cultura barocca
Ripr./inf. da bibl. priv. di B. E. Durante IL TRATTATO DELL'UNGUENTO ARMARIO DEL GOCLENIUS CON LE OPPOSIZIONI DEL ROBERTI E LE POSTULAZIONI DEL VAN HELMONT (TESTI TRADOTTI E MULTIMEDIALIZZATI)

L'immagine rappresenta GOCLENIUS IL GIOVANE = per evitare confusioni sull'argomento è doveroso rammentare 2 nomi GOCLENIUS specificatamente quello di Rudolphus Goclenius padre (Rudolph Gockel) anche detto il "Vecchio" (1547-1628) che era professore a Marpurgo di Filosofia, Logica, Metafisica ed Etica e quella sopra proposta di Rudolphus Goclenius figlio (Rudolph Gockel = 1572-1621), anche detto "il Giovane" che insegnò nello stesso Ateneo, ma occupando le cattedre di fisica, matematica e medicina e che fu colui che si occupò del tema alchemico connesso all'Unguento Armario sì che per conseguenza oltre che le riflessioni anche la polemica sull’Unguento Armario coinvolse quest'ultimo, restandovi estraneo il padre.
Uno dei problemi sostanziali legati a questi due personaggi è l'omonimia e la docenza pressoché coeva nello stesso Ateneo: ringrazio l'amico Massimo Marra, studioso di questi argomenti, per l'infinita cortesia scientifica d'avermi edotto su una confusione assai facile (stesso nome, stessa università, periodo di attività sovrapponibile, talvolta tematiche sovrapponibili) confusione che come lui stesso mi scrive risulta peraltro abbastanza diffusa e la si si ritrova anche in autori autorevoli come Walter Pagel, vedi il suo Joan Baptista Van Helmont reformer of science and medicine, Cambridge University Press, Cambridge 1982, p. 8, in cui addirittura si trovano mescolate le date di nascita e morte dei due Goclenius. Di recente la confusione è stata segnalata anche da Roberto Poma, Magie et Guérison. La rationalité de la médecine magique (XVI-XVII), Orizons, Paris 2009, p. 139.
La produzione di GOCLENIUS "IL GIOVANE" affrontò comunque svariati campi, date anche le molteplici referenze quale professore, non esclusi quelli di ordine naturalistico e medico: sostenitore della "teoria delle simpatie ed antipatie cosmiche" si rese convinto sostenitore dell'efficacia terapeutica dell'UNGUENTO ARMARIO nel contesto di una proluzione accademica che poi divenne un volume col titolo de Tractatus de magnetica curatione vulneris citra ullam & superstitionem, & dolorem, & remedij applicationem, orationis forma conscriptus, a priori tum ob rerum & causarum, tum exemplorum etiam augmentum longe diversus ... , Marpurgi Cattorum, ex officina Rodolphi Hutvvelckeri, 1609.
Qui di seguito si propone nella completezza tale OPERA IN TRADUZIONE ITALIANA INEDITA : la traduzione è stata fatta sul testo della I edizione (estrapolato da una grande silloge seicentesca) destinata a suscitare ammirazione ma anche violente polemiche per i supposti contenuti blasfemi ad opera del gesuita francese, teologo JEAN ROBERTI cui risponderà con uno scritto prolisso ma non particolarmente ispirato: le osservazioni, filosofiche e scientifiche in ambito spagirico, più pregnanti delle considerazioni appassionate ma criticamente non esaurenti del GOCLENIUS ci giungono però dal grande iatrochimico belga VAN HELMONT.









TRATTATO SULL’UNGUENTO ARMARIO
[DI RUDOLPH GOCKEL (GOCLENIUS)]
[ PROLUSIONE ]
[ UNGUENTO ARMARIO: UN FARMACO NATURALE, SENZA OMBRE DI COLLUSIONI DIABOLICHE NEL COMPLESSO UNIVERSO REGOLATO DALLE LEGGI DI SIMPATIA ED ANTIPATIA]
[SIGILLI DI RAGAEL]
Da questo capitolo ai successivi 6 il discorso dell'opera composta dal Goclenius è condotto con riferimenti al simbolismo magico di sigilli ed anelli dalla classicità al XVIII secolo
IMMAGINI OVVERO SIGILLI DI CHAEL
SIGILLI OVVERO IMMAGINI DI ERMETE
IMMAGINI OVVERO SIGILLI DI THETEL
SCULTURE DI SALOMONE
SEGUONO LE SCULTURE E LE IMMAGINI DEI PIANETI E DEI SEGNI DELLO ZODIACO E DEL FIRMAMENTO
[MOMENTI ASTROLOGICI IN CUI SONO DA REALIZZARE SIGILLI, TALISMANI E AMULETI]
[RELAZIONI TRA MACROCOSMO E MICROCOSMO]
[COMPONENTI DELL’UNGUENTO ARMARIO E APPLICAZIONE DEL BALSAMO: RIFLESSIONI SU USNEA E MUMMIA]

























TRATTATO SULL’UNGUENTO ARMARIO

Essendo antica e lodevole costumanza di questa celebre Accademia, miei illustrissimi uditori, che cioè quanti vengano ascritti nel Collegio dei Professori si impegnano a far pubblico saggio delle loro conoscenze o comunque tengano qualche concione su argomenti connessi alla disciplina loro assegnata, non proprio a me parve il caso di eludere siffatta eccellente consuetudine, tutta costruita su razionali e ben fondate motivazioni.
Ho perciò giudicato opportuno rispettare questo mandato in vigore di una premessa che mi consentirà, subito dopo, di trattare, con dovizia, una questione già richiestami d’esplicare in pubblico.
Onde soddisfare questi miei obblighi, mi sono contestualmente trovato in una postazione intellettuale siffatta che, ancora una volta, mi giunge inevitabile sanzionare l’importanza di quella scienza fisica che, da tempi immemorabili, risulta collegata, per via d’estrema utilità, a gran piacevolezza culturale.
So bene, però, che in merito a questa tanti accademici discorsi son già stati sviluppati da uomini di me più sapienti: e peraltro, a meno che non si tratti d’un individuo incredibilmente rozzo, altrettanto bene mi è noto che non esiste teologo, giurisperito e medico così poco erudito da mancare d’una sufficientemente complessa serie di competenze in tal genere di ricerca scientifica.
In particolare, qualsiasi medico fisico, pur se non ha sviluppato conoscenze degne delle lodi d’un Pericle, detiene comunque ben assimilati gli assiomi e le postulazioni d’ Anassagora il presocratico ed in forza d’essi ha finito per maturare varie capacità di speculazione.
Tralasciando ordunque di sviluppare tutto quel genere d’acquisizioni che, per le suesposte ragioni, sarebbe qui superfluo affrontare, mi dedicherò piuttosto ad una questione peculiare che da tempo immemore ha tormentato molti intellettuali e che tuttora va impegnando strenuamente parecchi studiosi.
Si tratta di una ricerca che ho condotto sin entro le più recondite profondità naturali ed i cui contenuti cercherò di sviluppare al meglio delle mie qualità, avendo peraltro la convinzione che da simile mio lavoro potrà comunque venir glorificata l’incredibile, maestosa possanza della natura. Voi, intanto, miei uditori, mentre vado navigando per questo procelloso oceano, soccorretemi con la piacevolezza della vostra clemenza e cercate quindi di seguirmi con benevola simpatia. Valutate altresì questa fatica intellettuale più dalla mia sincera volontà di fare e comunicare che dalla sostanza e dalla forma che l’esposizione coimplicherà: se poi troppo divagherò, fuorviando certe riflessioni, o soprattutto poco saprò approfondire, con atteggiamento amicale attribuite certi connaturati difetti al tempo tiranno e patrigno, per cui a lungo fui costretto a tenermi lontano da questi tipo di disquisizioni scientifico-accademiche.

[UNGUENTO ARMARIO: UN FARMACO NATURALE, SENZA OMBRE DI COLLUSIONI DIABOLICHE NEL COMPLESSO UNIVERSO REGOLATO DALLE LEGGI DI SIMPATIA ED ANTIPATIA]
L’argomento che ho scelto d’affrontare sarà allora incentrato sull’interrogativo se l’Unguento armario, per effetto del quale un ferito, anche a distanza d’una, due od ancor più miglia, possa venir sanato alla sola condizione che di tal medicamento siano spalmati il dardo o l’arma che causarono la piaga, trovi la sua origine in natura o sia piuttosto superstiziosa vanteria se non arcano miscuglio di veleni.
Entrando nel merito della questione debbo per forza ricordare che mi trovavo ospite in Svezia d’un generoso Signore, allorché due suoi servitori trascesero, nel corso d’una lite, dalle parole ai fatti, sì che alla fine l’uno trafisse profondamente, con un coltello, il femore destro dell’altro. Visto che un chirurgo non poteva celermente aversi, sorgendo quel palazzo abbastanza lontano dalla città, ecco sovvenire la mobilissima sposa di quel generoso Signore che, esperta di cose della natura, guarì il ferito senza cagionargli dolore, col solo espediente di spargere l’arma, causa di tal ferita, per via d’un particolare unguento.
A livello popolare, peraltro, resta comunque piuttosto nota la quasi analoga esperienza terapeutica per cui, appena estratti gli aculei od i chiodi, casualmente conficcatisi nelle piante dei piedi, vengono posti entro il grasso bollito di maniera che la parte lesa o la ferita restino esenti da infiammazione e dolore fisico.
Si è spesso cercato, come peraltro vado io facendo qui, di postulare una qualche ragione naturale per cui possa addivenirsi a tale incredibile risultato, pur se non mancano, tra i sapienti, coloro che negano assolutamente tale ipotesi interpretativa.
Vi sono parimenti altri eruditi i quali affermano che mentre la lesione inflitta finisce per guarire naturalmente, sono invece da reputarsi magiche, blasfeme e comunque solo scenografiche le arti terapeutiche che presuppone qualsivoglia cura fatta per via d’Unguento armario.
Io però, ben sapendo che l’applicazione di tal farmaco è spesso finalizzata da persone religiosissime, sia di fatto che per pubblica nomea, ed in tal cura non risultandomi del resto perpetrato alcun crimine, né a parole o con fatti, avverso la fede in Dio, sono del tutto sicuro che la somministrazione dell’Unguento armario non complica sinergia di superstizione ed apostasia. La superstizione è peraltro da giudicarsi alla stregua d’una religione priva d’alcun contenuto, e quindi una sorta di delirio. Essa si manifesta ogniqualvolta un individuo fa e dice, onde guadagnarsi un bene o sfuggire ad un male, qualche cosa che in sé non possiede l’energia naturale o preternaturale necessarie per soddisfare quel preciso intento: evenienza equiparabile all’azione di chi si metta a gettar semi dentro un fiume o prenda ad arare la sabbia di qualche arenile e che per ciò sarebbe da definire quale uomo vaneggiante, atteso che il fine del seminare e dell’arare è la generazione di messi, un risultato che la summenzionata azione di per se stessa, esplicatemene, giammai può conseguire.
Su questo itinerario gnoseologico si possono innestare quali manifestazioni superstiziose quella che induce, come rimedio contro febbri e mal di denti, ad immergersi nei lavacri alla vigilia della Natività di Cristo o l’altra, parimenti praticata, per cui non ci si ciba il giorno di Natale d’alcun tipo di carni onde ottener guarigione od ancora la credenza secondo cui si vincerebbe il mal caduco facendo particolari gesti e recitando questa filastrocca: “Gaspare porta la mirra, Melchiorre l’incenso, Baldassarre l’oro/ queste tre cose per chiunque con sé porterà i nomi dei Magi”. Ed è altresì forma di superstizione il pensar di mitigare il mal di denti toccandoseli nel corso d’una qualche cerimonia sacra, contestualmente esclamando: “o denti, da questo momento, cessate di tormentar la mia bocca”.
Di tal fatta sussistono comunque tante altre costumanze che fuor dei confini della superstizione proprio a nulla valgono, visto che esulano dagli attributi preposti dalla natura a qualsivoglia specifica finalità, di modo che non si può dir di loro se possiedano e donde, nel caso, recuperino forze degne di scientifico credito.
Ed in realtà quasi quotidianamente, per quasi tutto l’orbe terracqueo, risuonano fallaci credenze da donnicciuole di questo ordine, credulità che quindi ometto di riferire, preferendo far silenzio su di esse, visto che sono vuote di significati e quindi espressione di quelle superstiziose costumanze che queste nostre accademiche postulazioni categoricamente esiliano oltre i confini della possente natura.
Nel caso invece dell’Unguento armario la limpidezza dell’operare, senza alcun concorso di superstizione ed impostura, s’evidenzia sia per la specifica tipologia dell’azione curativa –nel caso, evidentemente, che qualcuno ne faccia esperienze- sia ancora per la credibilità delle testimonianze che io intendo addurre.
In relazione a tale unguento non s’avranno poi da udire bazzecole, enigmatiche filastrocche, interpretazioni argute, favolose se non, più spesso ancora, sciocche ma semmai s’avrà a che fare con le grandi manifestazioni di quella naturale potenza che spesso travalica l’umana comprensione: manifestazioni che non giova celare, per qualsiasi ragione, ma che piuttosto è meglio rendere di pubblico dominio onde celebrare l’estrema possanza e la massima sapienza di Nostro Signore. Così non penetreremo nei recessi della natura, cercheremo una verità per nulla contaminata dalla superstizione e tenteremo di comunicarne una ragione filosofica la cui investigazione comporta comunque aspre difficoltà e che è mediamente ignorata da tutti seppur, sicuramente, è da individuare all’interno dei principi di cui appresso vado dissertando.
Ovunque e fra tutte le cose che esistono sussiste una certa e congenita correlazione che può comportare, caso per caso, solidarietà od avversione.
In rapporto a ciò le cose medesime, senza visibili mutazioni, risultano alterate nell’essenza in forza d’un qualche reciproco contatto, sia sotto la specie d’un potenziamento che d’un qualche depauperamento, e di ciò fa fede una sequenza d’empirici riscontri, al punto che chi nega valore a ciò “ipotizza che il Sole risplenda per se stesso”.
L’analisi e l’interpretazione di queste forze, misteriose e comunque ben celate negli abissi della maestà naturale, sono fattibili solo in funzione della Magia Naturale, vertente sulla conoscenza dei rapporti simpatetici sottesi fra tutte le cose: e chi interpreta le ragioni intime del consenso o della discordia intercorrenti fra le succitate cose può realmente dirsi esperto di Magia, visto che, valendosi di quelle misteriose competenze, risulta capace di finalizzare azioni meravigliose ed incredibili per la gente ordinaria, sì che spesso e purtroppo si giudica che vengano espletate con il concorso d’entità diaboliche, proprio perché non risulta affatto palese la maniera con cui esse vengono confezionate. Mentre questo mistero in vero altro non è che la raggiunta sapienza dei rapporti di Antipatia e Simpatia sussistenti fra le cose superiori e quelle inferiori, cioè del macrocosmo e quindi del microcosmo.
Per Simpatia si intende, in senso lato, una sorta di quella positiva compartecipazione tra cose fisiche che alcuni definiscono “compassione” intendendo con ciò una specie di “reciproca ed armoniosa vibrazione”. Galeno più specificatamente s’avvale del termine “amicizia” (libro 3, “de sempl. med.”, capitolo 5) mentre Plinio (libro 7, capitolo 4 della sua “Storia Naturale”) preferisce la definizione di “concordia” e quindi Marco Tullio Cicerone nel “de sat.”, con espressione di indubitabile profondità, suol parlare di “convenienza e continuazione della natura”, atteso che, per esempio, nelle strutture di ferro e magnete, benché divise, le energie naturali concorrono simpateticamente al segno che siffatte strutture tendono perennemente a ricompattarsi in una specie di unità. Giovanni Battista Porta si serve quindi del termine “consenso” mentre altri prediligono l’espressione “sinfonica armonia” ed altri ancora preferiscono la specificazione “nesso di naturale benevolenza”.
L’Antipatia fra le cose, per opposto valore semantico, allude ad uno stato che piuttosto comporta avversione fra due cose o identità. Galeno e Plinio Seniore definiscono l’Antipatia quale “lotta” o “mutua discordia”: altri invece son poi soliti usare le accezioni di “inimicizia”, “dissenso”, “dissidio” e finalmente di “odio”. In vero non son lungi dalla verità neppure quelli che definiscono l’Antipatia quale “ostilità” basandosi su quella aggressiva proprietà in rapporto alla quale le cose della natura si fanno, in un certo qual modo, guerra, servendosi di reciproco, cieco astio: ma neppure, in ultima analisi, si sbagliano quanti amano la definizione di “resistenza”, tenendo conto del fatto che l’Antipatia presuppone una sorta di resistenza e/o impedimento affinché le opzioni di chi opera od agisce non passano aver effetto sull’entità o cosa cui siano rivolte.
Sulla direttrice logica di siffatti giudizi è adesso doveroso rammentare che per Simpatia da un lato si genera l’attrazione delle virtù superiori e celesti mentre per altro verso, nello spazio terreno ed inferiore, deriva una specie di “accompagnamento”: che, nel caso dell’Antipatia, si rovescia in “resistenza”.
Per questa ragione i Platonici furono soliti definire la Magia quale attrazione d’una cosa verso l’altra, attrazione suggerita da una certa naturale affinità.
In effetti tutte le parti di questo mondo, che peraltro provengono da un unico principio, come se fossero membra di un solo essere vivente, sono vicendevolmente tra loro fuse per effetto dell’unica natura che le innerva. Proprio come accade in ogni essere umano per cui cervello, cuore, polmoni, fegato e tutti i restanti organi e parti scambievolmente concorrono al benessere e contestualmente patiscono nel caso un di loro s’ammali, lo stesso accade per le membra di questo smisurato animale: cioè tutti i corpi esistenti nell’orbe della terra fra loro interagiscono simpateticamente e da questa sorta d’affinità deriva l’amore universale e da questo ancora l’universale attrazione. Da qui proviene quindi che il magnete attrae in sé il ferro ed il Sole fa volgere verso il suo disco molti fiori: e alla stessa stregua esistono le piante eliotropiche, che cioè seguono il moto solare, come quelle selenotropiche le quali tengono invece dietro ai movimenti della luna.
Per siffatta motivazione è quindi fattibile il vedere in terra un Sole, una Luna e cose simili, ma sotto forma di terrena qualità, ed all’opposto si scoprono in cielo pietre, piante ed animali ma in correlazione ad una dimensione celeste: così che nelle cose più umili son da cercare e scoprire le superiori e viceversa.
Nessuno può negare che Dio ha sancito con immutabile sua legge che tutte le cose inferiori siano ancelle delle superne e che in ognuna d’esse abbia fatto fluire dal cielo una determinata forma e, al fine che giammai a qualcuna fra queste venisse meno la continua possanza riproduttrice, fissò ad una per una un seme generativo, di maniera che quelle creature che fossero esposte a mutazioni, attraverso un’interminabile catena, seguissero un invincibile processo di generazione e corruzione. Contro queste verità nessuno può dissentire, sempre che non ambisca a contraddire nello stesso tempo le norme sia sacre che profane, e deve per conseguenza far suo il principio che quel mirabile dualismo di Simpatia ed Antipatia, il quale coinvolge tanto i minerali che gli animali e le piante, da nient’altro dipende fuor che da un influsso siderale e da una particolare impressione, tanto per la conformazione tipica d’ogni specie quanto per qualsiasi individuale e singolare peculiarità. Donde deriva che mentre lo zaffiro non procura lesioni agli occhi ne fu trovato uno che appena posto dianzi è in grado di sopprimerne la funzionalità?
E parimenti in Austria i Gemelli, con entrambi i lati del disco solare, posti innanzi ad una qualsiasi porta ne facevano aprire i chiavistelli: cosa che certamente non manca di stupire. Veramente per i dettami della filosofia naturale m’è arduo dire in qual modo certe cose della natura si fondano od interagiscano.
Ciò che infatti è insito nelle varie cose o ne costituisce l’essenza od una qualche proprietà della medesima essenza od ancora in esse è insito qual forma o le tocca come trasmutando quanto si può trasmutare o, alternativamente, costituisce arte che opera nella materia a lei soggetta.
Pare che Mosè abbia nettamente individuati cinque principi tra loro connessi con decisione a coppie: cielo e terra, terra e vuoto, abisso e tenebre, Spirito di Dio ed acqua, luce e corpi.
Il primo modo di connessione viene designato in forza della terra inerte e vuota: questa risulta infatti inane e deserta qualora da qualche altro luogo non venga riempita di forme. Il secondo tipo di connessione si manifesta attraverso le tenebre sulla faccia dell’abisso. Il terzo in ragione della luce piegata ad opera dei corpi.
Il quarto modo avviene invece in forza di cielo e terra: quello infatti si unisce a questa, reciprocamente interagendo alla guisa di chi trasmuta, a motivo del doversi trasmutare un corpo fisico e terreno, e di chi patisce una qualche azione.
La quinta connessione si fa poi attraverso lo Spirito di Dio.
Ma vediamo adesso in qual maniera questi processi si compiono in pratica.
La terra è, come dice il termine che s’usa per nominarla, corpo, precisamente corpo terreno, privo di vita, esente da sensazioni, su cui gravano le tenebre, il torpore, la carenza di percezioni, l’assoluta immobilità.
La luce è al contrario vita che vivifica la terra, la fa muovere, ne risveglia le energie e la rende provvista di sensi e qualità percettive.
Il cielo per sua parte è anima e fonte di quella medesima luce.
Lo Spirito di Dio è, a sua volta, intelletto, lume del volto divino.
La ragione è frutto di questa connessione e conseguenza che collega al corpo, che pure ha le sue tenebre, alla luce, sì che poi tramite la medesima luce quello risulta connesso al cielo e di conseguenza, tramite questo, alla stessa sostanza spirituale come peraltro esemplarmente si evince dal seguente schema:
Abisso
Tenebre
Vita inerte Terra priva di sensi
Luce vegetativa che genera la Vita
Cielo fonte di Luce
Spirito
Vedi dunque ora secondo qual ordinato prospetto le creature conseguono reciproche e corrispondenti affinità?
Vedi il nesso e la copula della naturale benevolenza?
E la filosofia è dunque questa? potrà dire qualcuno!
Ma non è certo quella volgare che valuta tutte le cose col metro dei sensi, della materia e delle manifeste qualità: è semmai filosofia celeste, infinitamente più complessa e profonda.
Tra il corpo e l’anima, sostanze tra loro agli antipodi, vi fu certamente necessità d’un’intermediazione, resa possibile da una sorta di legame o collegamento in grado di mediare, onde contribuire all’interazione di tanto differenti nature: legame presumibilmente da identificare con quel tenue ma spirituale corpuscolo che tanto i medici quanto i filosofi son soliti definire Spirito.
Lo stesso Aristotele scrive che questo Spirito copulante è più divino degli elementi e, in modo proporzionale, corrisponde al cielo.
Come ogni siderale virtù viene guidata verso la terra dal veicolo della luce, così ogni potestà dell’anima, in definitiva la vita, con il soccorso dello Spirito luminescente, nel corpo terreno induce trasferisce movimenti e sensazioni.
Al fine che quanto ho appena detto riceva ulteriore fiducia e conferma nell’unanime opinione, possono altresì venir in questa occasione proposti alcune straordinarie esemplificazioni di Antipatia e Simpatia, peraltro abbastanza spesso addotte e da autori di rilevante autorità.
Mentre mi accingo a ciò, vi chiedo di seguire con estrema attenzione siffatte mie riflessioni. E’ per prima cosa da notare che una rilevante espressione di Antipatia si riscontra nei veleni. Tenendo anche debito conto di quanto dice Galeno nel suo libro sugli antidoti, si può ben vedere che contro qualsivoglia tossico non vale mai l’uso d’un antidoto qualunque ma piuttosto che ad ogni sostanza velenosa fa sempre da contraltare un contravveleno specifico.
Per esempio avverso il veleno degli Sciti, confezionato usando sangue umano e veleno di vipera allo scopo d’ungerne saette e dardi in maniera - orribile atto invero! – d’accelerare la morte di chi ne sia ferito, si dice che abbiano peculiare valore le cantaridi che, all’opposto, se usate contro altri tossici a ben poco servono, come ancora galeno annotò nel capitolo 29° del libro sugli antidoti e parimenti sancirono sia Paolo d’Egitna nel 5° libro della sua opera che Dioscoride, grossomodo nella parte iniziale del 6° libro del suo volume di medicina.
La spina caudale delle pastinace di mare o tritone costituisce il più terribile dei veleni per gli alberi ed infatti, messa sulle radici di questi, ne causa la morte come se le perforassero armi o dardi od ancora risultassero aggredite con fuoco e potentissimi tossici: e di ciò ha scritto Plinio Seniore nel capitolo 48° del libro 9° della sua “Storia Naturale”.
Lo stesso autore narra altresì che la ruta è assai efficace contro l’aconito (libro 20°, capitolo 13°), che il laserpizio rende inefficaci i veleni delle frecce come quelli dei serpenti (libro 22°, capitolo 23°), che il diamante annulla il potere dei veleni cui viene posto a contatto mentre anche ha la forza di sperdere ogni sorta di incubi (libro 37°, capitolo 4°). E all’autorità di tale studioso fa pure da riscontro la sperimentazione.
Galeno poi, nel suo libro sulla triaca indirizzato a Pisone, afferma che il trifoglio cotto e posto sui morsi della vipera ne estirpa i dolori mentre se viene applicato sul corpo di un uomo sano gli causa patimenti lancinanti e del tutto simili a quelli che colpiscono le vittime di tale rettile. Lo Scaligero nella sezione quinta, al numero 353 delle sue “Esercitazioni” tenta di supportare tale fenomeno con una qualche spiegazione: spiegazione che tuttavia risulta più sottilmente ingegnosa che realistica, perlomeno a mio avviso.
E tutto questo a proposito dei veleni!
Cosa mai potrò qui dire di quell’invitta e fortissima qualità del diamante, peraltro spezzatrice di tutte quelle cose che in natura non ne detengono la possanza? eppure essa viene annichilita dal sangue di caprone come anche può esser, addirittura, macerata entro il sangue caldo della bestia. E non costituisce forse pure questa un’esemplare testimonianza delle apparenti contraddizioni che sussistono in ambito naturale? Chi mai, infatti, di per se stesso sarebbe in grado di concepire od in qualche maniera giustificare razionalmente l’arcana essenza di questo straordinario potere, celato nel più infimo, vergognoso e disprezzato fra gli animali qual è il becco o caprone?
Ma come ancora scrisse Plinio Seniore tali insondabili principi non sono affatto da ricercare in alcuna parte specifica della natura: la loro intima ragione risiede semmai nell’alto dei cieli. Autori alquanto profondi e seriosi hanno quindi sostenuto che intercorra tanta Antipatia od avversione tra ilo magnete ed il diamante che se questo viene posto accanto al primo non gli consente di attrarre il ferro mentre se poi viene rimosso il magnete riacquista la sua forza calamitante.
Il leone giunge temibile per tutti gli altri animali: ed egli non ha alcun timore né della tigre che dell’orso. Eppure si spaventa di rimpetto al gallo, infinitamente più debole di quelle altre due fiere! Qualcuno ha cercato di individuare una qualche naturale spiegazione di questo fenomeno. Tutto ciò si verifica davvero, come è giudizio d’alcuni, in quanto dagli occhi del gallo sprigiona una certa qual forza ostile proprio al leone? In effetti questa ragione non deve provenire, però, da cause materiali e percepibili in forza di sensi e percezioni: ma nemmeno possiamo andarla a ricercare nel contesto di particolari e labirintiche elaborazioni concettuali!
Allora le motivazioni profonde di tutto quanto si è appena detto risiedono, piuttosto, in un ordine di cose superiore e celeste!
Proco nel suo “libro sulla Magia” sostiene una propria interpretazione in merito a tal fatto ed afferma che vi sono molti animali, come sono appunto leoni e galli, che partecipano d’una sorta di celeste virtù. Il gallo sarebbe poi temuto dal leone in quanto proprio lui al sorgere del dì sembra col suo canto venerare il sole sorgente: quando del resto un gallo vien contrapposto ai demoni solari, che hanno il volto a guisa di leone, siffatte diaboliche entità non esitano a fuggire. E questo accadrebbe, sempre a detta di Proclo, in quanto, all’interno dello stesso ordine di cose, quelle inferiori sempre cedono alle superne o quanto meno verso queste ultime assumono un atteggiamento di sudditanza e venerazione.
E’ poi nota l’ostilità che hanno i ragni nei riguardi dei rospi e dei serpenti. In particolare il ragno suole librarsi sul filo che tesse sin sopra il capo del serpente che vada a stendersi all’ombra dell’albero in cui egli si nasconde. Poi, con un violentissimo morso il ragno colpisce il rettile al cervello, in modo che la vittima venga colta da vertigini e, non essendo in grado di spezzare la ragnatela né potendo fuggir via, finisca in conclusione per morire.
E’ pure nota e documentata l’antipatia che governa le relazioni tra il frassino e il serpente che giammai osa sistemarsi all’ombra di tale albero ed anzi ne fugge; addirittura se lo si circonda con fiaccole accese il serpente piuttosto che rifugiarsi su frassino preferisce gettarsi nelle fiamme. Vengo ora invece a parlare dei vegetali fra cui intercorre grande ed evidente avversione.
La quercia, per esempio, fugge quanto nasce nell’oliveto ed inaridisce qualora vi entri a contatto od in qualche modo vi penetri. L’olivo infatti libera contro i querceti le sue radici che sono estremamente nocive e velenose e che risultano in grado di far morire gli alberi di quercia. Le stesse piante venendo poi a contatto di un albero di noce o muoiono e comunque restano per sempre malaticce oppure, al contrario, danneggiano similmente le piante dei noceti. Peraltro l’ombra di quest’ultima specie d’albero è piuttosto nociva per tutte le creature e qualunque cosa abbia toccata sul posto la invade con le sue tossine e le arreca danno con lo stillicidio visto che dalle sue fronde sempre gocciola un pernicioso succo.
E parimenti sussiste inestinguibile odio tra il cavolo e la vite. Quest’ultima con le sue contorte fronde e coi viticci avvolge ogni cosa ma sempre cerca di sfuggire al cavolo sì che quando lo sente a sé vicino subito si volge a crescere verso un’opposta direzione. E del resto se mentre si va cocendo un cavolo si versa nel calderone posto sopra il focolare un poco di vino sarà facile constatare che né la cottura va a buon fine né questo ortaggio conserva il colore che gli è comune. Sempre il cavolo si secca emure a causa del ciclamino e dell’origano mentre la vite si deteriora per il solo odore del lauro: altresì la pur forte cicuta risulta assai indebolita da qualsiasi contatto con il vino.
Il polipolio è invece talmente sgradito al granchio che, se gli viene accostato, quest’ultimo perde la corazza e gli artigli.
La felce e la canna reciprocamente reciprocamente non si sopportano e giammai si vedranno prosperare felci nei canneti o canne nei felceti.
Serissimi autori (Omero nell’”Odissea”, 10,11; Plinio Seniore al libro 28° della “Storia Naturale”, Dioscoride ancora nel terzo capitolo del suo libro di medicina) sostengono poi che l’alisso, l’iperico e l’erba di Moly son talmente odiose agli spiriti maligni che, al pari delle teste di lupo mozzate ed affisse alle porte di case e stalle, tengono lontani da uomini ed armenti i veleni, impedendo altresì che possano subire un qualsiasi maleficio di fascinazione.
Omero, espertissimo di magia, cantò come Mercurio avesse provvisto Ulisse contro gli incantamenti di Circe dell’erba di Moly.
Lasciando il mito greco ed avvalendosi invece dei testi sacri è da citare il passo in cui un angelo diede a Tobia una particella di cuore d’un pesce di fiume e che gli insegnò come gettarla sui carboni ardenti in modo che i demoni di qualunque stirpe, eccitati dal fuoco, venissero prontamente scacciati da chiunque avessero soggiogato, uomo o donna.
Non bisogna mai perdere la fede in siffatti amuleti, che fondano la propria potenza su una motivazione naturale: assunta in quantità lo loro sostanza da un lato si recuperano infatti le forze fisiche e dall’altro si sopportano vigorosamente gli assalti dei veleni.
Così la radice della bianca peonia e l’unghia d’alce sono avverse al mal caduco mentre i rami di quella spezia che è la nigella combattono i flussi del catarro: ed ancora lo sterco dei lupi giunge assai utile contro i dolori delle coliche.
Tutto ciò non avviene come alcuni, scioccamente, reputano per le energie di qualche incantamento: ciò accade invece perché dalle sostanze di siffatte cose promanano come una sorta di atomi che, inspirati, bloccano il cervello e per proprie naturali energie alterano le cause della malattia in essere. E’ per siffatta ragione che Galeno, documentatosi per via empirica, affermò che si deve avere grande fiducia nei talismani, valutando la qualità della sostanza di cui sono fatti e non le presunte parole incantatrici che qualcuno può pronunciare: e così si legge nei libri 6° e 10° della sua opera “Sulla medicina dei Semplici”.
Il contatto con la torpedine marina tridentata paralizza la mano del pescatore e quel pesciolino, che è la remora degli echeneiformi, ha il potere d’arrestare il corso d’una nave pur spinta da venti tempestosi: e tutto ciò non per vie magicamente oscure ma in dipendenza della ragione qui di seguito esplicitata.
Certamente è da ammirare tale prodigio della natura, che cioè un ben piccolo pesce – cosa che di fatto travalica tutti i portenti della terra – blocchi col suo solo aderire una nave per quanto grande sia e benché spinta sia dalla forza dei remi quanto dall’energia dei venti che ne gonfiano le vele. “Si narra” – scrive Plinio il Vecchio – “che nella pugna navale di Azio una remora tenne ferma l’ammiraglia d’Antonio mentre egli correva ad ispezionare ed esortare i suoi, finché non decise di passare su un altro vascello: e proprio per queste perdite di tempo la flotta ebbe il destro d’andare all’attacco con maggiore impeto. Ai dì nostri ancora una remora trattenne la nave dell’imperatore Caligola che da Astura tornava ad Anzio; e così questo pesciolino può anche costituire un presagio visto che quell’imperatore tornato a Roma venne subito dopo trafitto dalle sue stesse lance. Né lo stupore per quell’indugio fu lungo, ché subito se ne comprese la ragione, essendo sola in tutta la flotta la quinquereme a non poter avanzare. Balzarono allora subito in acqua gli uomini onde cercare attorno alla nave: essi trovarono quindi il piccolo pesce attaccato al timone e lo mostrarono a Caligola, indignato che fosse lì tutto ciò che lo tratteneva e contro di lui intralciava i servizi di ben quattrocento rematori. Di sicuro la cosa che più stupì fu che, restando attaccato, avesse trattenuto il grande vascello mentre, portato a bordo, non aveva più conservato tal grande potere”.
Ed in merito a ciò Lorenzo Lippi, interpretando Oppiano, ha così poeticamente scherzato: “Stendevano le vele, battevano coi remi/ C’era vento, stava per riprendersi l’interrotta navigazione/ Io solo potei trattenere la carena aziaca/ E fui capace di fermare i rostri dell’imperatore/ Io lunga appena mezzo piede: chi mai crederebbe/ Che questo mio corpicciuolo abbia saputo bloccare sì immenso vascello”.
In questo caso bisogna davvero riconoscere che la natura è alquanto misteriosa ed inesplicabile per via sperimentale.
A prescindere da quello che si è appena menzionato, in tutto ciò pare inevitabile dover individuare una sorta di fatale giudizio e di presagio, come se, conscia d’una qualche imminente sciagura, la remora desiderasse dare avviso del pericolo che si stava profilando. Essa peraltro trattenne anche gli ambasciatori di Periandro in merito al doversi evirare dei nobili fanciulli: quasi che la natura, giudicando indegno dell’umana condizione lo strappar via quanto le era stato donato al fine di generar la vita, arrestasse per tramite della remora la nave e ne interrompesse la navigazione. Parimenti fermò il vascello di Caio Cesare, poco dopo destinato ad esser assassinato aRoma: dolendosi della triste fine di Cesare ancora la natura parve volerlo distogliere dalla sua tragica fine e fece in modo di richiamarlo da quell’infausta navigazione.
Di queste notizie sulla remora si è quasi esclusivamente debitori verso Plinio Seniore. Per quanto invece concerne altri analoghi fenomeni si è poi verificato empiricamente che un cuore ancora palpitante di rondine restituisce, a chi se ne nutra, la perduta memoria potenziandone altresì l’ingegno e le facoltà intellettive. Inoltre il tiepido e tremolante cuore d’una tortora può invece giovare nella terapia delle febbri intermittenti e, posta sul ventre del malato, un’anatra viva ne dissipa le coliche intestinali.
Un ragno vivo, messo entro una teca di noce appesa al collo per via d’una catenina, è in grado di scacciare la febbre quartana: invece gli occhi delle rane, cavati mentre il sole va sorgendo e venendo quelle ancora vive ricacciate in acqua, legati a guisa di talismani - come pure i frammenti d’unghie dei piedi e delle mani del febbricitante allacciati sul dorso d’un granchio vivente, da rigettare subito in acqua assieme ad essi - hanno potere di contrastare felicemente la febbre terzana. Per via di semplice contatto con la parte malata il dente d’una talpa ancora viva riesce a sedare ogni odontalgia.
Un teschio [o calvizie?] umano può poi sanare dall’epilessia: invece un ossicino estratto dal garreto d’una lepre vince la nefrite e gli spasimi meteorici. L’intestino del lupo guarisce quindi dai dolori delle coliche ed il cuore di corvo può invece venir efficacemente utilizzato per impedire il sonno: al contrario quello del pipistrello concorre a procurarlo.
Le ossa della testa d’un cavallo infisse nell’orto sopra una pertica sono in grado di mettere in fuga i bruchi: la gramigna inoltre, avendo 7 internodi, risulta molto adatta quale talismano contro cefalee e mal di testa. Quindi l’erba bagnata con urina di cane, purché strappata ma mai recisa col ferro, è in grado, celermente, di sanare quasi tutte le lussazioni.
Quando fioriscono cicuta e viola avranno il potere di guarire quel malato che le toccherà: anche se si è venuti a sapere di qualche recidiva.
Inoltre giammai bisogna obliare ciò che Plinio Seniore (libro 24°, capitoli 17° e 19°; libro 25°, capitolo 4° e libro 26°, capitolo 4° della “Storia Naturale”) ha recuperato dalle grandi opere di Pitagora, Cratera, Democrito, Apollodoro, Cleomporo Medico e da altri studiosi ancora in merito alla straordinaria efficienza e virtù delle erbe.
Per esempio l’erba Adamantine, figlia della terra d’Armenia e Cappadocia, mette a dormire i leoni per lungo tempo.
L’Arianide che, di color fuoco, nasce nell’Ariana [regione orientale citata da Plinio, VI, 93], se vien colta quando il Sole sta nel segno del Leone accende per contatto tutti i legni che siano stati cosparsi d’olio.
L’erba eschinamene cioè pudibonda [forse la Mimosa asperata L.] si accartoccia tutta quanta se solo le si accosta la mano. La teangelide od erba messaggera degli dei, che cresce in Libano, Siria, Babilonia, nella Susiana ed in Persia, se bevuta consente agli uomini di divinare. La gelotofillide od erba che causa il riso [quasi certamente la canapa indiana o Cannabis indica L. ], che nasce nella Battriana e presso il Boriatene [oggi Dnjepr] assunta con vino e mirra consente d’avere delle visioni e non concede di por fine al riso che causa a meno che non si prenda qual rimedio un antidoto fatto di pinoli con pepe e miele in vino di palma. L’etiopide, che cresce nella Meroide [alla confluenza dell’Athara con il Nilo] se bevuta con vino mielato cura le persone afflitte dall’idropisia. L’ofiusa od erba dei serpenti sempre abbondante in Etiopia e ad Elefantina [isola del Nilo a valle della I cataratta] se bevuta procura terrore dei serpenti e può indurre al suicidio di modo che viene fatta assumere soltanto ai rei di sacrilegio: il vino di palma ne costituisce il principale antidoto. L’erba eliantea o fiore del sole, che cresce sui monti della Cilicia, qualora venga cotta con grasso di leone e con quanto ricavato se ne unga il corpo si conferisce a quest’ultimo un aspetto giocondo e casto: in antico era assai usata dai re Persiani.
I ragni falangi muoiono invece se messi a contatto con l’erba crocide o color dello zafferano [quasi di sicuro la Sirena muscipula L. dalle notevoli proprietà moschicide]: l’ossoteride invece [secondo alcuni interpreti il Nerium oleander L. ] irrorata di vino ha la proprietà di sedare la ferocia degli animali e di renderli mansueti. Si racconta altresì che qualora l’erba cresciuta sulla sommità d’una statua venga raccolta in un panno rosso ed utilizzata a guisa di talismano acquisti il potere di calmare prontamente le cefalee.
Si sostiene poi che l’erba che si coglie sulla sommità di qualsivoglia torre abbia efficacia contro tutte le forme d’angina a patto che sia bevuta con dell’acqua con cui ne sia stato fatto un decotto od una tisana.
Contro tutte le più gravi forme d’avvelenamento è sempre efficace l’erba Moly che è stata celebrata da Omero e che nasce nei pressi del Feneo e in Arcadia sul monte Cilene [ di questa, ritenuta la più potente fra le “erbe magiche”, né gli antichi né i moderni si sono mai accordati: oltre che Omero ne hanno scritto Plinio il Vecchio in vari luoghi ma soprattutto si veda N.H.,25,26, cap.8 ed ancora Teofrasto (IX,15,7) e Dioscoride (IX,47). La si è anche voluta identificare con l’Allium nigrum ]. L’erba etiopide ha invece la proprietà di prosciugare fiumi e paludi oltre che di far aprire col solo suo tocco tutte le cose che siano chiuse. L’erba achemenide [ incerto se sia di identificare con il Teucrium polium L. o con la Euphorbia antiquorum L. ] se gettata entro il campo dei nemici ne rende subito paurose le schiere e pronte a darsi a celere fuga. La Latice solitamente veniva data dal Basileo persiano agli ambasciatori perché, ovunque giungessero, godessero di gran abbondanza di cose. Antichi volumi di storia narrano che Publio Cornelio Scipione Emiliano sia riuscito a scardinare le porte di Cartagine servendosi di un’erba particolare e che le paludi pontine siano state prosciugate? Chi mai potrà intendere tutti questi misteri della natura? Chi mai fu capace di renderne note le cause? O qual peregrina congettura fu mai fatta di analizzare e studiare per via sperimentale questi prodigi? In verità coloro che son saggi e prudenti attribuiscono queste meraviglie naturali ai doni fatti all’uomo da qualche dio.
I talismani del mondo fisico dipendono da un ragionamento analogo a quello appena fatto. Come nel caso in cui la presenza del diamante arresta, convoglia ed alla fine imbriglia le potenzialità del magnete sì che questo più non attira il ferro mentre l’olio non consente all’ambra di calamitare a sé pula e pagliuzze.
Ora viene da chiedersi in qual maniera gli antichi pensarono di servirsi, onde confezionare rimedi e cure, di cose che fra loro potevano provare estrema avversione. In tale impresa comunque il successo tenne dietro a giuste congetture e così sarà lecito che nei rapporti simpatetici si debba soppesare con venerazione qualcosa che possiede le convergenti, duplici energie di rimuovere e scacciare un qualsivoglia morbo o malanno.
Si è peraltro in grado, ogni giorno, di verificare la mirabile sinergia esistente fra piante ed astri. Una grandiosa testimonianza documentaria della ritmicità solare è per esempio conferita dai fiori di cicoria, rimedio importante per tutti gli affetti da patologie del fegato, i quali si aprono quando il sole sorge e si contraggono invece al tramontare del suo disco.
Anche il lupino si muove di concerto con questa astro luminoso così che, anche quando il cielo è luminoso, segnala con giustezza ai contadini lo scorrere delle ore: e pure la malva si adatta alla periodicità del sole. E chi mai non si è accorto che l’erba aromatica del puleggio, spesso usata dai ghirlandai, fiorisce con le Pleiadi calanti ad occidente nel giorno del solstizio invernale?
A tutti giova poi il veratro nero adulterino, quello che fiorisce rigoglioso verso la fine di dicembre. Serissimi autori hanno quindi tramandato sin a noi che il lauro ed il fico non subiscono le offese del cielo tempestoso, come neppure il dorso del vitello marino e la pelle di iena od ancora la vite bianca. Proprio per siffatte motivazioni i naviganti han cura d’adornare con simili talismani le vele delle loro navi, in particolare onde non vengano colpite dal fulmine e per causa di ciò si inabissino. Di simili espedienti si avvaleva Ottaviano Augusto e pure Tiberio Cesare usò il lauro come amuleto portandolo a guisa di corona in modo da non venir mortalmente gravato dal tuono che segue ogni fulmine: quei talismani infatti non solo hanno potere contro il fulmine in se stesso ma parimenti contro quel terribile rimbombo che ne deriva quasi a piegare la natura tutta.
Esiste inoltre una mirabile simpatia tra i metalli e la divina bacchetta ovverosia quel rametto di nocciuolo a due punte con il quale i metallari o cercatori investigano i giacimenti ricchi d’oro o d’argento: e certo vanamente adoprerebbe il suo intelletto chi ardisse di scoprire la misteriosa causa delle qualità pur evidenti che concorrono in simile prodigiosa convergenza.
In verità stando a quanto si riesce a sapere da Orfeo, Teofrasto e Proclo la connessione delle pietre con gli astri e le entità spirituali è d’efficacia superiore a quella intercorrente tra pietre ed erbe.
Le pietre infatti interagiscono potentemente sia in merito ai nomi celesti che a riguardo degli animi degli uomini.
Il diaspro, ad esempio, non solo rende ben accetti i sacrifici fatti agli dei come l’agata non esclusivamente concilia i coniugi tra loro dissidenti: entrambi questi minerali, infatti, parimenti fanno sì che le supliche votive trovino il loro puntuale esaudimento.
Nessuno ardirà negare che le pietre e le gemme non usufruiscano d’una qualche compartecipazione degli influssi astrali. Basta al proposito menzionare quell’ago calamitato grazie al quale è possibile navigare ed indica costantemente la posizione della stella polare ed ancora la lunare pietra d’Arabia che si vede crescere o sminuire di massa in concomitanza con i movimenti e le fasi della luna. La gemma turchese la si vede poi mutare d’intensità, impallidire o perdere la primigenia luminescenza, quando la tiene su di sé qualcuno che sia dolente o malato. Ma ancora più stupisce il fatto che la trasmutazione, in fosco e bigio del colore di siffatta gemma, costituisce – come sostengono alcuni sapienti – una premonizione od un pronostico da relazionare a qualche sovrastante e prossimo pericolo.
Altri importanti investigatori scientifici sostengono che gli smeraldi giovano alquanto contro febbri e veleni: e pure si dice che questi, allorché vengano sopraffatto da qualche tossico, si frantumino e che la loro incontaminata, splendente purezza, per un minimo scotimento, possa trasformarsi in oscurità e bruttezza qualora chi li possiede si sia lasciato andare a qualche illecito e disgustoso congiungimento carnale. Gli smeraldi infatti, se messi in rapporto fisico con una qualsiasi depravazione e bruttezza morale, perdono ogni loro energia e per conseguenza di ciò l’originaria bellezza degrada celermente in orrore: sì che in alcuna maniera si deve dubitare che le pietre preziose non emettano una qualche, pur insondabile, energia.
Per quanto le gemme siano entità solide, tuttavia le mutazioni del colore primigenio ed il contatto per strofinamento liberano una peculiare energia d’ordine spirituale e la mettono in contatto con il cuore ed il cervello di maneggia tali pietre.
Non ritengo che possa esservi qualcuno che intenda adesso connettere a qualità manifeste ed empiricamente giustificabili questo menzionato rapporto di simpatia intercorrente tra pietre e stelle. Si tratta semmai di specificità incorporee che rappresentano gli organi operativi d’una natura ben superiore: specificità e peculiarità immateriali, inodori ed incolori che sarebbe davvero inopportuno se non ingiurioso soppesare col povero metro interpretativo dei quattro elementi.
Per via di questa simpatetica correlazione derivano quindi certi medicamenti e paranco le tecniche con cui liberare dai morbi chi ne soffra: in forza d’una quotidiana attività sperimentale e di ricerca si apprende poi che tali cose non interagiscono se non in quanto partecipano delle reciproche anatomie e del medesimo simbolismo.
E qui diviene necessario allora esplicare questa forma di relazione per similitudine con cui molto spesso il Creatore suole svelare i suoi arcani.
Tutte le erbe, i fiori, gli alberi, come ogni altra cosa che nasce dalla terra, sono segni magici dati da Dio stesso al fine di conoscere la vera medicina: essi costituiscono in ultima analisi una sorta di superiore comunicazione simbolica e cifrata.
I segni che la natura esteriorizza costituiscono di conseguenza gli indizi primari di una misteriosa, celeste possanza e, costantemente, l’intimo nucleo dei segni viene esteriorizzato in linea fisionomica. Da qui deriva che la cura di tante patologie, poiché queste derivano da un astrale influsso del macrocosmo, non si deve fare con metodi promiscui ed empirici ma, piuttosto, seguendo la direttrice delle stesse siderali interferenze, vale a dire utilizzando quelle cose che comportano analogia fra macro e microcosmo, in cui cioè sussiste l’autentica forza magnetica dell’universo e quindi l’impressione di opporsi concretamente ai morbi che giungono dalle dimensioni siderali.
Il marchio o sigillo di questa influenza, derivante dalla simpatetica connessione per forza di radiazioni interlaccianti astri e piante, lo scopriamo, ad esempio, alquanto evidente nella pianta officinale dell’ipericone e nella persicaria od erba glabra [Polygonum persicaria] : il primo risulta infatti perforato da minuscoli fori mentre sulle foglie della seconda si riconosce una macchia, quasi che vi fosse caduta sopra una goccia di sangue.
Ma simili segnature si scoprono altresì in piante come l’aro, la dracontea od altre ancora: si tratta di impressioni sempre utili all’individuazione delle distinte malattie. Non basta infatti al botanico studiare l’empirica natura dei vegetali, fermarsi al loro aspetto esteriore, descrivere esclusivamente le diversità fisiche e tipologiche sussistenti fra le piante. Contestualmente egli deve rappresentare la specificità visibile e constatabile di siffatte piante al pari di quell’intestino, profondo ed arcano principio operativo che è marchio tangibile della divina influenza.
E’ inevitabile e necessario che nella natura delle cose sia insito un qualche principio in relazione al quale per esempio la rosa non può fiorire in inverno: ciò complica l’immutabile marchio che diversifica tutte le cose, caratterizzandole, e nel contempo presiede alla generazione di nuovi individui in maniera però che giammai si possano creare nuove specie.
Ciò in effetti niente altro è che una sorta di balsamo radicale, vitale, spirituale, celeste, inizio di tutte le azioni naturali, unico e solo principio cui sono da correlare tutte le cose che non possono o debbono essere attribuite né a crasi elementare né a sensazioni od a qualità manifeste . Questo principio non degenera affatto con la corruzione delle cose cui presiede ma si avvale di elementi misti e variamente dissipati. In rapporto a siffatta quintessenza il seme di grano affidato alla terra marcisce, si liquefa, svanisce eppure di esso si conserva sempre e comunque un balsamo radicale in cui vige tanto l’anatomia che la possanza implicite nell’originario seme generativo ed in forza d’una diversa e distinta rivoluzione sua entro il teatro del mondo è fattibile fabbricare un corpo nuovo, acconciato a ben destinati servigi.
A questo principio vengono dati tanti nomi. Qualcuno lo chiama “balsamo della natura intiera”, altri lo definisce “zolfo vitale”, altri ancora “seme radicale” o “materia prima” o pure “balsamica mummia”. Si manifesta non in qualche umore materiale od in analoghe meschinità e piuttosto s’esprime in una sorta d’umidità superiore in grado di resistere con somma energia a tutte le offese che possono giungere dall’esterno, custodendo gli incontaminati marchi e segni che stanno alla radice della riproduzione di nuovi individui. Questo balsamo innerva tutta l’anatomia degli esseri viventi e delle piante anche se in alcuni individui si manifesta principalmente in un loro organo o parte, come per esempio il cuore, sì che in base alla diversità di impressione, influenza, confluenza, proprietà e distinzioni è in grado d’esercitare azioni diverse.
Così per la virtù di questo balsamo alcune piante e parti di animali sono in antipatia cioè in opposizione con determinati tipi di malattie; parimenti sempre per la possanza di siffatto balsamo radicale parti diverse, di alcuni animali, stanno in relazione simpatetica con porzioni od organi del corpo umano, contribuendo al suo giovamento, alla corroborazione e di più conservandolo nel vigore radicale.
Questo fenomeno risulta comprovato da un esperimento che io stesso condussi. Esso è come una sorta di liquore potabile, favorevolissimo a sostenere gli spiriti della vita e del cuore, capace di vivificare l’indebolita memoria, formidabile onde fortificare le capacità di giudizio, in grado di guarire cervelli colpiti da vertigini, paralisi ed epilessia, adattissimo a sedare e risolvere per sempre le coliche gassose o secche, la podagra od ancora la chiragra: e da queste postulazioni stia ben lontana qualsiasi suspicione, perché ho presso di me tante attestazioni di persone così variamente guarite da molteplici patologie.
Per attivare questo balsamo occorrono la buona stagione, un periodo esente da sconvolgimenti, corrosioni ed influssi maligni: tale essenza si compone del coinvolgimento di varie parti di esseri viventi, animali e vegetali.
Onde predicarne con giustezza io replico le mie riflessioni, affinché, soprattutto, in qualsiasi tempo, me ne occorra possa sempre averne in qualità ai miei servigi.
Sebbene alcuni, con vanagloriosa superficialità, derideranno le mie scoperte e proposizioni attribuendo piuttosto a sé il possesso d’ogni verità ed altri ancora osteggeranno siffatte mie postulazioni per il fatto che non sono in sintonia con gli assiomi di Ippocrate e Galeno ma semmai con il pensiero di Paracelso e Lulliano, preferisco attenermi alla realtà effettuale ed alla constatazione dei fatti, lavorando in sinergia con quanti si servono come me di siffatto balsamo medicamentoso, guarendo da tante malattie e celebrando così l’occulta grandezza di Dio: che i critici maliziosi ed ipocriti facciano pure la loro parte e magari riempiano il mondo delle proprie vuote e capziose speculazioni.
Veniamo ordunque a cose più importanti!
Dirò comunque che chi avrà disprezzata l’energia di tale balsamo radicale ed avrà sorvolato sulla potenza di segnature, marchi e sigilli insiti nelle cose neppure meriterà il nome di medico: ed ancor più giustamente ciò dovrebbe avvenire, voglio ribadirlo, se la preclusione avverso questo processo curativo straordinario da non altro motivo promanasse se non dalla convinzione, sbagliata, che Ippocrate avesse già elaborato tutte le nozioni possibili, certe ed immutabili, su le metodiche e le cure da farsi onde salvare i malati.
Nessuno può certo negare che morbi e patologie distinte siano connotate da sintomi e segni peculiari che permettono di riconoscerle. Bene! Segni analoghi si possono individuare nei simboli elaborati dalla natura, in modo tale che non è certo illecito affermare, per esempio, che un particolare malanno comporta uno speciale rimedio o che un rimedio specifico si adatta ad una particolare patologia: e sulla scorta di tali constatazioni ben si può notare che la pianta tossillagine è eccellente cura avverso l’ostruzione polmonare, in quanto detiene suoi caratteristici marchi distintivi correlati per analogia a tal malattia, e che la lingua cervina o la scolopendra convengono invece come rimedio della milza tumefatta ed offesa, in quanto recano in se stesse l’impronta di siffatto organo.
Donde per conseguenza si può poi sintetizzare il principio che il poter riconoscere dai segni la natura dei rimedi e contestualmente il possedere competenza delle simpatie come delle antipatie inerenti a tutte le cose costituiscano di fatto il massimo compenso per qualsiasi medico, al punto che, per gli effetti di tale dualistica sapienza, gli esperti di questa scuola di pensiero e tanti naturalisti risultano realmente in grado d’allestire straordinarie metodiche di investigazione clinica e di approccio terapeutico.
Atteso poi che in simile scienza, come in altre, non sussiste un modo di procedere assolutamente manifesto ma per lo più esoterico, tanti scettici ignoranti collegano la genesi di tali prodigiose azioni al concorso dei demoni o più esplicitamente d’una magia chiamata Gezia, di supposta matrice diabolica e connessa al culto dei morti. Si tratta infatti d’una pseudodisciplina magica intessuta d’invocazioni agli spiriti malefici e che mediamente viene praticata dai suoi superstiziosi cultori in prossimità se non all’interno stesso dei cimiteri: di essa vien ritenuta stretta parente la Necromanzia che appunto per i suoi rituali necessita del sangue dei defunti umani che sarebbe in assoluto quello più gradito dai diavoli, pur se al limite, in siffatte oscene cerimonie, lo si potrebbe sostituire con quello d’un nero caprone.
Culturalmente imbevuti dei postulati di siffatte forme di magia nera sono tanti, purtroppo, quelli che non riescono ad intendere come al contrario molte mirabili azioni siano finalizzabili senza alcun ricorso a soprannaturali malefici od a forze tenebrose, evocate fuori degli abissi infernali. I maghi farebbero allora parlare statue di legno o d’altri componenti materiali, sì da rispondere a determinati quesiti, e le renderebbero in grado di spostarsi da un luogo all’altro. Questi esperti di Magia Gezia, inoltre, conoscerebbero alcuni temibili segreti, inaccessibili per la via logico – razionale propria della condizione umana, al fine d’apprendere attraverso distanze e spazi smisurati quanto fatto e detto sin nelle più recondite contrade della terra.
Siffatte cose sarebbero senza dubbio conseguibili soltanto con il soccorso d’una mente assai più potente di quella d’un qualsiasi essere umano e, peraltro, al loro sfacimento occorrerebbe la capacità d’elaborare energie ben eccedenti le capacità e le possibilità naturali.
Ma l’autentica Magia naturale, che s’avvale limpidamente di cause usuali nel mondo della natura, non è invece altro che la raggiunta competenza dello stato d’accordo o d’avversità interagente fra pietre, erbe, minerali, animali, costellazioni: e l’approfondimento come l’insegnamento di tutte queste nozioni in alcuna maniera contraddicono agli ordinamenti divini.
E questa Magia da tutti i saggi, come dagli attenti investigatori dei cieli e degli spazi sublunari, fu sempre approvata qual forma di ricerca e di interazione capace di portare alla suprema celebrazione della potenza divina. A parere di tanti illustri sapienti quelli che la coltiveranno riusciranno a brillare sempre nel mondo conosciuto per la loro perizia di inconcepibili segreti. Purtroppo è da ammettere che al giorno d’oggi ben pochi la percepiscono in tutta la sua grandezza e, sventuratamente, si possono anche trovare uomini perduti che, attratti dall’ambizione e dall’uso di facili guadagni e successi, cedono la loro anima a forze oscure, non esitando a millantare il possesso di false conoscenze e mescolando, all’autentica perizia di controllare le energie dell’universo, quelle mortali, diaboliche, false e nefande conoscenze che suscitano in tanti l’idea d’una qualche identità fra Gezia e Magia naturale.
E, del resto, questione per nulla da obliare in questa mia dissertazione atteso che può illuminare alquanto, allo scopo d’esplicare vieppiù tutte queste riflessioni può sperimentalmente concorrere la valutazione della virtù sprigionata da anelli d’oro, d’argento, d’oricalco o di qualsivoglia altro metallo, dedicato all’astro di cui si voglia convogliare l’energia, in cui sia incastonata una qualche specifica gemma o pietra in maniera però che nello spazio cavo della montatura stia, sotto quest’ultima, quell’erba che al meglio interagisca simpateticamente con la stella. Autori di rilievo come Tralliano, Gordonio, Mosè ed altri ancora sostengono che un amuleto così confezionato giovi all’animo umano e guarisca da vari morbi.
Così Gige, re di Lidia, aveva fatta incastonare in un suo anello una pietra ricavata dalla testa d’un Drago e grazie a questa poteva rendersi invisibile: sia per uccidere il predecessore [Candaule] ed i suoi ministri sia, già prima, al fine di poter giacere impunemente con la sposa del poi deposto Candaule.
Peraltro Alessandro Tralliano ha lasciato scritto che l’immagine d’Ercole che soffoca il leone Nemeo posta ad ornamento d’un anello ha il potere di guarire dalle coliche. Altri poi ancora raccontano che il filosofo Eudemo avesse realizzato un anello contro i morsi dei serpenti, le fascinazioni e le malattie. Pure Giuseppe [Flavio] nel libro ottavo delle sue Antichità al capitolo secondo afferma che, alla stessa prese4nza dell’imperatore Vespasiano, una certa Eleazar, di stirpe ebraica, abbia applicato alle nari d’un ossesso un anello recante l’incisione della radice di Salomone e che in tal maniera sia risucita ad esorcizzare il demone infestante.
Lo stesso autore racconta altresì che Salomone fu espertissimo di Magia e che Mosé legislatore degli Ebrei, iniziato alla Magia in Egitto, abbia realizzato due anelli, dell’amore e dell’oblio. Mosé diede quello della dimenticanza ad una donna etiopica perché di lui potesse scordarsi e quindi lo aiutasse senza pericolo a ritornare in Egitto.
Tali oggetti, a differenza di quanto accusavano Apollonio e Lisimaco confutati però dallo stesso Giuseppe, egli tuutavia non li realizzò con il concorso di demoniaca superstizione ma semmai in forza dei nomi sacrosanti, delle preghiere e dell’implorazione degli Angeli buoni: e di ciò parimenti fanno fede le attestazioni di Eusebio nella sua Preparazione Evangelica (libro 8°, capitolo 2°), Giuseppe contra Appian. negli Atti degli Apostoli (capitolo 7): Plinio nel libro 3° al capitolo 1° della sua Storia Naturale sostiene peraltro che anche Empedocle, Pitagora, Democrito e Platone stesso avevano appreso la magia dai sacerdoti egiziani.
Da tutto ciò si ricava che non sono del tutto vane le cose che si citano sulla cura caratteristica che produce operazioni naturali, in forza di immagini scolpite od incise e poi appese al collo, tramite ilo perenne soccorso di quelle celesti proprietà degli astri concordanti per simpatia coi nostri corpi sublunari.
Neppure dirò che sono del tutto vani quegli amuleti che gli antichissimi studiosi della natura, per via di caratteri o sigilli, in certi tempi opportuni fabbricati conformemente agli influssi astrali, consacrarono al di fuori di ogni pratica superstiziosa, fatta eccezione per ciò che poteva derivare da una loro incolpevole ignoranza di questi misteri, senza profanazione del santo nome del Dio vero e lontano da qualsiasi offesa arrecabile alla religione.
Tali segnacoli fin a questi nostri tempi furono tenuti ben nascosti e spesso serbati sotto gran silenzio ad opera d’alcuni che ne hanno anche abusato piuttosto che farne uso con saggio discernimento, sì che, piegando il loro genio verso pratiche superstiziose e non comprendendo la vera essenza di questi sigilli, hanno avuto l’ardimento d’attribuire loro poteri mai concessi in verità da Dio fattore dell’universo.
Non è quindi giusto affermare che io attribuisco a siffatti talismani una propria autonoma forza: sono invece più direttamente portato a sostenere che tali caratteri o sigilli hanno una qualche energia solo a condizione che qualcosa d’altro e di ben sublime s’espanda in essi, atteso anche che figura, numero, grandezza, sito o soluzione dello continuo spaziale di per se stessi non detengono alcuna specifica potenzialità.
Squarciata la porta dell’umana invidia, ho comunque potuto acquisire in qual maniera la conoscenza del vero, che è una sorta di perfetta esaltazione delle qualità intellettive, risplenda in modo che sia sempre perfettamente distinguibile la distanza sussistente tra le verità della fisica e le superstiziose nefandezze e non solo per via di un procedimento puramente speculativo e gnoseologico ma altresì pratico, in relazione cioè a quanto risulti lecitamente fattibile adoperare sia in ricerca scientifica che in arte terapeutica.
In cielo ed in terra nessuna autentica virtù, possanza od energia s’espande se non ad opera del Dio vero. Così mentre i medicamenti sono corpi visibili ed incorporee le parole, sia che la cura provenga dalle erbe officinali o dalle parole, invero l’unica potenza terapeutica deriva comunque sempre da Dio: cioè lo Spirito di Dio, infuso nella natura, si manifesta attraverso il verbo in tutta la sua potenza.
Ne deriva allora che l’erba non è medicinale in sé ma assimila una peculiare qualità curativa in dipendenza dell’influsso divino. Proprio per tutto questo non bisogna giammai rigettare nell’Orco o deridere come vuote quelle cose che, all’investigazione sensoriale, ci paiono indecifrabili. Del resto chi non ha mai contemplato lo straordinario ma arcano potere delle gemme? Nessuno infatti può negare che in esse si celino infinite potenzialità, specie se le pietre sono state incise in rapporto a certe ben studiate congiunzioni astrali.
E, al modo da qualcuno peraltro proposto, sembra davvero insostenibile la giustificazione dei poteri delle gemme riconducendoli alla Magia nera o proponendone una sola spiegazione di tipo naturale ed empirico, anche se è certo che dalla scuola dei Maghi più volte si è tentato di cercare nelle pietre, scolpite coi segni siderali, un qualche pretesto per mettere in pratica certi superstiziosi incantamenti. Molti hanno potuto constatare che lo smeraldo, se lasciato alle dita del suo proprietario dopo che questo è morto, perde ogni lucentezza e degenera in color fosco.
Chi poi non valuta con meraviglia le energie espresse dal turchese?
Si possono peraltro proporre svariati esperimenti in merito alle gemme ed alle piante: e se non sempre si ottengono i risultati attesi o sperati ciò non significa affatto che i poteri loro attribuiti siano fittizi. Non tutte le cose esplicitano infatti le loro funzioni ma la rarità o l’eccezionalità dell’effetto non per nulla debbono indurre a credere che quest’ultimo sia da giudicare preternaturale o da correlare ad una causa forgiata di superstizione.
Le straordinarie proprietà d’alcune cose si manifestano infatti in stretta correlazione ad una debita applicazione delle cause naturali interagenti con oggetti già strutturalmente predisposti a recepire quelle peculiari azioni. Così risulta da folli attribuire a diaboliche macchinazioni quella misteriosa energia naturale che è invece un divino strumento di quella potenza di Dio, che infinite cose può fare senza alcun coinvolgimento di diavoli.
E parimenti sono privi del ben dell’intelletto tutti quelli che, dediti a pratiche superstiziose per la loro infinita e nefasta pochezza critica ed intellettuale, ostinatamente s’affannano a sostenere che certa naturale possanza promana da origini tenebrose.
E nel gran mare della follia parimenti navigano quanti non riconoscono alcuna energia alle piante se non quella donde promanano odori, colore e sapore: come se non potesse giammai intervenire quella naturale commistione delle entità siderali con le più elementari, proprio mentre la convergenze tra esperimenti e verifica critica degli effetti naturali si per sé prova che pure le piante, oltre che dalle fondamentali qualità tattili e sensoriali, sono innervate da occulte energie che, pure, nessun fondamento hanno nella superstizione, nell’apostasia e quindi nell’ipotesi d’arcane, magiche formulazioni.
Al di là di quella che abbiamo proposto, davvero ritengo temerario proporre altre cause: è facile negare che tale effetto naturale oltre che per virtù divina o di qualche ingegno superiore pssa esplicarsi per ragioni accidentali e fortuite.
Al fisico basta dimostrare sempre o comunque quasi sempre, che questo e quell’effetto sono conseguenze di motivazioni naturali.
E per quanto non si realizzi costantemente l’evento atteso, non per ciò è da confutare un preciso intervento della natura: del resto al soddisfacimento di un effetto straordinario, di quelli che cioè si reputano mirabolanti, raramente concorrono tutte le cause che, per quanto naturali, giammai risultano, volta per volta, tutte quante in sintonia con quello specifico, voluto risultato. Peraltro se naturale è l’effetto, identica deve essere la causa, e viceversa: in dettaglio l’effetto delle immagini incise sotto l’egemonia di particolari influssi astrali è assolutamente naturale: per logica conseguenza pure la causa deve allora esser la causa. E per quanto quest’ultima sia occulta, astrusa e pur lontana da potenzialità sensoriali di riconoscimento ed interpretazione, non per questo è da rimandare a qualche forza demoniaca.
Bisogna semmai valutare per via di quali soccorsi e cause concorrenti si estrinsechi un determinato effetto: da mirabili cause e da effetti naturali non bisogna piuttosto dedurre e predicare la straordinaria possanza di Dio che ha infuso, dal mistero in cui perennemente risiede, tante e ben mirabolanti virtù nella natura visibile? Appianati dunque questi interrogativi, per generare e custodire la vita nel migliore dei modi, per incrementare onori e ricchezze si fabbrica, quindi, un’immagine o sigillo del pianeta Giova e la si scolpisce in una pietra bianca o chiara, od ancora nell’argento puro se non nello stagno, proprio quando quel pianeta sta nella sua casa astrale, come anche nel Sagittario o nei Pesci, od ancora per esaltazione, nel Cancro, libero da qualsiasi impedimento, soprattutto dalle radiazioni negative di Marte o Saturno, nell’angolo orientale del firmamento od al suo centro, ascendente nel cerchio d’Auga [?], con corso diretto e veloce, senza mai esser combusto dai raggi del disco solare, nei lucidi gradi ad oriente che incrementano la fortuna nel erigono o nel sestile di Venere e della Luna: cose tutte che debbono essere ben valutate da studioso peritissimo nella scienza astrologica.
Tutti gli effetti contrari si avranno poi se Giove si troverà in positura diametralmente opposta, retrogrado, arso dal sole, tormentato da Saturno e Marte, in negativa posizione del cielo, non nella sua casa e tantomeno nell’esaltazione. Alla stessa guisa si fabbrica l’amuleto di Marte, quando si trova nella prima faccia dello Scorpione sorgente: ed esso ha forze contro la timidezza e la vigliaccheria.
A conciliare il favore di Re e Principi ed a curare i morbi caldi e che affliggono il cuore vale poi l’immagine del Sole, forgiato in purissimo oro, ascendente nella prima faccia del leone sì che lo stesso Sole sia forte e fortunato nel Leone.
Al benessere, alla bellezza ed alla forza del corpo concorre assai l’immagine di Venere, che tiene in mano fiori e frutti, ascendente con lei la prima faccia della Bilancia, dei pesci e del Tor5o. A potenziare intelletto e memoria serve quindi l’immagine di Mercurio che sorge con la prima faccia dei Gemelli o di Venere: invece contro le malattie, gli odi e per fare viaggi fruttuosi questo talismano è potente soprattutto se viene realizzato mentre l’astro di Mercurio si trova tra il grado 17 di Venere e la fine di questo medesimo segno.
Onde guarire dalla podagra serve senza dubbio la figura dei pesci incisa nell’oro o nell’argento, quando il Sole attraversa i Pesci nell’ascendente o nella decima casa, risultando libero da influssi negativi così come il signore del segno cioè Giove.
Se la Luna occupa la metà del cielo, non apparendo Marte né essendo retrogrado Giove mentre il Sole sta sopra la Terra, e viene forgiato l’amuleto dei Pesci, mentre la medesima costellazione sta nella sua prima faccia, se ne ricava allora, come da parecchio tempo si è appreso per esperienza, un potere analogo e notevole. Al contrario se quel talismano viene confezionato nel periodo in cui la costellazione dei Pesci si trova nella II faccia allora si ottiene da esso l’energia per guarire le malattie delle tibie: e se ancora la sia fabbrica essendo quel segno astrale in III faccia ne promana un potere speciale contro le malattie delle ginocchia e delle anche.
Contro tutti i malanni della gola e del collo si costruiva invece un amuleto di rame alquanto rosso, con l’incisione del Toro nella sua terza faccia, trovandosi il Sole sopra la Terra.
Avverso le malattie della testa, oltremodo difficili da curare, si deve invece realizzare un amuleto recante l’incisione dell’Ariete, di Marte e Saturno, volti l’uno verso l’altro, non trovandosi però giammai Giove nell’Ariete, Venere nello Scorpione, Mercurio nel Toro.
La stessa energia grossomodo avrà quell’analogo talismano confezionato poi nel tempo in cui l’Ariete è tra il I ed V grado della sua prima faccia, essendo il Sole nella medesima costellazione. Per conseguire beni materiali ed onori, curare le malattie fredde del cervello si deve invece realizzare l’immagine della Luna nel più puro argento o cristallo badando che tutto ciò avvenga essendo proprio la Luna nel Cancro, esente da ogni mala interferenza, forte e fortunata nel suo sorgere.
Sarebbe stato sperimentalmente comprovato che si ottiene un talismano dall’identico potere se lo si realizza trovandosi l’astro di Selene nel Toro, entro il cui segno si esalta.
Si dice che per curare le malattie del ventre giova assai la figura del cancro inciso nell’ora di Saturno. Trovandosi il Cancro in mezzo al cielo e Saturno nella II faccia si racconta che la figura incisa nell’oro prevale su qualsiasi altro amuleto nel concedere resistenza contro ogni malattia e liberando da molte di queste chiunque ne sia afflitto.
Onde dissipare tristezza e melanconia è sempre stato affermato che giova alquanto l’incisione del Capricorno purché il sigillo si costruisca nella prima faccia di tale costellazione, nel giorno del Sole o di Mercurio, essendo l’ora del Sole.
Vedo poi che per ravvivare i sensi illanguiditi e per sanare le malattie delle mani, soprattutto della destra, offre grandi vantaggi l’immagine del Sagittario incastonata nell’oro o nell’argento durante la prima faccia del primo grado, al quinto giorno del Sole ed all’ora dello stesso. Questo amuleto possiede la forza per vincere le infermità di Saturno, Venere e Marte ma è necessario che quando viene inciso, Saturno non sia retrogrado, che Marte non si trovi nella dodicesima casa come Giove non abbia ad essere nella quarta ed ancora che il Sole splenda sulla Terra.

[SIGILLI DI RAGAEL]
[L'INTERESSE DI QUESTA SEQUENZA DESCRITTIVA E' DATO DAL FATTO CHE IL
GOCLENIUS RIPRENDE NEL SUO TRATTATO ALCUNE MEDITAZIONI DELLA MAGIA NATURALE E IN PARTICOLARE SI RIALLACCIA AL PENSIERO DI G. CARDANO SUL POTERE DEI SIGILLI RECANTI SIMBOLI VARI, SOPRATTUTTO DEI SEGNI ZODIACALI ]
E questi che seguono sono i sigilli e le sculture di alcuni Pianeti e di diverse Costellazioni celesti scoperti da vari autori. Vengono da me proposti nell’ordine tramite cui furono registrate, passando di parola in parola e di trascrizione in trascrizione, quelle immagini che, se nelle gemme adatte vengono incise con reverenza e devozione (cioè senza occorrenza di superstiziosa temperie), detengono e producono forze eccezionali.
Dapprima, in merito agli arcani talismani dell’antichissimo e grandissimo Ragael, è da rammentare quanto qui di seguito è espresso:
Se in un rubino od in qualche altra pietra si inciderà un’effigie simile a quella d’un grande e bel Drago è da sapere che ne scaturisce un amuleto con la virtù d’incrementare il possesso di beni materiali sì da rendere il suo possessore gioioso e d’ottima salute.
L’immagine d’un falcone scolpita nel topazio concede invece il dono di sapersi conquistare i favori di principi e Grandi della Terra.
Incisa in un granato la figura d’un astrolabio ha quindi il potere di salvaguardare da malattie, avversità e disagi piccoli e gravi nei viaggi, chiunque ne sia il possessore.
Se fatta nel crisolito, l’incisione di un asino consente di far pronostici, evidentemente ad uso dell’umana stupidità visto che solo a Dio risulta possibile predire gli eventi futuri.
L’effigie d’un ariete o d’un uomo barbuto incisa in uno zaffiro consente di guarire e sanare da tante malattie come d’esser liberati dal carcere e dea vari tipi di molestie. L’immagine regale ha infatti il potere di far conquistare onori e dignità, venendo esaltato fin a superne altezze.
La figura d’una rana riprodotta nel berillio concede il potere di riconciliare gli amici anche solo toccandoli con essa: quella invece d’un Cammello o di due capre tra alberi di mirto, quando viene incisa nell’onice, permette d’evocare e controllare i demoni e, oltre a ciò, chiunque ne farà uso potrà vedere in sogno cose straordinarie e terribili.
L’incisione nel crisolito di un avvoltoio farà sì che si possano fermare i diavoli, difendendo pure contro spiriti malvagi ed infernali possessioni quel luogo qualsiasi in cui, volta per volta, sarà conservato o custodito siffatto talismano, che, per di più, ha la forza di piegare a sé molte creature dell’abisso facendosele serve.
L’effigie d’un pipistrello scolpita nell’eliotropio concede poi enorme capacità di resistere agli assalti demoniaci.
La raffigurazione nel corniolo d’un uomo ben ornato e che tiene fra le mani qualcosa di bello ha quindi la virtù di far coagulare il sangue, permettendo pure di conseguire alti onori. L’incisione in qualche pietra di un Leone o d’un Sagittario riesce efficace contro i veleni e libera dalle febbri. L’immagine di un uomo in armi, con arco e frecce, se incisa nell’iride può salvaguardare dai mali sia il suo proprietario che i luoghi ove questo si trovi.
L’immagine d’un uomo che regge una spada, qualora sia stata replicata nel corniolo, proteggerà il luogo in cui verrà a trovarsi, circostanza per circostanza, da fulmini e tempeste, altresì salvaguardando il suo proprietario da ogni maleficio d’asservimento.
Il toro inciso nello smeraldo si dice che soccorra con efficacia contro gli incantamenti e consenta pure di conquistare magistrature di grande rilievo.
Se nel berillio si inciderà l’immagine d’un’upupa che ha innanzi a sé dell’erba dracontea s’otterrà un talismano in grado d’asservire gli spiriti dell’acqua, obbligandoli a parlare in modo da rispondere a vari quesiti loro posti.
L’incisione dell’effigie d’un uomo che tiene levata verso il cielo una mano può venir scolpita nel calcedonio in maniera da costruire un amuleto che da un lato consenta di trionfare nei processi civili e dall’altro preservi il suo padrone da ogni incomodo e malanno durante i viaggi che possa fare.
Se si incideranno nella ceraunia i nomi di Dio s’otterrà un talismano con la virtù di salvaguardare tutti i luoghi sarà custodito: altrettanto, per via di questi suoi poteri, anche il proprietario di questo amuleto risulterà sempre salvaguardato contro le tempeste ed in più otterrà facili trionfi su tutti i suoi nemici.
La figura d’un orso, rappresentata tramite una scultura od incisione nell’ametista, genera invece il grande potere di fugare tutti i diavoli e preservare sempre il suo padrone dai malanni dell’ebbrezza. Se verrà scolpita nella magnetite l’immagine d’un uomo in armi s’avrà quindi un sigillo capace di rendere vittorioso in guerra colui che ne faccia uso.(Fin qui Ragael).

IMMAGINI OVVERO SIGILLI DI CHAEL
Chael, uno dei figli d’Israele, antichissimo dottore, trovandosi nel deserto fece scolpire molte figure secondo il corso dei segni astrali e dei pianeti. Scoprì d’ognuno di questi l’influsso peculiare e quindi, onde far conoscere ai posteri le virtù proprie delle loro scolpite figurazioni, compose un libro di cui qui riproduco alcune parti.
Benedetto sia Dio che tali virtù generò per il bene dell’umano consorzio (queste parole si leggono al principio del libro stesso di Chael).
Figura d’uomo seduto dietro un aratro, dalla barba lunga, il volto affilato e le sopracciglia curve, nel cui collo siano rappresentati quattro uomini dormienti e che tenga fra le mani una volpe ed un avvoltoio: una pietra così scolpita, se appesa al collo d’una persona, risulta giovevole nel caso questa voglia dedicarsi alla coltura di varie piantagioni oppure abbia desiderio di trovar tesori. Se poi, andato a dormire, il suo possessore metterà tal sigillo sotto il capo acquisirà la facoltà di vedere svariati tesori, conoscendone altresì il modo per recuperarli. E a questa pietra spetta ancora un’altra virtù, quella di guarire i bruti che bevano l’acqua in cui sia stata immersa, a patto che la stessa sia stata scolpita nel giorno e nell’ora di Venere.
Immagine d’un uomo - che porta al collo uno scudo, sul capo un elmo e regge una spada - nell’atto di schiacciare un serpente: se sarà stata scolpita nel giorno di Marte entro un diaspro rosso ogni volta che verrà al collo consentirà di superare tutti i nemici in battaglia.
L’effigie di un cavallo che porta un coccodrillo, se viene scolpita in quel genere d’ametista che vien detto Giacinto ha il potere di rendere, chi se ne orna, trionfante nelle cause civili, degno d’amore, morigerato ed amabile: se la pietra viene incastonata nell’oro incrementa poi i suoi poteri.
Il sigillo di corniolo recante la figurazione d’un uomo seduto con davanti la sposa che porta i capelli sciolti verso le reni, stando vicino a loro un proboviro che guarda verso l’alto, possiede la virtù di far acquisire al suo possessore la benevolenza di tutti quelli che con esso egli abbia toccato: a tal pietra deve comunque esser posposto un supporto d’ambra e terebinto.
Il sigilli d’ematite, con l’effigie di un cavallo che s’inalbera spumeggiante e che porta in groppa un negro ornato di scettro, conferisce la potestà di regnare e rinvigorisce la grazia perduta, a condizione però che sia fissato in un’incastonatura fatta con quantità d’oro e d’argento d’identico peso.
L’immagine d’uomo che sta seduto reggendo con la mano una candela, purché sia stata scolpita nel crisolito, rende ricco chi la possiede: a condizione però che la gemma sia stata collocata entro una cornice d’olio purissimo.
La virtù d’arginare i demoni, frenare i lunatici e quietare i frenetici vien poi data dal sigillo che porta impressa l’immagine d’un cervo o d’un cacciatore od ancora d’un cane se non di una lepre. L’incisione effigiante una donna, che in una mano tiene un uccello e nell’altra un pesce, purché incapsulata nell’oro puro, conferisce buona sorte nell’arte del pescare e della caccia.
Il sigillo bifronte che sul davanti reca la figura d’un cavallo e sul verso quella d’una capra, in qualunque pietra sia stato confezionato purché venga poi inserito entro un supporto ornamentale di piombo, concede successo nell’allevare ed equipaggiare animali o bestie di qualsiasi genere.
Le figure di una donna che, in groppa ad un cavallo, regge una tuba o d’un soldato che corre con un corno avendo innanzi un albero, prescindere dalle pietre in cui siano state incise, conferiscono, ai cacciatori che le possiedono la fortuna nel loro mestiere.
Allorché venga confezionata entro qualche pietra o gemma l’immagine d’un uomo genuflesso che guarda verso il cielo reggendo un panno procura a chi ne faccia uso grazia e ricchezza nell’arte del comprare e vendere qualsiasi cosa.
Le effigi d’uno Scorpione e d’un Sagittario fra loro pugnanti, una volta incise entro gemme di qualsiasi tipo e purché fasciate d’argento fino, rendono concordi i litiganti e generano amicizia fra quanti prima s’odiavano.
Allorquando nella pirite avrai disegnato l’immagine di un avvoltoio con un ramo d’olivo nel becco ed avrai quindi incastonata tal pietra in un anello d’argento sempre otterrai d’esser invitato a numerosi banchetti e comunque ti sparai guadagnare la stupita ammirazione di tutti gli uomini.
Renderai amiche le persone reciprocamente discordi e litigiose una volta che le avrai anche solo sfiorate con il sigillo confezionato con una pietra preziosa incastrata nell’argento ed effigiante la prodigiosa figura di un essere per metà Ariete e per metà Leone.
La gemma, scolpita nel Giacinto e posta ad ornamento d’un aureo anello, in cui son stati scolpiti dall’incisore un pesce, nella parte inferiore, e ,verso l’alto, una donna, che con una mano regge uno specchio e con l’altra un ramo, ha il potere di rendere invisibili, a patto che si ruoti l’anello sì che la pietra incisa tocchi il palmo della mano celato alla vista dalle dita chiuse a guisa di pugno.
La gemma in cui siano state incise nella porzione superiore l’effigie d’una femmina di basilisco ed in quella inferiore l’immagine d’un serpente detiene il potere di mettere in fuga qualsiasi animale velenoso.
Una volta che nel corniolo, sopra l’effigie d’una testa maschile d’uomo, sia stato scolpito un basilisco nell’atto di lottare con un drago, chi vorrà ornarsene il collo, per via d’una collana, da tal gemma avrà facoltà di trionfare su tutti gli animali, viventi sia in terra che negli abissi marini.
Una pietra di gagate o gaietto, in cui si siano incise le immagini di un uomo nudo e gonfio e di un individuo ben vestito che tiene in una mano una tazza e nell’altra un ciuffo d’erba, devi sapere che è in grado di liberare da ogni tipo di febbre chi l’abbia portata su di sé per almeno tre giorni.
Nessun uomo ardirà parlare male di te nel caso che ti sia provvisto d’una gemma che reca incisa una statua d’uomo dalla testa bovina e coi piedi d’aquila.
All’uopo di ben mercanteggiare serve invece una pietra di turchese su cui sia stato raffigurato un uomo che sta inginocchiato e guarda verso il cielo tenendo in mano un panno.
Prendi poi una gemma effigiante uno scorpione ed un sagittario in lotta, legala in un anello di ferro e cospargila di cera: quelli che con essa avrai toccati, anche se tra loro nemici, presto raggiungeranno la massima concordia.
Reciproca amicizia sorgerà pure fra quanti avrai sfiorati con una pietra, messa entro un anello d’argento, in cui si vedano le immagini di un ariete e d’un bue.
L’incisione nella pietra detta giacinto, chiusa entro un aureo monile, d’un pesce, nella parte bassa, e verso l’alto di una donna, che regge con una mano uno specchio e con l’altra un ramo, ha invece il potere di donare l’invisibilità quando la si desideri, a patto di coprire il sigillo di cera e quindi, con il dito, di nasconderlo entro la palma della mano.
Allorquando un qualche monile si siano rappresentati un uomo nell’atto d’arare con in alto e sopra di lui la mano benedicente di Dio ed una stella, a patto che della gemma sia sempre stato fatto un uso onesto, s’acquisterà il gran dono d’esser salvaguardati avverso tutte le calamità naturali, ottenendo, per di più, che giammai vengano dannificati i frutti prodotti dalla terra in quelle regioni e contrade in cui al momento ci si troverà.
Altro potente sigillo è quello con la raffigurazione di un giovane, incoronato e che sta seduto su un trono retto da quattro piedi, sotto un qualsiasi fra questi stia poi un uomo maturo, con le mani protese al cielo e che regge con il collo una portantina mentre un cerchio è inciso intorno al capo di colui che va sedendo. Se ordunque ti sarai impossessato di siffatta figurazione, realizzata in una gemma di bianco giacinto, provvedendo poi ad incastonarla in un argenteo anello, di peso identico alla pietra, oprando altresì in modo che sotto quest’ultima stiano un poco di mastice e di legno di terebinto, dopo che avrai fatto un sigillo nella cera e ti sarai curato d’appendere al tuo collo tal monile, risulterai in grado di far soddisfare da Re e Principi qualsiasi tua volontà.
Chi poi troverà e con sé porterà una pietra con l’incisione d’un serpente che porta sul dorso un uomo assalito da un corvo, abbonderà d’ogni bene, sarà astuto ed insieme prudente.
Se uno si impadronirà d’una gemma d’ematite, con l’incisione d’un uomo armato di spada che cavalca un drago, e curerà di legarla in un anello di piombo o di ferro, costui otterrà potere sui demoni ipogei, che gli riveleranno sia il luogo ove furono sotterrati gran tesori e parimenti la maniera migliore onde riesumarli.
L’immagine d’un uomo, con l’elmo in testa ed una spada nella mano, incisa in qualunque tipo di pietra ma sempre posta in un anello di ferro dal peso identico a quello della gemma, fa sì che nessuno possa giammai resistere in battaglia al suo possessore.
La gemma, di qualsiasi minerale e resa maggiormente efficace tramite il suo incastonamento in un anello ferreo del peso doppio del suo, la quale porta la raffigurazione d’un uomo barbuto, dal volto piuttosto lungo e con le sopracciglia incurvate, che fra due tori siede su un aratro, giova allo svolgimento di tutte le attività dell’agricoltura. Ma giunge altresì utile allo scopo di trovar tesori, combattere con fortuna, trasformare i nemici in amici, sconfiggere alquante infermità: davanti a chi la porterà con sé sempre fuggiranno tutti i serpenti e, nel contempo, il suo possessore avrà il gran dono di guarire anche gli epilettici. Se poi tal anello viene posto al collo di un abmbino, questo cesserà d’aver paura di demoni e spiriti malvagi ma saprà addirittura cacciarli nell’abisso e, poi, se con sé l’avrà qualche malato costui ne riceverà guarigione.
L’anello di piombo ornato di una gemma d’etite, in cui sia stata incisa un’aquila, ha il potere di rendere chi la porta con sé ben accetto ovunque e sempre amato dagli uomini, oltre che in grado di farsi obbedire da tutti gli animali.
La pietra preziosa, lavorata entro un anello d’argento, che rechi l’incisione d’una creatura per metà ariete e per metà leone consente al suo proprietario di rendere con lui concordi tutti quelli che avrà toccato con tale anello, anche se in precedenza gli fossero stati assolutamente avversi.
Porta poi sempre con te il segno del capricorno scolpito nel corniolo od in altra pietra: perché, se custodito in un anello d’argento, questo sigillo farà in modo che né a parole né con azioni i nemici portino ad effetto le offese macchinate a tuo detrimento. Grazie a tale sigillo nessun giudice giammai sentenzierà ingiustamente a tuo scapito: oltre a ciò la pietra ti consentirà di fiorire negli9 affari come nella buona reputazione, ti concederà l’amicizia di molti ed ancora farà cadere nel vano le fascinazioni e malie che eventualmente saranno state ordite a tuo danno.

SIGILLI OVVERO IMMAGINI DI ERMETE
Ermete nel XIV libro della raccolta dei suoi scritti ricorda invece queste immagini:
L’incisione, in quella varietà di berillio che è il diadoco, d’un uomo alto, su cui risplenda il disco solare, che, tenendo sotto i piedi un prostrato leone, con la destra regge un obolo e con l’altra mano un serpente, ha grande potere purché la pietra sia stata incastonata in un anello di piombo entro cui risultino inserite piccole quantità di radici d’artemisia e fieno greco. Chi la possiede risulterà in grado, stando sulla riva d’un lago o d’un fiume, di evocare gli spiriti delle acque ottenendone utili responsi per tutte le sue domande.
Ulteriore possanza ha il sigillo, inciso nel diaspro verde, in cui si può ammirare l’effigie d’un uomo, dai fianchi larghi e le robuste spalle, che tiene appeso al collo un fascio d’erba: sappi a chi possiede tal gemma è concesso di guarire i malati da ogni febbre di qualsiasi causa. Oltre a ciò se qualcuno esercita l’arte della medicina e porta con sé tale amuleto, acquisisce la facoltà di riconoscere tutti i tipi di malattia, apprende in maniera approfondita le qualità delle erbe medicamentose, ottiene gran perizia nella somministrazione dei farmaci, giova nella terapia di flussi sanguigni ed emorragie, sapendo subito arrestarne ilo pericoloso decorso.
Qualora nella pietra di mare sia stata invece incisa l’immagine d’una tortora e la gemma sia quindi stata posta ad ornamento d’un anello di piombo, s’otterrà il dono di non poter esser dannificato da chicchessia ed in più si riceveranno amore e predilezione dai più vecchi ed illustri oltre che da tutti i signori del mondo.
Chi recherà su di sé la figura dell’Acquario incisa nel diaspro verde risulterà fortunato nella mercatura, riceverà continue richieste di consigli e tanti altri commercianti porteranno i loro prodotti al suo domicilio.
Il sigillo rappresentante un uccello che tiene nel becco un foglio mentre una testa d’uomo va guardandolo, se inciso nel pangone [pietra preziosa citata da Plinio seniore ma a noi sconosciuta] ed incastonato nell’oro, può rendere ricco, opimo di beni e venerato da tutti il suo possessore.
L’immagine del dio Giove diademato e con le mani volte al cielo, assiso su un trono poggiante su quattro piedi avendo innanzi a sé quattro mortali, ha notevole potere se viene incisa entro una pietra di giacinto, purché lavorata nell’oro. Chi porti questo anello o se ne metta al collo l’impronta che esso lascia nella cera, otterrà che re e saggi lo soddisfino sempre di tutte le sue richieste.
La figurazione d’un uomo triforme, dal volto di leone e piedi d’aquila, che sta sopra un drago dalla coda stesa in tutta la sua lunghezza e che lo batte sul capo valendosi d’un bastone, se incisa nel cristallo o in qualche altra gemma e poi incastonata nell’oricalco, poggiando però su una base di muschio ed ambra, concede al suo proprietario di comandare agli spiriti sì da poter acquisire grandi poteri, spirituali e materiali.
Esiste altresì una gemma di cristallo in cui è effigiato un uomo che, sedendo su un’aquila, tiene fra le mani una verga: quando essa sia stata inserita in un anello d’oro o di rame, va a formare un sigillo che conferisce poteri di rilievo. Se infatti il suo proprietario lo guarderà nel giorno intitolato al Sole, appena questo sia sorto, otterrà la dispersione di tutti i suoi nemici, mentre se lo fisserà nel giorno di Giove meriterà facile vittoria in guerra, ottenendo vieppiù universale obbedienza: ma per giungere a queste risultanze quel possessore del sigillo avrà anche l’obbligo d’indossare candide vesti e d’astenersi dal mangiar carne di colombo.
Una volta che sia stato confezionato entro un anello d’oro, il sigillo di pirite, recante l’incisione di un cavaliere cinto di spada che regge con una mano il freno del cavallo e con l’altra un arco in tensione, conferirà a chi se ne farà ornamento la vittoria in tutte le battaglie e l’irresistibilità a scapito dei nemici.
E’ potente poi un altro sigillo, di giacinto o di cristallo incastonato entro l’oro ma che giace sopra un supporto d’ambra, aloe ed artemisia, recante l’incisione di una figura di donna con i capelli sciolti sul seno cui va accostandosi un uomo dal comportamento d’amante: se tu con simile gemma toccherai qualsiasi femmina ella subito si innamorerà di te ed inoltre, se metterai tal pietra sotto il tuo capo una volta che andrai a dormire, vedrai in sogno tutte le cose che avrai desiderato di poter conoscere.
V’è poi un sigillo, d’uomo che siede su un pesce mentre sopra la sua testa sta effigiato un pavone, il quale, se realizzato nel rubino e nascostamente posto sotto il tavolo d’un convito, impedisce di saziarsi a tutti i banchettanti che per mangiare facciano uso della mano destra.
Altri poteri conferisce quindi l’incisione raffigurante un uomo nudo alla destra del quale sta una fanciulla dai capelli raccolti introno al capo, sul cui collo un uomo, dal nobile aspetto, tiene poi la sua mano destra mentre poi le poggia sul seno la sinistra, sì che, nel far ciò, la giovane par, pudibonda, evitare lo sguardo di quest’ultimo piegando il capo verso terra. A condizione che siffatta scena sia stata scolpita in una pietra incastonata in un anello di ferro e che da sua base fungano pur minime porzioni di lingua di passero, d’upupa, di mirra, d’alluminio e di sangue d’uomo, colui che possiede ed usa simile talismano sempre sarà invitto ed irresistibile, inattaccabile anche per tutte le belve: inoltre, se con tale sigillo avrà marcata della cera rossa, otterrà il dono di giovare nella cura degli epilettici mentre, mettendo siffatta gemma incisa al collo di qualsivoglia cane, gli impedirà di latrare.
L’incisione di un uomo che regge dei fiori, a patto che sia stata confezionata in un anello di stagno realizzato alla quarta, ottava o dodicesima ora dei giorni della Luna o di Venere, concede inoltre di rendere obbediente chiunque sia stato toccato per via di tale sigillo.
Ve n’è poi un altro, in cui è rappresentato un uomo barbuto, col volto lungo e le sopracciglia increspate, il quale, tenendo in mano un avvoltoio, siede su un aratro fra una coppia di tori. Chi gestisce per suo tale sigillo, a condizione però che la pietra sia stata incastonata entro un anello di ferro, acquisisce grande scienza nella coltura di piante d’albero, vince facilmente il nemico in guerra, disperde col solo sguardo i serpenti, guarisce gli affetti da mal caduco, elimina le infestazioni causate da spiriti maligni.
Tutte le volte che venga scolpita in una pietra la figurazione d’un uomo che nella mano tiene alta sul capo una falce stando coi piedi sopra un coccodrillo, purché la gemma sia stata incassata in un anello di ferro avendo come base un ricettacolo di radice di squilla, chi ne farà uso avrà il potere di restare immune dagli assalti dei nemici personali e da quelli dei predoni durante i viaggi che potrà fare.
Qualora in un’ametista incastonata entro un anello da dito, ferreo o di piombo, sia stata incisa l’immagine d’un uomo armato di gladio che sta seduto sul dorso d’un drago, s’acquisisce il potere di farsi obbedire dagli spettri, al segno che debbano rivelare, a chi possiede quel monile, ogni sorta di nascosti tesori.
Ottiene sempre pesca fortunata, giammai vien ferito da belve e fiere, risultando altresì universalmente amato dagli uomini, chi detenga il sigillo che, nella forma d’un anello di piombo, veicoli entro una gemma d’etite l’immagine d’un’aquila.
La figurazione d’un uomo che con una mano governa una palma, qualora sia stata incisa in qualsiasi tipo di pietra, rende, chi la possiede ed usa, amabilmente gradito ai potenti ed ai principi della terra. Queste notizie si ricavano da Ermete.

IMMAGINI OVVERO SIGILLI DI THETEL
Thetel fu un antichissimo dottore che scrisse in merito alle incisioni delle gemme e, pure lui, sostiene che queste composizioni di figure, allorquando siano state scolpite su pietre dalle ben precise caratteristiche, scatenano immensi poteri.
Per esempio l’immagine di un uomo, dalla testa di gallo o leone e dai piedi in forma di vipera, che con la sinistra regge uno scudo e nella destra tiene un idolo o qualche cosa di guerresco, conferisce il dono d’un grande, e sempre trionfante, valore avverso tutti i nemici: l’incisione, da farsi sempre nel diaspro, dona inoltre al suo possessore forza terapeutica contro i veleni e con questa la capacità di fermare l’emorragia di sangue, qualunque siano i tipi e le sedi di ferite e lesioni.
Risulta poi in grado di discernere con correttezza incredibile ogni sorta di malattia, con in più la proprietà d’arrestare qualsiasi manifestazione emorragica, colui che detenga un’incisione nel diaspro entro cui si vede la figurazione di un uomo il quale regge sul collo un fascio d’erbe: corre peraltro voce che di questo sigillo sia stato possessore anche il celebre medico Galeno.
Sempre salvato dai rischi dell’annegamento, a detta di tanti eruditi, sarebbe quindi il proprietario di un verde diaspro che rechi scolpita l’immagine d’una Croce.
Se incisa nel crisolito, la figurazione d’una donna, che in una mano custodisce un uccello e nell’altra un pesce, dona al suo proprietario la capacità d’avere gran fortuna in ogni sorta di mercatura da lui praticata.
Un lupo effigiato in una gemma di diaspro fa sì che il suo possessore sappia difendersi sempre dall’altrui astuzia e malignità: la pietra in tal maniera lavorata è altresì in grado d’inibire a chiunque di perpetrare ilo peccato di blasfemia.
Detiene al contrario la qualità di guarire, liberandoli d’ogni possessione, tanto i lunatici che i frenetici l’immagine di un cervo scolpita parimenti nel diaspro.
Se una gemma, ancora di diaspro, custodisce l’incisa figura d’un imperatore, che sta ben ritto e col capo orgogliosamente eretto, essa complica la potestà di rendersi gradito ad ogni creatura e di veder soddisfatto qualsiasi desiderio espresso.
La figura di fanciulla che, vestita d’un abito ben dispiegato, regge in mano un lauro, qualora sia stata incisa nel diaspro, conferisce al suo padrone il dono di essere sempre salvaguardato contro i naufragi e gli annegamenti, di non poter giammai venir tormentato da qualsivoglia demone e di veder soddisfatte tutte le proprie aspirazioni.
L’incisione d’un’immagine maschile che custodisce fra le mani un palmizio su cui risultano esser state trascritte alcune parole, rende poi sempre amato dai principi della terra chi la porta con sé.

SCULTURE DI SALOMONE
Nel deserto, presso i figli d’Israele, venne trovato un libretto che, custodendo molte opere di Salomone, a costui fu attribuito. Si trattò comunque d’una falsa interpretazione atteso che il testo complica molte asserzioni non esenti di superstiziose credenze. Al libro fu comunque dato il titolo “I Sigilli incisi nelle pietre giudicati secondo la fede in Te, o mio Signore, ed in base al corso delle costellazioni celesti”.
Esiste un sigillo in cui è incisa la figura d’un uomo, col collo piccolo ed una barba lunga, che sta seduto tenendo in una mano una volpe e nell’altra un avvoltoio: l’immagine è completata da quattro figurine maschili che giacciono proprio sul collo di questo personaggio: è da sapere che siffatto monile concede l’autorità, se portato al collo, di primeggiare nella coltivazione di qualsiasi pianta ed oltre a ciò di trovare e riesumare tanti tesori. Per conferire a tal sigillo tutta la possanza che è in grado di sprigionare bisogna però prendere della purissima lana nera, senza alcuna traccia di tinture, e con essa si deve avvolgere la pietra recante l’incisione, che è poi da sistemare tra un po’ di pula del tritico: fatto questo, messo quindi al collo l’amuleto, si avrà possibilità di visualizzare nel sonno tutti i tesori custoditi nella regione in cui ci si trovi. Contestualmente a tale sigillo spetta la forza terapeutica di sanare i tormenti d’ogni sorta d’animale, a condizione che la bestia da curare beva dell’acqua in cui sia stato tenuto immerso quel talismano.
Chi indossa una collana, terminante con quell’amuleto – sigillo in cui risulta scolpita l’effigie d’uomo clipeato, con elmo e spada sguainata, che – dominante – calpesta un serpente, non avrà da temere mai alcun nemico e sarà vincitore in tutte le competizioni, specialmente in quelle guerresche: è comunque necessario che la gemma incisa sia stata preventivamente incastonata in un manufatto di rame o di bronzo.
Chi invece porta con sé un sigillo di giacinto bianco in cui si vede scolpito un cavallo sul dorso d’un coccodrillo ottiene la potestà di rendersi amabile sia per gli uomini che per tutte le bestie.
Esiste poi un sigillo di corniolo posto dall’artefice in una cornice aurea di simile peso tramite un supporto d’ambra e d’erba betonica. Tramite questo amuleto, in cui è incisa la scena che contrappone un uomo seduto ad una donna la quale porta i lunghi capelli sciolti sin all’osso femorale e che volge lo sguardo al cielo, si può soggiogare alla propria volontà qualsiasi essere umano, tanto maschio che femmina.
Il sigillo d’ametista incastonato in una quantità d’oro o d’argento dal doppio peso, ove è inciso un cavallo scalpitante in compagnia d’un uomo che sopra di sé regge uno scettro, consente al proprietario che lo indossa di migliorare tutte le sue cose e di rendersi obbedienti sia principi che primati.
Se in un diamante compare invece l’incisione d’un uomo dalla lunga barba e con un po’ di sangue intorno al collo è da sapere che il suo proprietario da un lato sarà favorito per conseguire vittoria con l’audacia e dall’altro avrà il potere di salvaguardarsi da ogni lesione: oltre a ciò l’amuleto è in grado di far ottenere la grazia da parte di tutti i principi.
L’amuleto di zaffiro con l’effigie di un uomo che gioca con vari strumenti rende chi lo possiede estremamente gradito a tutti gli altri uomini.
Se in una gemma d’agata compare l’incisione di un gallo oppure di due ragazze, chi lo detiene diventa caro tanto a Dio che agli uomini.
Il leone inciso in un granato offre beni ed onori, rallegra il cuore e caccia ogni tristezza.
La pietra onice scolpita sì da portare l’immagine d’un cervo o d’una colomba offre al suo padrone gran forza nel combattere i diavoli (il rimedio più comune in ciò resta comunque la parola di Dio). La raffigurazione di un uomo, dai connotati del mercante, che va a vendere oggetti e prodotti diversi d’un altro individuo che sta invece seduto ai piedi d’un centurione, una volta che si trovi scolpita in uno smeraldo non solo libera dalle sofferenze ma concede di ottenere vittoria e ricchezze nelle imprese compiute.
Se nel magnete si trovano le incisioni di un toro o di un vitello, siffatto sigillo conferisce al suo proprietario viaggi fortunati e possanza contro ogni incantamento.
Il sigillo di diaspro scolpito con la figurazione di un cavallo o d’un lupo ha il potere di cacciare le febbri e d’arrestare le emorragie.
Il sigillo di topazio in cui appare disegnato un uomo incoronato fa sì che il suo proprietario sia buono, morigerato, prediletto da Dio e dagli altri uomini: l’amuleto inoltre offre a chi ne faccia uso onori e gran dignità.
Se nel sardonice o nell’ametista viene incisa la figura di un uomo armato che tiene sfoderata la sua spada, è da sapere che il proprietario di tale sigillo ottiene i pregi d’una formidabile memoria, al contempo divenendo assai prudente e saggio.
Il sigillo di calcedonio in cui sia stato effigiato un cervo, oppure un cinghiale, concederà d’incrementare le proprie ricchezze a quel proprietario che porrà l’amuleto nella cassetta busata per la custodia del denaro.
Una gemma di diaspro incisa con l’effigie d’una lepre impedirà al suo possessore di subire patimenti ad opera dei demoni.
La locusta di mare incisa nel berillio permette invece di confezionare un amuleto che ha il potere di sedare ogni sorta di rissa. La figura dell’uccello di Pallade, nicticorace o civetta, completa un sigillo che rende il suo proprietario sapientissimo e facondo nella loquela.
Il sigillo, di qualsiasi pietra, caratterizzato dall’incisione di un pavone ha il potere di rendere agiato il suo possessore.
Astuto, vittorioso in tutte le competizioni ed anche amabile diviene chi gestisce quel sigillo che reca il disegno di un uomo armato di gladio che uccide un leone od altra grande fiera.
Nella propria regione diventa universalmente apprezzato e potente, oltre che facile vincitore tanto nelle battaglie campali che in quelle del tribunale, colui che tenga presso di sé il sigillo completato dall’incisione d’un uomo che tiene un lauro od una palma nella mano destra.
Il sigillo inciso con la scena d’un uomo alato che calpesta un serpente, tenendone nelle mani la testa, rende il suo possessore alquanto ricco oltre che prudente e amato da tutti.
Serve poi a conquistare ricchezza l’amuleto fatto da una gemma portante ilo disegno d’una formica che porta una spighetta od un granello di tritico.
La figura d’un gallo che, col suo rostro, trattiene una corona od una cintura concederà facile vittoria nella monomachia o duello.
Quella d’uomo triforme, con capo bovino e testa d’aquila, va quindi a formare, con la pietra incisa, un sigillo del cui possessore è impossibile che qualcuno parli male.
Metti quindi al collo, prima d’andare a combattere, il sigillo in cui sono raffigurati un basilisco ed un drago che combattono alla presenza d’una testa bovina: sarai allora in grado di sconfiggere qualsiasi animale, sia terrestre che marino.
Un sigillo di gaietto, incastonato nell’oro, recante l’incisione d’un uomo nudo che solleva con una mano una coppa e con l’altra un cespo d’erba, libera subito da ogni febbre chi lo indossi. L’amuleto di diaspro rosso recante l’effigie d’un uomo che siede su un pesce una volta che viene nascosto nelle vesti di qualche commensale gli impedisce di satollarsi se per mangiare vuol usare la mano destra.
Esiste un sigillo, di giacinto, granato o cristallo, incapsulato in un anello d’oro dall’identico peso della gemma, che reca il disegno d’una donna coi capelli sciolti ed il seno denudato, innanzi alla quale sta un uomo che la fissa con intensità: se il supporto della gemma sarà stato realizzato con ambra, aloe e polipolio il possessore di tal monile, oltre che di risultare gradito a tutti, otterrà di vedere in sogno, purché dorma poggiando in qualche maniera il capo sull’amuleto, qualsiasi cosa avrà mai desiderato.
Se troverai incisa in una gemma di pirite incastonata in un anello d’oro la raffigurazione d’un cavaliere cinto di spada, col ferro in una mano e l’arco nell’altra, potrai constatare che il suo proprietario sarà imbattibile in guerra: nel caso poi che l’anello venga immerso nell’olio muschiato tutti avranno terrore di lui e, addirittura, se poi si ungerà il volto con quell’olio lo stesso possessore del sigillo risulterà irresistibile per qualunque avversario.
Può però capitare di imbattersi in una pietra di magnete recante una scena incisa entro cui compare un uomo nudo alla cui destra sta una ragazza parimenti senza vesti e coi capelli legati intorno al capo: l’uomo con la destra le tiene il collo e quindi pone la sua mano sinistra sul petto della fanciulla fissandola negli occhi, che però lei distoglie, piegando la testa a guardare verso terra. Avendo cura d’innestare la gemma entro un anello di ferro e stando attenti ad introdurre in quest’ultimo lingua d’upupa, mirra, allume e del sangue umano in quantità pari per peso a quello della summenzionata lingua, si conferirà a chi porta il monile la possanza di sconfiggere qualsiasi avversario tanto in guerra che in altre contese: oltre a ciò né ladri né fiere potranno mai entrare a far danni nell’abitazione in verrà custodito il talismano e, di più, mentre guarirà l’epilettico che berrà l’acqua in cui l’amuleto sarà stato immerso, per altro verso cesserà di latrare fastidiosamente quel cane al cui collo sarà apposto il marchi di cera rossa impresso per forza di tal sigillo.
Il sigillo fatto poi di qualche pietra preziosa incisa con la rappresentazione di un soldato che corre su un cavallo, tenendo al collo un corno ed avendo innanzi a sé un albero, conferisce grandi qualità nell’esercizio di qualsiasi genere di caccia.
Quello invece, di cristallo incastonato nell’argento, che veicola la figurazione d’una donna che con una mano tiene un uccello e con l’altra regge un pesce, giova specificatamente per chi voglia cacciare o catturare dei volatili.
L’uomo biforme, con la testa di porco, è disegno proprio d’un sigillo molto utile per acquisire ricchezze sempre maggiori.
L’immagine d’un’aquila scolpita in una gemma di cristallo dona al suo possessore ricchezza, vittorie e doti retoriche.
Il sigillo, fatto di qualsivoglia gemma posta a coronamento d’un anello di piombo, in cui si veda l’animale biforme per metà cavallo e per metà capra conferisce la capacità di saper domare qualsiasi animale selvatico.
Chi porta in un anello di piombo un sigillo di pangone coll’effigie incisa d’una tortora giammai potrà essere ferito e non patirà alcun male dagli altri, venendo piuttosto onorato da tutti e particolarmente dagli anziani.
Il sigillo inciso nell’oro con l’effigie d’un uccello che tiene nel becco un foglio, stando al suo cospetto una testa d’uomo o d’avvoltoio, concede al suo possessore fortuna, successo e credibilità nell’arte del commerciare.
La scultura, entro un sigillo di cristallo, d’un essere bicefalo, dal muso di leone e di drago, e d’un uomo che con un bastone percuote la testa di leone, se viene incastonata nell’oricalco, curando però che alla pietra faccia da supporto un poco di muschio e d’ambra, concede che tutti obbediscano al suo possessore e donano a quest’ultimo la capacità d’incrementare le sue facoltà: le stesse proprietà del sigillo giungono poi al marchio di cera rossa timbrato per suo mezzo.
La figura del cavallo alato detto Petaso, se incisa nella pietra d’un amuleto, giova ai combattenti e nella battaglia campale dà il dono dell’audacia e della celerità nei movimenti guerreschi. Il sigillo, inciso con le figure d’un uomo e d’un serpente che a spire ne avvolge il viso, consente a chi lo usa d’ottenere vittoria in uno scontro campale.
La figurazione entro un sigillo d’un albero, d’una vite e d’una spiga, dona a chi loo detiene abbondanza nel vitto e nell’abbigliamento oltre che benevolenza presso i Principi della terra. La gemma di diaspro, scolpita con le immagini di Marte in armi e d’una fanciulla che, ornata di stola su una veste dai lunghi giri, tiene in mano un ramoscello di lauro, concede al suo padrone di portare a perfezione l’uso delle armi, liberandolo altresì dai perigli del rischio d’annegare e d’altre avversità ancora.
Il sigillo d’ametista, in cui si vede un cavaliere armato di lancia, concede a chi se ne adorna di trionfare negli scontri guerreschi di terra.
Il talismano inciso con l’immagine di Ercole che, reggendo nella destra una clava, uccide il Leone nemeo od altro mostro, dona al suo possessore il trionfo nella pugna campale.
Il sigillo che porta l’effigie di Giove, in forma umana ma con testa d’ariete, è in grado di rendere chi ne faccia uso gradito a tutti e capace di vedere esaudite tutte le sue petizioni.
L’amuleto di cristallo, inciso con la figura d’una vergine o d’una fanciulla che sorregge una lampada, ha quindi il potere di salvaguardare il lume degli occhi di chi ne sia in possesso.

SEGUONO LE SCULTURE E LE IMMAGINI DEI PIANETI E DEI SEGNI DELLO ZODIACO E DEL FIRMAMENTO
L’incisione, in qualsivoglia genere di pietra preziosa, dell’ignea triplicità, cioè dell’Ariete, del Leone e del Sagittario, giova contro tutte le malattie causate dal freddo, è utile avverso le febbri flegmatiche e, per la proprietà dei Pianeti che tengono il dominio in quei segni, rende chi la possiede grato a Dio, abile parlatore, uomo d’ingegno e in grado di conquistare facilmente onori e dignità: per conseguire siffatta efficacia l’incisione deve però essere eseguita in maniera da costituire un triangolo di cui il Leone occupi il vertice, l’Ariete l’angolo destro ed il Sagittario quello di sinistra.
Le raffigurazioni in una gemma della terrestre triplicità, vale a dire quella del Toro, della Vergine e del Capricorno, dona invece aiuto contro tutte le malattie connesse al caldo e all’umido e determina propizia inclinazione, a vantaggio di chi ne faccia uso, per l’agricoltura tanto sotto la specie dell’arare, che del piantare o del seminare e curare le vigne e svolgere consimili attività. L’incisione della pietra deve comunque sempre andare a formare un ideale triangolo la cui sommità sia tenuta dal Capricorno, stando poi Toro e Vergine, rispettivamente, agli angoli di destra e sinistra.
Dell’aerea triplicità, e quindi d’Acquario, Bilancia e Gemelli, la gemmea incisione ha quindi il potere di scacciare le afflizione tutte del freddo e del secco che traggono origine dall’umore melanconico ed inoltre è, specificatamente, efficace contro la febbre quartana: onde abbia tal possanza, l’incisione è da farsi in maniera che il vertice alto d’un triangolo sia sede per la Bilancia, trovandosi invece l’Acquario nell’angolo destro ed i Gemelli in quello mancino.
La raffigurazione in una pietra preziosa dell’acquea triplicità, e quindi di Cancro, Scorpione e Pesci, salva dai morbi caldi e secchi, come l’ectica o febbre tenace e putrida, e dalle patologie del colera: ha però l’effetto di rendere il suo possessore incostante, ingiusto ed odiatore della verità. Per possedere forza il monile deve essere inciso con un triangolo che in alto porta la casa del Cancro, nella base, a destra, quella dei Pesci e finalmente a sinistra della stessa base la casa di Marte [!].
La figura di Saturno scolpita nelle pietre è così fatta: un vecchio che regge con la mano una falce e porta una barba non molto folta. Tal effigie incisa in una pietra in merito alla natura di Saturno ha il dono di fare potente chi la possiede concedendogli il destro di incrementare in continuazione tal sua possanza.
L’amuleto recante l’immagine di Giove è distinto dall’incisione di un uomo che siede in trono, o su un seggio a quattro piedi, e che tiene con una mano una verga e con l’altra un globo: ma può anche reggere un idolo, Cancro o Pesce, avendo un’aquila davanti ai piedi. Presso i dottori di magia Giove è anche altrimenti figurato quale uomo biforme dal capo d’ariete, coi talloni grinzosi ed il petto sottile. Nell’evenienza poi che il talismano sia stato inciso in una gemma krabati [?] esso è in grado di concedere fortuna, amabilità, grazia da parte dei religiosi, onore e varie dignità.
Molte pietre preziose recano l’immagine di Marte ora effigiato con un vessillo in mano, talora fornito di lancia o d’altro strumento di guerra: sempre armato comunque e qualche volta anche sul dorso di un cavallo. Questo amuleto rende chi lo porta audace e bellicoso, in particolare se l’incisione è stata fatta su una gemma cui son riconosciute identiche qualità.
La rappresentazione del Sole avviene in molteplici maniere, talvolta quale cerchio concentrico da cui promanano raggi, talaltra a guisa d’uomo seduto su un trono coi capelli lunghi e sciolti e la veste sparsa al vento, oppure alla guida d’un cocchio trainato da quattro cavalli che corre fra i 12 segni dello Zodiaco. La gemma dell’amuleto ha la riconosciuta proprietà di rendere il suo padrone capace di dominare gli altri ed altresì risultare ben accetto ai Potenti della terra.
Son pure di vario tipo le incisioni di Venere che tuttavia più di frequente è rappresentata come una fanciulla, coperta di una magnifica veste e splendida stola, che regge nella mano un ramo di lauro. Tal gemma, mentre per un verso è in grado di conferire a chi la usa rapidità d’agire e capacità di ben finalizzare le proprie iniziative, per altro aspetto riesce a disperdere la paura di morire sommersi dalle acque e ad incrementare l’onorabilità delle donne.
L’incisione effigiante Mercurio è quella di un uomo dall’esile petto e la bella barba, fornito di calzari alati e che regge il caduceo mentre un gallo gli sta davanti ai piedi: può trattarsi alternativamente di un serpente ma, in questo caso, sotto i piedi. Questo amuleto è estremamente utile sia per eccellere nella scienza oratoria che per ottenere successi nella mercatura.
Molte son pure le incisioni della Luna: talora viene raffigurata come il pianeta che si vede coi due corni, talaltra su un carro, quale fanciulla con cani o faretra oppure come ragazza con cani che inseguono un cervo. Questo talismano riesce a dare la capacità di ben comandare le legioni, ricevendone beni ed onori, oltre quella d’essere celeri ed efficaci nell’azione sì da condurre tu8tte le proprie gesta verso la sperata, felice conclusione.
In verità i sapienti di questa materia comandano, come peraltro si è già scritto, che il pianeta, la cui immagine si desidera incidere in un anello conveniente, si trovi disposto al meglio, cioè non riarso dal sole, retrogrado, oppresso o colpito da raggi di maligne influenze ma in un buon luogo del cielo, verso oriente se non a mezza volta celeste, in compagnia di Giove o Venere e nei gradi essenziali. Per quanto concerne le restanti cose gli antichi in questo modo realizzarono l’immagine dell’Orsa: Essi scolpiscono due orse avvolte dalle spire d’un serpente e mentre l’orsa maggiore si trova all’inizio di quelle spire, la minore è trattenuta verso la coda. Questa incisione, propria di qualche gemma, rende chi la possiede, e ben la usa, sapiente, astuto e potente. L’immagine della Corona ha somiglianza con quella della corona regale ma con più stelle e talora, nella similitudine, viene effigiata per mezzo della testa di un re incoronato: essa si trova nella parte settentrionale del cielo e nel segno del Sagittario, partecipando della natura di Venere e Mercurio. Scolpita in una gemma, siffatta effigie dà ai suoi proprietari onore e sapienza oltre che una grazia regale.
Tale è la figurazione dell’incurvato Ercole:
Un uomo caduto sulle ginocchia che regge la clava con una mano e va uccidendo un leone. Oltre a questa figurazione si ha anche quella di un uomo che governa con una mano una pelle leonina. Entrambe queste immagini, se scolpite in una gemma a loro adeguata e soprattutto se di agata, hanno il potere di concedere la vittoria in guerra.
L’immagine di Cigno, o Gallina, con le ali spiegate e il collo incurvato, rende chi la possiede, incisa in qualche gemma, gradito alle folle, sapiente e ricco: simile pietra concede poi di sanare dalla podagra, dalla paralisi e dalla febbre quartana.
L’incisione in una gemma di Cefeo, cinto d’una spada e con le braccia e le mani distese, può rendere cauto e sapiente chi ne fa uso e se vien messa sotto il cuscino d’uno che dorme è in grado di fargli comparire in sogno immagini assai dilettevoli.
Cassiopea, la cui immagine risulta raffigurata per via d’una donna che siede su un trono e tiene le mani protese a guisa di croce, mentre qualche volta è inciso un triangolo sopra la sua testa, si trova nel segno del Toro e nella parte settentrionale partecipando della natura di Saturno e di Venere. Se tale sua rappresentazione viene scolpita in una pietra che sia in consonanza con le peculiarità di Cassiopea, si ottiene un amuleto il quale possiede l’energia di distribuire sanità fra gli uomini, di ristorare i corpi infermi e sfibrati, di dar quiete e tranquillità dopo il lavoro a chi ne fa uso e ancora di garantirgli un sonno gradevole e soave.
Andromeda, viene effigiata in guisa d’una fanciulla dagli sparsi capelli e dalle mani distese: è inclusa a settentrione nello spazio del Toro e partecipa della natura di Venere. Ha le virtù, se la sua immagine viene incisa in una gemma, di riconciliare le risse e le liti sorte fra gli sposi e di riannodarli con stabile amore: è altresì in grado di salvaguardare da tanti malanni.
Perseo, la cui immagine è quella d’un uomo con nella destra una spada e nella sinistra mano la testa della Gorgonie, si trova nel segno del Toro e nella parte settentrionale partecipando della forza di Saturno e Venere. Una volta che tale effigie venga incisa in una gemma questa salva dagli infortuni, dal fulmine e dalla tempesta non solo chi la porta con sé ma anche i luoghi nei quali si trova: ha peraltro il potere di annullare l’incantamento malefico della fascinazione.
Il Serpentario è rappresentato da un uomo che tiene un Serpente, sorreggendone il capo con la mano destra e la coda con la sinistra. Si trova nel segno dello Scorpione ed a Settentrione avendo la stessa natura di Saturno e Marte. L’immagine incisa in una gemma dona a quest’ultima il potere di giovare contro i tossici, di curare i morsi degli animali velenosi ed inoltre se si fa bere l’acqua in cui è stato immerso tale amuleto s’ottiene l’espulsione del veleno senza che debba patire danni fisici colui che l’abbia bevuta.
L’Aquila od Avvoltoio è effigiata tramite un’aquila che vola avendo una saetta sotto i piedi: essa sta nel luogo del Cancro e nella parte settentrionale, partecipando delle qualità di Giove e Marte anche se la saetta o freccia risente invece della natura di Marte e Venere. Quando questa costellazione viene incisa in una gemma ne deriva un amuleto che garantisce al suo padrone di conservare i vecchi onori, di riceverne anzi di nuovi e di conseguire facile vittoria nelle sue imprese.
Il Pesce o Delfino è rappresentato in guisa d’un gobbuto pesce: sta nel segno dell’Acquario ed a Settentrione partecipando della stessa natura di Saturno e Marte. Quando l’immagine viene incisa entro una pietra, e questa è stata incastonata con le arti, genera la proprietà di giovare in modo notevole all’opera dei pescatori.
Petaso, cioè il cavallo alato, o secondo alcuni metà d’un cavallo oppure, com’è parere d’altri, un cavallo intiero con le ali e senza freno, sta nel segno dell’Ariete e nella parte di Settentrione avendo natura identica a quella di Marte e di Giove. Nel caso che la sua effigie venga scolpita in una gemma, colui che ne fa uso acquisisce facile vittoria in battaglia campale, risultando altresì veloce, cauto ed audace: se poi l’amuleto vien posto al collo d’un cavallo o lo si immerge nell’acqua dove tal bestia suole bere la si libererà da molti malanni.
Ceto è figurato come un gran pesce dalla bocca gigantesca e sta nella casa del Toro e nella parte meridio0nale della volta stellata: esso partecipa della natura di saturno. L’incisione di tal sua figurazione, se fatta in una gemma e con l’aggiunta d’un serpente munito di cresta che sta sul dorso del medesimo pesce, dona a chi la possiede fortuna nella navigazione, rendendo altresì costui prudente ed amabile: inoltre gli restituisce integre le cose perse o consunte.
Orione viene quindi effigiato quasi costantemente quale uomo armato di spada o falce che regge, sguainate, con una mano: egli sta nel segno dei Gemelli e nella parte meridionale del cielo avendo natura in comune con Giove, Saturno e Marte. L’incisione in una pietra preziosa di siffatta immagine consente la vittoria in guerra ed il trionfo su tutti i nemici.
La figura di una Nave dalla prora ritorta e dall’alta velatura, qualche volta anche rappresentata senza file di remi, sta invece nella casa del Leone e nella parte meridionale del cielo essendo di natura simile a Saturno e Marte. Fatta questa incisione in una pietra se ne ottiene un talismano che conferisce sicurezza nell’andare per mare e per terra e che inoltre impedisce di subir danni ad opera delle forze dell’acqua.
Il Cane ha sì l’aspetto di un canide ma dalla coda curvata simile a quella d’una lepre. Sta nel segno del Cancro ed ancora nella parte meridionale della volta del cielo, risentendo della stessa natura di Venere. Qualora la figurazione sia incisa in una pietra si dice che essa conferisca a chi ne faccia buon uso la forza di guarire i lunatici, i maniaci e addirittura gli indemoniati.
La Lepre viene rappresentata, con le caratteristiche dell’animale da cui prende nome, come se stesse correndo con le orecchie tese e gli arti slanciati. E’ partecipe della stessa natura di saturno e Mercurio e viene a trovarsi nel segno dei Gemelli: se la sua figurazione è incisa in qualche pietra dona la potestà di curare i frenetici, forza onde disperdere le malizie demoniache ed ancora salvaguarda il suo possessore da ogni spirito malefico.
Il Centauro ha figura di toro sin al collo mentre per il resto presenta aspetto d’uomo che tiene nella sinistra un’asta o lancia poggiata sulla spalla e cui sta appesa una lepre: con la mano destra governa invece una bestiola supina cui si vede attaccato un lebete. Sta nella Bilancia, ha natura identica a Giove e Marte e se in una pietra viene incisa siffatta sua immagine, l’amuleto così realizzato concede costante e perpetua buona salute a chi lo possiede.
L’immagine del Cane, che sta nel Cancro, ha la medesima natura di Venere: e se viene scolpita in una gemma permette di realizzare un talismano il cui proprietario giammai dovrà temere d’ammalarsi d’idropisia, di contrarre peste o di patire i morsi di qualche cane.
Il Sacrario o Turibolo, che partecipa della stessa natura di Venere e Mercurio, ed è rappresentato sempre con il fuoco acceso, qualora venga effigiato in qualche gemma o pietra dona, a chi gestisce tale amuleto, la qualità d’evocare gli spiriti e di colloquiare con essi rendendoseli obbedienti: inoltre l’amuleto concede perpetua purezza, fisica e spirituale.
L’Idra è effigiata quale un serpente che regge sul capo un’urna e sulla coda ha un corvo: essa detiene le stesse virtù di saturno e Venere e se l’immagine viene trasformata in un’incisione, la pietra così scolpita conferisce a chi ne fa uso i doni della ricchezza, dell’astuzia, della cautela, della prudenza contestualmente salvaguardando il suo proprietario sia dalle male azioni dei propri figli quanto dalle radiazioni luminose di qualche colore accecante e malefico.
La Corona australe, rappresentata secondo la tipologia della corona imperiale, ha invece comunanza con la natura di saturno e di Marte: se trasformata in un’incisione conferisce a chi la usa la virtù di incrementare le proprie ricchezze dimostrandosi contemporaneamente uomo gioviale oltre che amante di giochi e lepidezze.
L’Agitatore od Auriga è mediamente raffigurato come un uomo che sta sopra un carro tenendo sull’omero sinistro un caprone: si trova nel segno dei Gemelli ed a settentrione. Ha la stessa natura di Mercurio e se la sua figurazione viene incisa in una gemma rende chi la usa abile cacciatore e fortunato nel catturare animali. Il Vessillo ha la tipologia d’una bandiera che garrisce venendo trattenuta da una lunga asta e se è scolpita nella pietra adatta può rendere il suo possessore fortunato nell’esercizio militare oltre che trionfante nelle battaglie campali.
L’incisione del leone nell’oro, stando il Sole in tale segno e purché la Luna veda dietro di lei Saturno, preserva dai calcoli e dalle malattie calde.
L’aureo anello con lo Scorpione inciso o scolpito in una gemma bezoar [concrezione che si forma nell’apparato digestivo dei ruminanti, dalla medicina orientale e medievale giudicato un potente contravveleno], mentre la Luna sta nella casa dello Scorpione medesimo e questo per sua parte in uno dei cardini del mondo, è assai utile contro le punture di scorpione.
La figurazione dell’Acquario giova a quanti hanno immaginazione fallace come i melanconici, gli affetti da quartana, i maniaci: perché manifesti i suoi fausti poteri deve però trovarsi nella casa del Sole il quale non deve peraltro stare più in alto di Giove, sì che questo non ne venga riarso, mentre Saturno non ha da essere nell’ascendente, né nel grado 19 dell’Ariete, nel 3, 15, 27 del Toro, nell’11 dei Gemelli, nel 3, 4, 12, 15, 19 del Cancro, nel 2, 5, 19 del leone, nel 3, 13, 30 della Vergine, nel 3, 5, 21 della Bilancia, nel 7, 18, 20, 21 dello Scorpione, nel 13, 30 del Sagittario, nel 12, 13, 24 del capricorno, nel 7, 18, 20 dell’Acquario, nel 13, 20 dei Pesci.
La rappresentazione dei Pesci - stando il Sole nei Pesci entro la casa 12 e la Luna nell’ascendente, vicendevolmente retroguardandosi il dominante dell’ascendente e quello della casa sesta nel sestile o nel erigono - si dice aver sperimentalmente scoperto che ha potere di liberare, chi la tiene sotto i suoi piedi, da tutti i dolori della podagra: l’incisione può, comunque anche, alternativamente comportare che la Luna guardi tanto l’uno che l’altro segno siderale.

[MOMENTI ASTROLOGICI IN CUI SONO DA REALIZZARE SIGILLI, TALISMANI E AMULETI]
Occorre però in ogni caso, quando si scolpiscono o si rappresentano queste figurazioni, che si debba con diligenza individuare il tempo migliore: l’esperienza ha infatti permesso d’evincere che maggiore virtù si ottiene dal cielo se tali incisioni vengono finalizzate nei tempi e nelle ore ideali, in maniera da sfruttare le massime influenze astrali.
Desiderando suscitare amore bisogna quindi servirsi di forme benevole e, intendendo al contrario generare odio, è necessario avvalersi di quelle negative e malefiche. Sì che pertanto non si vuole che i talismani vengano effigiati, ad esempio, con la figura di Saturno, trovandosi questo nel Capricorno o nell’Acquario, con quella di Giove essendo tal pianeta nel sagittario o nei Pasci, con quella ancora di marte stando questo nell’Ariete o nello Scorpione, con quella del Sole risultando tale astro nel Leone, e poi con quella di venere trovandosi il pianeta in Toro o Bilancia od ancora con quella di Mercurio stando esso nei Gemelli o nella Vergine ed infine con quella della Luna essendo essa nella costellazione del Leone.
Parimenti l’immagine del Leone e del Cancro deve essere incisa in un anello od entro una gemma, quando il Sole viaggia verso il Leone e la Luna procede verso il Cancro, di modo che entrambi i segni siano esenti da impedimenti e soprattutto dai raggi di Saturno o Marte. Bisogna altresì tener conto come qualsiasi segno, per tutto il tempo che il Sole sta in lui, risulta possente, prevale sugli altri e il suo effetto viene sentito più di quello di tutti gli altri astri, risultando così opportuno che il pianeta si diriga verso quel luogo, cioè segno, aspetto e grado che il Sole va illuminando.
Adesso è invece necessario spiegare quale differenza intercorre tra rappresentazioni fisiche, naturali e pregne di superstizione in merito alle figurazioni magiche degli antichi sapienti, che soprattutto per tale riflessione è parso giusto, prima, qui annoverare nell’interezza. Se qualcuno infatti se ne vorrà servire per far del male si metterà in contrasto con l’ordine divino e coi principi di quella stessa arte da cui promanano e, proprio per tale motivo, dovrà realmente temere che, circondato da deliranti superstizioni, non divenga lui stesso delirante e superstizioso.
Del resto grossomodo dalle medesime fondamenta e dagli stessi principi di cui si è appena parlato derivarono le lamine dorate, d’argento, rotonde, quadrate o triangolari con cui certe segnature o caratteri di pianeti vengono incisi in rapporto a particolari posizioni e configurazioni del cielo oltre che a determinate costellazioni in maniera da conciliarsi il favore e l’influsso di ciascun astro: è infatti manifesto all’esperienza ed alla logica che l’influsso dei pianeti viene impresso, recepito e trattenuto in figure e simulacri del medesimo tipo od in immagini caratterizzate da una specificità sempre convergente con alcune peculiarità del corpo celeste in questione.
E questo deve essere particolarmente osservato affinché quel Pianeta, di cui si vuole assorbire l’influsso, sia forte ed in eccellente contingenza cioè nella propria casa, esaltazione o triplicità, nell’estremo oriente o in mezzo alla volta celeste, esente dalle malefiche radiazioni di saturno o Marte, sostenuto dal erigono o dal sestile di Venere o Giove o con essi in congiunzione, diretto, veloce nel corso, ascendente nel circolo.
Prendiamo ad esempio Mercurio, nel caso che qualcuno voglia conciliare a sé il suo benefico influsso avendo desiderio di acuire le proprie qualità intellettuali e mnemoniche.
Si dovrà tenere ben conto quale sia il periodo dell’anno in cui Mercurio si trova in congiunzione coi Gemelli o con la Vergine, in quali segni abbia la sua casa, se sia forte e fortunato, ad oriente o a mezzo del cielo. Individuate l’ora ed il minuto in cui cadono le contingenze ottimali nell’argento puro venga quindi realizzata una diligente ed artificiosa incisione della figura celeste, nel massimo rispetto della delineazione delle di lei caratteristiche.
La pietra così incisa venga successivamente avvolta in un bianco drappo di seta da mettere in quella parte del copricapo che più specificatamente sta a contatto del cervello, avendo avuto anche cura d’aggiungere alla confezione alcuni grani di ottimo muschio.
Questo avvenne nel 1610: Mercurio fu trovato forte e propizio i giorni 14 e 15 del mese di Giugno all’ora seconda del mattino. Poi un anno dopo si manifestò ancora più forte e fortunato in Settembre ed Ottobre, poco prima dell’ora quinta mattutina, tempo in cui addirittura anticipò nel cardine orientale il Sole nelle sue proprie dignità. E questo è il modo da seguire per aumentare la potenza intellettiva grazie alle virtù dei cieli. Sono certo che anche con vegetali ed animali otterrò non poche grazie fra coloro che sono di memoria labile, sebbene pronti ad apprendere purché questa loro memoria venga fortificata tramite alcuni rimedi di cui farò divulgazione: rimedi che in vero furono già in passato usati da alcuni Illustrissimi e Dottissimi Scienziati i quali però li nascosero nei luoghi più reconditi, non sopportando che divenissero di pubblico dominio.
E’ prima di tutto da sapere che in tali rimedi risiedono molte forze benefiche che tuttavia non comportano relazione col temperamento, con la materia o con alcune esplicite qualità ma sono piuttosto da ascrivere a qualche misteriosa proprietà.
Si prendano dunque 7 cuori ancora palpitanti di rondini, 5 di tortore, una dramma di menta secca, una di puleggia, una di verbena, un’altra di eufrasia, una ancora di coriandolo preparato ed infine una di gallitrico [la “salvia aromatica”], quindi una dramma e mezzo di fiori di rosmarino, due once, singolarmente, di calamo aromatico e di cinnamomo, una dramma e mezzo di garofano, otto grani rispettivamente di muschio e galla moscata e finalmente 5 dramme di miele anacardio, di storace. Tutte queste sostanze vengano tritate al punto di ricavarne una polvere leggera sì che poi se ne ottengano, per via d’impasto con acqua di finocchio, delle pastiglie simili ad un nocciolo di dattero. Per avere dei risultati probanti è da seguire questa procedura terapeutica. Una volta purificato il corpo tramite dei lassativi, per 50 notti si cenerà solo con uva passa assieme a qualche mandorla e poco pane: il pranzo verrà invece fatto con una gallina arrostita od un pollo di gallina oppure una tortora od ancora una pernice se non con qualche volatile del genere. Poi, ogni notte, verso l’ora del sonno dovrà inserirsi una delle pastiglie preparate nella narice destra del naso del paziente che sarà quindi dea chiudere con un tampone di cotone: lì il prodotto dovrà custodirsi per il tempo non eccedente quello necessario per leggere tre versi di Virgilio.
Passati alcuni giorni, posta col dito nella narice sinistra una pastiglia imbevuta d’acqua di rose, si ricorderanno tutte le cose che saranno state lette e presto se ne arriveranno a comprendere per via intellettuale i contenuti.
Chi ambisce però a conservare codesto potere della memoria deve astenersi da ogni forma d’ebbrezza, dalle pratiche sessuali, soprattutto da indigestioni, sazietà di cibo, di frutta non matura, di alimenti untuosi e grassi e da carni salate e comunque da tutto quanto generà ventosità. Per ultima mensa si deve assumere semi lavorati di coriandolo: e bisogna badar bene che tutto sia preparato con attenzione e competenza. Sarà altresì utile, a giusti intervalli di tempo, tenere in bocca o deglutire una delle summenzionate pastiglie. Parimenti gioverà gettare sul fuoco, nel camino, qualche altra pasticca in maniera che il fumo, sprigionandone l’essenza, giunga alle nari e ne venga trattenuto: per agevolare gli effetti curativi si potranno occludere le nari stesse con un batuffolo di cotone sì che nulla si disperda. Infine è anche utile sciogliere alcune di quelle pastiglie in acqua di lavanda, di rose o d’anice e con essa umettare da mattina a sera la fronte, le tempie, le narici, l’occipite ed insomma tutta l’area del cranio circostante la sede della memoria ed in più mettere delle pezzuole madide di tal medicamentosa soluzione nelle stesse nari. Questo citato rimedio finora a pochissimi era stato svelato: più diffuso e noto, benché da molti ancora tenuto nascosto, è poi quell’altro che qui ora segue.
Un’oncia, rispettivamente, di zenzero, di pepe lungo, di galanga, di papaveri, di cubebe, un’oncia e mezzo di noce moscata: tali sostanze debbono poi venir ridotte in una polvere che è da mettere in un sacco di lino. Essa sarà poi cotta a fuoco lento in una misura e mezzo di vino di ottima qualità entro una pignatta nuova di vetro ben sigillata, onde nulla possa sfuggirne per evaporazione. Si beva un sorso abbondante di questa pozione a stomaco vuoto per tre giorni prima dell’unzione e similmente se ne assuma al vespro. Fatto ciò si vada dal freddo al caldo: particolarmente in estate, stando al sole, si aprano i pori del capo con frizioni e l’uso di pettini affinché ne escano tutti i vapori maligni e le nebbie. Quindi si lavi per bene la testa con acqua di semplice ruta e poi intorno alle tempie ed all’occipitale, in definitiva intorno a tutta la scatola ossea che difende e custodisce la sede della memoria, si proceda all’unzione vera ve propria, applicando il seguente preparato.
Bisogna ben pestare una manciata di fiori di cavolo, una di bianchi fiori di mughetto, una di melissa coi suoi fiori ed ancora una di menta crespa. A quanto ottenuto nel mortaio son quindi da aggiungere due once e mezza d’olio d’oliva e quattro once di burro vaccino puro e non salato, tre cucchiai di fortissimo sublimato di vino, quattro cucchiai d’acqua di rose, due cucchiai di buglossa, due di ruta, due ancora di calcedonia e salvia: si mescoli il tutto e lo si faccia bollire su un fuoco senza fumo né fiamma. Quindi si lasci depositare quanto ottenuto in un vaso di vetro e lo si esponga al sole per alcuni giorni e fin tanto che il colore del composto non divenga cereo e così prodotto il tutto per almeno due anni conserva la sua efficacia.
Le erbe di cui sopra si è detto devono venir colte nel solstizio d’estate e poi debbono esser distillate e assunte per la composizione dell’unguento. Dopo una purgazione di tre giorni con siffatto unguento vengano sparse le tempie, la cella della memoria e l’osso occipitale ed il paziente se ne rimanga al caldo e tranquillo fino a quando le energie dell’unguento non raggiungano l’interiora del suo organismo. Queste unzioni, per la prima volta, si terranno per 4 giorni, ma in seguito una sola volta all’anno e per due giorni nel tempo della luna crescente.
Dal terzo anno non sarà necessaria l’unzione che per una sola volta. Gli alimenti di cui nutrirsi dovranno essere facilmente digeribili e soprattutto sarà opportuno bere vino con moderazione: infatti, eccedendo, la conseguente ebbrezza potrà diventare per l’organismo come un veleno. E’ anche eccellente questo altro unguento composto di 3 once di radici di buglossa e tre di valeriana, di 2 once di radici di ruta pestate e polverizzate. Saranno da prendere 4 once, rispettivamente, d’estratti d’eufrasia, ormino e verbena che dovranno esser filtrati e depurati attraverso un panno.
Successivamente si mescoleranno i succhi e la polvere, aggiungendo al composto che si otterrà un’oncia di midolla d’anacardio, cioè di lingua d’uccello, 4 dramme di seme di frassino polverizzato. Se ne farà quindi un unguento utilizzando quale portante del grasso d’orso: così che si possa poi procedere all’unzione delle tempie, della fronte e della cella che custodisce la memoria. Grandi uomini si servirono di quest’ultimo unguento: essi in genere consigliano di procedere all’unzione tre o quattro volte all’anno ma io reputo che sia meglio farle ogni mese specialmente se, come in alcuni casi si è constatato, si vede che l’operazione è andata disperdendo parte della sua energia terapeutica.
Ritornando dagli animali e dai vegetali alle cose del cielo si può dire che, quasi nella stessa forma e maniera appena descritta per Mercurio, si poterono attirare le forze e gli influssi di tutti gli altri pianeti, così che, ad esempio, onde chiedere e conseguire favori dai principi e potenti vale assai l’immagine del Sole nel leone e nella decima casa oltre che nel erigono di Giove o della Luna. In verità perché e donde gli anelli, le immagini e le figurazioni, riprodotte nel metallo o nella pietra, ricavino le suddette energie non deve essere attribuito al temperamento o a esplicite qualità d’una sostanza ma ad una qualche ragione divina e magica, cioè superiore e sublime, da alcuni non impropriamente detta veicolo e vincolo spirituale: in forza di ciò corpo ed anima, sostanze reciprocamente opposte, si fondono in uno stretto legame per cui, come si vede, il magnete attirav il ferro e la cicoria segue il corso del Sole.
Quando intercede od interviene siffatto veicolo o vincolo, Mercurio, nella fattispecie, manifesta la sua possanza nell’argento vivo, nell’incrementare o debilitare la memoria cognitiva, nell’alecturio, nel colore e sapore misto, in Egitto, Grecia, Inghilterra, Fiandra e Slesia.
In forza della stessa motivazione la Luna esplica invece le sue energie nell’argento e nei vetr4i, nel cervello, nell’occhio sinistro dell’uomo, in quello destro della donna, nel colore bianco, in quello azzurro e grigio, nel falso sapore, nell’odore mediocre, nel cristallo, nel settimo clima astronomico [clima astronomico = ciascuna delle zone (7 nel sistema tolemaico) comprese fra due paralleli, in cui si immaginava divisa la superficie della terra (e in corrispondenza la volta celeste) i9n rapporto col variare del clima a seconda della latitudine].
Saturno ha vigore nel piombo, nell’orecchio di destra, nella milza, nella vescica e nelle ossa, nei colori nero, livido e plumbeo, nel sapore aspro, nelle pietre nere e scure, nel primo clima astronomico oltre che nella parte destra dell’Oriente, in Sassonia, Stiria ecc.
Giove esprime la sua forza nello stagno, nel polmone, nelle costole, nel polso, nello sperma, nell’orecchio di sinistra, nel colore fosco, di porpora, fulvo e verde, nello smeraldo, nello zaffiro, nell’ametista, nel sapore dolce, nel secondo clima astronomico, nel settentrione, a Babilonia, in Persia, Ungheria e Spagna.
Il Sole sublima la propria potenza nell’oro, nel cuore, nelle arterie, nell’occhio e nel fianco di destra, nel color dell’oro, nel giallo zafferano, nel rossiccio ed ancora nel colore del giacinto, nel sapore acuto ed acre, nell’odore buono, non eccessivo, nel quarto clima astronomico e nell’Oriente tutto.
Marte si manifesta con pieno vigore nel ferro, nell’orecchio di sinistra, nella bile, nelle reni, nel diaspro, nel sapore amaro, in quello di fiele ed acuto, nel color rosso, nel terzo clima astronomico, a settentrione, nella Sarmatica, in Getulia, in Longobardia e nella regione gotica.
Venere dà prova dei suoi influssi nel rame ed in ogni genere di specchi, nella matrice della donna, nelle reni, nelle mammelle, nella gola, nei genitali, nel fegato, nel color bianco, nel sapore untuoso, dolce e grasso, nelle perle, negli zaffiri e nel rubino, nel quinto clima astronomico, in Austria, Arabia, Campania, Polonia e territorio elvetico.
Non tanto assurdo quanto ridicolo è l’affermare che tali occulte influenze traggano origine da principi manifesti, dal temperamento o dalla medesima sostanza dal momento che le qualità donde promanano queste virtù non sono corporee e senza corpo, per quanto non senza vincolo, dal cielo innervano tutte le cose.
In dipendenza di ciò non può esservi alcuna analisi empirica e nessuna dissertazione verbale e logica: ogni tentativo di dimostrazione razionale è dunque destinato a cadere. L’inizio di qualsiasi filosofica dimostrazione non si deve prendere dai sensi e dalle qualità ma deve essere elaborato da qualche cosa di diverso perché altrimenti tutto si stempera in qualche cosa prossima a questa costruzione sintagmatica: se qualcuno investiga sul colore della rosa bianca, da dove cioè tragga origine, e vuole ascriverne la ragione al temperamento più freddo, che cosa allora dirà di quella rossa?
Se si dice quindi che alcune specie di cicoria emettono un umore latteo, perché sono fredde? E non estremamente calde come i titimagli che si gonfiano come mammelle e poi secernono il medesimo succo?
E poi l’aloe che è amara, perché è calda al pari dell’oppio che al contrario uccide col pernicioso freddo?
Ed anche concedendo che tali cose tutte promanino da molteplici proprietà intrinseche alla sostanza stessa, l’artefice di quest’ultima deve comunque, per sempre, individuarsi e cercare, secondo i dettami della nostra fede, a livelli ben superiori ed in particolare sublimi. Gli Alessandrini si sono vanamente sforzati di rimandare tutti i fenomeni a qualità ben manifeste e su ciò giustamente dissente lo Scaligero nella trecentodiciottesima sua esercitazione affermando che tale postulato ridonda impudenza e che fin troppe volte ormai quei pensatori si sono abbandonati a mere invenzioni di fantasia.
In effetti vediamo che prorompono dai reconditi meandri della natura le cose in modo che ci giunge spesso inesplicabile individuarne appieno le cause: tuttavia giova e piace a Filiatro, industrioso ed acuto investigatore delle cose della natura, che le presumibili ragioni siano tra loro in un certo qual modo mescolate di maniera che se non le si decifra compiutamente, non per questo si deve perdere fede nelle certezze acquisite né son da criticarne gli effetti ma semmai è da giudicare sempre con ammirazione la natura che di tutto è comunque artefice.

[RELAZIONI TRA MACROCOSMO E MICROCOSMO]
Resta dunque ora di disquisire per quanto possibile in merito ai principi ed alle cause delle azioni occulte e profonde in ambito naturale, così da elaborare, proprio in base ai mentovati principi, una qualche esplicazione della questione sopra proposta.
Ritengo dunque che per tutti sia ormai acclarato che le cose di cui ho parlato, cioè piante, radici, pietre, metalli, spiriti e stelle, siano contestualmente permeate d’una sorta di legame divino. E tutto ciò sembra accadere al modo che Platone insegna nel suo Timeo , per il fatto che a qualunque specie di cose dalla mente divina è stato preposto un peculiare astro, ad ogni uomo un suo specifico genio e parimenti qualsiasi pianta, ogni metallo e qualsivoglia gemma sono in relazione simpatetica con una particolare stella od un determinato astro. Tutti accettano il principio che il cielo ed in lui tutte quante le cose siano stati creati da Dio, che da questo poi abbiano ricevuto e tuttora conservino quelle energie celesti per cui possono esistere ed anche perpetuarsi nello spazio e nel t6empo per via di generazione.
Attualmente infatti Dio genera ben poche cose prescindendo dall’intervento dei cieli, della natura e del seme e semmai, fissate le leggi della natura, tutte le cose amministra attraverso le vie siderali: le cose che in effetti Dio, alle origini del tempo, generò e perfezionò con propria opera, quelle, come stando in riposo, ritenne di dover gestire con l’aiuto e la collaborazione del cielo. Quindi affinché, per l’interminabile catena del tempo trascorso, non venisse meno o s’illanguidisse il creato genere dei perfetti esseri animati, Dio stesso dalla volta celeste innervò ogni seme fecondatore d’una possanza vitale capace di conferire forma specifica alla materia, di strutturarla e disporla, addirittura di renderla atta alla sua propagazione in maniera che in ogni momento quell’energia egli sempre possa innescare ed attrarre allo scopo che l’ordine e la serie degli esseri caduchi ma capaci di propagarsi acquisisca il dono della perpetuazione in forza del seme che offre la materia e del cielo che dona la forma.
In relazione a ciò l’uomo genera l’uomo e come un Sole lo stesso uomo tramite la forza del seme si concilia tutto l’apparato ed il meccanismo è quello che qui segue.
Lo spirito e il calore divino che risiedono nel seme predispongono la materia inferiore del seme stesso in modo che s’abbia commistione e giusto equilibrio fra le parti e quindi struttura e specifica conformazione. Contestualmente quell’energia vivificante, diffondendosi nel tutto, si pone a governo d’ogni singolo individuo e giammai abbandona quanto temperò, formò e infine compose. Altra è la causa efficiente, prima e originaria, dell’uomo, quella che nella materia predisposta fa incarnare specie e forma, come cielo e sole, infatti le specie delle cose vengono immesse dall’alto e non provengono dalla materia inferiore.
Quanto fu scritto dagli antichi che cioè Dio è diviso attraverso le nature e che tutte le cose sono piene di Dio deve essere riaffermato in questa circostanza.
Quella divina virtù insita in tutte le cose fa sì che queste abbiano vita ma in esse non si esplicita parimenti: in una maniera è essa nel cielo e in un’altra innerva le cose terrene destinate a morire ove risulta più oscura mentre negli spazi celesti si manifesta con maggiore potenza ed evidenza. Tutte le creature generate da Dio, tanto in cielo che in terra, sono da lui governate e difese. Le sideree però, a lui prossime, le guida direttamente, mentre per gli esseri animati, le stirpi e tutte le creature mortali egli s’avvale dell’opera e dell’intervento dei cieli cui affidò, come procreatrici e conservatrici, le leggi della natura.
E di conseguenza le forme dei viventi, delle stirpi, delle pietre e di tutti i metalli, di qualunque tipo furono e possono essere, sono detenute dalla potenza formativa d’un solo cielo, la quale come ingravidata da innumerevoli forme ogni cosa genera e da sé promana. E così una singola forza celeste da sola, con le sue facoltà, governa le molteplici forze che innervano le cose caduche ma in modo che mentre il cielo, senza concorso d’un seme generativo, giammai può produrre tante creature viventi e tante stirpi, parimenti il seme non innervato da celeste energia rimane sterile ed a nulla dà vita. Onde istruire e predisporre la materia alla generazione, in vero, il cielo, intercedendo uno spirito luminoso, fa fluire in quella predisposta materia specie e somma perfezione sì da suscitare la vita in ogni cosa.
Il mentovato luminoso spirito è vettore di comunicazione fra cielo e terra e appare diffuso in ogni dove, dagli individui alle specie, ed ovunque fa promanare quel vitale calore generativo adatto a favorire l’universale generazione.
Ciò significa che tale energia ha la capacità d’abbracciare tutte le cose, favorendone la vita: e tutte quelle inanimate possono esistere per opera e forza di tale calore mentre i viventi ne ricevono la propria anima secondo i reciproci livelli, alcuni cioè qual anima nutriente, altri qual anima senziente ed altri ancora qual anima partecipe di capacità razionali.
A tal punto quella forza celestiale si accomoda alle cose tutte e singolarmente le innerva, che contestualmente soddisfa ciò cui ambisce la natura di ciascuna cosa ed altresì quanto ne possano supportare ragione e condizione.
Però quella virtù siderale non sempre è uguale né si esplicita ogni volta all’identica maniera ma distintamente secondo la condizione delle stelle e la multiforme radiazione, la cui commistione e ravvolgimento per più sono distinte, benché unica e immutabile sia la sostanza dello spirito vettore. Dati questi presupposti, che cioè le potenze celesti concorrano alla procreazione ed alla conservazione d’ogni cosa e che per quel comune spirito vettore, le sostanze intermedie tra cielo e spazio sublunare, tutte le parti del mondo fra loro concorrono e si fondono in una sorta di legame o nesso, si deve riconoscere che nel mondo nessuna creatura è così spregevole da non essere permeata dallo spirito, da non ricevere qualche influsso delle opere celesti e divine e da non accogliere, facendole reciprocamente interagire, le forze e le proprietà di cielo e terra sì da importare i semi di vita e generazione: al segno che, in siffatto ragionamento, per usare le parole profondissime di Tullio [Marco Tullio Cicerone] tutte le cose si coniugano in maniera che paiono essere fra loro connesse da un solo e continuo afflato divino.
Stando allora in tal modo le cose chi potrà mai ricusare che la guarigione, compiuta tramite l’Unguento armario per cui la lesione non si cura tramite l’applicazione di rimedi vari ma solo spalmando di tal portentosa medicina lo strumento che causò la ferita, non sia procedimento naturale ma risultato congiunto di superstizione ed impostura?
Proprio nessuno, tranne quanti sono ignari di siffatte nozioni ed ancora quelli che valutano ogni cosa col povero e riduttivo metro dei sensi. In effetti quella menzionata guarigione avviene soltanto per via naturale: a questo processo concorrono dunque una triplice attività magnetica, di efficienza, attrazione e deduzione, un influsso dei corpi astrali che esplicano la loro potenza attraverso gli elementi, ed ancora quel già citato spirito vettore che a guisa d’un legamento in prima istanza esporta da specifiche costellazioni simpatia o copula o convergenza che dir si voglia, da cui procede quindi un’energia guaritrice sin entro l’arma medicata con l’Unguento armario, energia che di poi s’espande da questo strumento di morte alla parte ferita al segno che, finalmente in essa s’esplica la funzione terapeutica del tutto.
E non bisogna dubitare nemmeno per un momento (fatta salva quell’ippocratica considerazione che nel curare intercorrono spesso, imponderabilmente, fiducia, speranza e caso) ad attirare la balsamica virtù esistente nel sangue, dall’arma cosparsa d’unguento alla parte lesa, sì da innescare al meglio il meccanismo terapeutico, cioè fornito della possanza curativa, insito nel corpo. E’ quindi necessario far in modo che il cielo, il quale influisce su l’uno come sui più, l’immaginazione, in ogni cosa sempre presente, e la Simpatia, che giammai può venir dissipata, concentrino la potenza terapeutica verso una parte specifica e ben determinata dell’individuo lesionato. Infatti tra la ferita e l’arma feritrice sussistono attrazione e deduzione magnetiche: la prima concerne la parte affetta e la seconda l’affezione in sé, vale a dire che avviene attrazione nei riguardi della zona lesa e quindi deduzione della potenza curativa verso l’arma, medicata con l’unguento.In vero si muove l’obiezione che, intercorrendo spazio, tempo e luogo, non è possibile questa deduzione e conseguente guarigione, sì che, nello stesso tempo, vien fatto notare che nulla può avvenire al di là di una determinata distanza, anche perché un corpo onde venir guarito deve pur sempre essere toccato da un altro e per toccare si intende, da questi critici, una completa sovrapposizione, sin alle estremità ed a tutti i connaturati limiti fisico-spaziali. Poiché per costoro solo i corpi possiedono tangibili superfici è conseguente che solo siffatti corpi materiali possano toccarsi. E, visto che non avviene di necessità alcun contatto del genere tra ferita ed arma da medicare, siffatta guarigione può, a loro avviso, avvenire solo per impostura od artificio malefico.
Quanti affermano ciò son davvero zucconi come gli arieti, alla maniera peraltro ostentata dai sensisti al fine d’evertere, distruggere e finalmente espellere dal mondo dei prodigi naturali il mirabile effetto di questo medicamento.
Ma io compatisco la loro ignoranza e del resto è facile disperderne le postulazioni.
Solo gli stolti infatti ignorano che molte cose in natura agiscono per contatto da lontano, cioè senza che possano sovrapporre materialmente le loro superfici fisiche alle cose con le quali interagiscono. E’ questo ad esempio il fenomeno eclatante intercorrente tra Sole e corpo umano, che certo non possono relazionarsi per via d’un qualche contatto delle rispettive superfici e che pur tuttavia si rapportano in dipendenza dei raggi intermedi che li uniscono: del resto un agente fisico, visto che ogni sua azione s’esplicita per contatto, non può interagire con una qualche altra materiale estremità senza anche coinvolgere un mezzo veicolante.
Lo stesso Sole, dunque, attraverso l’astro lunare scalda la terra eppure in alcuna maniera tocca con la sua superficie né per contatto scaldo luna o mondo inferiore.
Alla medesima stregua tutti quei corpi, tra cui sussistono relazioni simpatetiche cioè di Simpatia ed Antipatia, reciprocamente interagiscono e danno vita alle loro operazioni prescindendo da una visibile, materiale correlazione, val a dire che la virtù o possanza d’uno di essi risulta trasmessa al suo corrispettivo in forza dell’intercessione d’una qualche energia spirituale, sì che per quanto possa sussistere lontananza, senza modificazioni o dispersio0ni causate da venti, vasta aerea distanza, umidità o freddo, per naturale copulazione si conservano e si propagano nello spazio e nel tempo quell’unione ed il reciproco nesso.
Del resto anche i8n occasione di varie manifestazioni cliniche e patologiche caratterizzate da qualche contagio non si manifesta di necessità una materiale giustapposizione dei corpi. Ciò si riscontra ad esempio in un certo tipo di infiammazione degli occhi, quando, pur senza contatto fisico, risultano contaminati parecchi fra quelli che hanno fissato con attenzione siffatte lesioni in alcuni malati.
E parimenti si trovano afflitti da virulente febbri pestilenziali individui che giammai si son recati presso individui malati di quel morbo. Tutto ciò quindi senza alcuna interazione materiale tra i rispettivi corpi, al segno da escludere qualsiasi distanza, atteso invece che una maligna e putrida qualità di quelle febbri, propagandosi e diffondendosi, complica la contaminazione dei corpi. Pure chi affligge un’altra persona col suo male contagioso non di necessità deve entrare in contatto con lei. Infatti emettendo il suo respiro pestilenziale in un panno od entro qualche vestito (in siffatte cose soprattutto si sono, per via sperimentale, individuati i semi del male) che, dopo molti giorni, affligge un proprio simile di tal morbo non correttamente è detto averlo contaminato per via di contatto eppure, contestualmente, neppure è da credere che un morbo venga trasmesso da un nuomo all’altro senza il concorso d’un qualche veicolo e che cioè si propaghi esulando da vapori pestilenziali, umori o spiriti.
Ed è proprio a questo punto che sono da menzionare le qualità spirituali. Sebbene infatti queste per tipologia e peculiare caratteristica esistenziale non possano compiere alcuna azione corporea, nulla tuttavia impedisce che siano in grado di propagarsi in virtù di un mezzo idoneo, il quale niente altro poi è che uno spirito od un vapore, sussistente fra le sostanze corporee e non della natura, che accoglie in sé, le azioni spirituali e le replica per via eterea di maniera che, essendo egli corporeo, realmente, in dipendenza del suo intervento, le trasforma. Deriva quindi per verissimo che si finalizzano molte azioni per le quali non sussiste necessità che avvenga un vero e proprio contatto materiale: molti corpi infatti interagiscono prescindendo da connessioni fisiche ma semmai tramite una certa virtù per cui gli stessi corpi entrano in consonanza pur essendo lontani fra loro e che, in definitiva, è una sorta di qualità incorporea cui risulta insita estrema efficacia operativa. Così promanando dall’unguento una forza analoga non effonde la sua possanza nelle pietre, nel ferro o nel legno, con cui peraltro non ha alcun rapporto ma semmai si propaga fin entro la ferita traendo origine dal primo motore. Iniziale principio dinamico all’interno dell’Unguento armario è comunque una forza curativa che risiede nel sangue e nell’Usnea, la quale per effetto d’una sorta di legame spirituale, si coniuga con la lesione procurata di maniera che se non v’è troppa distanza viene a creare un tutt’uno tra la ferita e quanto la causò: e del resto anche nel caso d’una media distanza sovviene attività curativa, atteso che entrambe le immagini, d’arma e lesione, uscendo da sé tra loro copulano per via d’uno scambievole corrersi incontro.
Strettissima comunanza lega dunque chi esercita un principio dinamico e ciò che di questo risente l’azione e per tanto accade che, in base ad una immediata e simultanea sovrapposizione delle reciproche superfici, agente e paziente s’uniscano fra loro, sia che la possanza spirituale dell’uno vada a combaciare con la superficie dell’altro, sia che s’innervi entro il suo corpo, sia ancora che tale correlazione avvenga per emissione di luce, radiazioni oppure in dipendenza di qualche più segreta e misteriosa manifestazione spirituale. L’unguento, nel caso che qui si esamina, tocca la ferita o con essa si congiunge come causa efficiente o qual causa agente, ovvero come causa trasmutante od alterante al fine cioè di trasmutare un corpo, in modo consimile al cielo il quale s’unisce alla terra e che tuttavia non fonde la sua superficie con quella di lei atteso che le estremità di cielo e terra giammai combaciano.
E che ciò sia assolutamente vero, che cioè tra chi agisce e chi subisce possa intercorrere spazio e spesso gran spazio, lo si può dedurre dall’esempio di chi vede da lungi il proprio nemico, mentre questo per sua parte è ancora inibito a scorgerlo, e tuttavia di colpi si turba, impallidisce, trepida e vien preso da timore e tremore. Ebbene l’animo di costui è certamente influenzato da un agente esterno, da una sorta di simulacro del nemico esorcizzato dalla vista e quindi trasportato nelle interiorità emozionali, in primo luogo nella mente, per venir di poi trasferito nel corpo, pur essendo la causa agente, nella realtà effettiva, alquanto discosta da chi ne patisce gli effetti, di maniera che pure in questa occasione deve parlarsi non di reale operazione ma piuttosto d’azione insensibile, incorporea e tutta spirituale.
La causa agente è quindi da reputarsi qual ciò che si muove in contemporanea con quanto ella fa muovere e deve esser sempre reputata procedere in sintonia con ciò su cui esercita i suoi effetti, alla maniera stessa di quello che intercorre fra immaginazione e spirito: qualche cosa di prossimo si registra per esempio nel solletico che spesso può avvenire senza alcun contatto e non di meno anche in questo caso il motore e chi ne subisce l’azione son giustamente da valutare in maniera contestuale, forse in base a qualche recondita interazione, sviluppatasi per energia di forze spirituali liberate dalla facoltà immaginativa, di maniera che quelle parti che potrebbero non risentire del solletico finiscono talora per essere agitate da scotimenti ben più vistosi e rapidi rispetto a quelle che invece sono direttamente soggette all’azione meccanica del solleticare.
Da simili postulazioni chi non intende che spesso in fisica si sono accettati dei falsi precetti e precisamente: 1) Che le estremità dei corpi di chi agisce e di chi subisce debbano sempre e comunque toccarsi. 2) Che non sussiste alcuna energia passante da chi agisce a quanto risente di tale azione tranne la forza dinamica generata dall’urto fisico dei corpi?
Una quantità spirituale ovverosia una virtù celeste nel nostro Unguento armario è invece causa e quasi veicolo per il cui movimento similmente si sposta quanto viene trasportato: e del resto ad ogni veicolo si chiede che risulti adatto a trasportare e quindi a far muovere altri assieme a sé. La celeste magnetica virtù, che quasi si interpone come un continuum tra l’arma bendata ed il sito della ferita da quella provocata, muove e dirige ogni sua forza al fine di conseguire l’effetto voluto. Ed è cieco chi, di fronte a tanto mistero, ignora oppure osa negare che una qualche possanza venga trasmessa dal cielo alle elementari nature eteree (le cui forme a detta degli Astrologi esperti in tal modo sono definite) sì che, per via dei suoi influssi, s’innestano nelle forme le rispettive specifiche energie e proprietà naturali, comportando variamente connessioni e coesioni fra i corpi: e, per conseguenza, chi persevera in tal ottusa oscurità di pensiero, si rifiuta d’accettare che da tutto ciò sia promanata l’origine d’ogni naturale similitudine e che su tali basi soltanto si debbano rintracciare le cause profonde di tante mirabili virtù.
Infatti tra la virtù ed il veicolo dapprima sussiste una Simpatia che successivamente, per familiarità e similitudine, passa nell’arma che ha ferito e quindi nella lesione causata: ed è proprio essa la ragione la quale fa sì che tutte le cose vicendevolmente interagiscano allacciandosi in un mutuo concerto.
Nessuno contesta che intervenga contatto fisico tra l’arma fasciata con bende e la ferita, sebbene in questo misterioso processo tal reazione non comporti alcuna autentica sovrapposizione materiale dei corpi e nemmeno che chi agisce giunga quanto meno a tangere chi risente della sua attività dinamica, visto che questa azione, svolta per effetto dei principi naturali, è incorporea ed in vero neanche abbisogna d’alcuna fisica relazione.
La possanza o virtù raggiunge quindi per via mediata la lesione e non in rapporto ad un intervento diabolico: si tratta, come peraltro è stato già scritto sopra, dell’intervento di una virtù sublime ed immateriale giustamente definita magnetica dai dottori della Magia naturale. Non per impostura demoniaca quindi ma magica nel senso più positivo e naturale del termine è di conseguenza la guarigione che ne deriva: ed invece sono piuttosto impostori quanti affermano che tutto questo procedimento debba esser ascritto a forma estrema di superstizione.

[COMPONENTI DELL’UNGUENTO ARMARIO E APPLICAZIONE DEL BALSAMO: RIFLESSIONI SU USNEA E MUMMIA]
Verso la fine di questa mia relazione ritengo poi doveroso addivenire ad un’ultima considerazione sui componenti dell’Unguento armario e ciò onde evitare che ancora qualcuno s’ostini a non intendere che si tratta d’un prodotto naturale confezionato in forza dell’umana sapienza.
Battista Porta nel capitolo 12 del II libro [della sua Magia Naturale] descrive tale balsamo e ne elegge inventore Paracelso, che però, in base almeno alle mie investigazioni, non risulta vero e proprio ideatore dell’Unguento armario ma semmai il suo primo, grande propugnatore e divulgatore.
Prendi (detta la formula di confezione):
-Di USNEA raccolta entro il cranio d’un ladro impiccato e lasciato a decomporsi all’aria
-Di Mummia autentica
-Di sangue umano ancora caldo, rispettivamente once 2
-D’olio di lino
-Di Terebinto
-Di Terra Armena singolarmente 2 dramme.
Tutto questo lo si mescoli, tritandolo, entro un mortaio e lo si conservi in un vaso di vetro o all’interno di un’urna lunga e stretta.
Altri invece prendono:
-Usnea raschiata dal teschio d’un uomo defunto per morte violenta sin al peso di due nocciole
-Di grasso di cinghiale once 6
-Di grasso d’orso once 6
-Di lombrichi di terra lavati nel vino, entro una pentola coperta torrefatti, ma non bruciati nel forno d’un mugnaio once 3
All’ottenuta polverizzazione di tutto ciò vanno poi aggiunti:
-Di cervello di cinghiale essiccato un’oncia
-Di sandalo rosso profumato un’oncia
-Di Mummia un’oncia
-Di ematite un’oncia
Tutte queste cose mescolate nel grasso umano vanno a costituire l’Unguento armario.
Questa tecnica di confezione sarebbe forse la migliore se giammai fosse carente di succo e nervi cioè di sangue e grasso umani, le sostanze in cui al massimo livello s’applica la menzionata possanza vitale, vivificante e balsamica.
Nella vera facitura dell’Unguento armario non è mai da accantonare l’uso di sangue e grasso umani; sulle modalità della confezione, visto che non sempre son presenti dei chirurghi ed anzi risultano quasi sempre lontani dal luogo in cui giace il ferito, mi propongo ora di dare, al meglio di quanto posso, le necessarie istruzioni.
E’ da farsi il tutto quando il Sole sta nella Bilancia e se è possibile si deve cogliere l’Usnea allorquando la Luna cresce essendo nella casa di Venere, non in quelle di Marte o Saturno. Se non può farsi ciò con la Luna in Venere, bisogna pazientemente aspettare di raschiare l’Usnea una volta che la Luna si trova nei Pesci: questo è infatti il segno più conveniente fra tutti in funzione della casa di Giove e dell’esaltazione di Venere (prossimi a questo segno son poi Toro e Bilancia). Dall’unguento in tal modo realizzato vengono guarite tutte le ferite procurate col ferro, da lancio, getto o ad uso di scherma, con l’irrinunciabile condizione che si possa avere fra le mani tale arma. Sono però escluse dagli effetti benefici di questa terapia quelle ferite profonde che toccano le arterie od uno degli organi principali quali cuore, cervello e via discorrendo.
Si deve immergere il ferro, od il dardo, che procurò la lesione (od in sua mancanza un legno od un ramo di salice precedentemente posto a contatto della ferita) nell’Unguento armario e lì lo si deve lasciare.
Intanto il paziente quotidianamente, al farsi del dì, abbia cura di disinfettare con l’urina della notte la sua ferita: egli si procuri inoltre un pulitissimo panno di lino, con cui dovrà sempre ad ogni aurora nettare la lesione e purificarla dalla materia e dagli essudati che secerne fino a quando non sarà guarito. E siffatta procedura è stata direttamente esperita dall’Imperatore Massimiliano. Se non è dato avere lo strumento che ha procurato la ferita, un altro consimile venga fatto passare attraverso la lesione e questo, in luogo dell’arma veramente responsabile del danno fisico, venga unto con il medicamento armario su entrambi i suoi lati e, soprattutto, s’abbia la precauzione di deporlo in un luogo pulito, riparato ed in particolare temperato atteso che gli eccessi dell’aria e del freddo possono determinare un inasprimento del dolore.
Bisogna altresì vagliare per bene il tipo della ferita, se cioè sia stata fatta di punta o di taglio. Quando la lesione è stata inferta con un colpo di punta, l’unzione infatti dovrà avvenire procedendo dalla punta stessa in direzione della coppa od elsa mentre, trattandosi di ferita da taglio, l’arma dovrà venire unta avendo gran cura di procedere dal filo della lama verso la sua parte posteriore. E’ quindi doveroso fasciare le armi in tal maniera trattate per via dell’Unguento armario.
Se non risulta evidenziato con certezza quanta sia stata la parte dell’arma che penetrò nelle carni, tutto lo strumento venga cosparso d’unguento: altrimenti ci si limiti a quella parte che in effetti ha squarciato il corpo della sua vittima.
Si unga più volte (specialmente nella circostanza di ferite grandi e profonde) se più celermente si aspira a raggiungere la guarigione; se invece non occorre celerità e non urge qualche peculiare bisogno si potranno invece far trascorrere alcuni giorni , anzi talora basta che l’unzione si faccia ogni dodici giorni o addirittura ogni diciotto, purché ogni mattina sempre si lavi, si deterga e si bendi accuratamente la ferita.
Sull’Usnea i pareri non sono concordi. Alcuni tassativamente ordinano che la si debba raccogliere dal cranio d’un impiccato, altri invece consentono che la si possa ricavare tanto da un impiccato che da un qualsiasi altro individuo, ucciso per sentenza capitale.
In verità non si è ancora scritto perché particolarmente dal cranio d’un impiccato si debba raschiare l’Usnea.
Io, che comunque mi rimetto al giudizio d’altri sapienti, ritengo di poter addurre questa ragione, che cioè nel caso di un’impiccagione o di uno strangolamento tutti gli spiriti vitali, per il sopravvenire della rovina fisica del giustiziando, si rifugiano verso l’alto, nel capo e quindi nel cervello sì che poi, data la repentina violenza della strozzatura, per quanto sia stata perpetrata dal boia l’esecuzione, giammai posson più ritornare alla loro sede naturale e di conseguenza sono costretti a restare mescolati con gli spiriti e le forze balsamiche proprie di testa e cervello.
A tal punto, intanto, decadono per sempre tutte le funzioni vitali dell’uomo giustiziato: però pur sempre rimane nelle ossa, nei nervi ed in altre consimili parti organiche quel calore che, seppur in forma più elementare, esiste ad esempio tanto nella pietra che, ad esempio, nel pepe senza vita. Mescolandosi i summentovati spiriti vitali al sangue balsamico, circonfusi dalla potenza di quel calore e dell’ambiente che va assorbendo il succo della vita, grazie anche all’intercessione d’un qualche influsso celeste, è verisimilissimo che l’Usnea, la quale per effetto d’una qualche forza generativa si va a sviluppare nel cranio del giustiziato, risulti fornita di superiore possanza rispetto a quella che si trova invece nella testa di chi sia defunto per qualsiasi malattia.
Che invece, all’opposto, nei decapitati lo spirito vitale non può essere trattenuto ma piuttosto fugge, svanisce e si disperde è cosa universalmente risaputa.
In questa mia dissertazione sull’UNGUENTO ARMARIO parlando di MUMMIA in alcun modo [scrive ancora il GOCLENIUS] ci si riferisce a quella di cui si discute nella bottega dei venditori di profumo, la quale niente altro è che carne essiccata di cadaveri farcita d’essenze, affatto di queste però essendo pregno il liquame stillante dalla carne umana [le MUMMIE EFFIMERE]. Sbagliano quindi i profumieri che mescolano carni ed ossa triturate ai medicamenti necessari per confezionare la Mummia a vari scopi.
Infatti per avere una Mummia vera e propria, data la carenza di quelle che si facevano in Egitto ed Arabia trattandole con mirra, aloe, croco, balsamo ed altre preziose essenze, e renderla potente per molte sue facoltà alla maniera che hanno tramandato autori serissimi, bisogna, nei nostri ospedali, prendere l’usanza di riempire i cadaveri dei defunti di aloe, mirra, croco e consimili aromi, immergerli nelle essenze, custodirveli per un tempo opportuno e quindi conservarli ai fini dell’uso opportuno.
Ma, a riguardo delle energie celate nella Mummia, restano comunque parecchie altre cose da dire.