.
34
- O tu qualunque sei su l'alto sasso -,
forte gridai, - che porti il lume in mano,
dègnate, prego, de calare al basso,
sii che tu vogli, o spirto o corpo umano.
Vieni e adiuta uno infelice e lasso
uno infelice cacciatore insano,
insano a seguitar la fiera tanto,
che 'l suo piacer se gli è rivolto in pianto.
35
Non consentir che in questa selva ombrosa
sia da rapaci fiere lacerato.
Tra'me di questa valle paventosa,
ch'io non sarò del bon soccorso ingrato.
Se l'opra tua mi prestarai pietosa,
ancor sarai di tal pietà laudato.
Non son selvaggio, ben che in selva io sia,
ch'io non sappi che cosa è cortesia -.
36
Al fin de le parole alta resposta
fece una voce e disse: - O cacciatore,
aspetta fin ch'io scenda giù la costa;
ferma l'animo tuo, fa lieto core,
ché la salute tua non è discosta -.
Così calar allor vidi el splendore,
né potea chi 'l portasse veder certo,
ché 'l resto da la notte era coperto.
37
Non fu men grato a me quel lume chiaro,
poi che 'l grazioso suo parlar intesi,
che sia la tramontana al marinaro;
però da l'arbor prestamente io scesi,
ponendo fine a quel mio pianto amaro.
Né men conforto de la luce presi,
che 'l bon nochier di quella suol pigliare
che in gran tempesta in su l'antenna appare.
38
A pena del ramoso tronco sceso
era, che gionse dove io lo aspettava,
con man ripar facendo al lume acceso,
per un poco di vento che soffiava.
Ma poi ch io l'ebbi in viso ben compreso,
ogni timor da me si allontanava
e ne lo aspetto suo molto grazioso
compresi mia salute e mio reposo.
39
Dopo molte accoglienze mutue e grate,
guidommi in cima al suo pogetto ameno
con tanto amore e tanta caritate
ch'io nol saprei narrar, lettore, a pieno:
non mi parve in selve esser, ma in cittate,
tanto era di civil costumi pieno,
ché dove abita un om preclaro e degno,
fa una città col suo eccellente ingegno.
40
Questo era sacerdote de la diva
che 'l Gorgon porta e in man l'asta pongente,
che fu inventrice de la santa oliva:
Eubulo era chiamato da la gente,
e spesso a questo loco alcun veniva
solo per visitar questo om prudente
e consigliarse de alcun novo caso,
ché di sapienza e carità fu vaso.
41
Ilare ne lo aspetto era il vecchione,
faceto e grave, e probità nel volto
mostrava tutto privo de ambizione;
sempre diceva il ver libero e sciolto
al caro amico suo senza fizione,
e era al culto de la dea sì vòlto
che in la sua santa solitaria cella
già spesse volte ragionò con quella.
42
Così in l'umil sua casa me introdusse
Eubul con grato viso e lieto core,
e come stato suo germano io fusse,
secondo il loco mi faceva onore.
- O felice pensier, il qual me indusse
ad esser de la Cerva cacciatore,
ché se ella non pigliai nei lacci tesi,
almen questa amicizia santa io presi.
43
Or chi dirà che con suo nume eterno
l'instabile Fortuna non sia quella
che d'ogni mortal cosa abbia il governo?
Ahimè, quanto oggi a me stata è ribella!
E or, se 'l ver dal falso ben discerno,
me mostra la sua faccia dolce e bella.
Quanta è quella sentenza santa e vera:
- La vita il fine e il dì loda la sera -.
44
Non credea in questa casa solitaria
gionger già mai, anzi mi tenni morto,
vedendomi Fortuna sì contraria,
e or son gionto in un securo porto.
Quanta è l'umana sorte incerta e varia!
Poco è piangea che 'l ciel mi facea torto,
e or sono in un loco capitato,
quale a me non potrebbe esser più grato -.
45
Così parlando, a la sua pura mensa
seder mi fece l'ospite mio degno
e di quel ch'ebbe con carità immensa
mi ministrava in chiaro vetro e legno.
O candido lettor mio caro, pensa,
(come credo) se hai lume alcun de ingegno,
che fummi tal cenar così iocondo,
quanto altro mai da poi ch'io nacqui al mondo.
46
Grato restauro al corpo e a la mia mente
sporse ad un tempo il placido convito,
tal che gran gaudio ancora il mio cor sente;
e pria che da seder fussi partito,
mostrommi il iusto vecchio apertamente
che sia il seguir un vano suo appetito,
sì che tal frutti in la mia vita mai
al fin d'altro convivio io non gustai.
47
Al fin di quella sobria e santa cena
Eubul con quello amor che ha il patre al figlio,
come de lo error mio portasse pena,
incominciò con assai mesto ciglio
e disse: - O ignari, che furor vi mena,
o vani cacciator senza consiglio,
a spendere il prezioso tempo e breve
seguendo uno animal fugace e leve?
48
Se quante fiere in questo bosco stanno
tutte in un giorno preda tua facesti
e quante mai fra selve abitaranno
dimme che gloria mai ne acquistaresti.
A che durar sì vano e longo affanno?
Ahimè, figliolo, consumar dovresti
questa vita mortale in megliore uso,
per non restar dal tempo al fin deluso.
49
Prende esercizio virtüoso, il quale
sia forte scudo a la Fortuna avversa
quando ferir ti vuol col duro strale.
Se da tempesta in mar fusse dispersa
la tua ricchezza, tua virtù sia tale
che non resti con quella almen summersa;
e, nudo, abbi tesoro di tal sorte
che a pena tôr tel possa l'empia morte.
50
Vari diletti sono infra gli umani:
a cui la corte, a chi seguire Amore,
a chi fiere cacciar piace con cani,
a chi ricchezza e a chi ambizione e onore,
chi el mondo peragrar per lochi strani:
felice è quel che eleger sa il megliore
e sempre abbia in memoria senettute,
qual consolar convien con la virtute.
51
Quel che in vani piacer sua giovenezza
e il tempo suo trapassa in giochi e in festa,
come tranquilla puote aver vecchiezza
giongendo ne la età grave e modesta
e aver la mente a voluttate avezza?
Ahimè, ché la memoria lo molesta,
ché recordarsi de i piacer passati
stimuli al cor gli sono avenenati.
52
Qual doglia pensi senta dentro il core
quel che già cortegian fu sì prestante
e di sua vita ha trapassato il fiore,
e vede tanti a lui passare inante
sfoggiati e vaghi e pieni di valore,
debil essendo, frigido e pesante?
Se di virtute allor si trova privo,
non credi ch'abbia in odio l'esser vivo?
53
Levagli il tempo quella leggiadria
e quella agilità che 'l facea grato
a ogni signore e in ogni compagnia;
e propriamente è come un vaso ornato,
che legno è dentro e fuor par che oro sia:
se di quello ornamento è poi privato,
più non si stima e sì sua sorte muta
che ognun come vil cosa lo refiuta.
54
E quel che già ne l'amoroso gioco
ne la sua verde età fu sì felice
e gionge a la vecchiezza a poco a poco,
né più a fogge amorose intender lice
e giaccio ha il corpo e l'appetito foco,
come credi che stia questo infelice,
se avvien che veda giovenetti amanti
con dame in festa floridi e gallanti?
55
Il desio vive in lui, morto è il potere:
sente l'ardente pena che dà Amore,
ma più gustar da poi non può il piacere;
fa come infermo suol pien di langore,
che un frutto tiene in man sol per vedere
e per diletto prender de l'odore,
ma poi se 'l gusta, nocegli sì forte,
che spesso a quel piacer succede morte.
56
Ricchezza in senettù, ambizione e onore
riposo a molti pare e gran diletto,
ma crede a me che han seco assai dolore.
E poi quale è sì privo de intelletto,
che non sappi che 'l vecchio in breve more,
avendo il corpo da molti anni infetto?
De non goderle longo tempo è certo,
sì che in mezzo al piacer gran duol ha inserto.
57
Negar non so che 'l peragrar la terra
laude non sia e gran satisfazione
e prattico l'om faccia in pace e in guerra
e grato a conversar fra le persone;
ma chi alcun vizio nel suo petto serra,
raro lo lascia per cangiar regione,
anzi è vizio tallor di tal natura
che lo accompagna fin in sepultura.
58
Ma chi vita modesta e virtüosa
in la sua gioventù menar soleva,
già non gli par vecchiezza poi noiosa;
se in verde età da vizio se astineva,
gli era quella astinenza faticosa,
ma tal fatica senettù glie leva
e de appetiti estingue il grande ardore,
che in mille parti glie abruggiava il core.
59
La età senil, se sia senza passione
de sfrenati desii, è un leve peso
da tolerar, ma la persüasione
fa che 'l vero da noi non è compreso,
e però l'omo più da la opinione
che da la veritate è spesso offeso:
ché essendo senettù degna e modesta,
l'opinion fa aparerla amara e infesta.
60
Questa è la età prudente e moderata,
questa è quïeta e di esperienza piena,
savia e d'ogni van desio purgata,
e carca par de intolerabil pena
a chi lascivia sempre mai fu grata.
Ma chi sua vita sobria e casta mena
in la florida età de iuventute,
raro aver suole inferma senettute.
61
Lascivo vecchio mai non ha riposo,
ché infetto ha il senil corpo e ancor la mente;
sempre d'altrui piacer è invidïoso
e fa come stallon fra le iumente
che è bolso e antiquo e nondimen focoso;
così se de Amor questo parlar sente,
lasciva fiamma lo arde e lo divora,
ché in secco legno il foco più lavora.
62
E poi corroso da una interna cura,
incomincia a pensare il vecchio insano
se dopo morte l'alma eterna dura,
che fine allora avea tenuto vano;
e però sempre ha una mortal paura
pensando sopra al viver suo profano,
vicino essendo omai a l'ora estrema,
de la qual ogni uman paventa e trema.
63
Questo sudar glie fa troppo la fronte,
vorrebbe lo infelice voluntieri
che nulla fusse e il gioco andasse a monte:
così da questi ambigüi pensieri
sempre ha de affanni in mezzo il cor un fonte
e mille dardi venenosi e fieri;
se sente poi un minimo dolore,
più pena assai che 'l duol gli dà il timore.
64
Però, figliol, se arai virtute amica,
che al ciel estolle l'anima immortale,
farai come far dicon la formica,
che in la vecchiezza sua suol metter le ale,
e volarai a quella patria antica,
dove salir non può chi vive male,
e in eterno lì sarai felice,
né maggior ben di quel sperar ne lice -.
65
Con umil voce e con demesso volto
io glie resposi: - O patre de onor degno,
il tuo santo precetto in me può molto,
ma per chiarir il mio dubioso ingegno,
che forse in ignoranza sta sepolto,
dirotti il mio parer, non lo abbi a sdegno,
né chiamar temerario il parlar mio,
ché sol per imparar questo dico io.
66
Teco farò come chi un grato odore
vuol trar de alcuna cosa e che l'accende,
e per la gran virtù di quello ardore,
soave spirto a' circostanti rende;
così accendendo anch'io tuo santo core,
non già con foco material, che offende,
ma con le mie parole adesso un poco,
renderà grato odor per ogni loco.
67
Io dico, patre mio, che con sapienza
creato il tutto fu, come si vede,
da la divina eterna providenza,
ben che gli è alcun che a caso il tutto crede.
Essendo adonque il ver questa sentenza,
che da summo saper tutto procede,
chi vuol dir altramente, è certo insano,
che Dio e Natura faccian cosa in vano.
68
In la mente divina o di Natura
fur pria le Idee, che mai fusse creato
in questo mondo alcuna creatura;
così fu poi ogni animal formato
e il naturale istinto con gran cura
qual seguir debbe, a ognun di lor fu dato;
e credo chi negasse quel ch'io dico,
non seria a veritate vero amico.
69
Se non avesse le sagaci nare,
s'el non fusse fidel, goloso e fiero,
e solicito in caccia e nel latrare,
s'el non fusse con coda lusinghero,
né sapesse con lingua medicare,
chi can dicesse, non direbbe il vero.
Se questi effetti con la forma stanno,
del vero cane uno individuo fanno.
70
E ben che quella età prima tenella
di tali operazion par esser priva,
latentemente son però con quella,
ché quando poi alcun vivente arriva
ne la più verde età florida e bella,
qual foco occulto allor se accende e aviva
e cognoscer fa poi de ogni animale
quale è suo istinto e corso naturale;
71
se non, Natura e quel gran Fabro eterno
fatto averiano in van l'operazione,
per qual uno animal da l'altro io scerno.
E però se l'è ver questa opinione,
chi creò il mondo e ha di quel governo,
con sapienza infinita e con ragione
facesse il tutto e mai non può fallire,
suo istinto ogni animal convien seguire.
72
Tutte le età di noi miseri umani
vengon con suoi costumi e suoi piaceri:
sono i fanciulli simplicetti e vani,
vòlti a le noci e suoi desii leggeri;
crescendo poi desian cavalli e cani;
facili al vizio e per sciochezza altieri,
e ogni reprension tanto gli offende
che son nimici a ognun che li reprende.
73
Florida gioventù tutta amorosa,
tutta galante e tutta legiadria,
balli e canti desia sopra ogni cosa;
sempre quasi ha lascivia in compagnia
e prodiga è dil tempo e perigliosa,
e ogni monte gli par piana via,
e raro da' mortali è cognosciuta,
per fine a tanto che non è perduta.
74
E così poi ne la virile etate
se suol cangiar pensier, cangiar desio,
e quelle cose quale allor fur grate
in l'altra età le pone poi in oblio
e aspirar comincia a dignitate,
a ricchezza, e tenerla per suo dio.
Vien senettù, de la qual ditto è assai,
quale il passato lauda sempre mai.
75
Chiunque i costumi d'ogni età non sente
(chi più, chi men, come sua complessione
lo induce), o patre, credo veramente
chiamar om non si possa con ragione;
né ancora la Natura lo consente,
che a ogni animal dato ha la sua passione,
e ogni fatica contra quella è inane,
ché l'om convien che faccia cose umane.
76
Omo son nato e i natural costumi
de la mia gioventù seguir conviene:
s'io seguo fiere per le selve e dumi
con can latranti e delettevol pene,
e adoro in terra doi fulgenti lumi,
che son mie stelle e mio celeste bene,
obedisco a Natura, e errar non credo
s'io godo quello che da lei possedo.
77
Come per pioggia, o nebia, o vento, o sciutto,
da l'arbor verde cascherà tallora,
che in vista par maturo, acerbo frutto,
così interviene spesso a quello ancora,
che in l'opre e in viso è vecchio e in la età putto,
né può durar: convien che in breve mora;
e pigra gioventù che è senza amore,
è come inutil fior che è senza odore.
78
E se astinente un più de l'altro pare,
patre, non è maravigliosa cosa,
perché la complession questo fa fare,
secondo che è imbecilla o vigorosa.
A la venerea fiamma non può ostare
chi ha complession sanguigna e amorosa,
come colui chi l'ha frigida e tarda,
ché l'un par giaccio e l'altro par sempre arda -.
79
- Ahimè, figliol -, disse ei, - che è quel ch'io sento?
Lassa questa opinion vana epicura,
causa de infamia eterna e di tormento.
Se Dio (sì come hai detto) e la Natura
creorno il tutto, il che ancor io consento,
con infinita providenza e cura,
creato in vano arian in noi ragione,
secondo la tua falsa conclusione.
80
Se non sapesse la virtù dal vizio
discerner l'om, ragion che valerebbe?
Che valerebbe il natural iudizio?
Ogni virtute al mondo in van sarebbe.
Se appetito facesse quel offizio
che la ragion maestra in noi far debbe,
non poterebbe uno eccellente core
aver nel mondo il meritato onore;
81
saria destrutto il vivere modesto,
non meritaria biasmo il cor profano,
né laude ancora il virtüoso e onesto.
Guarda a quel che sarebbe il stato umano,
quanto il gran Giove mancarebbe in questo,
se a quel ch'ha il fren de gli appetiti in mano
fusse di gloria eguale e di mercede
uno che in voluttate ogni ben crede.
82
E poi la complession, sì come hai detto,
non fa l'omo astinente, o figliol mio,
ma un cor modesto dentro a un casto petto.
Non vedi spesso uno om malvaggio e rio,
se avvien talor che sia da alcun corretto,
li vizi suoi mandar presto in oblio?
Non hai già inteso che la nutritura
per l'uso si converte poi in natura?
83
Non vedi la Ragion, per far diffesa
contra la Voluttà, che è tanto grata,
per vincere con lei la dura impresa,
di Pazïenza e Astinenza armata,
di Virtù in man portar la face accesa?
Con molte altre arme ancora preparata,
e oltra le arme, de animo sì forte
che, pria che perder, spesso elegge morte.
84
Dil che infiniti esempli potrei darte,
e se leger tu vòi, ne troverai
piene le antique e le moderne carte;
ma questo solo basteratti assai,
che Ippolito straziato a parte a parte
da' cavalli esser vòlse, pria che mai
consentire al furor de la matregna,
perché Ragione a i suoi far così insegna -.
85
- Chi potria mai, o di sapienza pieno,
responder -, dissi, - a gli argumenti santi,
che escono fuora del tuo casto seno?
Chiaro sapeva certamente inanti
che frutti aria produtto il tuo terreno
più assai soavi ch'altri e più prestanti,
ma fatto ho teco come chi uva preme,
che da ogni canto dolce liquor geme.
86
Ché se con mie parole ho pur premuto
l'animo tuo e in qualche parte offeso,
sì soave liquor ne è fuor venuto
che del grave error mio fia contrapeso;
perché se io fusse stato teco muto,
tuo saggio argumentar non seria inteso,
qual succo sparge sì salubre e grato
che più d'un cor sarà da quel purgato.
87
Sanar quasi è impossibil in una ora
membro che sia molt'anni stato infetto;
dubito che impossibile sia ancora
mei van desii sì presto trar del petto.
Da bon villan farò, che ben lavora
campo a felce, o gramegna, o spin sugetto,
che 'l purga e lo reconcia a poco a poco
col rastro, con la zappa o ver col foco.
88
Così con tuoi precetti e santo lume
de la sapienza tua, mio infetto core
si purgarà d'ogni suo mal costume,
e se ora pur mio giovenil errore
a i mei vani desii aggionge piume
e fammi seguir fiere e il ceco Amore,
frutto in me ancor faran le tue parole
come novella pianta in giardin suole -.
89
Mentre ch'io ragionava, al fin gionto era
il chiaro lume di quel bel candelo
in su la mensa posto quella sera;
e già la luna alzata a mezzo il celo
luce faceva a ogni notturna fiera,
emula quasi del signor di Delo;
però, silenzio imposto al parlar mio,
Eubulo a reposarse andava e io. ""
Atteone
Mitico figlio di Aristeo e di Autonoe, figlia di Cadmo, educato da Chirone, divenne abilissimo cacciatore. Una tradizione mitica molto antica narra che egli fu mutato in cervo da Artemide e quindi sbranato dai suoi stessi cani. La ragione della punizione divina varia secondo le diverse fonti: Atteone avrebbe peccato di superbia, vantandosi di essere cacciatore più abile di Artemide, oppure avrebbe ambiziosamente aspirato alle nozze con Semele, o, infine, secondo la versione ellenistica, avrebbe sorpreso Artemide al bagno nella fonte Partenia, ai piedi del Citerone.
Il mito dello sbranamento di Atteone, mentre ricorda l'immagine orfica dell'eroe fatto a pezzi dalle Baccanti o dalle fiere (Orfeo e orfismo), sembra rispecchiare la primordiale immagine della morte iniziatica e l'identicazione degli iniziandi all'animale sacro. Questa identificazione conservava il suo aspetto rituale nelle versioni più antiche del mito, in cui Atteone non era propriamente trasformato in cervo, ma veniva scambiato per un cervo dai cani poiché Artemide [qui dal Gigante citata con il nome alternativo di Cinzia] gli gettava addosso una pelle d'animale. Così narra Stesicoro in un carme di cui resta un frammento, e così la vicenda era raffigurata nella metopa del tempio E di Selinunte. Il mito fu anche rappresentato nella ceramica attica, in quella etrusca (con valore funerario), in un sarcofago del Louvre con Atteone che sorprende Artemide, è sbranato dai cani, e poi pianto da due donne, e in molte pitture pompeiane. Spesso l'unico segno della metamorfosi in cervo consiste in due corna che spuntano sul capo di Atteone.
Tra le numerose rappresentazioni letterarie del mito ricordiamo quella nel quarto dialogo degli Eroici furori di G. Bruno, dove la vicenda di Atteone assume un significato mistico-religioso sorretto da un complesso simbolismo, secondo l'andamento generale di tutta l'opera, e quella dell'idillio Atteone di G. B. Marino, centrata sul tema della metamorfosi secondo un gusto tipico dell'età barocca. Il mito di Atteone fu oggetto anche di una ricca iconografia, di cui sono famosi la metopa di Selinunte e il dipinto di Polignoto, che lo ritrae negli Inferi, seduto su un cervo. Fu rappresentato nella ceramica attica, in quella etrusca (con valore funerario), in sarcofagi (in particolare in quello conservato al Louvre di Parigi) oltreché in numerose pitture pompeiane. Spesso l'unico segno della metamorfosi in cervo consiste in due corna che spuntano sul suo capo
[FURIO JESI in "NOVA 2006" - UTET]
Savio, Giovanni [nato a Venezia, vissuto tra XVI - XVII sec.]
"Apologia di Gio. Sauio venetiano, D. in difesa del Pastor fido, tragicomedia pastorale del molto illust. sig. caualier Battista Guarino, dalle oppositioni fattegli da gl'eccell. sig. Faustino Summo, Gio. Pietro Malacreti, & Angelo Ingegnero. ...",
In Venetia : presso Horatio Larducci : ad instanza de gl'Vniti di Padoua, 1601
- 12, 502 i.e. 510, 6 p. ; 12o
- Segn.: a6 A-X\1" Y6
- Numerosi errori di paginazione
- Emblema (?) dell'Accademia degli Uniti (Bilancia. Motto: "Recte") sul front.
- Le c. Y5 e Y6 sono bianche
- Impronta - i;o- m-es oro- atre (3) 1601 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: italiano
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca comunale Labronica Francesco Domenico Guerrazzi. Sezione dei Bottini dell'olio - Livorno -
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena - MO
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
- Biblioteca comunale Classense - Ravenna
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - 1 esemplare mancante dell'ultima c., bianca
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
AFRODITE: Dea greca dell'amore, della fertilità e della bellezza , la cui nascita è attestata in due versioni mitiche. Una, che la ricollega alla primordiale cosmogonia dalle acque, secondo l'etimologia del suo nome (afròs schiuma , con riferimento alla schiuma del mare in cui cadde il membro virile di Urano e da cui nacque la dea, detta perciò "Anadiomene, anadyomène" = l'emersa ). L'altra, che riduce la primordialità della dea e la subordina al cosmo retto da Zeus, facendone una sua figlia (e della dea Dione). L'origine della figura greca di Afrodite è oggetto di controversie fra gli studiosi. La tendenza ermeneutica riconosce nella dea la sopravvivenza dell'antica dea-madre mediterranea, dall'accentuato carattere erotico, connessa con la fertilità della terra e con la vegetazione. Indubbia è anche la sua affinità con la Core micenea, cui la collega una marcata analogia: Afrodite possiede aspetti partenici, come Core conserva aspetti afroditici ed erotici; Afrodite proviene da divinità cretesi che possedevano, come Core, caratteri connessi con l'escatologia. Ciò consente di comprendere più a fondo la stessa natura erotica di Afrodite : la sua componente mistica pone l'unione sessuale con la dea in una prospettiva di rivelazione ultraterrena. In tale prospettiva vanno considerate le forme di prostituzione sacra collegate al culto di Afrodite : le sacerdotesse-prostitute consentivano a celebrare attraverso l'unione sessuale un rito di fertilità e di rinnovamento garante di un'illuminazione divina e della sopravvivenza oltre la morte.
Eros: dio greco dell'amore nel mondo romano detto "Amor" o Cupido.
La tradizione greca ne avvolge la nascita nelle tenebre.
Paride:
mitico figlio di Priamo, re di Troia, e di Ecuba.
Quando ne fu incinta, Ecuba sognò di partorire una fiaccola che incendiava tutta Troia e Cassandra che interpretò profeticamente il sogno suggerì di uccidere il bambino appena nato, poiché sarebbe stato apportatore di sciagure. Priamo invece fece abbandonare Paride neonato sul monte Ida; un'orsa allattò il bambino, che fu poi raccolto e allevato da pastori. Questi lo chiamarono dapprima Paride, poi Alessandro. Si narrava anche che il bambino fosse stato allevato dalla ninfa Enone, figlia di un dio fluviale; secondo altre versioni, Enone fu sposa di Paride mentre egli visse presso i pastori.
[DALLE "EROIDI" DI OVIDIO
La tradizione mitologica greca, a partire da Omero, mostra Afrodite come sposa di Efesto e amante di Ares. L'apparente contrasto fra la dea della bellezza e il dio storpio si spiega con l'origine stessa di Efesto, un dio iniziatico del passaggio nell'aldilà e paredro della Grande Dea da cui derivò Afrodite. Successivamente Ares fu spesso considerato lo sposo legittimo di Afrodite : da questa unione nacquero Eros e, secondo il ciclo tebano, Armonia, la sposa di Cadmo. Altri amanti di Afrodite furono Ermes (da cui generò Ermafrodito) e Bute (da cui generò Erice).
Fra gli appellativi di Afrodite spiccano quelli di Cipria (per la priorità del culto cipriota), Citerea (dall'isola di Citera, dov'era un suo santuario), e in particolare Urania (l'Afrodite precosmica generata da Urano) e Pandemos (l'Afrodite «pubblica», cosmica, inserita nell'ordinamento urbano), entrambi usati da Platone per simboleggiare l'amore celeste e terreno ed evocare l'ambiguità di Afrodite rispetto all'ordine costituito. In età ellenistica Afrodite fu identificata con le egizie Hator e Isi, mentre nell'ambiente romano fu identificata con Venere.
L'immagine di Afrodite ricorre spesso nell'iconografia antica: prime testimonianze sono forse le placche auree recanti la figura della dea con le colombe, ritrovate a Micene, ma le figurazioni di Afrodite identificabili con sicurezza appartengono all'arte greca, in particolare alla scultura: dalla grandiosa realizzazione di Fidia del frontone orientale del Partenone, all'Afrodite Cnidia di Prassitele, che introdusse il nudo nella rappresentazione della dea e a cui si richiamano le realizzazioni dell'ellenismo, come l'Afrodite di Milo, conservata al Louvre, e Afrodite Medici, esposta agli Uffizi di.Firenze. Nel mondo romano l'identificazione di Afrodite con Venere - madre di Enea e, quindi, nume tutelare della fondazione di Roma - portò a un' iconografia celebrativa della dea secondo i canoni greci ed ellenistici, e alla diffusione di un tipo di ritratto delle figure femminili della famiglia imperiale che ne adottava l'immagine. Se nel Medioevo la dea tende ad apparire più che altro nelle raffigurazioni astronomiche dei pianeti, nel Rinascimento, grazie alla lettura neoplatonica di M. Ficino, fu elevata a simbolo della bellezza sia spirituale sia materiale, come sembra trasparire dal dipinto di Tiziano, Afrodite L'Amor sacro e l'Amor profano, della Galleria Borghese di Roma. Afrodite -Venere fu così posta dall'arte moderna al centro di una raffigurazione politematica, di volta in volta dedicata alla sua nascita (come in Botticelli), ai temi dell'amore e della sensualità nelle numerose rappresentazioni con Eros o con Adone (nei dipinti, fra gli altri, di Giorgione, o nelle sculture di A. Rodin) e in genere alla simbologia della bellezza femminile (fino alla sua scomposizione nella scultura di S. Dalì, Venere di Milo con cassetti, del 1936).
[GIOVANNI PILATO IN "NOVA 2006" - UTET]
Nella "Teogonia" di Esiodo, Eros apparve nell'universo subito dopo Caos e Gea, la Terra. Un'altra versione mitica, accolta nell'orfismo, narra che in origine era la Notte, uccello dalle ali nere fecondato dal vento, che depose un uovo d'argento nel grembo dell'oscurità. Dall'uovo emerse Eros, dio dalle ali d'oro, chiamato "protògonos", generato per primo o "Fànes" colui che appare. Il dio dell'amore esercitò per la prima volta la sua influenza sulla coppia Urano e Gea, da cui nacquero Oceano e Tetide, che subirono anch'essi l'influsso di Eros dando inizio alle generazioni divine, prototipo di quelle umane. Il problema del culto di Eros nella grecità è complesso, poiché a rigore non esiste una tradizione mitica e cultuale connessa con il dio dell'amore, e tuttavia la sua presenza è considerata necessaria in ogni esperienza del sacro. La più diffusa esperienza religiosa greca si è sempre trovata in un rapporto ambiguo con l'immagine di Eros evocata da Esiodo, a causa dell'impossibilità di farne un dio olimpico o di venerarlo come congiunto del Caos. La religione ufficiale ha quindi ridotto il dio a divino fanciullo, compagno e sottoposto di Afrodite, anche se solo Simonide lo fa figlio della dea e di Ares. Una soluzione delle ambiguità nella venerazione di Eros è quella proposta da Platone nel "Simposio" (180 - 181), dove Eros non è dio ma "dàimon" (demone) intermedio fra dei e uomini. Nato da Poros (l'espediente) e Penia (la povertà) domina nel pensiero platonico come essenza di forza misteriosa e sovrana che unisce in eterno equilibrio vita e morte, essere e non-esistenza.
In merito ad EROS (ma anche ad AFRODITE o VENERE) sulla scorta di quest'ultima interpretazione e soprattutto di un passo del cicerioniano "De natura deorum" (III 23, 59-60), non si può tuttavia evitare di far cenno alla teoria dei due amori, per quanto variamente interpretata, che finì per contrapporre due divinità EROS - ANTEROS sulla direttrice di una paritetica e platonica distinzione tra due Veneri, la Celeste e la Terrestre.
[rielaborato dal testo di FRANCESCO ZAGAR in "NOVA 2006" - UTET]
Aprosio specificatamente tratta di Amore, Venere e Diana in questo lungo
***PASSO***,
cioè praticamente per tutto il
capitolo III
del
"Veratro - Parte I".
Nella tradizione greca più antica, anteriore a Omero, si inserisce a questo punto il tema del giudizio di Paride, elemento fondamentale nel preludio alla guerra di Troia. Volendo distruggere una parte dell'umanità Zeus fece in modo che alle nozze di Tetide e di Peleo avvenisse il fatto la cui ultima conseguenza sarebbe stata appunto la guerra di Troia. Non invitata al banchetto nuziale, Eris, la discordia, gettò fra i convitati una mela d'oro, destinata alla più bella delle dee presenti. Era, Atena e Afrodite vollero afferrarla, ma Zeus stabilì che Paride avrebbe dovuto decidere a quale delle tre dee spettasse la mela. Ermes, per ordine di Zeus, condusse le tre dee sull'Ida, diede a Paride la mela d'oro e gli chiese di giudicare. Ciascuna delle dee promise a Paride ricchi doni se l'avesse prescelta: Era gli offrì la signoria sull'Asia e sull'Europa, Atena la vittoria e la condizione eroica, Afrodite il possesso della bellissima Elena. Paride diede la mela ad Afrodite e si attirò così l'ira delle altre due dee. Tornato a Troia e riconosciuto da Priamo, il principe abbatté i pini dell'Ida e costruì una nave con la quale si sarebbe recato verso Elena. Paride giunse a Sparta 10 anni dopo che Elena era stata sposata da Menelao; questi ricevette l'ospite, ma poi dovette lasciarlo per recarsi a Creta da Idomeneo. Quella stessa notte, Afrodite fece sì che Elena con il suo tesoro seguisse Paride sulla nave, diretta a Troia; essi si unirono per la prima volta nell'isola di Cranae, e quindi a Troia festeggiarono solennemente le nozze. Il ratto di Elena, che i troiani rifiutarono di restituire a Menelao, suscitò la coalizione dei principi greci contro Troia. Secondo la tradizione ellenica, infine, Paride uccise Achille con una freccia guidata da Apollo e fu a sua volta ucciso da una freccia di Filottete.
[FURIO JESI in "NOVA 2006" - UTET]
"V. OENONE PARIDI
"(LEGGINE QUI LA TRADUZIONE
Nympha suo Paridi, quamvis suus esse recuset,
mittit ab Idaeis verba legenda iugis.
Perlegis? an coniunx prohibet nova? perlege! non est
ista Mycenaea littera facta manu.
Pedasis Oenone, Phrygiis celeberrima silvis,
laesa queror de te, si sinis, ipse meo.
Quis deus opposuit nostris sua numina votis?
ne tua permaneam, quod mihi crimen obest?
leniter, e merito quicquid patiare, ferendum est;
quae venit indignae poena dolenda venit.
Nondum tantus eras, cum te contenta marito
edita de magno flumine nympha fui.
qui nunc Priamides (absit reverentia vero)
servus eras; servo nubere nympha tuli!
saepe greges inter requievimus arbore tecti
mixtaque cum foliis praebuit herba torum.
saepe super stramen fenoque iacentibus alto
defensa est humili cana pruina casa.
quis tibi monstrabat saltus venatibus aptos
et tegeret catulos qua fera rupe suos?
retia saepe comes maculis distincta tetendi,
saepe citos egi per iuga longa canes.
incisae servant a te mea nomina fagi
et legor Oenone falce notata tua;
et quantum trunci, tantum mea nomina crescunt;
crescite et in titulos surgite recta meos!
[Populus est, memini, fluviali consita rivo,
est in qua nostri littera scripta memor.]
popule, vive, precor, quae consita margine ripae
hoc in rugoso cortice carmen habes:
"cum Paris Oenone poterit spirare relicta,
ad fontem Xanthi versa recurret aqua."
Xanthe, retro propera versaeque recurrite lymphae!
sustinet Oenonen deseruisse Paris.
Illa dies fatum miserae mihi dixit, ab illa
pessima mutati coepit amoris hiems,
qua Venus et Iuno sumptisque decentior armis
venit in arbitrium nuda Minerva tuum.
attoniti micuere sinus gelidusque cucurrit,
ut mihi narrasti, dura per ossa tremor.
consului (neque enim modice terrebar) anusque
longaevosque senes: constitit esse nefas.
Caesa abies sectaeque trabes et classe parata
caerula ceratas accipit unda rates.
flesti discedens. hoc saltim parce negare;
praeterito magis est iste pudendus amor.
et flesti et nostros vidisti flentis ocellos;
miscuimus lacrimas maestus uterque suas.
non sic appositis vincitur vitibus ulmus,
ut tua sunt collo bracchia nexa meo.
ah quotiens, cum te vento quererere teneri,
riserunt comites-ille secundus erat.
oscula dimissae quotiens repetita dedisti!
quam vix sustinuit dicere lingua "vale!"
Aura levis rigido pendentia lintea malo
suscitat et remis eruta canet aqua.
prosequor infelix oculis abeuntia vela,
qua licet, et lacrimis umet arena meis,
utque celer venias, virides Nereidas oro
scilicet ut venias in mea damna celer.
votis ergo meis, alii rediture, redisti?
ei mihi, pro dira paelice blanda fui!
Adspicit immensum moles nativa profundum
(mons fuit), aequoreis illa resistit aquis;
hinc ego vela tuae cognovi prima carinae
et mihi per fluctus impetus ire fuit.
dum moror, in summa fulsit mihi purpura prora.
pertimui: cultus non erat ille tuus.
fit propior terrasque cita ratis attigit aura:
femineas vidi corde tremente genas.
non satis id fuerat-quid enim furiosa morabar?-
haerebat gremio turpis amica tuo!
tunc vero rupique sinus et pectora planxi
et secui madidas ungue rigente genas
implevique sacram querulis ululatibus Iden
illuc has lacrimas in mea saxa tuli.
sic Helene doleat defectaque coniuge ploret,
quaeque prior nobis intulit, ipsa ferat!
Nunc tibi conveniunt, quae te per aperta sequantur
aequora legitimos destituantque viros.
at cum pauper eras armentaque pastor agebas,
nulla nisi Oenone pauperis uxor erat.
non ego miror opes, nec me tua regia tangit
nec de tot Priami dicar ut una nurus,
non tamen ut Priamus nymphae socer esse recuset
aut Hecubae fuerim dissimulanda nurus.
dignaque sum et cupio fieri matrona potentis;
sunt mihi quas possint sceptra decere manus.
nec me, faginea quod tecum fronde iacebam,
despice; purpureo sum magis apta toro.
Denique tutus amor meus est; ibi nulla parantur
bella nec ultrices advehit unda rates.
Tyndaris infestis fugitiva reposcitur armis;
hac venit in thalamos dote superba tuos.
quae si sit Danais reddenda, vel Hectora fratrem,
vel cum Deiphobo Polydamanta roga;
quid gravis Antenor, Priamus quid suadeat ipse,
consule, quis aetas longa magistra fuit
.
turpe rudimentum, patriae praeponere raptam.
causa pudenda tua est; iusta vir arma movet.
Nec tibi, si sapias, fidam promitte Lacaenam,
quae sit in amplexus tam cito versa tuos.
ut minor Atrides temerati foedera lecti
clamat et externo laesus amore dolet,
tu quoque clamabis. nulla reparabilis arte
laesa pudicitia est; deperit illa semel.
ardet amore tui; sic et Menelaon amavit;
nunc iacet in viduo credulus ille toro.
felix Andromache certo bene nupta marito;
uxor ad exemplum fratris habenda fui.
tu levior foliis, tum cum sine pondere suci
mobilibus ventis arida facta volant
.
et minus est in te quam summa pondus arista,
quae levis adsiduis solibus usta riget.
Hoc tua (nam recolo) quondam germana canebat
sic mihi diffusis vaticinata comis:
"quid facis, Oenone? quid arenae semina mandas?
non profecturis litora bubus aras!
Graia iuvenca venit, quae te patriamque domumque
perdat! io prohibe! Graia iuvenca venit!
dum licet, obscenam ponto demergite puppim!
heu! quantum Phrygii sanguinis illa vehit!"
dixerat; in cursu famulae rapuere furentem,
at mihi flaventes diriguere comae
.
ah, nimium miserae vates mihi vera fuisti;
possidet en saltus Graia iuvenca meos!
sit facie quamvis insignis, adultera certe est;
deseruit socios hospite capta deos.
illam de patria Theseus, nisi nomine fallor,
nescioquis Theseus abstulit ante sua.
a iuvene, et cupido, credatur reddita virgo?
unde hoc compererim tam bene quaeris? amo!
vim licet appelles et culpam nomine veles;
quae totiens rapta est, praebuit ipsa rapi.
at manet Oenone fallenti casta marito-
et poteras falli legibus ipse tuis:
Me Satyri celeres (silvis ego tecta latebam)
quaesierunt rapido, turba proterva, pede
cornigerumque caput pinu praecinctus acuta
Faunus, in immensis qua tumet Ida iugis
.
me fide conspicuus Troiae munitor amavit;
ille meae spolium virginitatis habet.
id quoque luctando; rupi tamen ungue capillos
oraque sunt digitis aspera facta meis
.
nec pretium stupri gemmas aurumque poposci;
turpiter ingenuum munera corpus emunt.
Ipse ratus dignam medicas mihi tradidit artes
admisitque meas ad sua dona manus.
quaecumque herba potens ad opem radixque medendi
utilis in toto nascitur orbe, mea est
.
me miseram, quod amor non est medicabilis herbis!
deficior prudens artis ab arte mea.
ipse repertor opis vaccas pavisse Pheraeas
fertur et e nostro saucius igne fuit.
Quod nec graminibus tellus fecunda creandis
nec deus, auxilium tu mihi ferre potes.
et potes et merui. dignae miserere puellae!
non ego cum Danais arma cruenta fero.
sed tua sum tecumque fui puerilibus annis
et tua, quod superest temporis, esse precor
"[TRADUZIONE DELLA V DELLE "EROIDI"]
(LETTERA DI) ENONE A PARIDE
Dalle balze dell'Ida la ninfa invia una lettera al suo Paride, sebbene
egli rifiuti di essere suo. Leggi fino in fondo? O la tua nuova moglie te
lo impedisce? Leggi tutto: questa non è scrittura vergata da mano micenea.
Io, Enone di Pedaso, assai famosa nei boschi della Frigia, espongo,
offesa, le mie lamentele su di te, che sei mio, se solo lo vuoi. Quale dio
ha contrastato i miei desideri con il suo divino volere? Quale colpa mi
impedisce di essere per sempre tua? Bisogna sopportare con rassegnazione
ciò che si subisce meritatamente; ma reca con sé dolore la pena che
colpisce chi non la merita. Non eri ancora così importante quando io,
ninfa generata da un grande fiume, mi accontentai di averti come marito.
Tu, che ora sei riconosciuto figlio di Priamo - a onore del vero - eri uno
schiavo: io, una ninfa, accettai di andare sposa ad uno schiavo. Spesso,
in mezzo alle greggi, abbiamo trovato riposo al riparo di un albero e
l'erba frammista a foglie ci faceva da giaciglio. Spesso, mentre ce ne
stavamo sdraiati sulla paglia o sul fieno folto, un'umile capanna ci ha
riparati dalla candida brina. Chi ti indicava i passi adatti alla caccia e
in quale rupe una fiera nascondeva i suoi cuccioli? Spesso in tua
compagnia ho steso le reti divise in maglie; spesso ho spinto i cani
veloci lungo le giogaie. I faggi, incisi da te, conservano il mio nome: si
legge Enone, tracciato dal tuo falcetto. E quanto crescono i tronchi,
altrettanto cresce il mio nome: crescete e tiratevi su dritti per
attestare i miei titoli! [Mi rammento, c'è un pioppo, piantato sulla riva
di un fiume, sul quale è incisa una scritta in mio ricordo.] Vivi, ti
prego, pioppo, che piantato sul margine della riva rechi sulla ruvida
corteccia questi versi: "Se Paride, abbandonata Enone, potrà ancora
vivere, l'acqua dello Xanto invertirà il suo corso andando verso la
acqua. O Xanto, affrettati all'indietro, e voi, acque, scorrete a
ritroso! Paride ha il coraggio di aver abbandonato Enone. Quel giorno
decise il mio destino di infelice, da quel giorno ebbe inizio il terribile
inverno di un amore che è cambiato, quando nude si sottoposero al tuo
giudizio Venere, Giunone e Minerva, più bella quando indossa le armi. Il
cuore mi palpitò per lo spavento, quando lo raccontasti e un gelido
tremore percorse le ossa irrigidite. Consultai (ero infatti profondamente
terrorizzata) donne anziane e uomini avanti negli anni: risultò che si
trattava di un presagio funesto. Furono tagliati gli abeti e segate le
assi e, allestita una flotta, l'onda azzurrina accolse le imbarcazioni
spalmate di cera. Piangesti nel partire: almeno questo non negarlo; il tuo
attuale amore ti deve far vergognare più di quello passato. Piangesti e
vedesti i miei occhi in pianto. Entrambi dolenti confondemmo le nostre
lacrime. L'olmo non è altrettanto avvinto dai rami di vite che lo
allacciano, quanto le tue braccia si strinsero al mio collo. Ah, quante
volte, quando ti lamentavi di essere trattenuto dal vento, i tuoi compagni
risero: il vento era propizio! Quante volte, dopo avermi congedata, mi
richiamasti per baciarmi! Con quanta fatica la lingua fu in grado di dire
"Addio"! Una leggera brezza fa gonfiare le vele che sventolano dall'albero
ritto e l'acqua sollevata dai remi, biancheggia. Inseguo tristemente con
lo sguardo, fin dove posso, le vele che si allontanano, mentre la sabbia
si inumidisce per le mie lacrime. Invoco le verdi Nereidi perché tu venga
presto: che tu venga presto, certo, per la mia rovina. Sei tornato,
quindi, per le mie preghiere, ma hai deciso di tornare per un'altra.
Ahimè, sono stata convincente in favore di una rivale funesta! Un molo
naturale guarda verso l'immensa profondità del mare (era un monte): ora
funge da baluardo alle acque marine. Di lì riconobbi le vele della tua
imbarcazione, appena spuntarono ed ebbi l'impulso di slanciarmi in mare.
Mentre ero indecisa, dalla sommità della prua mi giunse un bagliore di
porpora. Rimasi sgomenta: quello non era il tuo modo di vestire. Al rapido
soffio della brezza la nave si fa più vicina, tocca terra: col cuore che
mi tremava vidi il volto di una donna. Ma non fu abbastanza - perché
infatti indugiavo in preda al furore? - la tua infame amica se ne stava
appiccicata al tuo petto! E allora mi strappai le vesti e percossi il
petto, e graffiai con dure unghiate le guance bagnate di lacrime e riempii
di grida lamentose il sacro Ida; là, sulle mie rupi portai questo pianto.
Altrettanto possa soffrire Elena e pianga abbandonata dal marito e subisca
lei stessa ciò che per prima ha inflitto a me. Ora ti vanno bene, quelle
che ti vengono dietro in mare aperto e abbandonano il legittimo consorte.
Ma quando eri povero e come pastore guidavi le greggi, nessun'altra,
tranne Enone, era moglie di un povero. Io non sono abbagliata dalle
ricchezze, la tua reggia non mi fa colpo e non mi importa di essere detta
una delle tante nuore di Priamo: non è tuttavia che Priamo rifiuterebbe di
essere suocero di una ninfa, né io sarei, per Ecuba, una nuora da tenere
nascosta. Sono degna e desidero essere moglie di un uomo potente: alle mie
mani può ben adattarsi uno scettro. E non trattarmi con disprezzo se usavo
coricarmi con te sulle foglie di faggio: sono ancora più adatta ad un
letto ricoperto di porpora. E, come ultima cosa, il mio amore è sicuro:
non si preparano guerre, contro di te e il mare non trasporta flotte
vendicatrici. La figlia fuggiasca di Tindaro è reclamata con armi
minacciose; superba di questa dote giunge al tuo talamo. Se sia da
restituire ai Greci, chiedilo a tuo fratello Ettore, a Polidamante o a
Deifobo; indaga che cosa consiglino l'autorevole Antenore e lo stesso
Priamo, ai quali fu maestra una lunga vita. È un inizio vergognoso
anteporre il rapimento di una donna alla patria; la tua è una causa
disonorevole: è giusto che il marito ricorra alle armi. E, se sei saggio,
non aspettarti che sia fedele la spartana, che ti è caduta così
prontamente fra le braccia. Come il figlio minore di Atreo grida contro la
violazione del letto coniugale e lamenta l'offesa dell'adulterio, anche tu
protesterai. Non c'è arte che sia in grado di riparare il pudore offeso:
esso viene meno una volta per tutte. Arde d'amore per te? Amò così anche
Menelao. Egli, poiché è stato fiducioso, giace in un letto vuoto. Beata
Andromaca, felicemente sposata ad un marito fedele! Avrei dovuto essere
tenuta come moglie, secondo l'esempio di tuo fratello. Tu sei più leggero
delle foglie, quando senza il peso della linfa, ormai inaridite, volano al
soffio instabile dei venti. E tu pesi meno della punta di una spiga, che
si rizza esile, bruciata dal sole implacabile. Una volta (mi ricordo) tua
sorella così vaticinava; così mi predisse con i capelli sciolti: «Cosa fai
Enone? Perché affidi semi alla sabbia? Ari inutilmente la spiaggia coi
buoi! È in arrivo una giovenca greca che rovinerà te, la tua patria e la
tua famiglia. Ahimè! Impediscilo! Arriva una giovenca greca! Finché è
possibile affondate in mare la nave funesta! Ahimè, quanto sangue frigio
trasporta!». Aveva parlato; le schiave la trascinarono via ancora in preda
al furore profetico, ma a me si rizzarono i biondi capelli. Ahimè, sei
stata troppo veritiera nella profezia delle mie sventure: ecco la giovenca
greca occupa i miei pascoli! Benché sia molto bella d'aspetto è
sicuramente un'adultera; ha abbandonato gli dèi coniugali, sedotta da un
ospite. Prima di te Teseo, se non mi sbaglio sul nome, un certo Teseo la
rapì dalla sua patria. Si può credere che uno, giovane e pieno di
passione, l'abbia restituita vergine? Mi chiedi come lo sappia con tanta
certezza? Io amo! Chiamala pure violenza e maschera la colpa con quel
nome; ma se lei è stata rapita tante volte, vuol dire che si è offerta
volontariamente al rapimento. Enone invece si conserva casta per un marito
traditore; anche tu potevi essere tradito secondo le tue leggi. Mi
cercarono gli agili satiri (ma io mi ero nascosta, protetta dai boschi),
schiera impudente, inseguendomi con passo veloce e mi cercò anche Fauno,
con le corna in fronte ed il capo cinto da una pungente corona di pino, là
dove l'Ida si solleva in vaste giogaie. Mi amò il costruttore delle mura
di Troia, famoso per la lira; è lui che possiede il trofeo della mia
verginità. Anche questo non senza lotta: per lo meno gli strappai i
capelli a forza di unghie e il suo volto fu graffiato dalle mie dita. Non
ho chiesto, come indennizzo dello stupro, gemme e oro: è vergognoso
comprare con doni un corpo libero. Fu lui stesso, vedendo che ne ero
degna, a insegnarmi le arti mediche e concesse alle mie mani i suoi doni.
Qualunque erba dotata di speciali poteri, qualunque radice utile a guarire
nasca in tutto il mondo, è mia. Me infelice, giacché l'amore non si può
curare con le erbe! È la stessa arte di cui sono esperta, a tradirmi. Si
dice che il suo stesso scopritore abbia pascolato le vacche di Fere e che
fu ferito dal mio stesso fuoco. E quell'aiuto che né la terra feconda nel
produrre erbe, né un dio può darmi, solo tu me lo puoi dare. Tu lo puoi e
io me lo sono meritato. Abbi pietà di una fanciulla che ne è degna! Io non
porto insieme ai Greci una guerra sanguinosa, ma sono tua e sono stata con
te fin dagli anni della prima fanciullezza e prego di essere tua per il
tempo che resta.
Gaio Valerio Flacco (morto nel 93 dopo Cristo ) fu un poeta romano , che visse sotto gli imperatori Vespasiano e Tito .
Publio Papinio Stazio
(Napoli 45 ca - 96 d.C.):
Figlio di un maestro di retorica (elemento non trascurabile, questo, nella sua formazione poetica), S. incarna - forse più di altri - la figura del poeta "professionista". Si trasferì a Roma per tentare la fortuna durante l'impero di Domiziano e, in breve tempo, effettivamente si guadagnò - nelle recitazioni pubbliche e nelle gare poetiche - il favore del pubblico e dei grandi signori, che divennero suoi protettori.
Vincenzo Armanni, a proposito di Costacciaro scrisse: "" È riguardevolissimo frà gli altri castelli di questa giurisdizzione il prefato luogo di Costacciaro, sette miglia distante da Gubbio, per aver dato al mondo molti vescovi, e generali d’ordini, e gran moltitudine d’uomini letterati, fra’ quali tiene il suo luogo Lodovico Carboni, uomo d’insigne letteratura".
Vincenzo Armanni, a proposito di Costacciaro scrisse: "" È riguardevolissimo frà gli altri castelli di questa giurisdizzione il prefato luogo di Costacciaro, sette miglia distante da Gubbio, per aver dato al mondo molti vescovi, e generali d’ordini, e gran moltitudine d’uomini letterati, fra’ quali tiene il suo luogo Lodovico Carboni, uomo d’insigne letteratura".
Valerius Flaccus, Gaius"
C. Valerii Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo, cum notis integris Ludovici Carrionis, Laurentii Balbi Liliensis, Justi Zinzerlingi, Christophori Bulaei, Gerardi Vossii et Nicolai Heinsii, et selectis Aegidii Maserii, Joannis Baptistae Pii, Joannis Weitzii, et aliorum, curante Petro Burmanno, qui & suas adnotationes adjecit
", Leidae : apud Samuelem Luchtmans, 1724
- 160 , 759, 101 p., 1!c. di tav. ; 4
- Antiporta calcogr.
- Tit. a inchiostri rosso e nero
- Segn.: croce 4 2 croce 2 ast -18 ast 4 19 ast 2 A-5C4 A-M4 N2
- Contiene a p. 684: "Reliquum octavi libri ex Apollonio Rhodio, Pio Bononiensi auctore"
- Paese di pubblicazione: NL
-- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca comunale - Imola - BO
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca delle facoltà di Giurisprudenza e Lettere e filosofia dell'Università degli studi di Milano
- Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca dell'Istituto italiano per gli studi storici Benedetto Croce - Napoli
- Biblioteca Palatina - Parma.
- Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Porta, Malatesta [nato a Rimini nel XVI secolo, ove svolse attività amministrativa e politica, visse tra '600 ed primi del XVII secolo, fu "Accademico Ardente"], " I santi innocenti tragedia di Malatesta Porta; lo spento academico ardente, e segretario dell'illustre comunita' di Rimino ...", In Rimino: Simbeni, Giovanni, 1604
Gorris, Richard [erudito di Parigi, filosofo, giurista e filologo con il nome spesso latinizzato in "Gorreus", visse in gran parte nel XVI secolo]
"Richardi Gorrei Parisiensis Tabula, qua totius philosophiae partitiones, omniumque illius partium facillimae ac doctissimae explicationes continentur",
- Lugduni : apud Theobaldum Paganum, 1560
- 112 p., 1 c. di tav. ripieg.; 8o
- Cfr.: BN-Opale plus
- Marca n.c. sul front
- Cors. ; rom.
- Segn.: A-G8
- Iniziali e fregi xil
- Impronta - ume- n-ij a-ed Deti (3) 1560 (A)
- Paese di pubblicazione: FR
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca Vallicelliana - Roma
[...]59. Una prima Venere nacque dal Cielo e dalla dea del giorno ed a lei è consacrato il tempio che avemmo
occasione di vedere in Elide; una seconda sorse dalla spuma del mare e dalla sua unione con Mercurio sappiamo che
nacque il secondo Cupido; la terza, figlia di Giove e di Dione, andò sposa a Vulcano, ma sappiamo che da lei e da
Marte nacque Antero; la quarta nacque da Siria e da Cipro: prende il nome di Astarte e si tramanda che abbia sposato
Adone.
"[...]Preferì portare aiuto a Pàtroclo, a colui che l'amava; e quando l'avesse vendicato, non solo morire sacrificandosi per lui, ma anche dopo di lui ch'era già morto, lui stesso morire. Onde appunto, ammirati gli Dei fregiarono lui d'onore particolare. E questo per il motivo che tanto conto egli faceva del suo diletto amico.
In un'opera fondamentale per intendere la polemica sul marinismo e specificatamente la polemica Stigliani - Marino Franco Croce Bermondi (p.104) scrive: "Quanto al concettismo, allo stile "metaforuto", come egli lo chiama, esso è sì per lo Stigliani
Poche sono le notizie circa la sua vita: Flacco è stato identificato come amico del poeta Marziale , nativo di Padova ; ma si sa che fu anche membro del collegio dei quindici , guardiani dei libri sibillini . In uno dei manoscritti vaticani, è identificato anche come Setino Balbo, il che farebbe dedurre le sue origini presso Setia nel Lazio . Il solo scrittore antico che lo cita è Quintiliano , che lamenta la sua prematura e recente scomparsa come una grande perdita; poiché Quintiliano termino la sua Institutio Oratoria verso il 90 dopo Cristo, si deduce che la sua morte debba essere avvenuta in quel periodo.
Il suo capolavoro, Le "Argonautiche" , dedicato a Vespasiano per le sue conquiste in Britannia , fu scritto durante la vittoria, o poco più tardi la distruzione, di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 . Pare che l'eruzione del Vesuvio (79 ) lo tenne a lungo occupato nei riguardi della stesura del suo poema. Le "Argonautiche" è un poema epico in otto libri sulla conquista del Vello d'oro . Il poema ci è stato tramandato inmodo molto frammentato, e finisce bruscamente con la richiesta di Medea di accompagnare Giasone nel suo viaggio verso casa. Non si sa esattamente se l'ultima parte dell'opera è stata perduta o se non fu scritta affatto. Le "Argonautiche" sono una libera imitazione e in parte traduzione del lavoro omonimo di Apollonio Rodio , già famoso presso i Romani nella versione di Publio Terenzio Varrone Atacino . L'oggetto dell'opera è la glorificazione di Vespasiano per aver reso più sicuro l'impero romano alla frontiera britannica e per avere favorito i viaggi nell'Oceano (allostesso modo in cui l'Eusino fu aperto dalla nave Argo ).
Molti hanno stimato lo stile di Flacco, e alcuni critici hanno sottolineato la sua vivacità nelle descrizioni e nella resa dei personaggi. La sua dizione è pura, il suo stile corretto, i suoi versi sono lineari, sebbene monotoni. D'altro canto, egli manca di originalità, e la sua poetica, sebbene libera da grandi difetti, è artificiale e troppo elaborata. Il suo modello fu Virgilio , a cui egli fu molto inferiore in gusto e lucidità. Le sue esagerazioni retoriche lo rendono difficile da leggere, il che fa comprendere la sua impopolarità nei tempi antichi.
D'ingegno duttile e versatile, in questo primo periodo compose libretti per mimi e, oltre al suo primo poema epico, la "Tebaide", alcune "Silvae", componimenti lirici di circostanza in uno stile facile ed elegante. Ma, dopo alcuni rovesci, nonostante le preghiere insistenti della moglie Claudia, una musicista, decise di abbandonare la città per far ritorno in Campania. Vi condusse lo stesso genere di esistenza di poeta mondano al servizio dei nobili romani, che in quella regione approdavano in massa per i loro soggiorni primaverili ed estivi.
In questo periodo della sua attività, scrisse altre "Silvae" e una seconda epopea, l' "Achilleide", che non gli fu però possibile portare a termine.
"Tebaide" (pubbl. nel 92). E’ in 12 libri e narra la lotta fra i due fratelli Eteocle e Polinice per la successione in Tebe al trono di Edipo (ma anche se il tema è mitologico, dotato di un complesso apparato divino, la vera sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso la "Farsaglia" di Lucano).
In un insolito epilogo programmatico, S. dichiara poi di avere un modello altissimo, anche se preso coi dovuti rispetti: l "Eneide", di cui le due esadi riproducono fedelmente la metà iliadica di preparazione e quella odisseica.
In verità, i modelli poetici sono tantissimi: S. dimostra una buona conoscenza della tragedia greca (Antimaco di Colofone e Eschilo) e forse anche di alcuni poemi ciclici o di loro riassunti. Talora (oltre che l’Omero mediato da Virgilio) appaiono anche modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino Callimaco (e gli alessandrini in genere); infine, lo stile narrativo e la metrica risentono della lezione tecnica di Ovidio, mentre la sua immagine del mondo dell’influsso di Seneca, da cui mutua anche, volendo, il gusto dell'orrido e la tendenza al patetico (caratteristiche comunque comuni alla letteratura del tempo).
Insomma, proprio qui - ovvero nel contrasto tra fedeltà alla tradizione virgiliana e le inquietudini modernizzanti - sta il vero centro dell’ispirazione epica di S. . Tuttavia, nonostante tale costellazione di influssi, e nonostante l'abbondanza di episodi minuti e di "miniature" sentimentali o pittoresche, l’opera non manca affatto di unità: anzi, il difetto tipico sono piuttosto gli ossessivi "corsi e ricorsi" a motivi e atmosfere: tutta la storia risulta, ad es., dominata da una ferrea "necessità universale" (la cui funzione è enfatizzata in un apparato divino come detto tipicamente virgiliano), che appiattisce le cose, gli uomini e le stesse divinità (è qui che S. si avvicina invece più a Lucano).
"Achilleide" (interrotta all'inizio del II libro per la morte del poeta). Poema epico sull’educazione e le vicende della vita di Achille: ma la narrazione giunge fino alla partenza dell'eroe per Troia. Il tono è più disteso ed idillico che nella barocca "Tebaide", benché nell'opera tutta si evidenzi una forte accentuazione della componente etica.
"Silvae" ("schizzi", ovvero materiale grezzo necessitante di rifinitura; ma in realtà l'opera risulta, a suo modo, già elaborata e perfetta: dunque, il titolo va forse più propriamente riferito al carattere "occasionale", estemporaneo, dei componimenti). E' una raccolta di 32 poesie, scritte tra l'85 e il 95 d.C., in 5 libri di metro vario (dall’esametro ai versi lirici), di temi appunto occasionali (epitalami, descrizioni di ville e di terme, di statue e di altri oggetti artistici, epicedi, epistole poetiche, invocazioni…) e di tono molto spigliato e spontaneo, nonostante la ricchezza di "topoi" retorici. Esse ci hanno conservato preziose immagini dell’alta società romana del tempo (della sua "mentalità") e dell’ambiente di corte: il poeta si propone quasi quale "supervisore" sistematico dei pubblici sentimenti o si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità (deriva da ciò la patina cortigiana e conformistica di tutto l’insieme).
E' forse proprio qui, quindi, che S. dà prova d'essere veramente un poeta erudito, un cantore della poesia sentimentale e preziosa, addirittura "estetizzante" (a suo riguardo, qualche critico ha parlato di "retorica della dolcezza").
Ludovico Carbone, o Carboni vide la luce a Costacciaro nel 1532, fu Maestro dello Studio perugino, nell’anno 1570, fiorì attorno al 1585, e morì, a Venezia nell’anno 1590. Nel 1551 lasciò la propria firma all’interno della Grotta di Monte Cucco, e, visto che l’esplorazione di tale cavità per gli intrinseci pericoli richiedeva un’età di circa trent’anni, si può dedurre che Carbone avesse poliedrici interessi anche speleologici.
È probabile che abbia svolto i suoi primi studi presso i Francescani Minori Conventuali di Costacciaro per passare quindi a formarsi in ambito ecclesiastico eugubino, al tempo del vescovo Marcello Cervini future Papa Marcello II.
Nell'"Interior homo" (‘l’uomo interiore’), Carbone ringrazia espressamente, per gli insegnamenti ricevuti, l’"Ill.mo ac Rev.mo Dominus Octavio Accorombono", Eugubino, vescovo di Fossombrone: agli ammaestramenti dell’Accoromboni, Carbone dichiara di dovere molto del suo successo e di quello di quest’opera.
Lo studio d'altre sue opere permette di apprendere che fu pure allievo dei Padri Gesuiti ed in particolare di Padre Claudio Acquaviva, poi Ministro generale della Compagnia di Gesù, cui Carbone dedicherà l’opera "Vir iustus" (‘l’uomo giusto’)(un'altra versione ipotezzi che egli si sia ascritto ai domenicani.
Carbone godette di fama rilevante e in particolare di lui annotò il "cronista regio", e storico eugubino, del XVII secolo, l' olivetano Bonaventura Tondi: "Fù soggetto di grandissima abilità, e di squisito talento Ludovico Carboni, il quale fiorì l’anno 1585. & è il suo nome celebre nelle stampe, essendo meritevoli i suoi inchiostri de i forzieri di Dario".
Del suo rilievo letterario scrissero Onofrio Panuinio, nella "Cronologia ecclesiastica", Bartolomeo Zucchio (scienziato e scrittore gesuita, 1586- 1670), Orazio Lombardello ed altri autori ancora.
Secondo quanto scrive Vincenzo Armanni, Carbone editò "opere di numero sopra trenta": diversi libri però vennero pubblicati postumi tra il 1590 ed il 1599.
L’opera sua più vasta risulta "La divina istituzione", in 25 libri mentre per ultima venne compiuta quella che corre sotto titolo de "Tractatus de legibus" in 18 libri, stampato, a Venezia, nel 1599.
Il Servizio Bibliotecario Nazionale elenca come presenti nelle biblioteche italiane le seguenti pubblicazioni del Carbone/Carboni:
Carboni, Lodovico,"
De elocutione oratoria libri 4. In quibus omnia, quae ad ornate, concinne, apte, copioseque dicendum sunt cognitu necessaria ex optimis quibusque, tum veteribus, tum nouis dicendi magistris collecta, octoginta & sex disputationibus plene planeq; explicantur: ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciaro ... Cum triplici indice",
Venetijs : apud Ioannem Baptistam Ciottum, Senensem: sub signo Minervae, 1592 -
- Descrizione fisica: [64] , 1058 [i.e. 1056] p. ; 8o.
- Note Generali: Cors. ; rom.
- Iniziali xil.
- Marca sul front.
- Omesse nella numerazione le p. 705-706
- Segn.: pA8, A-C8, 2A-3V8
- Numeri: Impronta - pere c.is i-ta tini (3) 1592 (A)
- Marca editoriale: Minerva con elmo, lancia e scudo. In cornice figurata.
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Passerini Landi - Piacenza
Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN
- Biblioteca provinciale Salvatore Tommasi - L'Aquila
- Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
Biblioteca civica Aprosiana - Ventimiglia - IM -
Biblioteca comunale Valentiniana - Camerino - MC
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario vescovile - Foligno - PG
- Biblioteca comunale Sperelliana - Gubbio - PG
- Biblioteca S. Basilio del Seminario arcivescovile - Perugia
PT0019 - Biblioteca Leoniana - Pistoia - PT
- Biblioteca comunale Federiciana - Fano - PU
- Biblioteca di Area umanistica dell'Università degli studi di Urbino - Urbino - PU
- Biblioteca universitaria - Pavia
- Biblioteca Lancisiana - Roma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca del Seminario teologico - Trento
- Biblioteca del Seminario vescovile - Amelia - TR
- Accademia Georgica - Treia - MC
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
- Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza
- Biblioteca comunale degli Ardenti - Viterbo
- Biblioteca centrale della Regione siciliana - Palermo - PA
Carboni, Lodovico ", De dispositione oratoria, disputationes 30. In quibus facilis & absoluta texendae, tractandaeque orationis traditur ratio: dum quae de quinque orationis partibus a ", VenetiisVenetiis: Zenaro, Damiano, 1590
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius Summae theologiae D. Thomae Aquinatis ... in quo vniuersa eius doctrina, etiam quae est in responsionibus ad_Argumenta, ad Conclusiones ", Venezia: Zenaro, Damiano, 1587
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris Angelici. ... Auctore R.D. Ludouico Carbone a Costaciario ...", Coloniae Agrippinae: Cholinus, Peter & Butgen, Konrad, 1620
Carboni, Lodovico ", Summae summarum casuum conscientiae siue Totius theologiae practicae. In tribus tomi | distributa. ... Auctore Ludouico Carbone a Costacciaro. ...", Venetiis: Meietti, Roberto <1.>, 1606
Carboni, Lodovico", Compendium absolutissimum totius summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris angelici. In quo vniuersa eius doctrina ... contenta proponitur. ... Auctore R.D. L ", Coloniae: Cholinus, Peter & Butgen, Konrad, 1619
Carboni, Lodovico ", Apotheosis, siue Ludovicus Karbonus patritius, & canonicus ecclesiae cathedralis maceratensis terrestri sapientiae paradiso donatus, dum sub auspicijs ...", Maceratae: Paradisi, Serafino, 1661
Carboni, Lodovico ", [3]: De praeceptis Ecclesiae opusculum vtilissimum: in quo plene, & ad populum docendum accommodate Ecclesiae explicantur praecepta, atque quamplurimi conscientiae ", Venetiis", 1598
Carboni, Lodovico ", Tractatus de omnium rerum restitutione amplissimus: in quo de bonis animi, corporis, & fortunae restituendis, deque humanis contractibus, ... duabus & nonaginta qua ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.> eredi, 1592
Carboni, Lodovico ", Fons vitae et sapientiae, vel ad veram sapientiam acquirendam hortatio: ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciaro, ... Cum duplici indice, quorum alter operis capita, ", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1588
Carboni, Lodovico ", De oratoria, et dialectica inuentione, vel de locis communibus, libri quinque:... auctore Ludouico Carbone, a Costaciaro... cum triplici indici", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1589
Carboni, Lodovico ", L' huomo giusto, o la Centuria delle lodi dell'huomo christiano. Del Signor Lodouico Carbone ... Nella quale per la scrittura sacra, si mostra la grandezza, e felicita ", In Venetia: Somasco, Giacomo Antonio, 1594
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus: in quo omnium diuinarum, humanarumque legum, hoc est legis vniuersae, aeternae, naturalis, humanae, ecclesiasticae, ciuilis, municipal ", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1599
Carboni, Lodovico ", Introductionis in vniuersam philosophiam libri quattuor in quibus philosophiae humanaeque scientiae ortus, natura, partes, & attributa, multorumque philosophorum schola ", Venetijs: Zaltieri, Marcantonio, 1599
Carboni, Lodovico ", Interior homo, vel De suiipsius cognitione. Opus nouum, in quo modus, quo quisque ad suiipsius cognitionem facile venire possit, traditur; ... Auctore Ludouico Carbone ", Venetiis: Zenaro, Damiano Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1585
Carboni, Lodovico ", Tractatus de omnium rerum restitutione amplissimus: in quo de bonis animi, corporis, & fortunae restituendis, deque humanis contractibus ... late perspicueque disputatu ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.> eredi, 1592
Toledo, Francisco <1532-1596>", D. Francisci Toleti Societatis Iesu, ... Commentaria vna cum quaestionibus, in vniuersam Aristotelis logicam. Quibus nouissime accesserunt Ludouici Carbonis a Costa ", Venetijs: Giunta, 1614
Carboni, Lodovico ", Introductio in sacram theologiam, sex comprehensa libris: in quorum quinque, sacrae doctrinae natura, caussae, principia, attributa, conclusiones, & loci omnes expl ", Venetiis: Zenaro, DamianoVarisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1589
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius Summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris angelici in quo vniuersa eius doctrina, etiam quae est in responsionibus ad argumenta, ", Venetiis: Zenaro, DamianoVarisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>
Carboni, Lodovico ", De caussis eloquentiae libri IIII. Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1590
Introductio in sacram theologiam, sex comprehensa libris auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, [1589?]
Carboni, Lodovico ", De oratoria, et dialectica inuentione, vel De locis communibus, libri quinque ... Auctore Ludouico Carbone ..", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1589
Carboni, Lodovico ", De caussis eloquentiae libri 4. In quibus recta eloquentiae acquirende ratio, ex optimis quibusque auctoribus explicatur; dum de eius caussis, natura, arte, imitatione, ", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1593
Carboni, Lodovico ", De officio oratoris libri V ... Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", De officio oratoris libri 5. ... Auctore Ludouico Carbone ...", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1597
Carboni, Lodovico ", Dello ammaestramento de' figliuoli nella dottrina christiana di Lodouico Carbone", In Venetia: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", Difensione dello scolare della dottrina christiana, di Lodouico Carbone ... Recitata da Marco Vendramini", In Venetia: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", L' huomo giusto, o La centuria delle lodi dell'huomo christiano. Del signore Lodouico Carbone. Tradotta dal r.d. Leonardo Cernoti", In Venetia: Somasco, Giacomo Antonio, 1599
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus: in quo omnium diuinarum, humamnarumque legum ... fundamenta, caussae, proprietates, effectusque tractantur ... Estque quaestionum ", Venetijs, Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1600
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus ... Ludouici Carbonis", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1600
Carboni, Lodovico ", De arte dicendi libri duo: in quorum uno de rhetoricae natura & causis, in altero vero de partibus copiose accurateque disputatur. Auctore Lodouico Carbone a Costaciaro ", Venetiis", 1589
Carboni, Lodovico ", Trattato dell'amore, et concordia fraterna. Dell'eccell. dottore Lodouico Carbone da Costacciaro. Nelquale si danno precetti vtilissimi ad ogni persona per conseruare i ", In Treuisi: Reghettini, Aurelio Amici, Domenico Bellagamba, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico ", Orationis dominicae ampla expositio: in qua omnes antiquorum Patrum & meliorum scriptorum, tum literales, tum mysticae expositones asseruntur, & pijs admonitionibus ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.>, 1590
Carboni, Lodovico ", De octo partium orationis constructione libellus. In quo tres construendae orationis methodi breuiter perspicueque explicantur. ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciar ", Venetiis: Ciotti, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico ", De quaestionibus oratoriis libri duo: in quorum vno de quaestionum statibus; in altero de caussarum generibus, ex antiquorum rhetorum doctrina copiose disputatur; ... A ", Zenaro, Damiano
Carboni, Lodovico ", Introductionis in logicam, siue Totius logicae compendij absolutissimi. libr. 6. in quibus, non solum quae ab Aristotele de re logica scripta sunt, sed etiam quae ab al ", Venetiis: Sessa, Giovanni Battista <2.> & Sessa, Giovanni Bernardo, 1597
Carboni, Lodovico ", De amore et concordia fraterna. Opusculum sane aureum, ac singulis familijs pernecessarium: in quo causae discordiae fraternae numerantur, & ad eas remouendas, conc ", Venetiis: Navo, Curzio Troiano eredi, 1586
Carboni, Lodovico ", De elocutione oratoria libri 4. In quibus omnia, quae ad ornate, concinne, apte, copioseque dicendum sunt cognitu necessaria ex optimis quibusque, tum veteribus, tum ", Venetijs: Ciotti, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico", Diuinis orator, vel De rhetorica diuina libri septem in quibus bene ad catechismum, siue doctrinam christianam: in qua catechismi natura, caussae, vtilitas, necessitas, & catechizandi ratio, atque prima christanae doctrinae ", Venetiis: Navo, Curzio Troiano eredi, 1596
Carboni, Lodovico ", Tabulae rhetoricae Cypriani Soarii, sacerdotis e Societate Iesu: quibus accesserunt duo libri De arte dicendi: in quorum vno de rhetoricae natura, & caussis, in altero ", Venetiis, Venetiis: Zenaro, DamianoNatolini, Giovanni Battista, 1589
Carboni, Lodovico ", Vir iustus, vel De laudibus hominis Christiani, centuria; in qua, quanta sit viri Christiani iusti, & serui Dei magnitudo ac felicitas, impij vero humilitas, & miseria, ", Venetiis [marca della corona]: Bendolo, Giacomo, 1585
Carboni, Lodovico ", De pacificatione et dilectione inimicorum iniuriarumque remissione. Tractatio admodum vtilis Remp. & curam animarum gerentibus, ... vt ex indice capitum cognoscere lice ", Florentiae: Sermartelli, Bartolomeo <1. ; 1553-1591>, 1583
Carboni, Lodovico ", Interior homo, vel De suiipsius cognitione. Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1585
Carboni, Lodovico ", Fons vitae et sapientiae, vel Ad veram sapientiam acquirendam hortatio ... Auctore Lodouico Carbone", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1588
Toledo, Francisco <1532-1596>", D. Francisci Toleti Societatis Iesu, ... Commentaria vna cum quaestionibus in vniuersam Aristotelis Logicam. Quibus accesserunt nonnulla Additamenta Ludouici Carbon ", Venetiis: Sessa, Melchiorre <1.> erediAngelieri, GiorgioSessa, Giovanni Battista <2.> & Sessa, Giovanni Bernardo, 1597
Ludovico Carbone, o Carboni vide la luce a Costacciaro nel 1532, fu Maestro dello Studio perugino, nell’anno 1570, fiorì attorno al 1585, e morì, a Venezia nell’anno 1590. Nel 1551 lasciò la propria firma all’interno della Grotta di Monte Cucco, e, visto che l’esplorazione di tale cavità per gli intrinseci pericoli richiedeva un’età di circa trent’anni, si può dedurre che Carbone avesse poliedrici interessi anche speleologici.
È probabile che abbia svolto i suoi primi studi presso i Francescani Minori Conventuali di Costacciaro per passare quindi a formarsi in ambito ecclesiastico eugubino, al tempo del vescovo Marcello Cervini future Papa Marcello II.
Nell'"Interior homo" (‘l’uomo interiore’), Carbone ringrazia espressamente, per gli insegnamenti ricevuti, l’"Ill.mo ac Rev.mo Dominus Octavio Accorombono", Eugubino, vescovo di Fossombrone: agli ammaestramenti dell’Accoromboni, Carbone dichiara di dovere molto del suo successo e di quello di quest’opera.
Lo studio d'altre sue opere permette di apprendere che fu pure allievo dei Padri Gesuiti ed in particolare di Padre Claudio Acquaviva, poi Ministro generale della Compagnia di Gesù, cui Carbone dedicherà l’opera "Vir iustus" (‘l’uomo giusto’)(un'altra versione ipotezzi che egli si sia ascritto ai domenicani
Carbone godette di fama rilevante e in particolare di lui annotò il "cronista regio", e storico eugubino, del XVII secolo, l' olivetano Bonaventura Tondi: "Fù soggetto di grandissima abilità, e di squisito talento Ludovico Carboni, il quale fiorì l’anno 1585. & è il suo nome celebre nelle stampe, essendo meritevoli i suoi inchiostri de i forzieri di Dario".
Del suo rilievo letterario scrissero Onofrio Panuinio, nella "Cronologia ecclesiastica", Bartolomeo Zucchio (scienziato e scrittore gesuita, 1586- 1670), Orazio Lombardello ed altri autori ancora.
Secondo quanto scrive Vincenzo Armanni, Carbone editò "opere di numero sopra trenta": diversi libri però vennero pubblicati postumi tra il 1590 ed il 1599.
L’opera sua più vasta risulta "La divina istituzione", in 25 libri mentre per ultima venne compiuta quella che corre sotto titolo de "Tractatus de legibus" in 18 libri, stampato, a Venezia, nel 1599.
Il Servizio Bibliotecario Nazionale elenca come presenti nelle biblioteche italiane le seguenti pubblicazioni del Carbone/Carboni:
Carboni, Lodovico,"
De elocutione oratoria libri 4. In quibus omnia, quae ad ornate, concinne, apte, copioseque dicendum sunt cognitu necessaria ex optimis quibusque, tum veteribus, tum nouis dicendi magistris collecta, octoginta & sex disputationibus plene planeq; explicantur: ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciaro ... Cum triplici indice",
Venetijs : apud Ioannem Baptistam Ciottum, Senensem: sub signo Minervae, 1592 -
- Descrizione fisica: [64] , 1058 [i.e. 1056] p. ; 8o.
- Note Generali: Cors. ; rom.
- Iniziali xil.
- Marca sul front.
- Omesse nella numerazione le p. 705-706
- Segn.: pA8, A-C8, 2A-3V8
- Numeri: Impronta - pere c.is i-ta tini (3) 1592 (A)
- Marca editoriale: Minerva con elmo, lancia e scudo. In cornice figurata.
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Passerini Landi - Piacenza
Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN
- Biblioteca provinciale Salvatore Tommasi - L'Aquila
- Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
Biblioteca civica Aprosiana - Ventimiglia - IM -
Biblioteca comunale Valentiniana - Camerino - MC
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario vescovile - Foligno - PG
- Biblioteca comunale Sperelliana - Gubbio - PG
- Biblioteca S. Basilio del Seminario arcivescovile - Perugia
PT0019 - Biblioteca Leoniana - Pistoia - PT
- Biblioteca comunale Federiciana - Fano - PU
- Biblioteca di Area umanistica dell'Università degli studi di Urbino - Urbino - PU
- Biblioteca universitaria - Pavia
- Biblioteca Lancisiana - Roma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca del Seminario teologico - Trento
- Biblioteca del Seminario vescovile - Amelia - TR
- Accademia Georgica - Treia - MC
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
- Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza
- Biblioteca comunale degli Ardenti - Viterbo
- Biblioteca centrale della Regione siciliana - Palermo - PA
Carboni, Lodovico ", De dispositione oratoria, disputationes 30. In quibus facilis & absoluta texendae, tractandaeque orationis traditur ratio: dum quae de quinque orationis partibus a ", VenetiisVenetiis: Zenaro, Damiano, 1590
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius Summae theologiae D. Thomae Aquinatis ... in quo vniuersa eius doctrina, etiam quae est in responsionibus ad_Argumenta, ad Conclusiones ", Venezia: Zenaro, Damiano, 1587
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris Angelici. ... Auctore R.D. Ludouico Carbone a Costaciario ...", Coloniae Agrippinae: Cholinus, Peter & Butgen, Konrad, 1620
Carboni, Lodovico ", Summae summarum casuum conscientiae siue Totius theologiae practicae. In tribus tomi | distributa. ... Auctore Ludouico Carbone a Costacciaro. ...", Venetiis: Meietti, Roberto <1.>, 1606
Carboni, Lodovico", Compendium absolutissimum totius summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris angelici. In quo vniuersa eius doctrina ... contenta proponitur. ... Auctore R.D. L ", Coloniae: Cholinus, Peter & Butgen, Konrad, 1619
Carboni, Lodovico ", Apotheosis, siue Ludovicus Karbonus patritius, & canonicus ecclesiae cathedralis maceratensis terrestri sapientiae paradiso donatus, dum sub auspicijs ...", Maceratae: Paradisi, Serafino, 1661
Carboni, Lodovico ", [3]: De praeceptis Ecclesiae opusculum vtilissimum: in quo plene, & ad populum docendum accommodate Ecclesiae explicantur praecepta, atque quamplurimi conscientiae ", Venetiis", 1598
Carboni, Lodovico ", Tractatus de omnium rerum restitutione amplissimus: in quo de bonis animi, corporis, & fortunae restituendis, deque humanis contractibus, ... duabus & nonaginta qua ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.> eredi, 1592
Carboni, Lodovico ", Fons vitae et sapientiae, vel ad veram sapientiam acquirendam hortatio: ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciaro, ... Cum duplici indice, quorum alter operis capita, ", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1588
Carboni, Lodovico ", De oratoria, et dialectica inuentione, vel de locis communibus, libri quinque:... auctore Ludouico Carbone, a Costaciaro... cum triplici indici", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1589
Carboni, Lodovico ", L' huomo giusto, o la Centuria delle lodi dell'huomo christiano. Del Signor Lodouico Carbone ... Nella quale per la scrittura sacra, si mostra la grandezza, e felicita ", In Venetia: Somasco, Giacomo Antonio, 1594
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus: in quo omnium diuinarum, humanarumque legum, hoc est legis vniuersae, aeternae, naturalis, humanae, ecclesiasticae, ciuilis, municipal ", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1599
Carboni, Lodovico ", Introductionis in vniuersam philosophiam libri quattuor in quibus philosophiae humanaeque scientiae ortus, natura, partes, & attributa, multorumque philosophorum schola ", Venetijs: Zaltieri, Marcantonio, 1599
Carboni, Lodovico ", Interior homo, vel De suiipsius cognitione. Opus nouum, in quo modus, quo quisque ad suiipsius cognitionem facile venire possit, traditur; ... Auctore Ludouico Carbone ", Venetiis: Zenaro, Damiano Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1585
Carboni, Lodovico ", Tractatus de omnium rerum restitutione amplissimus: in quo de bonis animi, corporis, & fortunae restituendis, deque humanis contractibus ... late perspicueque disputatu ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.> eredi, 1592
Toledo, Francisco <1532-1596>", D. Francisci Toleti Societatis Iesu, ... Commentaria vna cum quaestionibus, in vniuersam Aristotelis logicam. Quibus nouissime accesserunt Ludouici Carbonis a Costa ", Venetijs: Giunta, 1614
Carboni, Lodovico ", Introductio in sacram theologiam, sex comprehensa libris: in quorum quinque, sacrae doctrinae natura, caussae, principia, attributa, conclusiones, & loci omnes expl ", Venetiis: Zenaro, DamianoVarisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1589
Carboni, Lodovico ", Compendium absolutissimum totius Summae theologiae D. Thomae Aquinatis, doctoris angelici in quo vniuersa eius doctrina, etiam quae est in responsionibus ad argumenta, ", Venetiis: Zenaro, DamianoVarisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>
Carboni, Lodovico ", De caussis eloquentiae libri IIII. Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1590
Introductio in sacram theologiam, sex comprehensa libris auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, [1589?]
Carboni, Lodovico ", De oratoria, et dialectica inuentione, vel De locis communibus, libri quinque ... Auctore Ludouico Carbone ..", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1589
Carboni, Lodovico ", De caussis eloquentiae libri 4. In quibus recta eloquentiae acquirende ratio, ex optimis quibusque auctoribus explicatur; dum de eius caussis, natura, arte, imitatione, ", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1593
Carboni, Lodovico ", De officio oratoris libri V ... Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", De officio oratoris libri 5. ... Auctore Ludouico Carbone ...", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1597
Carboni, Lodovico ", Dello ammaestramento de' figliuoli nella dottrina christiana di Lodouico Carbone", In Venetia: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", Difensione dello scolare della dottrina christiana, di Lodouico Carbone ... Recitata da Marco Vendramini", In Venetia: Guerigli, Giovanni, 1596
Carboni, Lodovico ", L' huomo giusto, o La centuria delle lodi dell'huomo christiano. Del signore Lodouico Carbone. Tradotta dal r.d. Leonardo Cernoti", In Venetia: Somasco, Giacomo Antonio, 1599
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus: in quo omnium diuinarum, humamnarumque legum ... fundamenta, caussae, proprietates, effectusque tractantur ... Estque quaestionum ", Venetijs, Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1600
Carboni, Lodovico ", Tractatus de legibus amplissimus ... Ludouici Carbonis", Venetiis: Guerigli, Giovanni, 1600
Carboni, Lodovico ", De arte dicendi libri duo: in quorum uno de rhetoricae natura & causis, in altero vero de partibus copiose accurateque disputatur. Auctore Lodouico Carbone a Costaciaro ", Venetiis", 1589
Carboni, Lodovico ", Trattato dell'amore, et concordia fraterna. Dell'eccell. dottore Lodouico Carbone da Costacciaro. Nelquale si danno precetti vtilissimi ad ogni persona per conseruare i ", In Treuisi: Reghettini, Aurelio Amici, Domenico Bellagamba, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico ", Orationis dominicae ampla expositio: in qua omnes antiquorum Patrum & meliorum scriptorum, tum literales, tum mysticae expositones asseruntur, & pijs admonitionibus ", Venetiis: Somasco, Giovanni Battista <1.>, 1590
Carboni, Lodovico ", De octo partium orationis constructione libellus. In quo tres construendae orationis methodi breuiter perspicueque explicantur. ... Auctore Ludouico Carbone a Costaciar ", Venetiis: Ciotti, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico ", De quaestionibus oratoriis libri duo: in quorum vno de quaestionum statibus; in altero de caussarum generibus, ex antiquorum rhetorum doctrina copiose disputatur; ... A ", Zenaro, Damiano
Carboni, Lodovico ", Introductionis in logicam, siue Totius logicae compendij absolutissimi. libr. 6. in quibus, non solum quae ab Aristotele de re logica scripta sunt, sed etiam quae ab al ", Venetiis: Sessa, Giovanni Battista <2.> & Sessa, Giovanni Bernardo, 1597
Carboni, Lodovico ", De amore et concordia fraterna. Opusculum sane aureum, ac singulis familijs pernecessarium: in quo causae discordiae fraternae numerantur, & ad eas remouendas, conc ", Venetiis: Navo, Curzio Troiano eredi, 1586
Carboni, Lodovico ", De elocutione oratoria libri 4. In quibus omnia, quae ad ornate, concinne, apte, copioseque dicendum sunt cognitu necessaria ex optimis quibusque, tum veteribus, tum ", Venetijs: Ciotti, Giovanni Battista, 1592
Carboni, Lodovico", Diuinis orator, vel De rhetorica diuina libri septem in quibus bene ad catechismum, siue doctrinam christianam: in qua catechismi natura, caussae, vtilitas, necessitas, & catechizandi ratio, atque prima christanae doctrinae ", Venetiis: Navo, Curzio Troiano eredi, 1596
Carboni, Lodovico ", Tabulae rhetoricae Cypriani Soarii, sacerdotis e Societate Iesu: quibus accesserunt duo libri De arte dicendi: in quorum vno de rhetoricae natura, & caussis, in altero ", Venetiis, Venetiis: Zenaro, DamianoNatolini, Giovanni Battista, 1589
Carboni, Lodovico ", Vir iustus, vel De laudibus hominis Christiani, centuria; in qua, quanta sit viri Christiani iusti, & serui Dei magnitudo ac felicitas, impij vero humilitas, & miseria, ", Venetiis [marca della corona]: Bendolo, Giacomo, 1585
Carboni, Lodovico ", De pacificatione et dilectione inimicorum iniuriarumque remissione. Tractatio admodum vtilis Remp. & curam animarum gerentibus, ... vt ex indice capitum cognoscere lice ", Florentiae: Sermartelli, Bartolomeo <1. ; 1553-1591>, 1583
Carboni, Lodovico ", Interior homo, vel De suiipsius cognitione. Auctore Ludouico Carbone", Venetiis: Varisco, Giovanni & Paganini, Paganino <2.>, 1585
Carboni, Lodovico ", Fons vitae et sapientiae, vel Ad veram sapientiam acquirendam hortatio ... Auctore Lodouico Carbone", Venetiis: Zenaro, Damiano, 1588
Toledo, Francisco <1532-1596>", D. Francisci Toleti Societatis Iesu, ... Commentaria vna cum quaestionibus in vniuersam Aristotelis Logicam. Quibus accesserunt nonnulla Additamenta Ludouici Carbon ", Venetiis: Sessa, Melchiorre <1.> erediAngelieri, GiorgioSessa, Giovanni Battista <2.> & Sessa, Giovanni Bernardo, 1597
Weitz, Johann, "
Oratio de contemnendis sycophantarum arrosionibus; quam ... sub decanatu philosophico ... Hieremiae Setseri publice recitauit Iohannes VVeitzius Hohenkirchensis Tyrigeta",
Ienae : typis Tobiae Steinmanni, 1599
14 c. ; 4
- VD 16 W-1726
- Segn.: A-C4 D"
- Iniziali e fregi xil
- Impronta - e-n- *.** s:s. xiin (C) 1599 (A)
- Lingua di pubblicazione: lat-
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Hilarius : Pictaviensis [santo], "
D. Hilarii episcopi Pictauiensis Genesis cum notis M. Iohannis Weitzii",
Francofurti : apud Danielem & Dauidem Aubrios & Clementem Schleichium, 1625
- 112, (16) p. ; 8o
- Impronta - o-a, i,a, diis quNu (3) 1625 (R)
- Paese di pubblicazione: DE
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca Angelica - Roma
Salvianus : Massiliensis, "
S. Presbyterorum Salviani massiliensis opera : cum libro commentario Conradi Rittershusii ac notis integris Johannis Weitzii, Tobiae Adami, Theodori Sitzmanni, Iohannis Alexandri Brassicani, Stephani Baluzii et Vincentii lirinensis commonitorium ab eodem Baluzio Tutulensi ad fidem veterum codicum mss. emendatum & illustratum, premissa dissertatione G. Calixti in Vincent. Lir. ..",.
- Breamae : sumptibus Hermanni Brauri, 1688
- Note Generali: Sul front.: "Juxta Noribergensium partim ann. 1623. et Parisiensium ann. 1669. exemplaria"
- Paginazione varia
- Paese di pubblicazione: DE
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: "Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria" Napoli
Porta, Malatesta, "3.1: I santi innocenti tragedia di Malatesta Porta; lo Spento academico Ardente, & secretario dell'illustre communita di Rimino", In Serraualle di Vinetia: Claseri, Marco, 1605
Porta, Malatesta "Il Rossi ouero Del parere sopra alcune obiettioni, fatte dall'Infarinato academico della Crusca. Intorno alla Gierusalemme liberata del sig. Torquato Tasso. Dialogo di Malatesta Porta ... ; con vna difesa della morte di Solimano nella Gierusalemme liberata, recata a vitio dell'arte in quel poema, etc"- In Rimino - 1604
Vergilius Maro, Publius,"
P. Virg. Maronis Bucolica, cum commentariis Richardi Gorraei Parisiensis...",
Lugduni : apud Guliel. Rouillium sub scuto Veneto, 1554
164, 12 p. ; 8o
- Marca sul front.
- Cors. ; gr. ; rom
- Segn.: a-l8
- Iniziali e fregi xil.
- Numeri: Impronta - m,es s.s. s.ra taor (3) 1554 (R)
- Paese di pubblicazione: FR
- Lingua di pubblicazione: latino
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Leto, Pomponio,"
Pomponij Laeti De Romanis magistratibus, sacerdotiis, iurisperitis, & legibus, ad m. Pantagathum libellus, cum annotationibus "Richardi Gorraei Parisiensis"",
Parisiis : apud Ioannem de Roigny, in via Iacobaea sub insigni quatuor elementorum, 1552
- 76, 4 p. ; 4o
- Cors. ; rom.
- Segn.: a-e8
- Iniziali e fregi xil.
- Numeri: Impronta - ami- e.es odim cuti (3) 1552 (A)
- Paese di pubblicazione: FR
- Lingua di pubblicazione: latino
Localizzazioni: Biblioteca del Dipartimento di scienze giuridiche Antonio Cicu dell'Università degli studi di Bologna
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca della Facoltà di giurisprudenza dell'Universita' degli studi di Pavia
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma.
La prima Minerva è la madre di Apollo di cui s'è già detto; la seconda è la figlia dei Nilo che gli Egiziani
venerano a Sais; la terza è la nota figlia di Giove di cui si è parlato; la quarta nacque da Giove e da Corife, figlia
dell'Oceano, ed è quella che gli Arcadi invocano col nome di Korian e che la tradizione ci presenta quale inventrice
delle quadrighe; la quinta è la figlia di Pallante che si dice abbia ucciso il padre che voleva attentare alla sua verginità:
viene rappresentata coi sandali alati.
60. Il primo Cupido si dice sia figlio di Mercurio e della prima Diana; il secondo di Mercurio e della seconda
Venere; il terzo (che prende anche il nome di Antero) di Marte e della terza Venere. Queste e consimili notizie sono
state raccolte dall'antica tradizione greca. Tu ben comprendi che per non turbare il vero sentimento religioso occorre
opporsi a simili leggende. Quelli della vostra scuola invece non solo non le respingono, ma le rafforzano cercando di
interpretare il significato di ogni singolo particolare. Ma torniamo al punto donde eravamo partiti [...]
"Eschilo, invece, sbaglia assai quando dice che Achille amava Pàtroclo; Achille che, non solo era più bello di Pàtroclo, ma più bello di tutti gli eroi. E poi era ancora senza barba, e di gran lunga più giovane di Pàtroclo, come dice Omero. D'altra parte, è un fatto, gli Dei pur apprezzando questo rapporto d'amore, perseguono tuttavia con ammirazione maggiore l'altro rapporto e concedono ogni favore all'amato che corrisponda amore a chi l'ama, assai più di quando l'amante ami la creatura della sua passione. Cosa più divina è l'amante che non l'amato. Un Dio infatti in lui dimora. Per questo essi tributarono ad Achille onore più grande che ad Alcesti; e lo inviarono all'Isole dei Beati.
"Concludendo, dico che Amore tra gli Dei è il più antico e il più degno d'onore; immensa la sua efficacia per condurre sulla via di virtù e felicità gli uomini, così vivi, come pure già morti".
Secondo Aristodemo questo fu press'a poco il discorso di Fedro. E dopo Fedro ce ne furono altri. Dei quali non si ricordava affatto. Lasciandoli da parte, riferiva il sermone di "Pausani". Eccolo:
"Non mi pare, amico Fedro, che il tema del discorso ci sia stato opportunatamente proposto: lodare così senz'altro l'Amore. Se vi fosse un solo Amore, il tema potrebbe andar bene. ma invece non si tratta d'uno solo. E dato che non è uno solo, più giusto prima determinare come sia quello che si deve celebrar con nostre parole. A quest'errore cercherò, appunto, di porre rimedio e di determinare, in primo luogo, quale tipo d'amore si debba lodare; in secondo luogo, celebrar queste lodi in modo degno del Dio.
"Tutti sappiamo che Afrodite sempre ha per compagno Amore. In conseguenza, se la Dea fosse una sola, uno solo anche Amore sarebbe. Ma siccome vi sono due persone in Afrodite, infallibilmente due anche saranno gli amori.
"E come si può dire che non siano due le Dee?
"Eh sì, la prima è più antica e non ha avuto generazione da una madre. Essa, figla del Cielo. Appunto quella che noi chiamiamo Afrodite urania o celeste. La iù giovane è figlia di Zeus e di Dione; e ha nome d'Afrodite pandemia o popolare. Ne consegue, per ineluttabile ragione, che pur Amore, in quanto è coadiutore di questa, si chiami Pandemio o popolare; l'altro Amore uranio o celeste.
Dobbiamo, con le nostre lodi, celebrare tutti gli Dei; bello quindi anche porre in luce le mansioni dell'uno e dell'altro Amore.
[181] "Ogni fatto in se stesso non è né bello né brutto. Per esempio, ciò che in questo momento stiamo facendo; così pure, bere, cantare, discutere. Nessuna di queste azioni per se stessa è bella; tale invece risulta in seguito al modo in cui viene compiuta. Se si compie un'operazione bene e rettamente, riesce anche bella; brutta, nel caso contrario.
"Lo stesso, per l'Amore. Non ogni amore è bello, e degno di celebrazione e di lode; soltanto quell'amore che ci dà impulso bello ad amare.
"Cominciamo: l'Amore, prole d'Afrodite popolare o volgare, è veramente un amore volgare e si svolge come capita. E' questo l'amore degli uomini abbietti. S'innamorano così di donne, come di giovinetti; in secondo luogo ne amano più il corpo che l'anima; ricercano persone scarsamente intelligenti: lo sguardo solo rivolto al soddisfacimento. E non badano affatto come avvenga, nobilmente o in brutale guisa. Finiscono per fare ciò che un caso porta, senza distiguere il bene e il suo contrario.
"In realtà, quest'amore proviene dalla Dea più giovane assai che l'altra; inoltre questa Dea, per ragioni di nascita, ha rapporto con la femmina e col maschio.
"A contrario l'altro è figlio dell'Urania. La madre sua non ha rapporto alcuno con la femmina, ma col maschio soltanto (è questo precisamente l'Amore dei giovinetti); in secondo luogo, è più anziana, libera quindi da ogni violenza. Così quanti sono ispirati da quest'Amore, si volgono verso il maschio. Ad essi sorride quel naturale più intenso vigore, quell'intelligenza più aperta e più viva.
"nel qual caso si può riconoscere quanti sono sinceramente impulsi da questo genere d'amore. Non i bimbi ricercano, bensì attendono il momento quando più vivace è lo sviluppo dell'intelletto; e questo momento coincide col formarsi della prima lanugine sulle guance.
"E' mia convinzione che quanti cominciano ad amare chi si trova in quest'età, sono disposti anche a trascorrereinsieme con l'amato la vita intera, e a viverla in comune con lui, Certo, non vogliono approfittar dell'inganno, non vogliono coglier l'inesperienza del del giovinetto, e di lui beffandosi passare poi a un altro amore.
"D'altra parte sarebbe bene stabilire per legge di non far relazione amorosa con bimbi. Perché consumare in età così ambigua tanta passione? E' assai difficile prevedere lo sviluppo d'un bimbo troppo indietro nell'età. A qual meta potrà rivolgersi? Del bene o del male? E ciò, in rapporto alle doti fisiche come pure a quelle spirituali. Del resto i valenti spontaneamente a se stessi impongono questa norma. E buona cosa sarebbe costringere a simile patto anche questi amatori, seguaci di volgare Afrodite; come del resto, costringiamo, per quanto sipuò, questa stessa gente a non amare le donne per bene [...]". Traduzione di Enrico Turolla, in Platone, "I Dialoghi, l'Apologia e le Epistole", Milano, Rizzoli, 1967, III. pp.814-816.
Arato (Soli in Cilicia, tra 315 a.C. e 305 a.C. - † intorno 240 a.C. ) fu uno scrittore greco del primo Ellenismo .
Esiodo (in greco antico "Esiodos", in latino "Hesiodus") è un poeta greco, le sue opere sono fatte risalire al periodo tra la fine dell'VIII secolo
"Le opere e i giorni" è un poemetto di Esiodo , scritto nel metro (esametro dattilico) e nella lingua tradizionale dell'epopea.
La "Teogonia" è un poema mitologico di Esiodo , in cui si raccontano la storia e la genealogia degli dei greci . Si ritiene che sia stato scritto intorno all'anno 700 a.C. , ed è una fonte fondamentale per la mitografia .
Marco Tullio Cicerone (in latino "Marcus Tullius Cicero") (Arpino, 3 gennaio 106 a.C. - Formia, 7 dicembre 43 a.C.), esponente di una agiata famiglia dell'ordine equestre, fu un celebre scrittore e filosofo latino, nonché uomo politico dell'ultimo periodo della Repubblica Romana.
All'Illustriss. Sig. Sig. e Padr. Col.
Gaio Valerio Flacco (morto nel 93 dopo Cristo ) fu un poeta romano , che visse sotto gli imperatori Vespasiano e Tito .
Publio Papinio Stazio
(Napoli 45 ca - 96 d.C.):
Figlio di un maestro di retorica (elemento non trascurabile, questo, nella sua formazione poetica), S. incarna - forse più di altri - la figura del poeta "professionista". Si trasferì a Roma per tentare la fortuna durante l'impero di Domiziano e, in breve tempo, effettivamente si guadagnò - nelle recitazioni pubbliche e nelle gare poetiche - il favore del pubblico e dei grandi signori, che divennero suoi protettori.
Apollonio Rodio:
poeta e grammatico del sec. III a. C.
La sua fama è legata quasi esclusivamente alla sua opera poetica di maggiore impegno: le "Argonautiche". Frammentarie e spesso contraddittorie le notizie sulla sua vita. Fonti principali sono: la Suda, due brevi biografie e, soprattutto, un papiro di Ossirinco pubblicato nel 1914. Il papiro, che contiene una lista dei bibliotecari di Alessandria, ci fornisce le notizie ritenute più sicure.
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis I.C. professoris regnii Lectionis Virgilianae variae liber. Ad Robertum filium", Hanoviae", 1603
Amalteo, Giovanni Battista," Canzone di M. Giouambattista Amaltheo. All' illustr.mo ... Marcantonio Colonna ... sopra la vittoria seguita contra l'armata Turchesca", In Venetia: Farri, Onofrio, 1572
Cotta, Giovanni
Titolo: Iannis Cottae Ligniacensis Carmina recognita et aucta
Pubblicazione: Bassani : typis Remondinianis, 1802 (Bassani : in typographio Remondiniano, mense decembri, 1802)
Descrizione fisica: 67, 1 p. ; 4o ",
Note Generali: Nome del curatore Jacopo Morelli dalla prefazione
- In antip. carme di Giovanni Matteo Toscano in cornice tipogr
", Vignetta xil. sul front.
", Numeri: Impronta", o-e- t.n* s.u- nutr (7) 1802 (R)
- Nomi: Cotta, Giovanni ",
Toscano , Giovanni Matteo
"Rime di diuersi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua Thoscana. Libro secondo"
Pubblicazione: In Vinetia : appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1547 (In Vinegia : appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1547)
- Descrizione fisica: 3, 184, 13 c. ; 8o
- Note Generali: Marca tipogr. sul front. e in fine
", Segn.: A-2B8
- Numeri: Impronta", noS. o.o, o.e, CONe (3) 1547 (R)
- Nomi: [Editore] Giolito de Ferrari, Gabriele
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca civica Giovanni Canna", Casale Monferrato", AL
", Biblioteca comunale", Fermo", AP FC0011", Biblioteca comunale Malatestiana", Cesena", FC", 1 esemplare
- Biblioteca Universitaria", Genova
- Biblioteca comunale", Palazzo Sormani", Milano", Biblioteca dell'Accademia delle scienze", Torino
Lundorp, Michael Caspar [1580-1629]," De statu Bohemico perturbato, hoc est, De belli Bohemo Germanici initio, caussa et progressu inter gloriosissimum imperatorum, Ferdinandum secundum, & Fredericum quintum", Francofurti: Schonwetter, Johann Theobald Weiss, Johann Friedrich, 1621
Francisco Toledo
Filosofo, theologo e esegeta nazque a Córdova il 4 ott. 1532 morendo a Roma, il 14 settembre, 1596. Ha studiato filosofia a Valencia e teologia sotto Domingo Soto a Salamanca. All'età di ventitre anni ha insegnato la filosofia a Salamanca e, dopo la sua ordinazione nell'ordine dei Gesuiti (3 giugno 1558) ha svolto il noviziato a Simanacas. Nel 1559 si recò a Roma dove professore di filosofia per tre anni, di teologia scolastica e morale per sei anni e prefetto degli studi dell'università romana. Accompagnò Monsignor Commendone nella sua missione presso l'imperatore Massimiliano e re Sigismondo di Polonia: fu inviato di vari papi Vienna, in Polonia, in Germania, Baviera e Louvain. Clemente VIII lo fece cardinale (17 settembre 1593) a questa dignità però volle rinunciare nel 1594 in modo di essere libero andare in pensione e morire in una delle case dei Gesuiti. Svolse un ruolo basilare per la riconciliazione di Enrico IV di Francia alla Chiesa ed alla Spagna; alla sua morte Enrico IV fece tenere una grande sua commemorazione per lui a Parigi.
Bracciolini, Francesco (Pistoia 1566 - ivi 1645): una volta espletati gli studi di legge sulla scia dei desideri del padre, nel 1586 si portò a Firenze ove entrò in amicali contatti con il cardinale Maffeo Barberini che ne divenne mecenate. Fu ascritto all'Accademia Fiorentina nell'ambito delle cui adunanze declamò la sua favola pastorale "L'amoroso sdegno" pubblicata però in tempi posteriori con l'inserimento di alcune rime (Ciotti, Venezia, 1592)Verso il 1561 raggiunse a Roma il cardinal Barberini nominato nunzio apostolico in Francia, nazione in cui lo seguì. Proprio a Parigi diede alle stampe i primi 15 canti del suo poema "Della croce racquistata" (Ruelle, parigi, 1605). Venne in seguito gratificato del possesso di un canonicato e quindi ritornò a Pistoia ove diede fine al citato poema componendo altri 20 canti (Giunti-Ciotti, Venezia, 1611). Quasi contestualmente scrisse il poema eroicomico che gli ha dato la celebrità maggiore vale a dire lo "Lo scherno degli Dei" pubblicato per il Giunti a Firenze nel 1618. Una volta che il Barberini divenne pontefice romano con il titolo di Urbano VIII il Barberini venne richiamato presso la Curia romana nel 1627 per entrare a servizio del cardinale Antonio Barberini. Nella città capitolina entrò a far parte dell'Accademia degli Umoristi senza mai porre freno alla sua indefessa attività letteraria s' che compose ancora, tra l'altro, due poemi "La Rocella espugnata" (Mascardi, Roma, 1630) e due tragedie cioè "Il Monserrato" (Facciotti, Roma,1629) ed "Hero e Leandro" ancora per il Facciotti ma editata nel 1630.
Da
Capponi, Giovanni <1586- ca. 1629>," Lettera del sig. Girolamo Clauigero scritta ad vn suo amico a Bologna in materia dell'essamina del conte Andrea dell'Arca intorno alle ragioni del conte Lodouico...", In Bologna", 1614
Mascardi, Agostino [1591-1640],"
Augustini Mascardi Siluarum libri 4. Ad Alexandrum principem Estensem S.R.E. cardinalem"
Antuerpiae : ex Officina Plantiniana, 1622 (Antuerpiae : ex Officina Plantiniana Balthasaris Moreti, 1622)
- Descrizione fisica: 16, 202, 6 p. : front. calcogr. ; 4o
- Note Generali: Front. disegnato da Peter Paul Rubens e inciso da Theodoor Galle
Marca (in cornice compasso tenuto da una mano: Labore et constantia) in fine
", Segn.: *-2*4 A-2C4
", La c. 2C4 bianca
- Paese di pubblicazione: BE
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: FI0098", Biblioteca nazionale centrale", Firenze
", Biblioteca nazionale Braidense", Milano
", Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III", Napoli PG0109", Biblioteca comunale Augusta", Perugia", PG
- Biblioteca Palatina", Parma RA0036", Biblioteca comunale Classense", Ravenna", RA", Un esemplare
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II", Roma", Biblioteca dell'Accademia delle scienze", Torino ", Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico", Torino
Eritreo, Niccolo
Lampridio, Benedetto
Buovo d'Antona:
Leggenda cavalleresca di cui si conoscono molte redazioni in versi e in prosa in varie lingue. La redazione più antica è anglonormanna. In Italia un certo Gherardo compose sul tema della leggenda un poemetto in ottave, più volte stampato. Vedi
"I romanzi cavallereschi in prosa e in rima del fondo Castiglioni presso la Biblioteca Braidense di Milano" [A cura di] Alessandro Cutolo. Fonti: EI, CURCB, ANCLA (Buovo d'Antona); BMC (Bevis of Hampton); BMSTC (Bevis, Sir, of Southempton).
"Libro chiamato Dama Rouenza dal Martello, nel quale si tratta di molte sue prodezze, e come fu morta per Rinaldo & insieme delle battaglie de' paladini di Francia...
Di nuouo ristampata, e con somma diligenza ricorretta"
, In Venetia : appresso Gio. Antonio Giuliani, 1620
- Descrizione fisica: 48 p. : ill. ; 8o
- Note Generali: Vignetta xil. sul front.
- Nomi: [Editore] Giuliani, Giovanni Antonio
- Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Dama Rouenza
- [Variante del titolo] Libro chiamato Dama Rovenza dal martello
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
- Localizzazioni: Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
Hurtado de Mendoza, Pedro [1578-1651>], "Disputationum a summulis ad metaphysicam. A Petro Hurtado de Mendoza Valmasedano., Societatis Iesu. Ad ilustrissimum Garsiam Pimentel ... Volumen primum -Tomus", Tolosae: Boude, JeanBosc, Dominique, 1618
Giulio Cesare Croce: Figlio di un fabbro di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, Giulio Cesare Croce nacque nel 1550.
Aretino, Pietro, "
I ragionamenti"
Roma : Casa Ed. Frank e C., 1911 (Tip. Roma, di Armani e Stein)
- 8. p. (13), 412, con ritratto edzione originaria del 1536).
- Bibliografia Nazionale - 1911: in effetti al numero 16 leggesi: ""La donna stracca e non isfamata si pose a sedere nel lettuccio, e preso di nuovo il can per la coda, tanto lo aggirò, che lo ritornò in gangheri".
Quello che Aprosio quasi misteriosamente chiama l'"Autore Osceno" (vedi nel testo digitalizzato del Buratto l'evidenziazione in color verde) sarebbe il poetico creatore dei "Priapea" cioè una raccolta giuntaci anonima (I sec. d.C.?), circa 80 componimenti di lunghezza e metro variabili, legati tra loro dalla figura del dio Priapo.
Nel XVII secolo una singolare fama spettò a Johan van Beverwijck (Dordrecht 1594–1647), medico olandese, con il nome spesso latinizzato in "Beverovicius", laureatosi a Leida, dopo aver frequentato diverse università europee, tra le quali Padova, dove ascoltò Fabrizio d’Acquapendente (1533–1619), in quanto nella sua opera “Schat der Ongesontheyt” ("Il tesoro dell’infermità") in 3 volumi, pubblicata nel 1642 e mai tradotta in altre lingue, dedicò il primo volume alle malattie dell’encefalo. Tra queste, nel II capitolo esaminò l’emicrania: a suo parere fra le cause scatenanti l’attacco era da ascrivere lo stimolo olfattivo, ossia la reazione agli odori pungenti: egli però non volle o soprattutto non fu in grado di senza approfondire ulteriormente l’argomento che rimase comunque a livello di ideazione non priva di acutezza.
Nunez, Luis [medico, ma anche letterato ed erudito, di origine spagnola dal nome spesso latinizzato in "Lodovicus Nonius" ca. 1555-ca. 1645],"
Ludouici Nonnj ... Diaeteticon, siue de re cibaria libri 4
...Secunda editio et auctior"
- Antuerpiae : ex officina Petri Belleri, 1645
22, 526, 2 p. ; 8o
- Note Generali: Front. incis.
- Altri titoli collegati: [Variante del titolo] "De re cibaria ..."
- Paese di pubblicazione: BELGIO
- Lingua di pubblicazione: latino
Casteele, Pieter : van de medico, erudito belga, filologo con interessi antiquari e contestualmente docente sia di letteratura greca che di medicina a Lovanio, fu autore di varie pubblicazioni, con il nome generalmente latinizzato in "Petrus Castellanus" e visse tra il 1585 ed il 1632]
"Petri Castellani ... Eortologion, sive De festis Graecorum syntagma. In quo plurimi antiquitatis ritus illustrantur"
Antuerpiae : ex officina typographica Hieronymi Verdussij
- [40], 303, [1] p. ; 8
- Note Generali: Cfr.: Copac
- Marca tip. sul front.
- Data desunta dall'epistola ded. a c. a4v e dalla prefazione a c. b3r
-Segn.: a8 b12, A-T8
- Nel tit. Eortologion espresso in caratteri greci ad eccezione della lettera R che è scritta in carattere romano
- Impronta - uem- ioue l-id iate (3) 1617 (Q)
- Paese di pubblicazione: BE
- Lingua di pubblicazione: lat, grc.
- Localizzazioni: Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca comunale Classense - Ravenna
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca Diocesana - Tropea - VV
Di Benedetto Lampridio allo stato attuale è ignota la data di nascita ma è risaputo che sia defunto a Mantova nel 1540 dopo esser stato legato profondamente ai circoli umanistici padovani.
Cerri, Antonio vissuto a cavallo tra 16° e 17° secolo
fu umanista e poeta di Rimini spesso citato con il nome di "Antonius Cerrius Montonensis": compaiono talora anche le forme nominali
"Cerri, Antonio; Cerri/Cicerino, Antonio; Cerrius, Antonius".
Catullus, Caius Valerius. "Carmina. Comm.: Antonius Parthenius, Brescia, Bonino de' Bonini, XI kal. mai (21 IV) 1486. 2°, rom. = Catalogo degli incunaboli delle Biblioteche del Polesine
Guarini, Alessandro
umanista, nato a Ferrara nel 1486 e nella stessa città morto nel 1556. Figlio di Battista, fratello di Alfonso, insegnò prima retorica e poesia e poi legge presso l'Università di Ferrara. Ricoprì l'incarico di ambasciatore dei duchi Alfonso I e Ercole II.
Nelle edizioni compare sotto il nome di " Alexander Guarinus Ferrariensis" = vedi:
Ughi, Luigi,
"Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi"
Di formazione stoica, si recò a Pella, capitale del regno di Macedonia , su richiesta del re Antigono Gonata (276-239 a.C.). La tradizione biografica riferisce di un suo soggiorno anche ad Antiochia , alla corte di Antioco I di Siria , dove avrebbe prodotto una revisione critica del testo dell'Iliade . Non è dato sapere se Arato sia mai stato ad Alessandria d'Egitto , e se, quindi, egli possa essere identificato con quell'Arato cui Teocrito indirizza gli Idilli V e VII; certamente aveva un'approfondità conoscenza delle controversie sui principi della poetica che vedevano contrapposti le tesi di Callimaco a quelle dei poeti "tradizionalisti". Secondo alcuni, Arato avrebbe fatto ritorno in Macedonia poco prima di spegnersi, seguendo di poco il suo protettore Antigono Gonata .
Arato compose inni, epigrammi, elegie, epicedi; ma le preferenze del poeta andarono ai temi di matrice scientifica e pseudo-scientifica. Si consideri ad esempio il poema esametrico di argomento medico "Iatrikà", il carme "Canone" («Tavola»), che trattava dell'armonia delle sfere celesti, o i cinque libri di "Astrica" («Sulle stelle»).
Di Arato, però, c'è rimasto soltanto il suo capolavoro, il poema didascalico "Fenomeni" («Le cose che appaiono»), di 1154 esametri, di contenuto astronomico.
Tale opera volge in versi la materia già esposta dal matematico ed astronomo Eudosso di Cnido , discepolo di Archita di Taranto e di Platone .
Dopo un proemio a Zeus , Arato descrive le costellazioni della zona settentrionale e meridionale, il loro sorgere e tramonatare, i circoli che dividono la sfera celeste.
La parte conclusiva del poema espone le "Prognoseis", gli indizi che segnalano variazioni prossime del tempo, tratti da alcuni fenomeni del mondo naturale ed animale.
Tale proemio ispirò il "De rerum natura" di Lucrezio e ancor più le Georgiche diVirgilio.
Basandoci sull'unica opera pervenutaci, i "Fenomeni", non possiamo che registrare la grande capacità dell'autore di assimilare i principi di brevità e ricercatezza stilistico-formale messi in evidenza dalla poetica callimachea. La scelta di un argomento scientifico serve ancora di più a dimostrare ai lettori l'abilità di Arato nel guarnire con perizia sopraffina una materia che non si presta, di per sé stessa, a grandi orpelli di natura formale. Il poema riscosse grandissimo successo nel suo tempo e presso i posteri, benché appaia solo di rado sfiorato dalla "celeste scintilla" propria della vera poesia.
Esiodo nacque ad Ascra , in Beozia . Per quanto riguarda la data di nascita, fin dall'antichità non si sa con precisione se porlo come precedente, contemporaneo o posteriore a Omero . Erodoto lo crede di 4 secoli più antico di lui, un'indicazione che riporterebbe la nascita di Esiodo intorno al VIII secolo prima di Cristo. Egli tuttavia partecipò alle feste in onore di Amfidamante , dove partecipò ad un agone in cui ottenne la vittoria ed un tripode in premio, la cui datazione oscilla di qualche decennio a cavallo del 700 a.C. È quindi riconosciuta dai critici moderni la collocazione di Esiodo intorno al principio del VII secolo a.C. > (nettamente successivo a 'Omero'). Un "Agone" dà invece una testimonianza del tutto sospetta della contemporaneità dei due poeti.
I dati biografici ci vengono invece dati dalle sue stesse opere. Figlio di un commerciante marittimo, originario della Cuma eolica , costretto a trasferirsi in Beozia per la fallita attività, dice egli stesso di non intendersi di mare, perché fece una sola traversata nella sua vita, quellla da Aulide a Calcide in Eubea per le feste di Amfidamante: per questo motivo i critici ritengono impossibile la nascita nella città di origine del padre (non avendo fatto che quell'attraversata e non il passaggio da Cuma ad Ascra), e vedono come città natale Ascra stessa, anche se l'affermazione di Esiodo non sarebbe in contraddizione con una sua nascita nella Cuma eolica (la traversata infatti sarebbe stata fatta dall'Esiodo ancora bambino al seguito del padre).
Trasferitosi quindi in Beozia, il padre dovette diventare un agricoltore e sulle sue orme, lo divenne pure Esiodo, tanto che la sua "Le opere e i giorni" , dà una dettagliata descrizione della vita contadina del tempo.
Alla morte del padre, il patrimonio viene diviso tra lui e il fratello, Perse, che dopo avere dilapidato tutta la sua parte riesce tramite raggiro ad impossessarsi della parte di Esiodo (dopo un processo giudiziario in cui corrompe i giudici).
Plutarco ci riporta della sua morte violenta, ucciso dai fratelli di una donna che sedusse o tentò di sedurre.
Si narrà che alle feste in onore di Amfidamante, dove vinse, superò persino in bravura Omero stesso. Questo dato non è più di tanto attendibile, poiché il certamen che lo attesta sembra un invenzione del sofista Alcidamante .
Oltre alle Opere e giorni, Esiodo è sicuramente anche autore della "Teogonia" , il primo poema religioso greco che tenta di stabilire un ordine nella genealogia delle divinità adorate in Grecia (teogonia è esattamente questo, cioè la nascita delle divinità). Quest'opera nasce dall'esigenza da parte dell'autore di "definire" e riorganizzare la fluttuante materia mitologica che, a causa delle diverse tradizioni locali dell'Ellade, presentava differenti leggende o addirittura differenti "genealogie" per il medesimo dio o dea. Essa, inoltre, contiene numerose informazioni sulle origini dell'universo e sulle divinità primordiali che contribuirono alla sua formazione e proprio per tale ragione si ritiene che la "Teogonia" fu il testo che garantì la vittoria di Esiodo alle feste Calcidiche, e che quindi vada ritenuto precedente alle "Opere".
Oltre alle due celeberrime opere a noi per intero arrivate, del corpus esiodeo dovevano far parte anche il " Catalogo delle donne " o " Eoie" , conservato in forma frammentaria, lo " Scudo di Eracle" e una serie di opere minori, tutte conservate gravemente frammentate ella cui autenticità gli stessi antichi già dubitavano. Non è per nulla chiaro cosa fossero le " Grandi Eoie" , di cui sono attestati a malapena il titolo e qualche frammento.
Esiodo è un poeta epico, e quindi la sua lingua è quella dell'epos, condizionata già dall'uso dell'esametro. Esiste tuttavia qualche eccezione, spesso forme che rimandano ai dialettismi locali, più presenti nelle Opere. Ovviamente, data la posizione eolica della Beozia (dove le opere esiodee sono composte), sono più presenti gli eolismi in confronto all'epos omerico. Da parte di quei critici che vogliono Esiodo come un rappresentante di una tradizione poetica indipendente, sono stati ipervalutati quegli aspetti linguistici estranei totalmente ad Omero, come alcuni infiniti brevi e accusativi plurali brevi della prima declinazione.
Lo stile formulare invece, è variegato. Molte difatti le formule prettamente omeriche o costruite su di esse. Omero inoltre non poteva essere presente come modello (a differenza di quello che avvenne nell'epica più tarda) bensì come rappresentatne di un genere letterario ancora vivo e attivo, e la cultura a cui apparteneva Esiodo, quella Beotica, era diversa da quella che aveva prodotto l'epos.
· "Le opere e i giorni "
· "Teogonia "
Esiodo occupò sempre il primo posto nella poesia epica insieme ad Omero, ed era una grandissima personalità, e come avvenne per Omero attirò a sé una quantità di opere non sue. Riportata di seguito la lista completa delle opere minori, di cui però spesso girava il sospetto (o la certezza) che si trattassero di apocrifi .
· "Il catalogo delle donne " o " Eoie "
· " Lo scudo di Eracle "
· " I precetti di Chirone "
· " L'Astronomia "
· " L'Aigìmios "
· " La Melampodia "
· " La discesa nell'Ade di Pirìtoo "
· " Le nozze di Ceìce " (forse appartente al " Catalogo" )
· " Dattili Idei "
· " Le Grandi Opere "
· " L'Ornithomànteia "
[da Storia e testi della letteratura greca" , L. G. Rossi e R. Nicolai, edizioni Le Monnier - in Wikipedia, l'enciclopedia libera]
Il contenuto non è narrativo, ma riflessivo e moraleggiante.
Esiodo aveva fin lì scritto opere di contenuto mitologico ed erudito. Il cambiamento fu indotto da un fatto della sua vita personale, citato anche nei primi versi: un'ingiustizia subita nella divisione dell'eredità paterna che lo portò ad una lite con il fratello.
Nella prima parte esprime consigli al fratello, esponendo il pensiero del poeta sul problema della giustizia e del lavoro. La ricchezza è benefica per l'uomo, perché incita al lavoro, ma è facile cadere negli eccessi. C'è un peccato originale che grava sull'umanità, poco basterebbe alla felicità se gli dei non ne nascondessero il segreto. Dal giorno in cui Prometeo diede agli uomini il fuoco e le arti, la necessità del lavoro senza fine è ricaduta sull'umanità, insieme ai dolori e alle malattie. Il pessimismo di Esiodo si ritrova nel mito delle età del mondo, con un decadimento dall'età dell'oro a quella del ferro, e, per il futuro, prevede mali anche peggiori. La salvezza dell'uomo è nella giustizia, nell'onestà e nella prudenza, che possono dare una ricchezza benedetta dagli dei.
L'esortazione al lavoro, che chiude la prima parte, dà l'inizio ai temi della seconda parte: i precetti sull'economia domestica e sul lavoro dei campi in relazione alle stagioni. Successivamente tratta il commercio e la navigazione, anche se più brevemente. Una serie di sentenze morali e precetti pratici diversi segna il passaggio all'ultima parte.
La terza parte dell'opera, consiste in un calendario, suddiviso per mesi, nei quali sono indicati giorni più adatti per le diverse attività. Di questa parte non si ha la certezza che sia stata scritta dallo stesso Esiodo ma si pensa sia stata aggiunta successivamente.
Le "opere e i giorni" segnano un momento importante della letteratura greca. L'aedo, abituato a divertire le corti con le gesta leggendarie dell'aristocrazia, si rivolge alle attività dell'uomo comune.
La coscienza di Esiodo è sorretta da un vivo senso religioso e cerca di elevarsi ad una concezione morale del mondo la saggezza e le superstizioni del tempo.
I versi ci riportano una società che ha bisogno del lavoro per vivere: «Non il lavoro ma l'ozio è un disonore».
Esiodo è stato chiamato poeta dei contadini, ma non è un poeta contadino: la vita dei campi è vista da uomo colto e la esprime con forme tradizionali.
Taluni la considerano un'opera didascalica su lavoro dei campi, mentre deve essere considerata una meditazione sui problemi della vita sociale (in special modo quello della giustizia) [Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.]
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L'opera è composta da 1022 esametri e ripercorre gli avvenimenti mitologici dal Caos primordiale fino al momento in cui Zeus diviene re degli dei; sembra sia stata scritta verso l'anno 700 a.C. . L'ordine introdotto dal poeta non è ben riconoscibile, tanto da far discutere i critici su trasposizione e interpolazioni. Il disegno generale è comunque quello del pensiero esiodeo, quale risulta anche ne " Le opere e i giorni" .
In un ampio proemio iniziale, Esiodo parla delle Muse , citando anche sé stesso. Quindi racconta di come dal Caos si originarono l'Erebo e la Notte e il Giorno . Dalla Terra nacquero Urano (il cielo) e il Mare; da Urano la famiglia dei Titani, l'ultimo dei quali, Crono , mutilò il padre e regnò sugli altri dei, finché non venne sostituito da Zeus.
Il passaggio dalla signoria dei Titani alla monarchia di Zeus viene visto dal poeta come il passaggio dalla violenza e dal disordine all'ordine e alla giustizia. Segue una lunga ridistribuzione della potenza degli dei, con l'indicazione anche delle divinità minori, talora in elenchi che sembrano alberi genealogici. Alla fine viene fatto cenno alle unioni tra gli dei e degli dei con i mortali, che daranno origine alle schiere degli eroi della mitologia greca.
Sicuramente antecedente alle "Opere" , quest'opera non va probabilmente considerata teologica in senso stretto. La sua funzione non è quella di spiegare razionalmente (o giustificare) la natura del mondo divino, ma solo di descrivere tale mondo e la sua struttura. Esiodo propone quindi una dettagliata genealogia divina, simile a quella degli eroi, che però nell'epica si limita a scarne indicazioni, soprattutto formulari, che servono a integrare la visione complessiva dell'eroe con la sua discendenza. Per Esiodo, la genealogia divina non è un'integrazione, è il soggetto stesso dell'opera, un elemento cioè costitutivo.
Il poema si apre (come di consueto nell'epica greca) con una invocazione alle Muse; ma è una novità di quest'opera è l'"investitura personale" che Esiodo proclama per sé stesso. Non va trascurato che Esiodo è il primo autore occidentale di cui abbiamo una biografia (o almeno dei dati biografici) forniti dall'autore stesso, a differenza di quanto si può dire, per esempio, riguardo a Omero . Esiodo scrive di sé, sa di essere poeta, di inventare, di creare; a differenza dell'aedo tradizionale, egli non è più un mero tramite fra le Muse e gli ascoltatori. Per evidenziare questo, nella Teogonia compare quello che diverrà un importantissimo topos , appunto quello dell'investitura: le Muse, nate da Zeus e Mnemosine (la memoria) e dette eliconie poiché abitano il monte Elicona , si rivolgono a Esiodo stesso mentre pascolava vicino a quel luogo:
""Cominciamo il canto dalle Muse eliconie
che di Elicona possiedono il monte grande e divino
e intorno alla fonte scura, coi teneri piedi
danzano, e all'altare del forte figlio di Crono;
e bagnate le delicate membra nel Permesso
e nell'Ippocrene o nell'Olmeio divino
sul più alto dell'Elicona intrecciavano danze
belle e soavi, e si muovevano con piedi veloci.
Di lì levatesi, nascoste da molta nebbia,
notturne andavano, levando la loro bella voce
celebrando l'egioco Zeus e Era signora,
argiva, dagli aurei calzari,
e la figlia dell'egioco Zeus, Atena occhi-azzurri,
e Febo Apollo, e Artemide saettatrice,
e Posidone, signore della terra, scuotitore del suolo,
e Temi veneranda, e Afrodite dagli occhi guizzanti,
e Ebe dall'aurea corona, e la bella Dione,
e Leto e Iapeto e Crono dai torti pensieri,
e Aurora, e Sole grande e Luna splendente,
e Gaia, e il grande Oceano, e la nera Notte,
e degli altri immortali, sempre viventi, la sacra stirpe.
Esse una volta a Esiodo insegnarono un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicona;
questo mythos, per primo, a me dissero le dee,
le Muse d'Olimpo, figlie dell'egioco Zeus:
"O pastori, cui la campagna è casa, mala genia, solo ventre,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare".
Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare
e come scettro mi diedero un ramo d'alloro fiorito,
dopo averlo staccato, meraviglioso; e mi ispirarono il canto
divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è,
e mi ordinarono di cantare le stirpi dei beati, sempre viventi;
ma esse per prime, e alla fine, sempre.
Ma a che tali discorsi sulla quercia e la roccia?
Orsù, dalle Muse iniziamo, che a Zeus padre
inneggiano col canto rallegrano la mente grande in Olimpo,
dicendo ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu,
con voce concorde; e instancabile scorre la voce
dalle loro bocche, dolce. Ride la casa del padre,
Zeus tonante, delle dee alla voce delicata,
che si diffonde; e risuona la cima dell'Olimpo nevoso
e la dimora degli immortali; esse la divina voce levando
degli dei la venerata stirpe per prima celebrano col canto
fin dall'inizio: quelli che Gaia e Urano ampio generarono
e quegli dei che da loro nacquero, dispensatori di beni,
e dopo, come secondo, Zeus, degli dei padre e degli uomini,
che le dee celebrano cominciando e terminando il canto,
quanto sia il migliore degli dei e per forza il più grande;
poi degli umani la stirpe e dei possenti Giganti,
cantando rallegrano in Olimpo la mente di Zeus,
le Muse olimpie, figlie di Zeus egioco.
Le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,
Mnemosyne, dei clivi d'Eleutere regina,
che fossero oblio dei mali e tregua alle cure.
Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus,
lungi dagli immortali, il sacro letto ascendendo;
ma quando fu un anno e si volsero le stagioni,
al decrescer dei mesi, e molti giorni furono compiuti,
allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto
è caro nel petto, e intatto da cura hanno il thymos,
poco lontano dalla più alta vetta dell'Olimpo nevoso;
e là sono i loro splendidi cori e la bella dimora;
vicino a loro stanno le Grazie e Desiderio
nelle feste; e loro dalla bocca l'amabile voce levando
cantano i nomous e i saggi ethea
degli immortali celebrano, l'amabile voce levando.
Esse allora andarono all'Olimpo, fiere della bella voce,
con l'immortale canto; e attorno risuonava la terra nera
ai loro inni, e amabile sotto i loro piedi un suono si alzava
all'incendere verso il padre che regna in cielo,
lui, signore del tuono e della folgore fiammeggiante
che con la forza vinse il padre Chronos, e bene ogni cosa
fra gli immortali divise ugualmente e distribuì gli onori.
Ciò dunque le Muse cantavano, che abitano le olimpie dimore,
le nove figlie dal grande Zeus generate,
Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,
Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,
e Calliope, che è la più illustre di tutte.
Ella infatti i re venerati accompagna:
quello che onorano le figlie di Zeus grande.
e quando nasce lo guardano, fra i re nutriti da Zeus,
a lui sulla lingua versano dolce rugiada,
e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti
tutte guardano a lui che giustizia amministra
con retti giudizi; mentre lui parla sicuro,
subito, anche una grande contesa, placa sapientemente;
perché è per questo che i re sono saggi, perché alle genti
offese nell'assemblea danno riparazione
facilmente, con le dolci parole placandole;
quando giunge nell'assemblea come un dio lo rispettano
con dolce reverenza, ed egli splende fra i convenuti.
Tale è delle Muse il sacro dono per gli uomini.
Dalle Muse infatti e da Apollo lungisaettante
sono gli aedi sulla terra e i citaristi,
da Zeus i re; beato colui che le Muse
amano; dolce dalla sua bocca scorre la voce
se c'è qualcuno che per gli affanni nel thymos recente di lutto
dissecca nel dolore il suo cuore, se un aedo
delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi
celebra, e gli dei beati signori d'Olimpo,
subito scorda i dolori , né i lutti
rammenta, perché presto lo distolgono i doni delle dee"".
(traduzione di G. Arrighetti)
Verso la fine di questo passaggio viene introdotto un tema molto importante nell'opera di Esiodo: la verità. Nell'epos , la distinzione tra vero e falso avveniva solo nei rapporti fra i personaggi (un esempio è il verso omerico da cui è ricavato il v. 27, in cui si definisce il comportamento menzognero di Odisseo nei confronti di Penelope :" ...fingeva e diceva molte menzogne simili al vero...". "Dire la verità" non era però mai stato citato in precedenza come un dovere dei cantori epici, poiché quello che cantavano non era cantato perché vero, ma vero perché cantato. Questo nuovo atteggiamento distacca Esiodo dall'epos omerico, e forse è anche inteso a chiarire che l'opera si rivolge solo a quel pubblico che non crede alle Muse anche quando dicono cose simili al vero.
Esiodo fu anche il primo poeta a specificare il numero delle Muse, e dare un nome ad ognuna.
È al v. 112 che inizia la trattazione effettiva del testo. Esiodo dice:" ...e come i beni si divisero e gli onori si spartirono...", ad indicare come le divinità effettivamente si dividano i compiti; cioè comincia una certa differenziazione fra gli dei, che sarà infatti poi il tema centrale del testo.
La fede in un ordine universale e lo sforzo di trovare nella volontà divina una giustificazione profonda a tutte le ingiustizie e le contraddizioni del mondo umano, conferiscono al pessimismo uno sfondo religioso, che lo limita e lo riscatta. Esiodo ha dato espressione di pensiero che diverrà fondamentale negli autori delle età successive.
Il padre Marco Tullio Cicerone il Vecchio, auspicando per i figli Marco e Quinto una carriera forense e politica, li condusse a Roma dove Marco venne introdotto nel circolo dei migliori oratori del suo tempo, Licinio Crasso e Marco Antonio, e dove poté formarsi contemporaneamente nella giurisprudenza, grazie alla guida di Quinto Mucio Scevola. A 17 anni dovette interrompere gli studi per compiere il servizio militare, che svolse agli ordini dapprima del console Gneo Pompeo Strabone e poi di Lucio Cornelio Silla.
Riprese gli studi interrotti e nell'87 a.C. conobbe il maestro di retorica Apollonio Molone, ascoltò le lezioni degli epicurei Fedro e Zenone, e dell'accademico Filone di Larissa che esercitò in lui un'influenza profonda.
L'ingresso di Cicerone nella carriera forense avvenne ufficialmente nel 81 a.C. con la sua prima orazione pubblica, la "Pro Quinctio", per una causa in cui ebbe come avversario Quinto Ortensio Ortalo. Ma il suo vero esordio nell'oratoria a carattere politico si ebbe con la Pro Roscio Amerino, molto concitata ed a tratti enfatica, che conserva molto di scolastico nello stile patetico ed esuberante.
Tra il 79 ed il 77 a.C. Cicerone viaggiò in Grecia ed in Asia Minore, seguendo ad Atene le lezioni di filosofia di Antioco di Ascalona; a Rodi ebbe la possibilità di conoscere lo storico Posidonio. Tornato a Roma dopo la morte di Silla e la reazione alla sua politica, iniziò la sua vera e propria carriera politica in un ambiente sostanzialmente favorevole: nel 76 a.C. si presentò come candidato alla questura. Eletto alla carica, svolse il lavoro con scrupolo ed onestà tanto che cinque anni dopo i siciliani gli affidarono la causa contro il propretore Verre, reo di aver dissanguato l'isola nel triennio 73-71 a.C.. Cicerone raccolse con zelo le prove della colpevolezza, pronunciò due orazioni preliminari e l'ex governatore, oberato da prove schiaccianti, scelse l'esilio volontario. Le cinque orazioni preparate per le successive fasi del processo furono pubblicate più tardi e costituiscono una importante prova del malgoverno che l'oligarchia senatoria esercitava a seguito delle riforme di Silla. Attaccando Verre, Cicerone attaccò la prepotenza della nobiltà corrotta ma non l'istituzione senatoria, anzi fece proprio appello alla dignità di tale ordine perché estromettesse i membri indegni.
Il successo ottenuto da quelle che vengono poi chiamate Verrine, anticipatrici dei principi di un governo umano ed ispirato ad onestà e filantropia, portò Cicerone in primo piano sulla scena politica: nel 69 a.C. venne eletto alla carica di edile, nel 66 a.C. diventò pretore con una elezione all'unanimità. Nello stesso anno pronunciò il suo primo discorso politico, " Pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei" , in favore del conferimento dei pieni poteri a Pompeo per la guerra mitridiatrica. In questa occasione Pompeo era appoggiato dai cavalieri, interessati alla rapida risoluzione della guerra in Asia, mentre gli era contraria la maggioranza del senato. Il motivo dell'impegno di Cicerone in una causa ostile all'alta aristocrazia sta nell'importanza che essa aveva per i pubblicani e gli affaristi, minacciati nei loro interessi da Mitridate.
Nel 64 a.C. Cicerone presentò la candidatura al consolato per l'anno successivo, la sua posizione venne illustrata dal fratello Quinto in un'opera, Commentariolum petitionis, per cosigliarlo nella campagna elettorale. Per un gioco delle classi, Cicerone risultò eletto con il voto di tutte le centurie. La fiducia in lui riposta venne ripagata già all'inizio del consolato con la pronuncia di quattro orazioni De lege agraria contro la proposta di legge del tribuno Servilio Rullo.
Più tardi si adoperò per far fallire una nuova candidatura al consolato di Catilina, che aveva allarmato i ceti possidenti per il suo progetto di remissione dei debiti. Cicerone alimentò voci di una congiura contro lo stato da parte di Catilina - che preparò poi un'azione rivoluzionaria sventata sempre dal console riconfermato e che costrinse lui a fuggire da Roma, mentre i capi del complotto rivoluzionario furono arrestati. In queste circostanze il console pronunciò le quattro famose Catilinarie che rappresentano uno dei culmini dell'oratoria ciceroniana, in cui Cicerone si presenta come il salvatore della patria contro la minaccia rivoluzionaria.
A seguito del riemergere dei contrasti tra senatori e pubblicani, e dell'accordo tra Cesare e Pompeo ai danni dell'oligarchia senatoria, Cicerone scivolò da parte. L'ultimo tentativo di rientrare nel gioco politico gli fu offerta nel 60 a.C. dai tre più potenti uomini del momento, ovvero Pompeo, Cesare e Crasso, alla conclusione dell'accordo per il primo triumvirato: essi chiesero a Cicerone di appoggiare la legge agraria a favore dei veterani di Pompeo e della plebe meno abbiente. Cicerone, tuttavia, rifiutò non solo per non apparire un traditore dell'aristocrazia, ma anche per l'attaccamento all'ordine legale e sociale di cui gli ottimati si proclamavano difensori.
Dopo questo rifiuto e la costituzione del primo triumvirato, Cicerone si tenne fuori dalla politica ma questo non bastò a salvarlo dalle vendette dei " populares" : all'inizio del 58 a.C. il tribuno della plebe Clodio Pulcro, nemico di Cicerone per un precedente processo per sacrilegio, fece approvare una legge che condannava all'esilio chiunque avesse mandato a morte un cittadino romano senza l'appello al popolo. Costretto all'esilio, Cicerone non si diede pace, implorando le sue conoscenze per il suo ritorno. Nel 57 a.C. la situazione a Roma migliorò, allorché i nobili e Pompeo posero un freno alle iniziative di Clodio Pulcro, permettendo a Cicerone di tornare e ricominciare la sua lotta contro il tribuno del popolo.
Nel 56 a.C. Cicerone pronunciò l'orazione Pro Sestio in cui allargava il suo precedente ideale politico: l'alleanza tra cavalieri e senatori a suo avviso non era più sufficiente per stabilizzare la situazione politica. Occorreva quindi un fronte comune di tutti i possidenti per opporsi alla sovversione tentata dai " populares" . Possidenti e plebe si scontravano con l'uso di bande armate, e in uno di questi scontri Milone, organizzatore delle bande dei possidenti, uccise il tribuno Clodio. Al processo per omicidio, Cicerone difese Milone, ma, non riuscendo a pronunciare il suo discorso per il clamore della folla, Milone venne condannato all'esilio (una versione della " Pro Milone" venne pubblicata solo successivamente, dando modo di verificare come fosse una orazione tra le più abili e sottili sul piano giuridico).
Nel 51 a.C. come proconsole si recò in Cilicia, proprio mentre i rapporti tra Cesare e Pompeo si inasprivano. Durante il soggiorno lontano da Roma, i pensieri dell'oratore furono rivolti alla minaccia della guerra civile. Tornato in patria, non cessò di invitare le parti alla moderazione alla conciliazione, ma i suoi inviti caddero nel vuoto anche a causa del fanatismo che spingeva Pompeo all'intransigenza nei confronti delle richieste di Cesare. Dopo lo scoppio della guerra, cercò di fare ancora da moderatore, ma lasciando infine l'Italia e seguendo i pompeiani (poi abbandonati dopo la battaglia di Farsalo, nella speranza di un perdono del vincitore Cesare, che gli giunge nel 47 a.C.).
La speranza di Cicerone di collaborare al governo di Cesare venne frustrata dalla piega assolutistica e monarchica che prese il governo. L'oratore si ritirò, iniziando la stesura di opere di carattere filosofico. A questo si aggiunse il divorzio dalla moglie Terenzia e la morte della figlia Tullia, seguita dalla separazione dalla seconda moglie Publilia. Dopo la morte di Cesare, durante la stagione delle speranze di restaurazione repubblicana, Cicerone riprese l'attività politica attaccando Marco Antonio con veemenza, pronunciando 14 orazioni dette Filippiche, in analogia a quelle di Demostene contro Filippo II di Macedonia.
Nel tentativo di salvare la Repubblica, proprio Cicerone fu uno di quelli che nutrivano le maggiori speranze sul giovane Ottaviano, il quale, dopo aver battuto Antonio a Modena, scese con lui a patti, gettando le basi per il secondo triumvirato, a seguito del quale vennero compilate lunghe liste di proscrizione. Nonostante Ottaviano non fosse d'accordo, Antonio impose la presenza su di esse anche del nome di Cicerone, che venne ucciso dai sicari presso la sua villa di Formia, il 7 ottobre 43 a.C..
Come politico, Cicerone è sempre stato bersaglio della critica di antichi e moderni. Le accuse mossegli vanno dall'incoerenza alla vanità, alla poca lungimiranza. Ma la sua conduzione oggettivamente può essere giustificata se la si contestualizza nella politica del tempo, fatta in un mobile gioco di accordi e conflitti tra gruppi di potere e famiglie nobili, che sfruttavano le etichette di partito per mire personali.
Ad un giudizio strettamente politico, Cicerone non comprese l'inevitabilità dei processi in atto che conducevano alla fine del potere monopolistico dell'oligarchia nobiliare, ma anche al principato ed all'ascesa di nuovi ceti. Questa limitatezza di vedute è connessa alla fedeltà alla conservazione dell'antica costituzione repubblicana, al rispetto della legalità, alla difesa della libertà.
Preoccupazione costante di Cicerone fu la difesa della pace sociale e del diritto di proprietà. Per ottenere questo, egli riteneva che si dovesse allargare il più possibile il fronte comune degli ottimati, secondo una formula che in buona sostanza signifacava sicurezza e tranquillità (otium) per tutti i possidenti, ed il potere (dignitas) conservato nelle mani di una classe dirigente d'élite. Il suo desiderio che questa élite fosse per merito e non per nascita rimase un'astrazione teorica, più che altro per l'assenza di una vera modifica nel tessuto politico e sociale della Roma del periodo.
Cicerone è considerato il più importante esponente dell'eccletticismo filosofico dell'antichità. I suoi pensieri racchiudono elementi tanto dello stoicismo quanto dell'epicureismo.
Cicerone è certamente il più celebre oratore dell'antica Roma. Nel Brutus egli ritiene completato con sé stesso (non senza un certo fine autocelebrativo) lo sviluppo dell'arte oratoria latina, e già da Quintiliano la fama di Cicerone quale modello classico dell'oratore è ormai incontrastata. Cicerone ha pubblicato da sé la maggior parte dei suoi discorsi; 58 orazioni (alcune parzialmente lacunose) le abbiamo ricevute nella versione originale, circa 100 sono conosciute per il titolo o per alcuni frammenti. I testi si possono dividere grossomodo tra orazioni pronunciate di fronte al Senato o al popolo e tra le arringhe pronunciate in qualità di -utilizzando termini moderni- avvocato difensore o pubblica accusa, nonostante anche quest'ultimi abbiano spesso un forte substrato politico, come nel celeberrimo caso contro Gaio Verre, unica volta in cui Cicerone compare come accusatore in un processo penale. Il suo successo è dovuto alla sua abilità argomentatoria e stilistica, che si sa adattare perfettamente all'oggetto dell'orazione e al pubblico (cfr. le dichiarazioni programmatiche nell'opera Orator), soprattutto alla sua tattica astuta, che si adatta di volta in volta al particolare uditorio, appoggiando appropriatamente diverse scuole filosofiche o politiche, al fine di convincere il pubblico contrario e raggiungere il proprio scopo.
Panoramica di tutte le orazioni
" De domo sua ad pontifices" ("Sulla propria casa, al collegio pontificale", 57 a.C.): arringa pronunciata per uno scopo particolare: durante l'esilio di Cicerone il suo avversario Clodio aveva consacrato una parte della proprietà di Cicerone sul Palatino alla " dea Libertas" ; Cicerone dichiara questa consacrazione invalida, per ottenere una restituzione.
" De haruspicum responso" ("Sul responso degli aruspici", 56 a.C.): Clodio redige un passo sulla profanazione di alcune reliquie durante una perizia degli aruspici sul terreno di Cicerone sul Palatino e chiede la demolizione di una casa di Cicerone ivi in costruzione. Contro questa ed altre accuse Cicerone si rivolge con un appello al Senato, nel quale spiega, che la maggior parte delle accuse di Clodio si basano su indagini dolosamente carenti.
" De imperio Cn. Pompei" (" De lege Manilia" ) ("Sul comando di Gneo Pompeo (sulla legge Manilia)", 66 a.C.), orazione di carattere politico pronunciata di fronte al popolo.
" De lege agraria" (" Contra Rullum" ) I-III ("Sulla legge agraria (contro Rullo)", 63 a.C.): orazione pronunciata durante l'anno di consolato, tenuta in Senato (I) e davanti al popolo (II/III); un quarto dell'orazione è stato perduto.
" De provinciis consularibus" ("Sulle province consolari", 56 a.C.), orazione pronunciata in senato sulla province consolari romane.
" Divinatio in Caecilium" ("Dibattito contro Cecilio", 70 a.C.), dibattito riguardo l'assunzione del ruolo di accusatore nel processo contro Verre. Q. Cecilio Nigro fu sotto Verre questore in Sicilia e presentò la propria candidatura nel ruolo di accusatore. Per Cicerone egli era infatti invischiato nelle macchinazioni di Verre.
" In L. Calpurnium Pisonem" ("Contro Lucio Calpurnio Pisone", 55 a.C.), orazione d'accusa politica contro L.Calpurnio Pisone.
" In Catilinam I-IV" ("Contro Catilina I-IV", 63 a.C.), orazioni contro Lucio Sergio Catilina: i discorsi del 7 e dell'8 novembre 63 a.C. pronunciati di fronte al Senato (I) e al popolo (II); i discorsi della scoperta e della condanna dei seguaci di Catilina, del 3 dicembre di fronte al popolo (III) e del 5 dicembre di fronte al Senato (IV)
" In P. Vatinium" ("Contro Publio Vatinio", 56 a.C.), orazione accusatoria contro P.Vatinio riguardo l'interrogatorio nel processo contro P.Sestio.
" In Verrem actio prima" ("Prima accusa contro Verre", 70 a.C.), orazione accusatoria nel processo contro Verre, accusato di concussione (" crimen pecuniarum repetundarum" )
" In Verrem actio secunda I-V" ("Seconda accusa contro Verre I-V", 70 a.C.), questi cinque discorsi non sono mai stati pronunciati a causa dell'esilio volontario di Verre, ma vennero comunque pubblicati in forma scritta.
" Oratio cum populo gratias egit" ("Ringraziamento al popolo", 57 a.C.), ringraziamento a tutti coloro che hanno appoggiato il ritorno di Cicerone dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
" Oratio cum senatui gratias egit" ("Ringraziamento al senato", 57 a.C.), ringraziamento a tutti coloro che in Senato hanno appoggiato il ritorno di Cicerone dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
" Philippicae orationes I-XIV" ("Le filippiche", 44 a.C./43 a.C.), orazioni contro Marco Antonio.
" Pro Aemilio Scauro" ("A favore di Emilio Scauro", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro T. Annio Milone" ("A favore di Tito Annio Milone", 52 a.C.), orazione difensiva, che tuttavia non è tenuta nella consueta perfezione; contiene tra l'altro la celebre citazione "" Inter arma enim silent leges" "
" Pro Archia" ("A favore di Archia", 62 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro A. Caecina" ("A favore di A.Cecina", 69 a.C./ca. 71 a.C.), orazione tenuta per il querelante in un processo civile per un'azione di rivendicazione. Il fondamento giuridico è l'interdetto "de vi armata" (rimedio del possessore contro lo spossessamento violento). Sostenitore della parte avversa è C.Calpurnio Pisone; entrambe le parti fanno ricorso manifestamente all'autorevolezza del giurista Gaio Aquilio Gallo.
" Pro M. Caelio" ("A favore di M.Celio", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro A. Cluentio Habito" ("A favore di A.Cluenzio Abito", 66 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro L. Cornelio Balbo" ("A favore di L.Cornelio Balbo", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro P. Cornelio Sulla" ("A favore di P.Cornelio Sulla", 62 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro M. Fonteio" ("A favore di Marco Fonteio", 69 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro Q. Ligario" ("A favore di Q.Ligario" 46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di Q.Ligario, indirizzata a Cesare in quanto dittatore.
" Pro M. Marcello" ("A favore di M.Marcello", 46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di M.Marcello, indirizzata a Cesare in quanto dittatore.
" Pro Murena" ("A favore di Murena", 63 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro Cn. Plancio" ("A favore di Gneo Plancio", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro P. Quinctio" ("A favore di Publio Quinto“, 81 a.C.), il più antico discorso giuridico tradizionale di Cicerone a favore del querelante in un processo civile. Oggetto del contendere è la legittimità dell'azione di sequestro preventivo eseguita dal convenuto S.Nevio contro il cliente di Cicerone P.Quinto. Difensore della parte avversa è Q.Ortensio Ortalo, giudice è C. Aquilio Gallo.
" Pro C. Rabirio perduellionis reo" ("A favore di C.Rabirio, colpevole di alto tradimento", 63 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro Rabirio Postumo" ("A favore di Rabirio Postumo"), 54 a.C./53 a.C. oppure 53 a.C./52 a.C.), orazione difensiva pronunciata nella fase pregiudiziale del processo contro A.Gabinio a causa di concussione nelle province. Verte attorno alla presenza di "bustarelle" in connessione con la reintegrazione al trono d'Egitto di Tolomeo XII Aulete.
" Pro rege Deiotaro " ("A favore del re Deiotaro", 45 a.C.), orazione in difesa del Re Deiotaro, rivolta a Cesare
" Pro Sex. Roscio Amerino" ("A favore di Sesto Roscio da Ameria", 80 a.C.), orazione di difesa, è la prima arringa di Cicerone in un processo per omicidio. Sesto Roscio era accusato di parricidio. Durante la guerra civile un parente si era impossessato del patrimonio del padre di Roscio e ora cercava di assicurarsi il maltolto, il quale apparteneva ai legittimi eredi del deceduto. Cicerone ottenne l'assoluzione.
" Pro Q. Roscio Comoedo" ("A favore dell'attore Q.Roscio", ca. 77 a.C. o 66 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro P. Sestio" ("A favore di P.Sestio", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro M. Tullio" ("A favore di M.Tullio", 72 a.C./71 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
" Pro L. Valerio Flacco" ("A favore di Lucio Valerio Flacco", 59 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
Scritti filosofici
" Academica priora" (prima stesura dei libri sulla dottrina della conoscenza dell'accademia platonica)
" Catulus" (Dialogo), la prima parte dell'" Academica priora" , perduto
" Lucullus" (Dialogo), la seconda parte dell'" Academica priora" , conservato
" Academici libri" oppure " Academica posteriora" (versione tarda del trattato sulla dottrina della conoscenza dell'accademia platonica, in quattro libri)
" Cato maior de senectute" ("Catone il censore, sull'anzianità")
" De divinatione" ("Sulle profezie")
" De finibus bonorum et malorum" ("Sui confini del bene e del male")
" De legibus" ("Sulle leggi")
" De natura deorum" ("Sull'essenza degli dei")
" De officiis" ("Sulle cariche pubbliche")
" De re publica" ("Sullo Stato"), ne rimangono solo frammenti, in particolare:
" Somnium Scipionis" ("Il sogno di Scipione"), ultima parte dell'opera, consegnataci separatamente grazie ai commentari di Macrobio.
" Laelius de amicitia" ("Lelio sull'amicizia")
" Paradoxa Stoicorum" (Teoremi di spiegazione dei paradossi etici della scuola degli stoici)
" Topica"
" Tusculanae disputationes" ("Conversazioni a Tusculum")
Scritti di retorica
Così come per Cicerone è difficile distinguere tra vita ed opere, così in particolare differenziare tra scritti filosofici e retorici è sì pratico e chiaro, ma tuttavia non rappresenta pienamente la concezione e l'opinione di Cicerone. Già nella sua prima opera conservata (" De inventione" I 1-5) chiarisce che la sapienza, l'eloquenza e l'arte del governare hanno sviluppato un legame naturale, che indubbiamente ha contribuito allo sviluppo della cultura degli uomini e che dev'essere ristabilito (cfr. Büchner, " Cicero" (1964) 50-62). Egli ha in mente quest'unità come modello ideale sia negli scritti teoretici sia anche nella sua propria vita activa al servizio della Repubblica - o almeno è così che egli ha voluto idealizzare e vedere la propria realtà.
Perciò non è affatto sorprendente, se Cicerone ha sviluppato i suoi scritti filosofici con i mezzi della retorica e strutturato le sue teorie della retorica su principi filosofici. La separazione tra sapienza ed eloquenza Cicerone l'addossa alla "rottura tra linguaggio e intelletto" compiuta dalla filosofia socratica (" De oratore" III 61) e tenta attraverso i suoi scritti di "risanare" questa frattura; e quindi per una migliore attuazione la filosofia e la retorica secondo lui devono essere dipendenti l'una dall'altra (v. p.e. " De oratore" III 54-143); Cicerone stesso dichiara che "io sono diventato un oratore [...] non nelle scuole dei retori ma nei saloni dell'Accademia": con ciò allude alla sua formazione sulle dottrine della Nuova Accademia di Carneade e Filone di Larissa, suo maestro.
Le opere conservate sulla retorica, in ordine alfabetico:
" Brutus" : il libro dedicato a Marco Giunio Bruto venne scritto all'inizio del 46 a.C. e tratta nella forma di un dialogo tra Cicerone, Bruto ed Attico la storia dell'arte retorica romana fino a Cicerone stesso. Dopo un'introduzione (1-9) Cicerone inizia un confronto con la retorica greca (25-31) e sottolinea che l'arte oratoria poiché è la più complessa di tutte le arti solo tardi giunse alla perfezione. Mentre ritiene gli antichi oratori romani appena mediocri, parla di Catone come base della propria esperienza; Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio Oratore, entrambi protagonisti del De oratore, sono dettagliatamente confrontati (139 e ss.). Dopo un'escursione sull'importanza del giudizio del pubblico (183-200) e una riflessione sull'oratore Ortensio (201-283), Cicerone respinge fermamente il modello dell'Atticismo (284-300). L'opera culmina in confronto tra l'arte oratoria di Ortensio e di Cicerone stesso, non senza una grossa dose di autocelebrazione (301-328), egli infatti presenta sé stesso come il punto d'arrivo di un processo di sviluppo dell'arte oratoria. Punto principale dell'opera è la critica alla diffusione dello stile neoattico, a cui anche il giovane Bruto appartiene, difendendo il suo stile, assai più ricco e magniloquente, dalla critica di essere un esempio dello stile asiano.
" De inventione" : ("Sul ritrovamento"): sviluppata tra l'85 a.C. e l'80 a.C. questo è il primo di due libri di una descrizione globale della retorica mai completata. Cicerone rinunciò nel completarla a favore di una più accattivante rappresentazione nel " de oratore" , e tuttavia l'opera servì, nonostante il carattere frammentario, come testo d'insegnamento fino al medioevo. La parte completata tratta nel primo libro dei concetti principali della retorica (I 5-9), la dottrina dell'insegnamento della retorica in riferimento ad Ermagora di Temnos (I 10-19) nonché il ruolo dell'oratore (I 19-109); il secondo libro tratta delle tecniche d'argomentazione, soprattutto nelle arringhe giuridiche (II 11-154) nonché brevemente sulle orazioni di fronte al popolo (II 157-176) e in occasione di celebrazioni (II 177-178). Le dichiarazioni di Cicerone per quanto riguarda il contenuto dell'opera presentano molte somiglianze con l'opera "La Retorica" di Erennio, ma per lungo tempo erratamente ritenuta sua, cosa che ha portato a numerose discussioni tra gli studiosi riguardo al rapporto tra le due opere. Entrambi gli scritti sono comunque all'incirca dello stesso periodo e si basano direttamente o indirettamente sulla medesima o su affini fonti greche. Inoltre c'è un'incredibile somiglianza letterale in alcuni periodi, cosa che suggerisce probabilmente anche una comune fonte latina, forse originaria da un comune insegnante o dottrinario che ha mediato il preponderante contenuto di origine greca.
" De optimo genere oratorum" ("Sulla miglior arte dell'oratoria"): questa breve opera, scritta probabilmente nel 46 a.C. o, secondo altri pareri, già nel 50 a.C., è un'introduzione alla traduzione delle orazioni di Demostene ed Eschine, per e contro Ctesifonte. L'introduzione verte soprattutto sugli atticisti romani, all'incirca con le stesse argomentazioni dell'Orator. La traduzione comunque non ci è pervenuta, e non è chiaro se Cicerone l'abbia mai effettivamente completata. L'autenticità dell'opera è stata più volte messa in discussione, ma oggi è per lo più accettata.
" De oratore" (Sull'oratore): la più importante opera sulla retorica di Cicerone non dev'essere confusa con l'opera quasi ononima " Orator" . È un'opera composta nel 55 a.C. in forma di dialogo, così come per il " Brutus" . I protagonisti stavolta sono Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio, esempi, secondo Cicerone, dei più grandi oratori della generazione precedente. Nel I libro è Crasso (portavoce di Cicerone) ad esporre la tesi principale dell'opera ossia che il buon oratore deve avere un'approfondita conoscenza dell'argomento di cui vuole trattare, osteggiando la concezione di alcuni retori greci che ritenevano sufficiente una formazione basta su regole, tecnicismi ed esercizi per affrontare qualsiasi discorso. Il II libro tratta invece delle "parti" in cui si suddivide la retorica, cioè l'inventio, la dispositio e la memoria; nel III libro si parla dello stile, cioè l' elocutio, e dell' actio, cioè il modo in cui l'oratore deve comportarsi durante l'orazione. Il de oratore è considerata l'opera di Cicerone scritta con più cura formale ed è per questo motivo che è sempre stata utilizzata e studiata come modello primo dello stile ciceroniano.
" Orator" ("L'oratore"): Venne scritta nell'estate del 46 a.C. ed è anche questa un'opera dedicata a Marco Giunio Bruto che descrive un modello ideale del perfetto oratore, riprendendo molti dei temi già trattati nel De oratore. Contrariamente alla disputa di quel tempo tra gli atticisti, che -come Bruto- pretendono dall'oratore uno stile sobrio e preciso, e gli asiani, che prediligono uno stile molto ricercato e magniloquente, Cicerone ritiene che il perfetto oratore, come Demostene, deve dominare tutti gli stili e saper passare da uno all'altro con naturalezza. Per questo motivo bisogna dedicarsi soprattutto alla formazione filosofica: solo così potrà svolgere i tre compiti dell'oratore: probare, delectare, flectere (dimostrare, divertire, convincere), i quali vengono ben ordinati e descritti (76-99). Cicerone parla anche qui brevemente dell' " inventio" (44-49), della " dispositio" (50) ma tratta soprattutto dell'" elocutio" (51-236), soffermandosi sulla figure retoriche e sulla costruzione ritmica del periodo.
" Partitiones oratoriae" ("Partizione dell'arte oratorio"): Quest'opera venne scritta nel 54 a.C., quando il figlio di Cicerone, Marco, stava studiando la retorica, ed è ideata come una sorta di 'Catechismo', trattando la teoria della retorica, soprattutto con divisioni schematiche, nella forma di domanda e risposta tra padre e figlio. L'originalità di Cicerone in quest'opera spicca molto meno, a causa dello stile molto semplice e delle poche novità introdotte.
Opere tarde
Tra le opere tardive di Cicerone si possono annoverare scritti consolatori, contributi alla storiografia, poesie (alcune anche sul suo periodo di consolato e traduzioni. Queste opere sono per la maggior parte perdute. Delle poesie ci rimangono comunque svariate citazioni anche in altri lavori dello stesso Cicerone. Questi frammenti dimostrano l'influenza di uno dei più importanti poeti latini, Catullo e di altri neoterici. Tra le traduzioni sono rimasti vasti frammenti del lavoro compiuto sul " Timaios" di Platone, che Cicerone presumibilmente non ha mai pubblicato, preparando semplicemente abbozzi di traduzione. Inoltre possediamo la maggior parte dei frammenti di una libera traduzione, citata come " Aratea" , del " Fenomeno celeste" del poeta ellenico " Aratos" , che fu uno dei più influenti autori della sua epoca.
Epistole
Le epistole di Cicerone furono riscoperte tra il 1345 e il 1389 da Petrarca e dal cancelliere e umanista Coluccio Salutati. Complessivamente furono ritrovate più di 900 lettere, cosa che inizialmente provocò un grosso entusiasmo, temperato dal fatto che l'immagine che traspariva di Cicerone non era quella dello strenuo eroe difensore della Repubblica, come si era sempre dipinto nelle sue opere e nelle sue orazioni, ma una versione molto più umana, con le sue debolezze e i suoi aspetti meno retorici, ma certamente affascinanti nella loro genuinità.
Le epistole furono raccolte e archiviate dal segretario di Cicerone, Tirone, fra il 48 e il 43 a.C. Si dividono in 4 categorie:
Epistole agli amici (" epistulae ad familiares" )
Epistole al fratello Quinto Tullio Cicerone (" epistulae ad Quintum fratrem" )
Epistole a Marco Giunio Bruto (" espistulae ad M.Brutum" )
Epistole a Attico (" espitulae ad Atticum" )
IL SIG. AVVOC.TO AGOSTINO
COLTELLINI
Già Consolo dell'Accadem. Fiorentina, e oggi Luogotenente del Sereniss. GRANDUCA DI TOSCANA in quella degli Apatisti.
Francesco Onofri prega Sal. e Felicità.
Quest'opera stampata, e ristampata, dovendo di nuovo uscir' in luce, non si poteva dedicare più convenevolmente, che a V. S. Illustriss.la quale nella sua adolescenza ebbe fortuna d'essere ammaestrata dalle vive voci degli Autori, cioè del Sig. Gio: Batista Strozzi il cieco, di celebre, e pia memoria, di cui son le regole, e del Sign. Dottor Benedetto Buommattei, dalla Gramatica del quale son cavati i verbi. A questo s'aggiugne l'aver'ella in Casa, fondata, e retta con tanta sua fatica per tanti, e tant'anni un'Università, alla quale son sempre concorsi i primi Letterati, e spezialmente Oltramontani, come si può vedere più diffusamente nella vita del famoso Autore de'
Proginnasmi Udeno Nisieli, scritta dalla purgatissima penna del Sig. Francesco Cionacci, e stampata avanti all'Osservazioni di Creanze del medesimo Nisieli, o vogliam dire Benedetto Fioretti, che tale fu il suo vero nome; e finalmente mi parve anche d'esser tenuto a farlo per l'affetto, che V. S. Illustriss. mi ha sempre dimostrato, e per gli onori, che in diverse occorrenze si è degnata di farmi, e spero per la sua benignità di ricevere anche in avvenire; nè si maravigli alcuno s'io ò tralasciato il discorso dell'eruditissimo Sig. Carlo Dati dell'obbligo di ben parlare la sua lingua, avendomi V. S. Illustriss. accennato come egli l'aveva mutato, ed ampliato per inferir nelle sue Veglie Fiorentine desideratissime da tutti coloro, che anno notizia d'un'opera sì erudita, e curiosa, et a V. S. Illustrissima so riverenza.
Della mia Stamperia li 19 Maggio 1679
Poche sono le notizie circa la sua vita: Flacco è stato identificato come amico del poeta Marziale , nativo di Padova ; ma si sa che fu anche membro del collegio dei quindici , guardiani dei libri sibillini . In uno dei manoscritti vaticani, è identificato anche come Setino Balbo, il che farebbe dedurre le sue origini presso Setia nel Lazio . Il solo scrittore antico che lo cita è Quintiliano , che lamenta la sua prematura e recente scomparsa come una grande perdita; poiché Quintiliano termino la sua Institutio Oratoria verso il 90 dopo Cristo, si deduce che la sua morte debba essere avvenuta in quel periodo.
Il capolavoro di Gaio Valerio Flacco, "Le Argonautiche" , dedicato a Vespasiano per le sue conquiste in Britannia , fu scritto durante la vittoria, o poco più tardi la distruzione, di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 . Pare che l'eruzione del Vesuvio (79 ) lo tenne a lungo occupato nei riguardi della stesura del suo poema. "Le Argonautiche" è un poema epico in otto libri sulla conquista del Vello d'oro . Il poema ci è stato tramandato inmodo molto frammentato, e finisce bruscamente con la richiesta di Medea di accompagnare Giasone nel suo viaggio verso casa. Non si sa esattamente se l'ultima parte dell'opera è stata perduta o se non fu scritta affatto. Le Argonautiche sono una libera imitazione e in parte traduzione del lavoro omonimo di Apollonio Rodio , già famoso presso i Romani nella versione di Publio Terenzio Varrone Atacino . L'oggetto dell'opera è la glorificazione di Vespasiano per aver reso più sicuro l'impero romano alla frontiera britannica e per avere favorito i viaggi nell'Oceano (allostesso modo in cui l'Eusino fu aperto dalla nave Argo ).
Molti hanno stimato lo stile di Flacco, e alcuni critici hanno sottolineato la sua vivacità nelle descrizioni e nella resa dei personaggi. La sua dizione è pura, il suo stile corretto, i suoi versi sono lineari, sebbene monotoni. D'altro canto, egli manca di originalità, e la sua poetica, sebbene libera da grandi difetti, è artificiale e troppo elaborata. Il suo modello fu Virgilio , a cui egli fu molto inferiore in gusto e lucidità. Le sue esagerazioni retoriche lo rendono difficile da leggere, il che fa comprendere la sua impopolarità nei tempi antichi [da "Wikipedia - l'enciclopedia libera"]
D'ingegno duttile e versatile, in questo primo periodo compose libretti per mimi e, oltre al suo primo poema epico, la "Tebaide", alcune "Silvae", componimenti lirici di circostanza in uno stile facile ed elegante. Ma, dopo alcuni rovesci, nonostante le preghiere insistenti della moglie Claudia, una musicista, decise di abbandonare la città per far ritorno in Campania. Vi condusse lo stesso genere di esistenza di poeta mondano al servizio dei nobili romani, che in quella regione approdavano in massa per i loro soggiorni primaverili ed estivi.
In questo periodo della sua attività, scrisse altre "Silvae" e una seconda epopea, l' "Achilleide", che non gli fu però possibile portare a termine.
"Tebaide" (pubbl. nel 92). E’ in 12 libri e narra la lotta fra i due fratelli Eteocle e Polinice per la successione in Tebe al trono di Edipo (ma anche se il tema è mitologico, dotato di un complesso apparato divino, la vera sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso la "Farsaglia" di Lucano).
In un insolito epilogo programmatico, S. dichiara poi di avere un modello altissimo, anche se preso coi dovuti rispetti: l "Eneide", di cui le due esadi riproducono fedelmente la metà iliadica di preparazione e quella odisseica.
In verità, i modelli poetici sono tantissimi: S. dimostra una buona conoscenza della tragedia greca (Antimaco di Colofone e Eschilo) e forse anche di alcuni poemi ciclici o di loro riassunti. Talora (oltre che l’Omero mediato da Virgilio) appaiono anche modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino Callimaco (e gli alessandrini in genere); infine, lo stile narrativo e la metrica risentono della lezione tecnica di Ovidio, mentre la sua immagine del mondo dell’influsso di Seneca, da cui mutua anche, volendo, il gusto dell'orrido e la tendenza al patetico (caratteristiche comunque comuni alla letteratura del tempo).
Insomma, proprio qui - ovvero nel contrasto tra fedeltà alla tradizione virgiliana e le inquietudini modernizzanti - sta il vero centro dell’ispirazione epica di S. . Tuttavia, nonostante tale costellazione di influssi, e nonostante l'abbondanza di episodi minuti e di "miniature" sentimentali o pittoresche, l’opera non manca affatto di unità: anzi, il difetto tipico sono piuttosto gli ossessivi "corsi e ricorsi" a motivi e atmosfere: tutta la storia risulta, ad es., dominata da una ferrea "necessità universale" (la cui funzione è enfatizzata in un apparato divino come detto tipicamente virgiliano), che appiattisce le cose, gli uomini e le stesse divinità (è qui che S. si avvicina invece più a Lucano).
"Achilleide" (interrotta all'inizio del II libro per la morte del poeta). Poema epico sull’educazione e le vicende della vita di Achille: ma la narrazione giunge fino alla partenza dell'eroe per Troia. Il tono è più disteso ed idillico che nella barocca "Tebaide", benché nell'opera tutta si evidenzi una forte accentuazione della componente etica.
"Silvae" ("schizzi", ovvero materiale grezzo necessitante di rifinitura; ma in realtà l'opera risulta, a suo modo, già elaborata e perfetta: dunque, il titolo va forse più propriamente riferito al carattere "occasionale", estemporaneo, dei componimenti). E' una raccolta di 32 poesie, scritte tra l'85 e il 95 d.C., in 5 libri di metro vario (dall’esametro ai versi lirici), di temi appunto occasionali (epitalami, descrizioni di ville e di terme, di statue e di altri oggetti artistici, epicedi, epistole poetiche, invocazioni…) e di tono molto spigliato e spontaneo, nonostante la ricchezza di "topoi" retorici. Esse ci hanno conservato preziose immagini dell’alta società romana del tempo (della sua "mentalità") e dell’ambiente di corte: il poeta si propone quasi quale "supervisore" sistematico dei pubblici sentimenti o si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità (deriva da ciò la patina cortigiana e conformistica di tutto l’insieme).
E' forse proprio qui, quindi, che S. dà prova d'essere veramente un poeta erudito, un cantore della poesia sentimentale e preziosa, addirittura "estetizzante" (a suo riguardo, qualche critico ha parlato di "retorica della dolcezza") [da "Bukowski - on line")
Apollonio Rodio nacque ad Alessandria da un certo Silleo, fu discepolo di Callimaco e maestro di Tolomeo III Evergete; fu a capo della Biblioteca di Alessandria dopo Zenodoto e prima di Eratostene. Sembra che, ad Alessandria, il compito d'istruire il principe ereditario fosse connesso con l'ufficio di bibliotecario. Tolomeo salì al trono nel 247 ed era nato intorno al 280; si deve quindi supporre che intorno al 265 sia stata affidata ad Apollonio Rodio, già direttore della Biblioteca, l'educazione del futuro sovrano. Di più difficile e controversa interpretazione appaiono le altre notizie. Sicuro è il suo ritiro o, almeno, un lungo soggiorno a Rodi, come prova il suo stesso appellativo (Rodio). Anche la notizia su una duplice redazione del poema sembra confermata dagli scoli al I libro delle Argonautiche. L'edizione, parziale o completa, di quest'opera (ca. 270 a. C.) dovette segnare, per Apollonio Rodio, il completo e definitivo distacco dal maestro: il suo poema appare composto nella più stretta osservanza dei canoni aristotelici sull'opera d'arte e, anche perciò, diametralmente opposto alle idee letterarie propugnate con tanto vigore da Callimaco. Per Aristotele l'unità, la compiutezza e l'estensione erano gli elementi fondamentali nella struttura di qualsiasi opera artistica. Soltanto nei due poemi omerici e nelle migliori opere della tragedia attica egli trovava realizzate queste esigenze, e perciò li indicava come ineguagliabile modello di ogni futura opera letteraria. La nuova scuola poetica di Callimaco era ostentatamente antiaristotelica: essa tendeva ad una forma discontinua in una maggiore o minore serie di pochi versi. Le Argonautiche segnano un ritorno ad Omero e ad Aristotele e quindi un ripudio della poetica callimachea. Apollonio Rodio non credeva che la grande epica fosse tramontata per sempre, come proclamava Callimaco, e volle scrivere un poema che avesse unità, continuità e compiutezza, e che riunisse, in un numero molto minore di versi, le caratteristiche dell'Iliade e dell'Odissea prese assieme: un'epica cioè, passata attraverso l'esperienza poetica dei tragici e il vaglio della critica aristotelica.
Le Argonautiche narrano la spedizione di Giasone e dei suoi compagni per la conquista del vello d'oro, dalla loro partenza sino al ritorno in patria; in questo poema vengono celebrati quasi tutti i più grandi eroi leggendari della Grecia, ma riuniti in un'unica impresa (Argonauti). Esso si divide in quattro libri, quanti erano, appunto, i drammi presentati negli agoni tragici, e ciascun libro ha, su per giù, l'estensione di una tragedia. La descrizione del viaggio degli Argonauti, con le sue varie soste, offre il modo ad Apollonio Rodio di sfoggiare la sua grande cultura geografica e mitologica. Numerose sono nel poema le leggende etiologiche, né mancano le digressioni: ma, né le une né le altre, rompono la continuità della narrazione e sono, quasi sempre, consecutivamente introdotte secondo le leggi della verosimiglianza e della necessità. Anche sotto questo aspetto l'opera di Apollonio Rodio si conformava alle richieste di Aristotele, ma contrastava con la tecnica poetica di Callimaco che aveva saputo dare all'aition una funzionalità del tutto diversa; l'aition infatti era stato adoperato da Callimaco per raccontare un mito rapidamente e di scorcio, iniziando e interrompendo ex abrupto la narrazione. Scrupolosa è in Apollonio Rodio la successione cronologica degli avvenimenti, numerose le indicazioni temporali: ne nasce una rappresentazione di tempo continuato e i fatti mitici sfilano dinanzi al lettore in una lunga serie, uniti tra loro da un rapporto ininterrotto di causa ed effetto; ma circoscritti da un'unica azione con un principio (la partenza degli eroi dal golfo di Pagase: I, 317) ed una conclusione: il loro ritorno nello stesso luogo di partenza (IV, 1781). Così Apollonio Rodio mirava a cantare, secondo il gusto dell'epoca, tutti i miti connessi con la saga degli Argonauti, senza però derogare da quella norma prescritta da Aristotele per il poema epico.
La lingua di Apollonio Rodio è quella tradizionale dell'èpos, anche se egli non disdegna d'introdurre vocaboli di recente formazione, parole rare, ricercatezze lessicali.
Di Omero egli riproduce gli hàpax (cioè le parole adoperate una sola volta) ma evita gli epiteti esornativi posposti al nome alla fine del verso, le formule fisse, i versi ripetuti. Nella tecnica esametrica rimane ben lontano dalla raffinatezza raggiunta da Callimaco, ma non bisogna credere che egli sia un costruttore di versi trascurato, anzi alcune norme, da lui scrupolosamente osservate, rivelano il contrario.
Le "Argonautiche" ebbero molta fortuna nell'antichità e soprattutto a Roma. Nel sec. I a. C. furono tradotte da Varrone Atacino; nell'età dei Flavi ne fece un libero adattamento Valerio Flacco; e alle "Argonautiche" si ispirò Virgilio, oltre che per l'episodio di Didone innamorata, anche, e specialmente, per la concezione generale dell'"Eneide".
Delle opere minori di Apollonio Rodio abbiamo solo poche notizie e qualche breve e insignificante frammento. Aveva scritto un componimento in coliambi intitolato Canobo e un gruppo di poemetti in esametri in cui celebrava la fondazione di varie città. Di opere grammaticali viene citato un suo scritto su Archiloco e una monografia Contro Zenodoto, che evidentemente trattava di questioni omeriche.
"Argonautikà"
Poema epico di Apollonio Rodio (sec. III a.C.)
Scritto fra il 260 e il 215 a.C. circa.
Il poema, in 4 libri, dedicato a narrare la spedizione di Giasone e dei suoi compagni alla conquista del vello d'oro, è considerato l'unico poema epico degno di nota della letteratura alessandrina. Opera vasta e complessa, consta di 5835 esametri. I primi due libri sono dedicati alla costruzione e ai preparativi della nave, alle fortunose peripezie fino all'arrivo nella Colchide (regno di Eeta, dove il vello d'oro è custodito in un bosco sacro a Marte, sotto la costante sorveglianza di un terribile mostro). Dopo un'invocazione a Febo e una lunga rassegna degli eroi partecipanti alla narrazione, questa si svolge costellata da una serie di episodi, che vorrebbero, nell'intenzione del poeta, variare e abbellire la materia, mentre peraltro rompono l'unità della vicenda e la complicano notevolmente. Fra tali episodi che, considerati in sé, contengono pure tutta una serie di particolari motivi d'interesse, spiccano soprattutto quelli collegati con l'approdo a Lemno, con la relativa descrizione, l'uccisione dei mariti da parte delle donne dell'isola, il rapimento di Ila per opera di una ninfa, il duello di Polluce con Amico, la liberazione di Fineo dalle Arpie, il passaggio per le Simpiegadi. Il terzo libro si apre con un'invocazione a Erato, la musa della poesia erotica. L'argomento di esso, che ne fa l'unico veramente vivo dal lato poetico, è infatti la passione di Medea per Giasone. Qui il poeta rivive e descrive con mirabile analisi psicologica il sorgere e lo svilupparsi della fiamma amorosa, destinata ad ardere e a travolgere la bella figlia del re dei Colchi. L'amore divampa subito nel cuore di Medea appena Giasone si presenta alla reggia di Eeta ed ella lo vede. Dopo infiniti ondeggiamenti di ansie, timori, rimorsi e violente riprese, dopo sogni paurosi e notti insonni, Medea, vinta finalmente da amore, cede e fornisce a Giasone i farmachi magici, perché egli possa conquistare il vello d'oro. Questa figura e le sue successive vicende verranno riprese in numerose opere della classicità, e ispireranno fra l'altro la figura della virgiliana Didone. Il quarto libro è dedicato alla narrazione del lungo e difficoltoso viaggio di ritorno degli Argonauti, che in una vera e propria Odissea si aggirano per i luoghi più diversi: dal Ponto Eusino (il mar Nero), all'Istro, al Rodano, all'Eridano, al mar di Sardegna; dalle coste africane (Sirti) all'isola di Creta e infine alle coste della Tessaglia. È una parte in cui il gusto per l'elemento avventuroso si sostituisce al vigore della rappresentazione psicologica del terzo libro, e in cui il poeta ricorre largamente alle opere erudite dei geografi e degli storici antichi.
letteratura
Sia nel loro complesso, sia nei loro episodi più notevoli (come nel caso, si è detto, di Medea) i quattro libri delle "Argonautiche" furono argomento di ammirazione, di imitazione e di largo sviluppo nella letteratura antica. Fra i latini se ne valsero soprattutto Virgilio, Varrone Atacino, Ovidio e Valerio Flacco.
[GIACOMO SASSO in "NOVA - UTET - 2006" sotto VOCI]
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... De legationibus libri tres: quibus omnium ordinum studiosis, praecipue vero Iuris ciuilis lectu vtiles, ac maxime necessarii ..", Hanoviae", 1607
Cum indice rerum & verborum", Hanouiae: Wechel, Andreas Erben <1581-1630>, 1614
Gentili, Alberico, " Alberici Gentilis. Lectionum & epistolarum quae ad ius pertinent. Liber 1.(-3.)", Londini: Wolfe, John, 1583-1584
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... Regales disputationes tres: id est, De potestate regis absoluta. De vnione regnorum Britanniae. De vi ciuium in regem swemper iniusta", Londini", 1605
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... De armis Romanis libri duo,", Hanouiae: Antonius, Wilhelm, 1599
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... De iure belli, libri 3", Hanouiae: Antonius, Wilhelm, 1598
Gentili, Alberico, " Alberici Gentilis ... Laudes Academiae Perusinae et Oxoniensis", Hanoviae", 1605
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... In titulos codicis si quis imperatori maledixerit, ad legem Iuliam maiestatis, disputationes decem", Hanouiae", 1607
Gentili, Alberico ," [3]: Alberici Gentilis ... De Latinitate veteris bibliorum versionis male accusata, disputatio", Hanouiae", 1606
Gentili, Alberico," Alberici Gentilis ... Disputationes tres: 1. De libris iuris canonici. 2. De libris iuris ciuilis. 3. De Latinitate veteris bibliorum versionis male accusata", Hanouiae", 1605-1606
Lampridio, Benedetto
"Trium fratrum Amaltheorum Hieronimi Io. Baptistae Cornelii Carmina" Amstelaedami", 1689
"Actii Synceri Sannazarii, et trium fratrum Amaltheorum Poemata", [Amstelaedami: Wetstein, Hendrik, 1689]
Amalteo, Girolamo", Trium fratrum Amaltheorum Hieronimi Io. Baptistae Cornelii Carmina. Accessere Hieronymi Aleandri iunioris Amaltheorum cognati Poematia", Venetiis: Muschio, Andrea, 1627
Lampridio, Benedetto
"Il primo volume delle rime scelte da diuersi autori, di nuouo corrette , et ristampate", In Vinegia: Giolito de Ferrari, Gabriele, 1563
Toscano, Giovanni Matteo
Fabricius, Johann Albert,"
Io. Alberti Fabricii D. & P.P. in Gymn. Hamb. Conspectus thesauri litterarii Italiae, praemissam habens, praeter alia, notitiam diariorum Italiae litterariorum, thesaurorumque ac corporum Historicorum & Academiarum subiuncto Peplo Italiae Io. Matthaei Toscani",
Pubblicazione: Hamburgi : sumtu Christ. Wilh. Brandt, 1730
- [16], 531, [43] p. ; 8o.
- Note Generali: Fregi xilogr.
- Front. stampato in rosso e nero
- Segn.: )(8 A-T8 U8 2A-2N8
- Numeri: Impronta", rie- u-u- o.l- ru86 (3) 1730 (A)
Nomi: Fabricius, Johann Albert ",
Toscano , Giovanni Matteo
Toscano, Giovanni Matteo
è in definitiva un gigantesco poema erotico.
E' quindi conseguente la citazione di passi lubrichi e di autori classici e non sia d'amore che di argomenti erotici: in forza di questi ultimi non possono non comparire espressioni mordaci, dalla forte valenza erotica, anche se spesso mascherate dalla loro stessa rarità e preziosità come nel caso del latinismo "mentula" non raramente utilizzato per le sue citazioni e quindi trascritto con qualche mascheramento dal frate agostiniano.
Il grande poeta latino Catullo
"XCIV. Mentula
Mentula moechatur. Moechatur mentula? Certe.
Hoc est quod dicunt: ipsa olera olla legit."
[XCIV. Cazzone/
Cazzone puttaneggia. Puttaneggia Cazzone? Certo./
Questo è ciò che dicono: proprio la pentola raccoglie verdure/ si tratta di una
oscena caricatura del politico portaborse di Cesare attaraverso un
distico elegiaco composto da un esametro e da un pentametro:
a Mamurra-Cazzone (Minchia) sono dedicati anche XXIX, LVII, CV,CXV: comprensibilmente Catullo gioca sul valore di "mentula" nellaccezione di membro virile]
Mentula, -ae per offrire idea immediata è stata qui tradotta quale Cazzo (Cazzone) ma in effetti, dal punto di vista linguistico, il corrispondente italiano sarebbe Minchia che è voce siciliana poi diffusasi anche in altri dialetti derivando dal latino tardo "Mencla" a sua volta appunto derivato dal latino classico "Mentula" (con probabile connessione alla forma verbale "mingenere" = "orinare").
Cazzo che parimenti è forma gergale per indicare il membro virile o pene è parola dall'etimologia incerta che alcuni rimandano ad un derivato da Cazza parola dai vari significati sia per indicare un recipiente per fondervi i metalli, sia un piccolo mestolo che ancora uno strumento di rame (detto anche cucchiara o cucchiaia) di cui ci si serviva per introdurre la carica in fondo ai pezzi d'artiglieria nell'antichità.
Fra i tanti termini regionalistici usati per indicare l'organo sessuale maschile si rammenta anche il ligure "Belin", parimenti dall'etimo incerto, ma che si è anche connesso al nome del dio preromano Belen
Si può notare come tutti questi lemmi rimandano ad una forma lanceolata che a sua volta è connessa metaforicamente al concetto di dardo o saetta di Amore (Eros): per quanto possa sembrare strano nell'età cristiana di mezzo la sessualità [per quanto valutata come forma di peccato (da reprimere anche gravissimamente) se non finalizzata al tema della donna onesta e del legittimo concepimento nel contesto della famiglia
Le dissertazioni aprosiane si svolgono con affettazione, tanta erudizione e un insistito metaforismo, anche per evitare gli strali inquisitoriali: basti pensare ai pericoli di crimini quali la "Sollicitatio ad turpia" e parimenti la magia amorosa.
E tuttavia tali dissertazioni sono irrinunciabili bagagli culturali di rimpetto al gusto ed alla tradizione culturale in cui il frate vive, magari con tremore e timore ma non eludendo quelle uriosità che sono alla sua epoca irrinunciabile per un intellettuale, anche a costo di rischi estremi, quali quelle per un Ferrante Pallavicino
Lundorp, Michael Caspar," Der romischen kayserlichen Majestat und desz heiligen Romischen Reichs Geist und weltlicher Stande, ... Acta publica und schrifftliche Handlungen, Auszschreiben, Se ", Franckfurt am Mayn in Verlag Joannis Baptistae Schonwetters", 1668-1721
(IT\ICCU\CFIE\006562)
Lundorp, Michael Caspar," Bellum sexennale-ciuile-Germanicum. Siue: annalium et commentariorum historicorum nostri temporis de statu relligionis | et reipublicae libri 2. In quibus omnia ab ", Francofurti: Schonwetter, Johann Theobald, 1622
Arthus, Gotthard <1568-1630>," 15.3: Mercurii gallobelgici, M. Gotardo Arthusio p. m. succenturiati. Siue Rerum in Gallia et Belgio potissimum; Hispania ... a ... anni 1624 autumnalibus, ad anni 1625", Francofurti: Latomus, Sigismund, 1625
Arthus, Gotthard <1568-1630>," 15.4: Mercurii gallobelgici M. Gotardo Arthusio p. m. succenturiati, siue Rerum in Gallia et Belgio potissimum; Hispania a ... 1625 vernalibus ad autumnales vsque ... ", Francofurti: Latomus, Sigismund, 1625
Arthus, Gotthard <1568-1630>," 15.5: Mercurii gallobelgici M. Gotardo Arthusio p. m. succenturiati, siue Rerum in Gallia et Belgio potissimum; Hispania ... a ... 1625 autumnalibus ad vernales...", Francofurti: Latomus, Sigismund, 1626
Noris, Alessandro : de
Lundorp, Michael Caspar," Bellum sexennale-ciuile-Germanicum. Siue: annalium et commentariorum historicorum nostri temporis de statu religionis & reipublicae libri 3. In quibus omnia ab init ", Francofurti: Schonwetter, Johann Theobald, 1623
Lundorp, Michael Caspar," Politische Schakcammer oder form zu regieren, das ist, Ausserlesene schone discurs relationes, instructiones keyserlicher, koniglicher Ambassiatorn und Bottschafften ", FranckfurtGedruckt zu Franckfurt am Mayn: Schonwetter, Johann Theobald Schonwetter, Johann Gottfried Palthenius, Hartmann <1615-1631>, 1617
Petronius Arbiter," T. Petronii Arbitri, equitis romani Satyricon, cum Petroniorum fragmentis. Nouiter recensitum, interpolatum & auctum. Accesserunt seorsim Notae & obseruationes vari", Lugduni: Frellon, Paul, 1618
Lundorp, Michael Caspar," Mercurius Austrio-Bohemo-Germanicus, hoc est: Rerum memorabilium inter inuictissimum et gloriosissimum Ferdinandum 2. Romanorum imperatorem, & imperij proceres, totoque ", Moeno-Francofordiae: Kempfer, Erasmus, 1623
Lundorp, Michael Caspar," Commentariorum, de bello Germanico, eiusque causis inter inuictissimos imperatores diuum Matthiam, diuum Ferdinandum 2. & gloriosissimum Ferdinandum 3. Nec non bell ", Francofurti: Schonwetter, Johann Theobald Weiss, Johann Friedrich, 1638
Lundorp, Michael Caspar," Laurea Austriaca, hoc est, commentariorum de statu reipublicae nostri temporis, siue de bello Germanico eiusque causis, ... libri 12. ... Auctore et interprete Iulio Be ", Francofurti: Schonwetter, Johann TheobaldKempfer, Erasmus, 1627
Lundorp, Michael Caspar," Politicarum dissertationum de statu imperiorum, regnorum, principatuum, & rerumpublicarum, tomi 4. Et primum quidem tomus continet fundamenta dominationis, ... Nunc ope ", Prostant Francofurti: Schonwetter, Johann Theobald, 1615
Lundorp, Michael Caspar," 2: Continuationis Ioannis Sleidani De statu religionis et reipublicae tomus secundus, ab anno videlicet supra millesimum quingentesimum sexagesimo nono, ad nostra v ", Francofurti: Becker, Matthaus witwe, 1615
Lundorp, Michael Caspar," Continuatione delle guerre di Germania tradotte dal latino", In Venetia: Pinelli, Giovanni Pietro, 1634
Noris, Alessandro : de
Lundorp, Michael Caspar," Ioannis Sleidani De statu religionis ac reipublicae continuatio ab anno ... 1556 ad nostra usque tempora, ... collecta atque concinnata per Michaelem Casparum Lundorpiu ", Francofurti excudebat Nicolaus Hoffmannus: Hoffmann, Nikolaus <2.>Fischer, Jakob Erben, 1614-1619
Notizie: Uomo di corte, poeta e letterato, nato a Pistoia nel 1566 e morto nel 1645
Sigla: FRI
Bracciolini, Francesco," La diuina prouidenza del signor Francesco Bracciolini Dell'Api ", In Roma ", 1638
Bracciolini, Francesco," L' Elettione de Vrbano papa 8. di Francesco Bracciolini dell'Api ... Con gli argomenti a ciascuno canto di Giuliano Bracciolini dell'Api"
Bracciolini, Francesco," L' elettione di Vrbano papa 8. di Francesco Bracciolini Dell'Api all'ill.mo ... cardinale barberino con gli argomenti a ciascuno canto di Giuliano Bracciolini Dell'Api ", [1628]
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata. Poema heroico del sig. Francesco Bracciolini libri trentacinque. Al sereniss. granduca di Toscana Cosimo secondo ", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.> & Ciotti, Giovanni Battista & C., 1614
Bracciolini, Francesco," Lo scherno de gli dei poema del sig. Bracciolino dell'Api con l'aggiunta di sei canti, et altre rime piacevoli dell'istesso autore .. ", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.>, 1627
Bracciolini, Francesco," Delle poesie liriche toscane di Francesco Bracciolini dell'Api parte prima. All'illustrissima ... d. Anna Colonna Barberina ... ", In Roma: Grignani, Lodovico, 1639
Bracciolini, Francesco," Quattro elegantissime egloghe rusticali ", In Venezia: Colombani, Paolo, 1760
Bracciolini, Francesco," Dello scherno de gli Dei poema piacevole del sig. Francesco Bracciolini, con la Filide civettina e col Batino dell'istesso autore ", In Bologna: Longhi, Giuseppe <1.>, 1686
Bracciolini, Francesco," Il batino del signor F. Bracciolini pistojese ", Livorno: Masi, Glauco, 1821
Bracciolini, Francesco," L' amoroso sdegno favola pastorale del sig. Francesco Bracciolini. Al molto illustre sig. caualiere Battista Guarini ", In Venetia: Miloco, Pietro, 1623
Bracciolini, Francesco," La roccella espugnata di Francesco Bracciolini dell'Api: al christianissimo re di Francia Lodouico il giusto. Con gl'argomenti a ciascun canto del sig. Desiderio Montem ", In Roma: Mascardi, 1630
Bracciolini, Francesco," L' Euandro tragedia di Francesco Bracciolini. All'illust.mo et reuerendiss.mo sig. il sig. cardinale Barberino. ... ", In Fiorenza: Giunta, 1612
Bracciolini, Francesco," Euandro Harpalice Pentesilea tragedie del sig. Francesco Bracciolini dall'Api. .. ", In Perugia: Bartoli, Angelo, 1640
Bracciolini, Francesco," Lo scherno de gli dei de' gentili poema del sig. Bracciolino dell'Api, con l'aggiunta di sei canti, et altre rime piaceuoli dell'istesso autore .. ", In Roma, & in Bologna: Ferroni, Clemente, 1628
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico del sig. Francesco Bracciolini. Di nuouo nella presente impressione corretto di molti errori, che nelle passate stampe erano corsi ", In Milano: Locarno, Pietro Martire erede & Bidelli, Giovanni Battista, 1613
Bracciolini, Francesco," Lo scherno de' falsi dei. Poema piaceuole del sig. Francesco Bracciolini ", In Venetia: Guerigli, Paolo, 1618
Bracciolini, Francesco," La diuina prouidenza del signor Francesco Bracciolini Dell'Api ", In Roma ", 1638
Bracciolini, Francesco," Dello scherno de gli dei, poema piaceuole del sig. Francesco Bracciolini. Con la Filide Ciuettina, e col Batino. Dell'istesso autore ", In Firenze: Giunta, 1625
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico del sig. Francesco Bracciolini ", In Milano: Locarno, Pietro Martire erede & Bidelli, Giovanni Battista, 1613
Bracciolini, Francesco," Hero, e Leandro fauola marittima del Bracciolino dell'api. Con intermedii apparenti. E col Montano egloga. All'ill.mo ... Thadeo Barberini ... ", In Roma: Facciotti, GuglielmoIngrillani, Ottavio, 1630
Bracciolini, Francesco," L' Evandro. Tragedia ", Verona: Ramanzini, Dionisio, 1764
Liviera, Giovanni Battista
Bracciolini, Francesco," Compendio della vita, morte, et miracoli di san Diego, raccolti da Francesco Bracciolini ad instanza del padre fra Luigi Panigarola. All'illustriss. & reuerendiss. s. i ", In Milano: Ferioli, GraziadioAntoni, Giovanni Antonio degli <2.>, 1598
Bracciolini, Francesco," Della croce racquistata poema heroico. Del sig. Francesco Bracciolini, libri 15. Con gli argomenti del signor Iulo Anselmi ", In LuccaIn Lucca: Guidoboni, Ottaviano, 1606
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema piacevole di Francesco Bracciolini pistoiese ", Livorno: Masi, Glauco, 1821-1822
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema piacevole di Francesco Bracciolini pistojese ", Firenze: Betti, Giovanni, 1795
Bracciolini, Francesco," Il Monserrato dramma del Bracciolini dell'Api. All'ill.mo ... Carlo Barberino generale di S. Chiesa ", In Roma: Facciotti, GuglielmoIngrillani, Ottavio, 1629
Bracciolini, Francesco," L' amoroso sdegno fauola pastorale del sig. Francesco Bracciolini. Al molto illustre sig. caualiere Battista Guarini ", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1598
Bracciolini, Francesco," L' Harpalice tragedia di Francesco Bracciolini. Al molto ill.re ... Donato dell'Antella ", In Fiorenza: Giunta, Giandonato & Giunta, Bernardino & C., 1613
Bracciolini, Francesco," La Pentesilea tragedia. Di Francesco Bracciolini. All'illustrissimo ... monsignor Corsini chierico della Camera Apostolica ", In Fiorenza: Giunta, Giandonato & Giunta, Bernardino & C., 1614
Bracciolini, Francesco," L' Enea. Squadra comandata dal sig. capitano e caval. il sig. Alfonso Brunozzi nelle nozze del serenissimo gran prencipe di Toscana composizione del sig. Francesco Brac ", In Firenze: Sermartelli, 1608
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico di Francesco Bracciolini, libri 35. .. ", In Piacenza: Bazachi, Giovanni <1.>, 1613
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema giocoso di Francesco Bracciolini. Tomo primo (-secondo) ", Firenze: Formigli, Giuseppe, 1826
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema del sig. Bracciolino dell'Api. Con l'aggiunta di sei canti, et altre rime piaceuoli dell'istesso autore ", In Venetia: Combi, Giovanni Battista, 1638
Bracciolini, Francesco" Lo scherno degli dei poema piacevole di Francesco Bracciolini ", Milano: Societa tipografica de' classici italiani, 1828
Bracciolini, Francesco," L' Amoroso sdegno. Fauola pastorale del sig. Francesco Bracciolini con l'aggiunta di alcune rime pastorali dell'istesso auttore ... ", In Milano: Tradate, Agostino, 1597
Bracciolini, Francesco," L' amoroso sdegno fauola pastorale del sig. Francesco Bracciolini. Al molto illustre sig. caualiere Battista Guarini ", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1597
Bracciolini, Francesco," L' Elettione de Vrbano papa 8. di Francesco Bracciolini dell'Api ... Con gli argomenti a ciascuno canto di Giuliano Bracciolini dell'Api
"
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico del signor Francesco Bracciolini libri 35. Con l'allegoria de l'istesso autore, et con l'annotationi, a ciascun libro del s. Gio. ", In Firenze: Giunta, 1618
Bracciolini, Francesco," L' Euandro tragedia di Francesco Bracciolini. All'illust.mo ... cardinale Barberino .. ", In Fiorenza: Giunta, Giandonato & Giunta, Bernardino & C., 1613 (IT\ICCU\LO1E\000760)
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico di Francesco Bracciolini libri 35. Al serenissimo gran duca di Toscana Cosimo Secondo ", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.> & Ciotti, Giovanni Battista & C., 1611
Bracciolini, Francesco," Dello scherno de gli dei, poema piaceuole del sig. Francesco Bracciolini, con la Filide Ciuettina, e col' Batino dell'istesso autore. ... ", In Firenze: Giunta, 1618
Bracciolini, Francesco," Dello scherno de gli dei, poema piaceuole del sig. Francesco Bracciolini, con la Filide ciuettina, e col' Batino dell'istesso autore ", In Milano: Bidelli, Giovanni Battista <1. ; 1610-1654>, 1625
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema del sig. Bracciolino dell'Api con l'aggiunta di sei canti, et altre rime piaceuoli dell'istesso autore. ... ", In Roma: MascardiManelfi, Giovanni, 1626
Bracciolini, Francesco," L' Evandro. Tragedia di Francesco Bracciolini ", In Fiorenza: Giunta, 1612
Bracciolini, Francesco," Poesie giocose di vario genere di Francesco Bracciolini Pistoiese ", Yverdon [i.e. Firenze]: Allegrini, Giuseppe, 1772
Bracciolini, Francesco," Istruttione alla vita ciuile per li giouanetti nobili del signor Francesco Bracciolini Dell'Api. ... ", In Roma: Grignani, Lodovico, 1637
Bracciolini, Francesco," Lo scherno de gli dei poema del sig. Bracciolino dell'Api con l'aggiunta disei canti, et altre rime piacevoli dell'istesso autore. All'illustrissimo, & eccellentiss. ", In Roma ", 1625
Bracciolini, Francesco," Instruttione alla vita ciuile per li giouanetti nobili del signor Francesco Bracciolini Dell'Api. All'ill.mo ... marchese Luigi Strozzi ", In Roma: Grignani, Lodovico, 1637
Bracciolini, Francesco," L' elettione di Vrbano papa 8. di Francesco Bracciolini Dell'Api all'ill.mo ... cardinale barberino con gli argomenti a ciascuno canto di Giuliano Bracciolini Dell'Api ", [1628]
Bracciolini, Francesco," Dello scherno degli dei, poema piaceuole del signor Francesco Bracciolini. Con la Filide Ciuetina, e col Batino. Dell'istesso autore ", In Venetia: Baglioni, Paolo, 1669
Bracciolini, Francesco," La Bulgheria conuertita poema heroico di Francesco Bracciolini dell'Api. Con gli argomenti a ciascun libro di Giuliano Bracciolini dell'Api. ... ", (In Roma: Mascardi, Vitale, 1637) (IT\ICCU\UM1E\003155)
Liviera, Giovanni Battista
Bracciolini, Francesco," L' amoroso sdegno. Fauola pastorale del sig. Francesco Bracciolini. Al molto illustre sig. caualiere Battista Guarini ", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1602
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei. Poema piacevole .. ", Milano: Societa tipografica de' classici italiani, 1804
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema piacevole di Francesco Bracciolini ", Milano: Societa tipografica de' classici italiani, n. 1118
Bracciolini, Francesco," L' amoroso sdegno. Fauola pastorale. Del signor Francesco Bracciolini ... ", In Napoli ", 1622
Bracciolini, Francesco," Lo scherno degli dei poema del sig. Bracciolino dell'Api con l'aggiunta di sei canti, et altre rime piaceuoli dell'istesso autore ", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.>, 1627
Tra le sue innumerevoli opere qui Aprosio allude al poema epico "La Croce Racquistata" di cui si contano le seguenti edizioni:
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata. Poema heroico del sig. Francesco Bracciolini libri trentacinque. Al sereniss. granduca di Toscana Cosimo secondo", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.> & Ciotti, Giovanni Battista & C., 1614
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico del sig. Francesco Bracciolini. Di nuouo nella presente impressione corretto di molti errori, che nelle passate stampe erano corsi ", In Milano: Locarno, Pietro Martire erede & Bidelli, Giovanni Battista, 1613
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico del sig. Francesco Bracciolini", In Milano: Locarno, Pietro Martire erede & Bidelli, Giovanni Battista, 1613
Bracciolini, Francesco," Della croce racquistata poema heroico. Del sig. Francesco Bracciolini, libri 15. Con gli argomenti del signor Iulo Anselmi", In Lucca: Guidoboni, Ottaviano, 1606
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico di Francesco Bracciolini, libri 35. ..", In Piacenza: Bazachi, Giovanni <1.>, 1613
Bracciolini, Francesco,"La croce racquistata poema heroico del signor Francesco Bracciolini libri 35. Con l'allegoria de l'istesso autore, et con l'annotationi, a ciascun libro del s. Gio. ", In Firenze: Giunta, 1618
Bracciolini, Francesco," La croce racquistata poema heroico di Francesco Bracciolini libri 35. Al serenissimo gran duca di Toscana Cosimo Secondo", In Venetia: Giunta, Bernardo <2.> & Ciotti, Giovanni Battista & C., 1611
"La Croce Racquistata"
di Bracciolini, Francesco
libro: XXXV
nome del sognatore: Eraclio
4
Ma pure alfin le gravi cure in Lete
Dopo lungo vegliar tuffa, et infonde,
E con placido sonno alta quiete
Ristorando le membra i lumi asconde;
Et ecco a lui con vaghe forme, e liete
Dalle parti del Ciel più pure, e monde,
Veloce il sognio, e la sua mente prende
Sulle ali d'oro, ed'ond'ei venne ascende.
5
Et ecco il genitor di lume cinto
Parli veder, che per la mano il prenda
E come legno in mar tranquillo è spinto
Dall'aura lieve, all'alte rote ascenda;
Dove un lucido albor tutto distinto
D'infinite fiammelle arda, e risplenda;
E sian lucide sì; ch'a lato a loro
Dell'almo Sol s'impallisisca l'oro.
6
Volge stupido allhor Cesare il guardo;
E dice; padre ove mi meni? E questi
Splendor, che sono? E come hor'io non ardo
Tra tanti fuochi intorno a me si desti?
Et ei volgendo il guardo honesto, e tardo,
Li risponde, o mio figlio, alme celesti
Queste son, che tu vedi, habitatrici
Dell'Empirea magion quassù felici
7
A color, che laggiù nel mondo vostro
Seguitar' di virtude il cammin dritto,
Uscendo fuor del tenebroso chiostro,
Questo lucido albergo è poi prescritto:
Ne per dirne mill'anni, il gaudio nostro
Può la minima parte esser descritto,
Ne mente humana ha mai tant'oltre inteso,
Ma intero è sol, dal suo fattor compreso.
8
Quell'ardor, che tu vedi, e in tutte splende,
Mosso dal sommo, e sempiterno amante,
Tutto è foco d'amor, ch'ognuna accende
Quanto più brama, e ci fa liete, e sante:
E qui l'anima tua fra noi s'attende,
Se fermerai nel buon sentier le piante;
Et ei dunque che più, che non si scioglie
Quel nodo fral, che tanto ben mi toglie.
9
Soffri, il padre risponde, a voi non lice.
Quella vita accorciar, che'l Ciel v'ha dato
Quando, e come Dio vuol fa l'huom, felice,
Ne s'affretta per voi, ne tarda il fato;
Quindi Augusto sospira, e più non dice,
ma gli occhi abbassa, e vede quasi un prato
pien di rose, e di fior dall'aura mossi,
Bianchi gialli, dorati, azzurri, e rossi.
10
vede il padre la voglia, e non aspetta,
Ch'ei ne faccia dimanda, e dice, hor quelle,
Che viole, e narcisi in verde herbetta
Vedi sparsi fiorir, son'alme anch'elle;
Ma in ciascuna di lor, ch'è men perfetta,
Son sembianze di fiori, e non di stelle;
Che son queste quassù fatte beate,
E quelle ancor non son in terra nate.
11
Ma perché in terra? Ancor quassù non sono
L'anime, che saran fatte, o create,
E solo allhor, che della vita il dono
Conseguiscon laggiù, vengon spirate;
Ma gl'esempi son questi, i quai nel trono
Dell'Infinita, e somma Potestate
Ab eterno formò, quanto volea
Formar giammai la sempiterna Idea.
12
Poi quando piace a chi ne regge, e muove,
L'anima dal suo fior fa dipartita,
E se ne va nel proprio albergo, dove
Poi fra gl'egri mortali ha senso, e vita;
Quel, che nuoca discerne, e quel, che giove
Con le voglie combatte al corpo unita,
E perdendo, o vincendo ha premio, o pena,
Vita per sempre, o torbida, o serena.
13
E perch'io veggio il tuo desire inteso
Nell'avvenir, si come più si brama
Con più studio tra voi quel, ch'è conteso,
E più, quel che non s'ha si stima, et ama:
Ti mostrerei del sangue tuo disceso,
A produr mille lustri al mondo fama,
Ordin lungo d'Heroi, s'un fumo al vento
Non fusse quel, ch'hai di saper, talento.
14
Ti mostrerei, che que' sei fior, che vedi
Raccolti in cerchio, e fan ghirlanda insieme,
Ma di vario color diritta a piedi
Nasceran successori al nostro seme;
E saran tutti un dopo l'altro heredi
Dell'Imperto d'Europa, e della speme,
Che'l mondo havrà, che in più tranquilli giorni
La negletta virtù gradita torni.
15
E mostrareti al manco piè distinta
Quella, ch'oltre ne va da gl'altri fiori,
Di sì vivo color lista dipinta
Sempre a sparger diritta eterni odori,
Che di Batran con la tua figlia Herinta
E la succession colma d'honori;
E forgeranno a meraviglia grandi
Serenissimi Cosmi, e Ferdinandi.
16
Ma la gloria, che val sel corpo o spento,
E l'alma più di tal rumor non cura;
Non è fama mortal, se non concento
Ch' huom faccia intorno a fredda pietra, e dura,
Aura d'un fuggitivo, e fioco accento
Però volgiti meco a miglior cura,
Gira in qua gl'occhi, e da man manca il Cielo
Vedi oscurar a un tenebroso velo.
17
E per l'altra caligine discerni
Torbida, e cieca, e tempestosa, e nera,
Sulfurei lampi, e tempestosi verni,
E procella d'orror tonante, e fera:
Colà son dentro i feri mostri averni
D'Abisso ascesi alla stellante spera,
A rinovar con l'ostinato ardire
Contra l'armi di dio l'impeti, e l'ire.
18
Ma vedi al dirimpetto un nembo d'oro
Che di lucide fiamme arde, e sfavilla,
Sembra un nuvol di soli e incontro a loro
Mille raggi, e splendor vibra, e scintilla:
Quivi gl'Angeli son del sommo coro,
In cui l'alto motor virtude instilla;
Hor vedi lor, che col favor superno
S'accingon pronti a debellar l'Inferno.
19
E vedi già, ch'alla crudel tenzone
Quell'esercito, e questo innanzi fassi
Et è qui del pugnar sola cagione
Quella, ch'havete voi mortali e bassi;
Degli spiriti rei l'empio squadrone,
Quantunque indarno affaticati, e lassi,
Fa forza qui, che non li sia ritolta
La Croce di Giesù, ch'essi v'han tolta.
20
L'antico mostro al vital tronco è corso,
Qual suol per ira il vorator Molosso
Seguir la pietra, e quella cote ha morso,
Onde 'l verbo Divin l'ha già percosso;
E tienla ancor nell'arrabbiato morso,
Ma ne porta pelato il petto e 'l dosso,
Così muove l'Inferno, e incontro a lui
Muove il regno del Ciel gl'Angeli sui.
21
Così conforme è l'una all'altra guerra,
E da questa quassù la tua depende,
Sel Ciel qui pugna, e tu combatti in terra,
Michel qui vince, e Cosdra a te s'arrende;
E come hor hor cader vedrai sotterra
Fulminato il gran mostro all'ombre orrende;
Così ravviserai fugate, e vinto
Nelle tue mani il fier tiranno estinto.
22
Ma pon mente a i due Campi, e se t'aggrada
Contezza haver dell'immortali schiere,
Dirittamente, ov'io t'accenno, bada
A gli spirti del Ciel fiamme sincere:
Quel che vibra colà fulminea spada
Ver le squadre d'Abisso orrende, e nere;
Cavalier, che di foco ha 'l vivo aspetto,
E di puro diamante armato il petto.
23
Quell'è 'l Duce Michel, mira lo scudo
Di cui port'egli il manco braccio armato,
E 'l conflitto vedravvi orrendo, e crudo
Da scarpello celeste effigiato;
Quando il tumido mostro inerme, e nudo
Dal Ciel cadde tonante, e folgorato,
Opera di sua mano, e cadder seco
Gl'empi demoni al centro oscuro, e cieco.
24
Ei del'Hoste del Ciel sovrano Duce
E general della militia eterna,
Tutti gl'ordini angelici conduce,
E tutte in un le hierarchie governa,
Ma pur qual propria alla bttaglia adduce
Delle tre la più viva, e più superna,
Colorati di fuoco i Cherubini
Tra i Troni, e quei, ch'a Dio son più vicini.
25
Gabbriel sotto a lui fulgenti d'oro
Tra potestadi, e signorie virtudi
Conduce, un sotto l'altro armato coro,
Ch'hanno i volti di Sol, d'ambra gli scudi
Et ei sommo ministro, e duce loro
Contro i mostri d'Averno iniqui, e crudi,
Scura l'elmo lucente il Giglio porta,
Che'aperse a noi del chiuso Ciel la porta.
26
Raffaello è 'l più basso, e i Principati,
E gl' Arcangeli e gl'Angeli van seco
Di bianco arnese, e sì lucente armati,
Ch'ogni puro diamante è fosco, e cieco:
Et ei movendo i suoi guerrieri alati,
Contro gl'habitator del cavo speco,
Nel bianco scudo ha 'l morto pesce impresso
Per cui fu 'l Sol di riveder concesso.
27
Ma volgi gl'occhi a gl'avversari, e mira
L'alta confusion d'eterno pianto,
Gemiti di dolore, accenti d'ira,
E d'amare querele orribil canto:
Vedi il fuoco tra lor, che si raggira
Per le tenebre orrende a ciascun canto;
Vedi l'orride serpi, onde son cinti
Squallidi lagrimosi, oscuri, e tinti.
28
Odi l'empie bestemmie, odi le strida,
Con cui l'Inferno alla battaglia corre
Vedi il Re delle tenebre che 'l guida
Più d'ombra avvolto, e più la luce abhorre;
Vedi l'angue sul palo insegna, e guida,
Che'egli ha voluto a tanta impresa esporre;
Vedi 'l crudel, che vien con esso avanti
Tumido ad affrontar gl'Angeli Santi.
29
Ma s'ei di là con l'alta serpe audace
Bestemmiando si muove orrendo, e fero,
Con la Croce vermiglia a lui si face
Michele incontro a ricalcar l'altero:
E lodando il Signor d'eterna pace
L'invincibile esercito guerriero,
Mira con qual valor vinca, e prevaglia
Nello scontro primier' della battaglia.
30
Vedi l'orrenda nuvola divisa
Dalle spade versatili celesti,
vedi l'ombra dirotta e in fiera guisa
Cader fremendo, e quei demoni, e questi:
Così suol dirupar gran selva incisa
All'alto suon delle bipenni agresti;
Che rotando trabocca e s'apre il calle
Co i duri rami, e fa tremar le valle.
31
Vedi l'orrenda nuvola divisa
Dalle spade versatili celesti,
vedi l'ombra dirotta e in fiera guisa
Cader fremendo, e quei demoni, e questi:
Così suol dirupar gran selva incisa
All'alto suon delle bipenni agresti;
Che rotando trabocca e s'apre il calle
Co i duri rami, e fa tremar le valle.
32
Vedi 'l primo Pluton col capo in giù,
Che nel fianco trafitto al centro torna;
Aih quanto orrido, e tristo, e sì bel fu!
Quanta confusion l'opprime, e scorna,
vedi il fiero Astragone, e Belzebù,
A cui l'alto Michel rotte ha le corna,
Folgoranti caderne al basso inferno
Nelle tenebre cieche al pianto eterno.
33
Ma vedi omai, che 'l paventoso, e scuro
Nembo delle caligini infernali,
di cui gl'empi demon scoperti furo,
Par che s'apra disciolto, e 'l fumo esali,
E 'l Ciel rendono aperto, e l'aer puro
Gl'Angel' di Dio col ventillar dell'ali,
E con lodi canore a lui la gloria
Rendon della lor nobile vittoria.
34
Vedi lieto Michel, che ne riporta
La gran pianta honorata in Paradiso,
Con cui l'alto fattor la morte ha morta,
Per noi pendendo al duro tronco ucciso
Vedila al Campo suo vesillo, e scorta,
Segno di pace, e sempiterno riso;
E vedi lui, che l'Hoste sua rimena
Nella parte del Ciel, ch'è più serena.
35
E così detto al caro figlio, omai
Ponea silentio alle sue note il padre;
Ma pur Cesare fisso a i vivi rai
Delle vittoriose eterne squadre;
Divisava tra se quando fu mai
Più netto il Sol d'oscure nubi et adre,
Che non fusse a tal lume un nuvol folto
E negl'Angeli pur tien fisso il volto.
36
Quand'ecco a lui con l'ali d'oro aperte
Sene vien Gabbriel dalle sue schiere
Per le strade del Ciel diritte, e certe,
Quasi stral, che dall'arco il segno fere;
E in Angelico suon Cesare avverte,
Che sono omai le sue vittorie intere;
Ripon, dice la spada; eterna aita
Fa, che l'alta tua impresa è già finita.
37
Come a punto quassù l'orribil guerra,
Vincon gl'Angeli in Cielo, e tu non meno
L'intera palma hai conquistato in terra
E 'l trionfo di Christo in tutto è pieno.
Ciò detto, il volo al dipartir disserra
Rapido nel girar più che baleno,
E torna ratto agl'intermessi uffici
Di ridurre al suo Dio gl'Angeli amici.
38
Onde resta confuso, e pensa Augusto,
Com'esser può quel, che lo spirto ha detto,
Che quantunque sia pur nel muro angusto
D'Orienta'l tiranno accolto, e stretto;
Finch'ei non caggia, o non s'arrenda onusto
Di sonanti catene il tergo, e 'l petto,
Pende ancor la vittoria, ancor feroce
Può far contrasto a conquistar la Croce.
39
Hor mentre si vuol di questi dubbi il nodo,
Per ch'egli il solva, al genitor proporre,
Et è già vòlto al caro padre in modo
D'huom, che i chiusi pensier cominci a sciorre,
Quale immagine appesa allhor, che 'l chiodo,
Che sul muro la resse uscendo scorre,
Cade il sogno col sonno, e quasi polve
Si diffonde per l'aria, e si risolve.
40
Si desta Heraclio, e poi che 'l mondo oscuro
Scacciando l'ombre a i suoi color risponde,
Senza più indugio ad assalir quel muro
Che 'l tesor di salute in grembo asconde,
Fa l'esercito suo passar sicuro
Sovra l'alte del Tigre, e rapid'onde.
Che di più navi in un congiunte, e ferme
Stabilito ha 'l sentier su l'onde inferme.
Capponi, Giovanni," Lettura di Parnaso e Discorsi Accademici di Giouanni Capponi. Parte prima. All'illustriss. sig. conte Alfonso Gonzaca", In Venetia: Deuchino, Evangelista <1593-1631>, 1620
Capponi, Giovanni," Orsilla fauola boschereccia di Giouanni Capponi porrettano l'Animoso Accad. Seluaggio. Al molto illustre sig.r Lorenzo Buonsignori", In Venezia: Violati, Giacomo, 1615
Capponi, Giovanni," De gl'idilli di Gio. Capponi porretano l'Animoso Acc. Seluaggio, parte prima, cioe Aci Terminda I Bombici Leucotoe Armindo moribondo Testamento di Clori e' l Sogno. ", In Venetia: Violati, Giacomo, 1615
Capponi, Giovanni," Scipione continente, e liberale. Intermedi dell'Orsilla fauola boscareccia di Gio. Capponi Porrettano. Da rappresentarsi in Bologna nel teatro della Sala maggiore. Col ", In Bologna: Benacci, 1617
Capponi, Giovanni," Gli amori infelici di Leandro, e d'Ero. Idillio di Gio. Capponi", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1618
Capponi, Giovanni," Cloanto a Clori. Idillio di Gio. Capponi. L'Amoroso Seluaggio", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1618
Capponi, Giovanni," Cleopatra moribonda. Idillio di Gio. Capponi", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1618
Capponi, Giovanni," Le staffilate date al Caualier Tomaso Stigliani. Per hauer mal ragionato contro l'Adone del Caualier Marino. Con una lettera de' costumi della Francia", In Francfort [i.e. Bologna]", 1637
Capponi, Giovanni," Idilli nuoui di Giouanni Capponi. Alla memoria del cardinale Bonifazio Caetano, suo signore", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1618
Capponi, Giovanni," Euterpe idilli di Giouanni Capponi. Corretti, & accresciuti cioe Cleopatra Terminda Lidia guerriera ... Alla memoria di Bonifazio cardinale Caetano ...", In Milano: Bidelli, Giovanni Battista <1. ; 1610-1654>, 1619
Capponi, Giovanni," Cleopatra. Tragedia di Giouanni Capponi ..", In Bologna: Benacci, Vittorio
Capponi, Giovanni," Lidia guerriera idillio di Gio. Capponi", In Venetia: Ciotti, Giovanni Battista, 1617
Capponi, Giovanni," Amore prigioniero in Delo. Torneo fatto da'signori Academici Torbidi in Bologna li 20. di marzo 1628. dedicato all'altezza sereniss.ma di Ferdinando 2. Gran Duca di ", In Bologna: Vittorio Benacci eredi
Capponi, Giovanni," Tirinto fauola pastorale di Gio. Capponi Porrettano l'Animoso Accademico Selvaggio. Al sig. Gio. Filippo Certani il Palustre dedicata, e rappresentata dall'Accademia de ", In Bologna: Bellagamba, Giovanni Battista
Capponi, Giovanni," Supplimento a gli auuisi di Parnaso"
Capponi, Giovanni," Delle rime di Giovanni Capponi porrettano l'Animoso Accademico Seluaggio di Bologna. Parte prima e seconda. ...", In Venetia: Deuchino, Evangelista & Pulciani, Giovanni Battista, 1609
Capponi, Giovanni," Egloghe boscherecce, e marittime di Gio. Capponi porrettano, l'Animoso Accademico Seluaggio di Bologna. ...", In Venetia: Deuchino, Evangelista & Pulciani, Giovanni Battista, 1609
Capponi, Giovanni," Italia a Roma", senza nome
Capponi, Giovanni," A' la santita di nost. sign. papa Paulo 5. canzone", senza nome, [Dopo il 1605]
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: vna cum indice Nicolai Erythraei I.C. eruditiss. ab innumeris mendis, quibus hactenus scatebat, fideliter castigato. ", VenetiisVenetiis: Sessa, 1609
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis nunc demum Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectione restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis ", VenetiisVenetiis apud Franciscum Rampazetum: Rampazetto, FrancescoSessa, Melchiorre <2.>
Vergilius Maro, Publius," Publii Virgilii Maronis Bucolica, georgica, et aeneis, nunc demum Nicolai Erythraei iurisconsulti opera in pristinam lectionem restituta, et ad rationem eius indicis ", Venetiis-Venetijs: Nicolini da Sabbio, Giovanni Antonio, 1539
Vergilius Maro, Publius," *P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica et Aeneis : Una cum indice Nicolai Erythraei ... additis eiusdem Erythraei scholiis", Venetiis", 1638
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erythraeii C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis eiusdem ", VenetiisVenetiis: Sessa, Melchiorre <1.> eredi Sessa, Giovanni Battista <2.> & Sessa, Giovanni Bernardo, 1597
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: vna cum indice Nicolai Erythraei I.C. eruditiss. ab innumeris mendis, quibus hactenus scatebat, fideliter castigato. ", Venetiis: Guerigli, 1638
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et AEneis. Nunc demum Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis ", Venetiis: Lorenzini, Francesco, 1566
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erytraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis eiusdem ", FrancofurtiFrancofurti: Wechel, Andreas Erben <1581-1630>, 1583
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis, nunc demum Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis ", VenetiisVenetiis: Sessa, Melchiorre <1.> erediRampazetto, Francesco eredi, 1582
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilij Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis; Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, ... Additis eiusdem Erythraei scholijs, ..", VenetijsVenetijs: Giuliani, Giovanni Antonio, 1627
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erytraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis eiusdem ", Venetiis, Venetiis: Sessa, 1605
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erythraei I. C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additi eiusdem ", Venetiis: Vecchi, Alessandro de', 1602
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: vna cum indice Nicolai Erythraei I.C. eruditiss. ab innumeris mendis, quibus hactenus scatebat, fideliter castigato. ", Venetiis: Sessa, 1611
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erythraei, i. c. opera in pristinam lectionem restituta & ad rationem eius Indicis digesta. Additis eiusdem ", Francofurti, Francofurti: Wechel, Andreas Erben & Marne, Claude <1.> & Aubry, Johann <1.>, 1596
Vergilius Maro, Publius," P. Virgilii Maronis Bucolica, Georgica, et Aeneis: Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectionem restituta, & ad rationem eius indicis digesta. Additis eiusdem ", VenetiisVenetijs: Sessa, Melchiorre <1.> eredi, 1586
Vergilius Maro, Publius," P. Vergilii Maronis Bucolica, Georgica, & Aeneis nunc demum Nicolai Erythraei I.C. opera in pristinam lectione restituta, & ad rationem ejus indicis digesta. Additis ", Venetiis, Venetiis apud Franciscum Rampazetum: Sessa, Melchiorre <1.>Rampazetto, Francesco
Eritreo, Niccolo," P. Vergilii Maronis Bucolicon, Georgicon, et Aeneidos vocum omnium ac rerum Syluae index certissimus, quo Nicolaus Erythraeus, ... in conscribendis suis de ", Venetijs: Nicolini da Sabbio, Giovanni Antonio
Actii Synceri Sannazarii, et trium fratrum Amaltheorum Poemata", [Amstelaedami: Wetstein, Hendrik, 1689]
"[2]: Trium fratrum Amaltheorum Hieronimi Io. Baptistae Cornelii Carmina", Amstelaedami", 1689
Amalteo, Giovanni Battista," Canzone di M. Giouambattista Amaltheo. All' illustr.mo ... Marcantonio Colonna ... sopra la vittoria seguita contra l'armata Turchesca", In Venetia: Farri, Onofrio, 1572
Amalteo, Girolamo," Versi editi ed inediti di Girolamo, Giambattista, Cornelio fratelli Amaltei tradotti da varii", Venezia: Tipografia di Alvisopoli, 1817
Amalteo, Giovanni Battista," Coridone egloga 3. del celebre opitergino Gio: Battista Amalteo tradotta in vario metro da Gio: Dal Colle ...", In Ceneda: Cagnani, Matteo, 1818
Amalteo, Girolamo," Trium fratrum Amaltheorum Hieronimi Io. Baptistae Cornelii Carmina. Accessere Hieronymi Aleandri iunioris Amaltheorum cognati Poematia", Venetiis: Muschio, Andrea, 1627
"Carmina quinque illustrium poetarum Petri Bembi, Andreae Naugerii, Balthassaris Castillionii, Joannis Casae, et Angeli Politiani, additis Jacobi Sadoleti s.r.e. car ", Bergomi: Lancellotti, Pietro, 1753
Lampridio, Benedetto " Benedicti Lampridii, necnon Io. Bap. Amalthei Carmina", VenetiisVenetiis: Giolito de Ferrari, Gabriele, 1550
Amalteo, Giovanni Battista," Per le faustissime nozze Brandolini-Grimani egloga di Gio. Battista Amalteo trasportata in polimetro italiano da Gio. Dal Colle", Padova: Bettoni, Nicolo, 1817
Borromeo, Antonio Maria <1724-1813>," Notizia de' novellieri italiani posseduti dal conte Anton-Maria Borromeo gentiluomo padovano con alcune novelle inedite", Bassano: Remondini, Giuseppe <2.> & figli, 1794
Torelli, Giacomo," Scene e machine preparate alle Nozze di Teti balletto reale representato nella sala del piccolo Borbone et da Giacomo Torelli inventore dedicate all'eminentissimo prenc ", In Parigi", 1654
"Il primo volume delle rime scelte da diuersi autori, di nuouo corrette , et ristampate", In Vinegia: Giolito de Ferrari, Gabriele, 1563
"Libro della Regina Ancroia.
Nouamente ristampato & con somma diligentia reuisto & correcto"
Pubblicazione: (Stampata con somma diligentia ne la inclita citta di Venetia : per Giouanni Andrea Vauassore detto Guadagnino, 1546) -
- 292 c. : ill. ; 8o
- Note Generali: Xil. sul front.
- Testo in rosso e in nero - Testo su due colonne
- Segn.: A-2N8,2O4
- Numeri: Impronta - zaza taa: o.io ismo (C) 1546 (R)
- Marca editoriale: Cuore con croce di Lorena ed iniziali ZAV.
- Nomi: [Editore] Valvassori, Giovanni Andrea
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
- Localizzazioni: Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
"Libro della regina Ancroia, nouamente ristampato, et con somma diligentia reuisto, & corretto. Et con varie figure adornato",
In Venetia : appresso Fabio, & Agostin Zoppini fratelli, 1589
- Descrizione fisica: 1 v. ; 8.
- Numeri: Impronta - a.za a.a: o.io ismo (C) 1589 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
"La regina Ancroia. Nella quale si vede bellissime istorie d'arme, & di amore, diuerse giostre, & torniamenti; & grandissimi fatti d'arme con i paladini di Francia...
Di nuouo ristampata, et corretta & aggiuntoui al principio de i canti le sue dechiarationi, & adornata di bellissime figure",
In Venetia : appresso Pietro de' Franceschi, in Frezzaria, all'insegna della Regina, 1575 (In Venetia : appresso Pietro dei Franceschi, & nepoti, in Frezzaria all'insegna della Regina, 1575)
- Descrizione fisica: 307, [1] p. : ill. xilogr. ; 8
- Note Generali: Front. in car. rossi e neri
- Marca senza motto laterale sul front.
. Testo su due colonne
- Segn.: A-2P8 2Q4
- Numeri: Impronta - toio tata e.e. iope (3) 1575 (R)
- Nomi: [Editore] De Franceschi, Pietro & nipoti
- [Editore] De Franceschi, Pietro
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
Localizzazioni: PR0072 - Biblioteca Palatina - Parma
"Libro chiamato Dama Rouenza dal Martello. Elqual tratta delle battaglie de paladini
...Nouamente impresso",
(Stampata in Venetia : per Augustino di Bendoni, nel anno del Signore 1541),
- Descrizione fisica: [48] c. ; 4
- Note Generali: Per il tit.: cfr. COPAC
- Stampatore da colophon
- Xilografia sul front
- Vignette xil.
- Testo su due colonne
- Segn.: A-F8
- L'ultima carta e bianca
- Numeri: Impronta - uaua nene tete qupo (C) 1541 (R)
- Nomi: [Editore] Bindoni, Agostino
- Altri titoli collegati: [Variante del titolo]" Libro chiamato Dama Rovenza dal martello"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: PR0072 - Biblioteca Palatina - Parma
"Libro chiamato Dama Rouenza dal martello elquale tratta delle battaglie de paladini ...
Nouamente impresso",
(Stampato in Vinegia : per Pelegrin Brandici, 1556)
- Descrizione fisica: 48 c. ; 8o
- Note Generali: Front. stampato in rosso e nero
- Sul front.: xilografia
- Segn.: A-F8
- Ultima carta bianca
- Numeri: Impronta - uaua nene e.te qupo (C) 1556 (A)
- Altri titoli collegati: [Variante del titolo] "Libro chiamato Dama Rovenza dal martello"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
- Localizzazioni: Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia
"Libro chiamato dama Rovenza dal Martello; nel quale si tratta de i valorosi fatti de paladini con le figure al principio di ogni canto...
Di nuouo ristampato",
In Venetia : appresso Domenico de Franceschi, in Frezzaria all'insegna della regina, 1572 (In Venetia : appresso Domenico de Franceschi, in Frezzaria al segno della regina, 1571)
- Descrizione fisica: 39 c. : ill. ; 8o
- Note Generali: Segn.: A-E8
- Numeri: Impronta - o.o, o.to e.re IlQu (3) 1572 (R)
- Nomi: [Editore] De Franceschi, Domenico
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ital.
- Localizzazioni: Biblioteca Casanatense - Roma
Hurtado de Mendoza, Pedro," 4: Disputationim philosophicarum tomus quartus, De ente trasnaturali, sive abstracto a materia. Authore Petro Hurtado de Mendoza ..", Tolosae, Tolosae: Boude, Jean Bosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro," 4: Disputationum philosophicarum tomus quartus, De ente transnaturali, siue abstracto a materia. Authore Petro Hurtado de Mendoza ...", Tolosae, Tolosae: Boude, Jean Bosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro," 3: Disputationum philosophicarum tomus tertius De coelo, generatione, et anima. Auctore Petro Hurtado de Mendoza ...", Tolosae, Tolosae: Boude, Jean Bosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro," 1: Disputationum a summulis ad metaphysicam. A Petro Hurtado de Mendoza Valmasedano, Societstis iesu. Ad illustrissimum Garsiam Pimnetel ... Volumen primum Summulas & ", Tolosae, Tolosae: Boude, Jean Bosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro," Petri Hurtado de Mendoza. Scholasticae, et morales disputationes. De tribus virtutibus theologicis. De fide volumen secundum [i.e. primum]", Salmanticae, Salmanticae: Taberniel, Jacinto, 1631
Hurtado de Mendoza, Pedro," Vniuersa philosophia a R.P. Petro Hurtado de Mendoza Vamaldesano e Societate Iesu ... in vnum corpus redacta", Lugduni: Prost, Louis, 1624
Hurtado de Mendoza, Pedro," Disputationes de vniuersa philosophia, authore, Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu; cum indicibus necessariis nouiter in meliorem formam redactis...", Ludguni: Pillehotte, AntoineCayne, Claude, 1617
Hurtado de Mendoza, Pedro," Disputationum a summulis ad metaphysicam. A Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu. Ad illustrissimum Garsiam Pimentel: excellentissimorum comitum...", Tolosae: Bosc, Dominique, 1617
Hurtado de Mendoza, Pedro," Disputationes de Deo Homine, siue De incarnatione Filij Dei, auctore Reu. Patre Petro Hurtado de Mendoza Valmasedano, e Societate Iesu ...", Antuerpiae: Nuyts, Martin <3.>, anno 1634
Hurtado de Mendoza, Pedro," 2: Disputationum philosophicarum tomus secvundus, De substantia corporea in comuni & particulari. Authore Petro Hurtado de Mendoza ...", Tolosae: Bosc, Dominique, 1618
Nonostante l'umile condizione familiare, sia suo padre sia suo zio, dopo la morte del primo, si preoccuparono di dargli un'istruzione.
Ma il precettore presso cui lo zio lo mandò era più interessato all'andamento della sua casa che all'istruzione degli alunni, i quali erano costretti a svolgere la maggior parte dei lavori domestici.
Fu per questo che il giovane Giulio Cesare fece ritorno dallo zio, si trasferì con lui a Medicina e riprese a fare il fabbro, cominciando a scrivere versi. Furono proprio questi primi versi, ridanciani, popolani e burleschi, che lo resero famoso nel circondario e che lo portarono ad allietare i festini della nobile famiglia bolognese dei Fantuzzi, proprietaria di un podere a Medicina.
A 18 anni fu a Bologna e qui, a poco a poco, abbandonò la bottega per diventare cantastorie a tutti gli effetti: cominciò a girovagare per fiere, corti, case patrizie, mercati, a raccontare le sue storie (tratte dai più disparati aneddoti popolari), accompagnandosi con una specie di elementare violino e stampando le sue composizioni in piccoli opuscoli che vendeva per conto suo.
Ebbe ben 14 figli dalle sue due mogli ed in vita divenne famosissimo, ma con scarso successo economico. Morì in povertà nel 1609.
Note biografiche a cura di Maria Agostinelli.
Qui di seguito si può leggere il testo integrale delle avventure di Bertoldo
Si tratta dunque di un tipo particolare di epigramma, di tono scherzoso e tematica per lo più esplicitamente sessuale, tendente volentieri alla volgarità.
La bravura dell’autore (verisimilmente un singolo) sta nel produrre effetti di varietà, sia di situazioni che di forma metrica (carmi di dedica, ritratti satirici, maledizioni, enigmi…).
Qui Aprosio cita le composizioni VI e XVIII:
VI
"Quod sum ligneus, ut vides, Priapus
et falx lignea ligneusque penis,
prendam te tamen et tenebo prensum
totamque hanc sine fraude, quantacunque est,
tormento citharaque tensiorem
ad costam tibi septimam recondam"
XVIII
"Commoditas haec est in nostro maxima pene,
laxa quod esse mihi femina nulla potest"
[Aprosio non traduce il già provocante distico ove si celebra il vantaggio per qualsiasi donna di un Priapo dal "ligneo pene": ma
l'estremo della provocazione sta nell'allusione dei falli artificiali -poi condannatissimi dalla Chiesa sulla base dell'antica condanna -frutto di incomprensione come scrisse A. Malvezzi- dell'equazione fatta dai controversisti di "donna pagana = donna lussuriosa = donna araba/islamica = donna strega- detti grecamente Olisboi o "peni artificiali" di ascendenza pagana eppur utilizzati da
epoche remote sin alla contemporaneità (in forme e materiali diversi) per la pratica della Masturbazione femminile e del Tribadismo]
Angelico Aprosio nel contesto di questa sua sarcina narrativa ne vaglia però un'altra opera, non priva di diffusione e rinomanza e cioè:
Beverwijck, Johan : van,"
Ioh. Beverovicii De calculo renum & vesicae liber singularis. Cum epistolis & consultationibus magnorum virorum ",
Lugd. Batav. : ex officina Elseviriorum, 1638
- 16, 305, 15 p. ; 12o
- Note Generali: Marca (Uomo sotto albero. "Non solus") sul front.
- Paese di pubblicazione: NL
- Lingua di pubblicazione: lat, grc.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca di medicina dell'Università degli studi di Firenze
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca Civica Ricottiana - Voghera - PV
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Nunez, Luis,"
Ludouici Nonii medici Hispania siue populorum, vrbium, insularum, ac fluminum in ea accuratior descriptio",
Antuerpiae : ex officina Hieronymi VerdussI, 1607
- Descrizione fisica: 20, 330, 2 p. ; 8o
- Marca (Mose che riceve le tavole della Legge: "Observatio praeceptorum vivificat") sul front.
- Segn.: *\10 A-V8 X6
- Numeri: Impronta - meu- s.n- umm; sodi (3) 1607 (R)
- Altri titoli collegati: [Variante del titolo] "Ludovici Nonii medici Hispania sive populorum, vrbium, insularum, ac fluminum in ea accuratior descriptio"
- Paese di pubblicazione: BELGIO
- Lingua di pubblicazione: latino
Nunez, Luis,"
Ludouici Nonni ... Diaeteticon siue De re cibaria libri 4. Nunc primum lucem vidit ",
Antuerpiae : ex officina Petri Belleri, 1646 (Antuerpiae : ex officina Belleriana, Petri Belleri)
- 24, 526, 2 p. : front. calcogr. ; 4
- Segn.: a4e4i4A-3V4
- Impronta - e.*. a.ci *.t, siSu (3) 1646 (R)
- Paese di pubblicazione: BELGIO
- Lingua di pubblicazione: latino , greco antico
Nunez, Luis,"
Ludouici Nonni Commentarius in nomismata Imp. Iuli Augusti et Tiberi. Huberto Goltzio scalptore. Accesserunt Singulorum Vitae ex Suetonio ",
Antuerpiae : In Officina Plantiniana Balthasaris Moreti, 1644
- [14], 78, [4], 99, [3], 39, [13] p., 45, 81, 11 c. di tav. ; fol.
- Impronta - n-ue S.LI u-am gncu (3) 1644 (R)
- Paese di pubblicazione: BELGIO
- Lingua di pubblicazione: latino
Nunez, Luis," Ludouici NonnI ... Ichtyophagia siue De piscium esu commentarius",
Antuerpiae : apud Petrum & Ioannem Belleros, 1616
16, 176, 16! p. ; 8o
- Marca (Caduceo. "Concordiae fructus") sul front.
- Segn.: \ast!8A-M8
- Numeri: Impronta - asr* e.o- **** HiPr (3) 1616 (R)
- Paese di pubblicazione: BELGIO
- Lingua di pubblicazione: latino
Casteele, Pieter : van de,"
Vitae illustrium medicorum qui toto orbe, ad haec vsque tempora floruerunt, authore Petro Castellano, in Academia Loveniensi Graecorum literarum professore",
Antuerpiae : apud Guilielmum a Tongris, sub signo Gryphi, 1617
- 255, 9 p. ; 8o
- Segn.: A-Q8 R4
- Cfr. Wellcome: segnala una ed. del 1618
- Marca sul front.
- Impronta - u-o- t.i- um** chBA (3) 1617 (R)
- Grifone rampante inserito in una cornice circolare con ai lati due figure alate. Motto entro la cornice: "PARTA TVERE". Iniziali in basso: "GT"
- Paese di pubblicazione: BE
- Lingua di pubblicazione: lat, grc.
Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca Palatina - Parma, var B: 1618; legato con altri
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Casteele, Pieter : van de,"
Kreophagia siue de esu carnium libri 4. Authore Petro Castellano. In academia Louaniensi Graecarum literarum & medicinae professore regio ",
Antuerpiae : ex officina Hieronymi Verdussii, 1626
- [8], 296 p. ; 8o.
- Marca (Leone tiene scudo con le iniziali "HV. Vis consilii expers mole ruit sua") sul front.
- Segn.: [ast]4A-S8T4.
- Impronta - i-or umn- c-de &aQu (3) 1626 (R)
- Paese di pubblicazione: BE
- Lingua di pubblicazione: lat, grc.
Localizzazioni: MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Fu uno strenuo sostenitore della lingua latina (scrisse epigrammi) e tradusse nella lingua di Roma alcune odi di Pindaro.
I suoi scritti furono quindi raccolti postume dal Dolce e poi pubblicati a Venezia nel 1550.
Della sua attività secondo l'SBN si possono elencare come presenti nelle biblioteche italiane:
Sannazzaro, Iacopo, "
Jacobi, sive Actii Synceri Sannazarii ... Poemata ex antiquis editionibus accuratissime descripta. Accessit ejusdem Vita, Jo. Antonio Vulpio auctore; item Gabrielis Altilii et Honorati Fascitelli carmina quae exstant. Quid ulterius hisce omnibus adjectum sit, indicat ejusdem Vulpii insignis praefatio nullo modo lectoribus negligenda ",
Venetiis : typis Remondiniinis [|!, 1761
- LXXXIV, 302, [2! p. ; 8o
- Segn.: a-d8 e80 A-T8
- Front. in rosso e nero
- Incisione sul front.
- Ultime 2 p. bianche
- Contiene di Sannazaro: "De partu Virginis libri tres, De morte Christi domini ad mortales lamentatio, Eclogae, Elegiarum libri tres, Epigrammaton libri tres"; di Altilio: "Carmina omnia"; di Fascitelli: "Carmina elegantissima"; di Capece: "De vate maximo"; di Lampridio: "Nicolao Leonico Thomaeo"
- Impronta - i-re 9.a- it20 EtCo (3) 1761 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Roberto Ardigo' - Mantova
- Biblioteca S. Carlo - Modena
PD0343 - Biblioteca del Centro interdipartimentale di servizi di Palazzo Maldura dell'Università degli studi di Padova
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
Lampridio, Benedetto,"
Benedicti Lampridii, necnon Io. Bap. Amalthei Carmina",
Venetiis : apud Gabrielem Iolitum de Ferrariis, 1550 (Venetiis : apud Gabrielem Iolitum, 1550)
- Descrizione fisica: 84 c. ; 8o
- Note Generali: A cura di Lodovico Dolce, che firma la pref
- Marca (con motto: "Vivo morte refecta mea") sul front.
- Cors. ; rom.
- Segn.: A-K8L4
- Iniziali e fregio xil.
- Var. B: ricomposto il primo fasc.
- Impronta - i.Ce m.s, s,m, MuOR (3) 1550 (R)
- Impronta - xi*c m.s, s,m, MuOR (3) 1550 (R)
Marca editoriale: Fenice sopra un'urna che sprigiona fiamme. Motto: "semper eadem". Col motto: "De la mia morte eterna vita io vivo". Iniziali: GGF.
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca universitaria - Napoli
- Biblioteca della Società napoletana di storia patria - Napoli
- Biblioteca Palatina - Parma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca Casanatense - Roma
- Biblioteca civica - Vittorio Veneto - TV
- Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza
- Biblioteca civica Giovanni Canna - Casale Monferrato - AL
- Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale centrale - Firenze
"Carmina quinque illustrium poetarum Petri Bembi, Andreae Naugerii, Balthassaris Castillionii, Joannis Casae, et Angeli Politiani, additis Jacobi Sadoleti s.r.e. cardinalis carminibus; Jo. Baptistae Amalthei quinque selectissimis eclogis; Benedicti Lampridii, et M. Antonii Flaminii ineditis quibusdam ",
Bergomi : typis Petri Lancelotti, 1753
- XXIV, 368 p. ; 8o
- Fregio xil. sul front.
- Cors. ; gr. ; rom
- Segn.: [ast.]4b8 A-Z8
- Impronta - e.*c e-ua r.ta EtSe (3) 1753 (R)
- [Variante del titolo] "Carmina quinque illustrium poetarum"
- - Paese di pubblicazione: IT
Lingua di pubblicazione: lat, gre, ita
- Localizzazioni: Biblioteca civica Giovanni Canna - Casale Monferrato - AL
- Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi - Bari
- Biblioteca comunale Ugo Granafei di Serranova - Mesagne - BR
- Biblioteca comunale Malatestiana - Cesena - FC
- Biblioteca Giovardiana - Veroli - FR
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano -
- Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca universitaria di Padova
- Biblioteca del Centro interdipartimentale di servizi di Palazzo Maldura dell'Università degli studi di Padova
- Biblioteca Oliveriana - Pesaro
- Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
- Biblioteca del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'Università degli studi di Roma La Sapienza - Roma
- Biblioteca civica Nicolo' Francone - Chieri - TO
- Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Lampridio, Benedetto,"
Benedicti Lampridii, necnon Io. Bap. Amalthei Carmina "
, Venetiis : apud Gabrielem Iolitum de Ferrariis, 1550 (Venetiis : apud Gabrielem Iolitum de Ferrariis, 1550)
- Descrizione fisica: 84 c. ; 8o
- Note Generali: A cura di Lodovico Dolce, che firma la pref.
- Marca (con motto: "Vivo morte refecta mea") sul front.
- Cors. ; rom.
- Iniziali xil.
- Segn.: A-K8 L4
- Impronta - i.Ce m.s, s,m, MuOR (3) 1550 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza
Secondo l'SBN si ritrovano di lui nelle Biblioteche italiane:
Cerri, Antonio,"
Antonij Cerrij Satyrarum scholiasticarum centuriae duae ad omnigenos auctores. Cum triplici indice. ..",
Arimini : ex typographia Ioannis Simbenei, 1606
- 117 [i.e. 116] c. ; 8o.
- Marca (Gru : "Vigilat nec fatiscit") sul front. e marca (Colonna con lettere "ISBN") in fine
- Omessa nella numerazione la c. 97.
-Segn.: A-O8 P4
- Impronta - n-o- r.e- j.q; naAp (3) 1606 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Cerri, Antonio,"
Epitymbion serenissimae victoriae Farnesiae Feltriae de Ruere ad Franciscum Mariam filium serenissimum Urbini ducem 6. Ex oratione Antonii Cerii habita Senogalliae. 1603 ",
A Rimini : apud Ioannem Simbenium, 1603
- 16 p. ; 4o
- Marca sul front.
- Segn.: A-B4
- Iniziale xil.
- Impronta - ti*, liem s.q; s.am (C) 1603 (R)
- Marca editoriale: Gru, simbolo di vigilanza, di profilo riposata sopra una zampa e tenente coll'altra un sasso chiamato vigilanza. Motto: "Vigilat nec fatiscit"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Cerri, Antonio,"
Nuoui auuertimenti per imparare facilissimamente la Grammatica con ragioni, & auttorita de' migliori scrittori. Riconosciuti da Antonio Cerri e di nuouo ristampati. Con vn Trattato del modo di far translati, e delle figure del parlare. Con essempi d'Autori latini, e toscani ",
In Rimini : per Giouanni Simbeni, 1610
- 56, 50, [6] p. ; 8
- Marca sul front.
- Segn.: A-C8 D4, 2A-C8 D4
- Errori nella numerazione delle p
- Impronta - a.n- a-r- eoe- clSe (3) 1610 (R)
- Marca editoriale: Gru, simbolo di vigilanza, di profilo riposata sopra una zampa e tenente coll'altra un sasso chiamato vigilanza. Motto: "Vigilat nec fatiscit"
- [Variante del titolo] "Nuovi avvertimenti per imparare facilissimamente la Grammatica con ragioni... "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca Palatina - Parma
Cerri, Antonio,"
Antonii Cerrii Satyrarum scholiasticarum centuriae duae. Cum triplice indice. Eiusdem Carmen de Deiparae Virginis imagine, & symbolicis eius nominibus. .. ",
Arimini : ex typographia Ioannis Simbenei, 1607 (Arimini : apud Ioannem Simbeneum, 1607)
- [46], 284 c. : ill. ; 8o.
- A c. Q1r. inizia con proprio front.: "Antonii Cerrii Satyrarum scholiasticarum. Centuria secunda"
- Emblema (?) a c. P4v
- Marca (Gru : "Vigilat nec fatisci") sui front. e in fine
- Segn.: p42-58610A-O8P4Q-2O42P4.
- Impronta - I.o- I.li j.mq maAp (3) 1607 (R)
- [Pubblicato con] "Antonii Cerrii Satyrarum scholiasticarum. Centuria secunda"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino - Cassino - FR
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Cerri, Antonio,"
Ioannes Austrius siue De Naupactea victoria. Antonii Cerrii",
Pisauri : apud Hieronymum Concordiam, [1571]
- [12] c. ; 40
- Impronta - m,s, uma, s,e. VuAr (C) 1571 (Q)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Augusta - Perugia
- Biblioteca civica Gambalunga - Rimini
Cerri, Antonio,"
Antonii Cerrii Carmen de Herculaneo fornice, et oratio habita Arimini pridie kal. April. MDXCI",
Arimini : apud Ioannem Simbenium, 1591
- [6] c. ; 40
- Impronta - iss, i.e- a-es m-eo (C) 1591 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca civica Gambalunga - Rimini - RN
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Cerri, Antonio,"
Ad Clementem VIII pont. opt. max. Antonii Cerrii carmen",
Arimini : apud Ioannem Simbenium, 1598
- 12 c. ; 40.
- Segn.: A-C4
- Stemma di Clemente VIII sul front.
- Impronta - s.us lida sus, SpSe (C) 1598 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca civica Gambalunga - Rimini - RN
Cerri, Antonio,"
Ad Clementem VIII pont. opt. max. Antonii Cerrii carmen",
Arimini : apud Ioannem Simbenium, 1598
- [12] c. ; 40
- Impronta - umis das. istu AlAl (C) 1598 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca comunale Aurelio Saffi - Forli' - FC
- Biblioteca Vallicelliana - Roma
- Biblioteca civica Gambalunga - Rimini - RN
Tibullus, Albius,"
Elegiae, comm. Bernardinus Cyllenius. [Seguono:] Catullus, "Carmina", comm. Antonius Parthenius et Palladius Fuscus; Propertius, "Elegiae", comm. Philippus Beroaldus.
[Con:] BERNARDINUS CYLLENIUS, "Epistola Baptistae Ursino"; HIERONYMUS AVANTIUS, "Emendationes"; HIERONYMUS SALIUS, "Carmen", Venezia, Giovanni Tacuino, 19 V 1500. 2º, rom. e gr.
IGI 9668
Inc. 27 = Fondazione Querini Stampalia - Venezia.
Fosco, Palladio
umanista, retore, filologo e professore di lettere. Nato a Padova nel 1450 circa, morto a Capodistria nel 1520. Noto con lo pseudonimo di Palladio Fosco ("Palladius Fuscus"), il vero nome è Palladio Negri.
Nome su edizioni: Palladius Fuscus
Vedi:
Chevalier, Ulysse, "
Répertoire des sources historiques du Moyen age"
. Bio-bibliographie.
Di lui si conserva una cinquecentina dal titolo
"Palladii Fusci Patauini De situ orae Illyrici"
Romae, 1540 (Romae : Antonius Bladus asulanus excudebat, 1540 mense Julio) -
12, [6] c. ; 4°
- seu* m:up o-em ruur (C) 1540 (R)
- Lingua: Latino
- Paese: Italia
- Localizzazioni: Biblioteca Apostolica vaticana - Stato città del Vaticano
- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
Aprosio si riferisce all'interpretazione che i due umanisti diedero del termine sicula nel qui riportato carme 67 del poeta veronese cioè "Gaius Valerius Catullus":
LXVII.
O dulci
O dulci iucunda viro, iucunda parenti,
salve, teque bona Iuppiter auctet ope,
ianua, quam Balbo dicunt servisse benigne
olim, cum sedes ipse senex tenuit,
quamque ferunt rursus gnato servisse maligne,
postquam es porrecto facta marita sene.
dic agedum nobis, quare mutata feraris
in dominum veterem deseruisse fidem.
"Non (ita Caecilio placeam, cui tradita nunc sum)
culpa mea est, quamquam dicitur esse mea,
nec peccatum a me quisquam pote dicere quicquam:
verum istius populi ianua qui te facit,
qui quacumque aliquid reperitur non bene factum
ad me omnes clamant: ianua, culpa tua est."
Non istuc satis est uno te dicere verbo,
sed facere ut quivis sentiat et videat.
"Qui possum? nemo quaerit nec scire laborat?"
Nos volumus: nobis dicere ne dubita.
"Primum igitur, virgo quod fertur tradita nobis,
falsum est. non illam vir prior attigerit,
languidior tenera cui pendens sicula beta.
numquam se mediam sustulit ad tunicam;
sed pater illius gnati violasse cubile
dicitur et miseram conscelerasse domum,
sive quod impia mens caeco flagrabat amore,
seu quod iners sterili semine natus erat,
ut quaerendum unde foret nervosius illud,
quod posset zonam solvere virgineam."
Egregium narras mira pietate parentem.
qui ipse sui gnati minxerit in gremium.
Atqui non solum hoc dicit se cognitum habere
Brixia Cycneae supposita speculae,
flavus quam molli praecurrit flumine Mella,
Brixia Veronae mater amata meae,
sed de Postumio et Corneli narrat amore,
cum quibus illa malum fecit adulterium.
dixerit hic aliquis: "quid? tu istaec, ianua, nosti,
cui numquam domini limine abesse licet,
nec populum auscultare, sed hic suffixa tigillo
tantum operire soles aut aperire domum?
saepe illam audivi furtiva voce loquentem
solam cum ancillis haec sua flagitia,
nomine dicentem quos diximus, utpote quae mi
speraret nec linguam esse nec auriculam.
praeterea addebat quendam, quem dicere nolo
nomine, ne tollat rubra supercilia.
longus homo est, magnas cui lites intulit olim
falsum mendaci ventre puerperium.""""
Opere individuate secondo lo stato attuale dell'SBN nelle biblioteche italiane:
Guarini, Alessandro,"
Orazione del sr. Alessandro Guarini, accademico Intrepido, detto il Macerato, fatta in lode di D. Alderano Cybo marchese di Carrara. E recitata publicamente nell'Accademia ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1609
- 38, 2, 199, 5 p. ; 4
- Emblema dell'Accademia degli Intrepidi sul front.
- Impronta - dei- e,ro heu- lira (3) 1609 (R)
- [Pubblicato con] "Delle lettere del signor Alessandro Guarini"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
Localizzazioni: BS0092 - Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Codice identificativo: IT\ICCU\VEAE\000762
Guarini, Alessandro," Alexandri Guarini Ferrariensis Funebris oratio in reueren. et illustriss. dominum. D. Hippolytum Estensem, Sanctae Luciae in Silice diaconum cardinalem Ferrariae in cathedrali templo habita. 4. Idus Septembres. 1520 ",
[ca. 1520]
- [4] c. ; 4o.
- Data del testo
- Probabilmente pubblicato da Lorenzo de Rossi, Ferrara
- Rom.
- Segn.: A-B2
- Tit. dall'intit.
- Impronta - etco ret, coo: usma (C) 1520 (Q)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat
Localizzazioni: RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Guarini, Alessandro,"
Anticupido d'Alessandro Guarini, orazione scherzante, recitata, ne'sollazzeuoli giorni di carnouale, nell'accademia de gl'Intrepidi, contra il maligno spirito, che con mentito nome chiamasi amore ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1610
- 43, 1 p. ; 4
- Segn.: A-D4 E6
- Marca sul front.
- Impronta - die- r-er e-r- sure (3) 1610 (A)
- Marca editoriale: Putto alato e bendato in atto di lanciare tre dadi su un tavolo. A terra libro aperto, arco e frecce spezzate. Sullo sfondo paesaggio montuoso con citta
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: BS0092 - Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
Del campo aperto, mantenuto in Ferrara, l'anno 1610. la notte di carnouale, dall'illustriss. signor Enzo Bentiuogli, mantenitore della querela, pubblicata nella seguente disfida da un'araldo, a suon di trombe, il di 6. Febraio, su'l corso, pieno di tutta la citta'mascherata, sontuosissima, e magnifica inuenzione. Inuentore, ed autore il s. Alessandro Guarini ",
In Ferrara : Per Vittorio Baldini stampatore camerale
- [20] c. ; 4o
- Probab. pubbl. nel 1610, cfr.: Bn-Opale Plus; Union Catalog of Canada
- Marca sul front.
- Segn.: A-E4 (E4 bianca)
- Iniziali e fregi xil.
- Num. romani nel tit.
- Impronta - riri dee. o-ro fech (C) 1610 (Q)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Codice identificativo: IT\ICCU\RMLE\037449
Catullus, Gaius Valerius,"
Alexandri Guarini Ferrariensis In C. V. Catullum Veronensem per Baptistam patrem emendatum expositiones cum indice. ... ",
(Venetiis : per Georgium de Rusconibus, 1521 die XI. Maii)
- 10, CXV, 5 c. ; 4o
- Con il testo di Catullo
- Cors. ; gr. ; rom.
- Segn.: Ao0 B-P8 Q4(Q4bianca)R4
- Front. in cornice xil.
- Impronta - faoe 7977 iiar teet (3) 1521 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat.
- Localizzazioni: Biblioteca civica Giovanni Canna - Casale Monferrato - AL
- Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN
- Biblioteca statale - Cremona
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM - 2 esemplari
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca Casanatense - Roma
Guarini, Alessandro,"
Pareri in materia d'onor, e di paci. Del signor Alessandro Guarini",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1611
- 27, 1 p. ; 4o
- Segn.: A-C4, D4
- Marca n. c. sul front
- Impronta - o-n- moa- c-ar alCo (3) 1611 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca Estense Universitaria - Modena
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1611
- 6 v. ; 4o
- Note Generali: Michel & Michel v. 4 p. 90
- Il front. generale fa parte di 20 c. con segn. pa4, a-d4 contenenti prefazione, elenco delle opere contenute e indice generale
Comprende: 4]: Delle lettere del signor Alessandro Guarini
- [5]: "Pareri in materia d'onor, e di paci. Delsignor Alessandro Guarini "
- [1]: "Il Farnetico sauio, ouero il Tassodialogo del sig. Alessandro Guarini "
- [2]: "Anticupido d'Alessandro Guarini,orazione scherzante, recitata, ne'sollazzeuoli giorni di Carnouale,nell'accademia de gl'Intrepidi, contra ilmaligno spirito, che con mentito nomechiamasi amore "
- [3]: "Orazione del s.r Alessandro Guarini,accademico Intrepido, detto il Macerato,fatta in lode di d. Alderano Cybo marchese diCarrara. E recitata publicamente nell'Accademia "
- [6]: "Varie compositioni raccolte in diuersematerie del signor Alessandro Guarini "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca nazionale Braidense - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
[4]: Delle lettere del signor Alessandro Guarini"
, 1611
- 199,
- Note Generali: Il titolo si ricava dall'intitolazione
- La data probabile di pubblicazione si ricava da p. 198
- Luogo ed indicazione di pubblicazione, Ferrara, Vittorio Baldini, dagli altri vol.
- Segn.: A-2B4 a2.
- Numeri: Impronta - lio, b-t- ..na elni (3) 1611 (Q)
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
[5]: Pareri in materia d'onor, e di paci. Del signor Alessandro Guarini"
Pubblicazione: In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1611
- 27, [1] p.
- Marca (Campana. "Cominus et eminus") sul front.
- Segn. : A-C4 D2.
- Impronta - o.n- moa- c-ar alCo (3) 1611 (A)
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Codice identificativo: IT\ICCU\VEAE\001058
Guarini, Alessandro,"
[1]: Il Farnetico sauio, ouero il Tasso dialogo del sig. Alessandro Guarini",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1610
- 61,
- Bianca l'ultima c.
- Marca (Campana. "Cominus et eminus") sul front.
- Segn. : A-H4
- Impronta - r,i- p.i. onp. leFe (C) 1611 (A)
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- [Variante del titolo] "Il Farnetico savio, overo il Tasso dialogo del sig. Alessandro Guarini"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
[2]: Anticupido d'Alessandro Guarini, orazione scherzante, recitata, ne' sollazzeuoli giorni di Carnouale, nell'accademia de gl'Intrepidi, contra il maligno spirito, che con mentito nome chiamasi amore ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1610
- 43, 1 p
- Note Generali: Marca sul front.
- Segn. : A-D4 E6
- Impronta - die- r-er e-r- sure (3) 1610 (A)
- Marca editoriale: Putto alato e bendato in atto di lanciare tre dadi su un tavolo. A terra libro aperto, arco e frecce spezzate. Sullo sfondo paesaggio montuoso con città
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
Localizzazioni: BO0304 - Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma -
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
[3]: Orazione del s.r Alessandro Guarini, accademico Intrepido, detto il Macerato, fatta in lode di d. Alderano Cybo marchese di Carrara. E recitata publicamente nell'Accademia ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampatore camerale, 1609
- 38, [2] p.
- Bianca l'ultima c.
- Emblema dell'Accademia degli Intrepidi (Torchio tipografico con scritta: "Premat dum imprimat") e emblema personale dell'A. ("Tavolinetto. Struor non destruor. Il Macerato") sul front.
- Segn. : A-E4
- Impronta - dei- e,ro heu- lira (3) 1609 (R)
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: BO0304 - Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna
- Biblioteca della Fondazione Ugo da Como - Lonato - BS
- Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - VE
Guarini, Alessandro,"
[6]: Varie compositioni raccolte in diuerse materie del signor Alessandro Guarini ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1611
- 40, 4 p.
- Il fasc. 2 contiene l'Errata generale dell'opera.
- Marca (Campana. "Cominus et eminus") sul front.
Segn. : A-E4 2
Numeri: Impronta - neza a-o, laen stde (3) 1611 (A)
- Fa parte di: "Prose del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, accademico Intrepido dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua, e di Monferrato, & c "
- [Variante del titolo] "Varie compositioni raccolte in diverse materie, del signor Alessandro Guarini"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna - BO
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Guarini, Alessandro,"
Il Cesare, ouero l'apologia di Cesare, primo imperatore di Roma, ingiustamente da i pompeiani, nimico della patria, e tiranno appellato, ma della patria clementissimo padre, e della romana republica giusto, e legittimo prencipe; con ragioni, & autorita in tre libri prouato. Opera d'Alessandro Guarino nobile ferrarese ",
In Ferrara : presso Francesco Suzzi stampator camerale, 1632 (In Ferrara : per Gioseffo Gironi, e Francesco Gherardi stampatori episcopali, 1632)
- 23, 1, 330, 2 p. ; 4o
- Cornice calcogr. sottoscritta: Doino F
- Segn.: *4-3*4A-2S42T"
- Impronta - cehe e-3. 5.3. alGi (3) 1632 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: CA0194 - Biblioteca universitaria di Cagliari
- Biblioteca della Fondazione Marco Besso - Roma
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
Il Cesare ouero l' apologia di Cesare, primo imperatore di Roma, ingiustamente da i pompeiani, nimico della patria, e tiranno appellato; ma della patria clementissimo padre, e della romana republica giusto, e legittimo principe; con ragioni, & autorita in tre libri approuate. D'alessandro Guarino. All'illustriss. et eccellentiss. sig. e padron ... d. Vincenzo Gonzaga ...", In Ferrara : presso Francesco Suzzi : ad instanza di Carlo Zenero, 1638 ( In Bologna : ad instanza di Carlo Zenero, 1637)
- 330 [2] p. ; 4o
- Tit. dell' occhietto: "Il Cesare"
- Cors., rom.
- Iniz. silogr.
Segn.: *-3*4, A-2S4 2T4
- Impronta - pip- 5.3. l-3. beOp (7) 1638 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca centrale della Regione siciliana - Palermo
Guarini, Alessandro,"
Lettere del signor Alessandro Guarini gentilhuomo ferrarese, Accademico Intrepido. Dedicate al sereniss. signor duca di Mantoua e di Monferrato, &c ",
In Ferrara : per Vittorio Baldini stampator camerale, 1611
- [40], 199, [5] p. ; 4o
- Marca sul front.
- Segn.: p4 a-d4 A-2A4 2B6. La c. d4 e bianca
- Impronta - r,i- p.i. ..na elni (3) 1611 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
Localizzazioni: MI0162 - Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano
- Biblioteca comunale Roberto Ardigo' - Mantova
- Biblioteca Reale - Torino
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
Varie compositioni raccolte in diuerse materie, del signor Alessandro Guarini",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1611
- 16, 4 p. ; 4
- Marca sul front.
- Segn.: A-B4 +2
- Impronta - neza a-o, laen stde (3) 1611 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Birago, Francesco <1562-1640>,"
Consigli cauallereschi del Signor Francesco Birago, ne' quali si ragiona circa il modo di far le paci. Con vn' apologia caualleresca per il Sig. Torquato Tasso, ed alcuni Pareri in materia d'onor, e di paci del Sig. Alessandro Guarini ...", In Ferrara, et in Parma : per Giuseppe dall'Oglio, & Ippolito Rosati, 1686
- 2 pt. [22], 230, [2]; 56 p. ; 8o
- Per la descrizione cfr. S.P. Micheal, "Repertoire des ouvrages imprimes en langue italienne au XVII siecle", Firenze, Olschki, 1970, v. II, p. 188, n. 5
- Le note tipografiche dalla 2 pt.
- front. della 1 pt. entro cornice calcogr.
- Segn.: p1 ast]2 a8 A-N8 O12; A-C8 D4
- Bianca la c. O12
- Pt. 2: "Pareri in materia d'onor, e di paci. Del signor Alessandro Guarini .."
- Impronta - e'si o,f- noo, pota (3) 1686 (A)
- Impronta - eril sion i.za Dire (3) 1686 (Q)
- [Pubblicato con] Pareri in materia d'onor, e di paci. Del signor Alessandro Guarini ...
Paese di pubblicazione: IT
Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
Guarini, Alessandro,"
Il Farnetico sauio, ouero il Tasso dialogo del sig. Alessandro Guarini",
In Ferrara : per Vittorio Baldini, stampator camerale, 1610
- 61, 3 p. ; 4
- Segn.: A-H4 (H4 bianca)
- Marca sul front.
- Impronta - dio, soo- heli MiAm (3) 1610 (A)
- [Variante del titolo] "Il farnetico savio, overo il Tasso dialogo del sig. Alessandro Guarini"
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita
- Localizzazioni: Biblioteca civica Angelo Mai - Bergamo
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
- Biblioteca nazionale universitaria - Torino
- Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Guarini, Alessandro,"
Pareri in materia d'onor, e di paci. Del signor Alessandro Guarini",
In Ferrara, et in Parma : per Giuseppe dall'Oglio, & Ippolito Rosati, 1686
- 56 p. ; 80.
- Impronta - e'si o,f- noo, pota (3) 1686 (A)
- Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
Catullus, Gaius Valerius,"
Alexandri Guarini Ferrariensis In C. V. Catullum Veronensem per Baptistam patrem emendatum expositiones cum indice ... "
(Venetiis : impressit Georgius Ruscon., mense maio 1521)
- (10), CXV, (5) c. ; 4o
- Con il testo di Catullo
- Front. in cornice xil.
- Segn.: A10 B-P8 Q-R4
- Bianca R4
- Impronta - faoe 7977 iiar teet (3) 1521 (R)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: lat
- Localizzazioni: Biblioteca del Seminario maggiore - Padova
Guarini, Alessandro,"
Trattato del vero, e real fondamento della cattolica fede. Speculazione si come noua, cosi vtilissima, non solo a i fedeli nella verita christiana ben confirmati, ma eziamdio a vacillanti. Opera d'Alessandro Guarino alla santita di N.S. Vrbano 8. dedicata ",
In Rouigo : appresso Giacinto Bissuccio, 1635
- [4], 152, [16] p. ; 4o
- Riferimenti: "Dizionario biografico degli italiani", v. 60, p. 337
- M. tipogr. sul front. (un serpente si attorciglia lungo il tronco di un albero)
- Cors., rom.
- Testata ed iniz. xilogr.
- Segn.: pp, A-X4
- Impronta - i.uo mase u-a. Ilch (3) 1635 (A)
- Paese di pubblicazione: IT
- Lingua di pubblicazione: ita.
- Localizzazioni: Biblioteca centrale della Regione siciliana - Palermo