COSTANZO

COSTANZO CLORO

Nacque nel 250 nella Mesia Superiore da Eutropio e Claudia, nipote di Claudio II Gotico. L'1-III-293 fu nominato Cesare per volontà di Diocleziano e combattè vittoriosamente contro l'usurpatore Alletto. Nel 305 all'abdicazione di Diocleziano e di Massimiano, Costanzo divenne imperatore ma morì pochi mesi dopo (25-VII-306) di malattia ad Eboracum (York). Ebbe il soprannome di Cloro per il pallore del volto.
















Nikolaj Kopernik (latinizzato in Nicolaus Copernicus) nacque a Torùn (Pomerania) nel 1473.
Nel 1491 si iscrisse alla facoltà delle Arti dell'Università di Cracovia, che lasciò nel 1496 per giungere in Italia, a Bologna, dove si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza.
Fu nell'anno successivo che cominciò a seguire le lezioni dell'astronomo italiano Domenico da Novara.
Per il Giubileo del 1500 raggiunse Roma, dove tenne alcune lezioni di matematica e astronomia.
Nel 1501 tornò in Polonia, a Frauenburg, in qualità di canonico, ma quello stesso anno ripartì per studiare medicina a Padova.
Nel 1503 si laureò in diritto canonico a Ferrara e tre anni dopo fece definitivo rientro in Polonia.
Nel 1512 cominciò a far circolare tra amici e corrispondenti un manoscritto intitolato Commentariolus, in cui venivano esposti i fondamenti del sistema eliocentrico.
Consapevole delle implicazioni e delle conseguenze di tale sistema, Copernico esitò per molti anni a pubblicare la propria opera, anche quando, nel 1538, l'astronomo tedesco Georg-Joachim Retico (1514-1476), venuto a fargli visita, ed entusiasmatosi alla nuova cosmologia, lo esortò a rendere il sistema eliocentrico di pubblico dominio.
L'unico risultato che Retico riuscì a strappare a Copernico fu il permesso di poter esporre le idee centrali della teoria copernicana in una pubblicazione uscita a Danzica nel 1540 con il titolo di Narratio Prima.
Fu solo a seguito dell'interesse suscitato da questo lavoro e delle ulteriori insistenze di Retico e di altri estimatori, che Copernico si decise finalmente a pubblicare il De revolutionibus orbium caelestium (di cui è utile leggere la
Dedicatoria a Papa Paolo III: ma giova anche scorrere la Confutazione degi argomenti in favore dell'immobilità della terra), che venne stampato a Norimberga nel 1543, che fu anche l'anno della morte del suo autore.






"Mi rendo ben conto, o Padre Santissimo, che, non appena alcuni saranno venuti a conoscenza del fatto che io, in questi miei libri che ho scritto sulle rivoluzioni delle sfere del mondo, attribuisco certi movimenti al globo terrestre, subito andranno gridando che sono da mettere al bando io e la mia opinione. (...) E benché sappia che i pensieri del filosofo sono ben lontani dall'opinione comune, proprio perché suo primo compito è cercare la verità in ogni cosa, almeno nei limiti concessi da Dio alla ragione umana, penso tuttavia che siano da evitarsi le opinioni che si allontanano del tutto dalla retta via. (...)Prendendo spunto da qui cominciai anch'io a meditare intorno alla possibilità di un movimento della terra. E sebbene l'opinione potesse sembrare assurda, tuttavia, poiché sapevo che prima di me ad altri era stata concessa questa libertà, cioè di immaginare qualsivoglia cerchio per spiegare i fenomeni celesti, ritenni che anche a me senza difficoltà fosse concesso di cercare se, ammesso un qualche movimento della terra, si potessero trovare spiegazioni più sicure delle loro sulla rivoluzione delle sfere celesti.[Nicola Copernico, De revolutionibus orbium caelestium (1543), in Opere di Nicola Copernico (a cura di F. Barone), UTET, Torino, 1979, pp. 168-175






"Confutazione degi argomenti in favore dell'immobilità della terra...
Capitolo VII - Perché gli antichi hanno ritenuto che la terra se ne stia immobile in mezzo al mondo come suo centro. [...] Ma che potremo dire, dunque, delle nubi e di tutte le altre cose sospese nell'aria, sia di quelle che tendono al basso come di quelle che, invece, volgono verso l'alto? Niente altro se non che non solo la terra con l'elemento acqueo che le è unito si muove in tal modo, bensì anche una parte non trascurabile dell'aria e tutto ciò che, nello stesso modo, ha un rapporto con la terra, sia che l'aria vicina, mescolata di materia terrea e acquosa, segua lo stesso comportamento naturale della terra, sia che il moto dell'aria sia un movimento acquisito che l'aria, essendo vicina alla terra, prende da essa senza resistenza e con perpetua rivoluzione. [... E aggiungo anche che pare assai assurdo che il movimento sia attribuito a ciò che contiene ossia dà il luogo e non piuttosto a ciò che è contenuto e a cui è dato il luogo, cioè la terra. [...] Vedi dunque che, per tutti questi motivi, la mobilità della terra è più probabile della sua immobilità, soprattutto per la rivoluzione quotidiana, come la più confacente alla terra
. [Nicola Copernico, De revolutionibus orbium caelestium (1543), in Opere di Nicola Copernico (a cura di F. Barone), UTET, Torino, 1979, pp. 196-203
















Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564.
Nel 1581 fu avviato dal padre agli studi di medicina presso l'Università di Pisa, dove vi rimase quattro anni senza conseguire alcun titolo accademico.
Dal 1585 si dedicò completamente alla matematica e alla fisica.
Nel 1583 scoprì l'isocronismo delle oscillazioni pendolari.
Nel 1586 lo studio di Archimede lo condusse alla realizzazione della «bilancetta», una stadera idrostatica per la determinazione dei pesi specifici.
La fama crescente che Galilei venne guadagnando nel mondo accademico gli consentì di conseguire una cattedra di matematica a Pisa, che occupò dal 1589 al 1592, durante i quali compì importanti ricerche nel campo della meccanica, scoprendo, tra l'altro, la legge di caduta dei gravi.
Nel 1592 ottenne la cattedra di matematica all'università di Padova, dove vi rimase fino all'estate 1610.
Con la reinvenzione del telescopio (estate 1609), si aprì la serie delle grandi scoperte astronomiche, di cui diede notizia nel Sidereus Nuncius (marzo 1610): l'esistenza di rilievi lunari, la natura stellare della Via Lattea, i satelliti di Giove; seguirono, nello stesso anno, le osservazioni delle fasi di Venere e delle macchie solari (alle quali dedicherà, nel 1612, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari).
Queste scoperte, che gli valsero il ritorno a Pisa in qualità di «Matematico e Filosofo del Granduca di Toscana», lo portarono ad attaccare pubblicamente le dottrine fisiche e astronomiche degli aristotelici e a sostenere apertamente le tesi copernicane (che egli condivideva almeno dal 1597).
Tuttavia, l'interdizione del copernicanesimo da parte della Chiesa romana (1616) fece sì che Galileo venisse ammonito dal cardinale Bellarmino a non sostenere ulteriormente le tesi eliocentriche.
Nonostante la sconfitta, Galileo non rinunciò ad attaccare i gesuiti, nel 1623, con il Saggiatore, considerato il suo capolavoro polemico, in cui si scagliava contro il principio d'autorità e i procedimenti metodologici della cultura tradizionale.
Sull'onda del successo del Saggiatore, Galilei cominciò a lavorare al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che pubblicò nel 1632: in esso sono confrontati il sistema tolemaico e quello copernicano, ma è quest'ultimo ad uscire chiaramente vincitore da tale confronto (giova al proposito leggere il brano dedicato la
moto della terra).
L'opera venne immediatamente sequestrata e vietata dalle autorità ecclesiastiche e Galileo venne processato l'anno seguente a Roma: il processo si concluse con l'abiura del pisano e la condanna al carcere a vita.
La pena gli venne ben presto commutata in confino obbligato, cosicché Galilei riuscì a trascorrere gli ultimi anni della vita nella sua villa ad Arcetri, assistito dalle amorevole cure della figlia suor Maria Celeste.
Ad Arcetri Galileo scrisse la sua più importante opera di meccanica, in cui confluirono i risultati delle ricerche compiute nel periodo pisano e padovano: i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (che sono la teoria della resistenza dei materiali e la dinamica).
Il testo fu fatto uscire clandestinamente dall'Italia e venne pubblicato in Olanda nel 1638.
Galilei, ormai cieco, morì quattro anni dopo, l'8 gennaio 1642.






"Accresce l’inverisimile (...), a chi più saldamente discorre, l’essere inescogitabile qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità sieno così tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con sì gran disparità di moti portate in volta: o se pure il cielo è fluido, come assai più ragionevolmente convien credere, sì che ogni stella per sé stessa per quello vadia vagando, qual legge regolerà i moti loro ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiamo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtù, che seco porti l’innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi e maggiori assai della Terra, e di più tutte le sfere de i pianeti, ancorché e questi e quelle per lor natura si muovano in contrario; ed oltre a questo è forza concedere che anco l’elemento del fuoco e la maggior parte dell’aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virtù: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, né saprei intender come la Terra, corpo pensile e librato sopra ’l suo centro, indifferente al moto e alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido, non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far muover la Terra.[ Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, giornata II, Ed. studio tesi, Pordenone, 1988, p. 146 e 149-153)















1 - L'alcol come principale bevanda in sostituzione dell'acqua nel mondo occidentale
2 - L'alcol come alimento e fonte di calorie
3 - L'affermazione del vino sin al XVI secolo: gli elementi frenanti di Riforma protestante e Controriforma cattolica
4 - Il XVIII sec.: severo inasprimento di pene avverso perpetratori di crimini per abuso d'alcolici (il caso drammatico della Liguria)
5 - Tra XVII e XVIII secolo: la bollitura dell'acqua e l'avvento delle bevande non alcoliche
6 - Il XIX secolo e la lenta affermazione di nuove misure igieniche oltre che della moderna depurazione dell'acqua
7 - La contemporanea geografia-economica ed i processi globalizzanti: l'insorgenza della sindrome da rossore fra le popolazioni orientali nel loro processo di occidentalizzazione dei costumi


Secondo alcuni interpreti scientifici, soprattutto di scuola americana o comunque anglosassone, fino al XIX secolo l'acqua non fu giudicata nella societa' occidentale sostanza basilare e privilegiata quale BEVANDA.
Se però risulta corretto menzionare un rifiuto culturale, pregno di implicazioni religiose, dell'acqua come bevanda istituzionale ad opera delle civiltà piu' antiche, dalla egizia alla babilonese, dall'ebraica all'assira, dalla greca alla romana, neppure sembra esatto ritenere che non si avesse cognizione della potabilità dell'acqua.
Effettivamente nel corso dei secoli si era constatato che l'acqua, contaminata, poteva provocare malattie acute e croniche, se non addirittura mortali: in particolare si evitava di berla, specie se il suo sapore era sgradevole.
Nel Vecchio e nel Nuovo Testamento non si fa praticamente mai riferimento all'acqua come a bevanda d'uso comune e peraltro nella letteratura greca, fatta eccezione per giudizi positivi (comunque proliferati in ambito paneuropeo) sulla qualità, anche ma non solo magico-terapeutica, dell'acqua delle sorgenti montane, essa non trova grande spazio celebrativo.
Se però è vero che le conoscenze di batteriologia, che potevano consentire di individuare i responsabili della contaminazione dell'acqua, sarebbero subentrati solo nel XIX secolo, non è esatto sostenere che le antiche culture occidentali ignorassero tanto le necessarie cautele a fronte dell'abuso del vino (ed in ciò basti leggere Platone) quanto i sistemi di depurazione.
L'antica scienza greca e soprattutto quella romana si industriarono variamente ed in modo straordinariamente complesso per l'acquisizione e la conservazione di acqua pura e potabile.
E' anche vero che per quasi 10.000 anni di storia delle civilta' occidentali, la birra e il vino, e non l'acqua, sono state le principali bevande dissetanti, consumate quotidianamente da tutti, a quasi tutte le età, ma questa considerazione deve essere doverosamente dimensionata.
Ad esempio presso le popolazioni marinare (come nel caso della formidabile marineria ligure-genovese) si era giunti alla corretta convinzione che l'acqua potabile diventava in tempi relativamente brevi putrida e maleodorante: piuttosto all'alcol, nella birra come nel vino, erano associate quantita' abbastanza rilevanti di acido acetico e di altri acidi organici e l'acidita' contribuiva a produrre effetti sterilizzanti sull'acqua utilizzata per diluire (spesso in un rapporto di due a uno) queste bevande.
Molti storici senza dubbio hanno prestato ben poca attenzione al fatto che l'alcol ha rappresentato per l'uomo (specialmente di modesta condizione economica) un alimento della massima importanza, essenziale alla sopravvivenza.
E ciò non solo perché‚ in grado di assicurare e mantenere una giusta proporzione di liquidi, ma anche perché‚ in grado di fornire calorie.
In molte civilta' antiche in cui l'alimentazione era perlopiu' a base di cereali e composta quindi di carboidrati, i quali forniscono, direttamente, 4 kcal/g, e indirettamente, sotto forma di alcol prodotto dalla loro fermentazione, 7 kcal/g. l'alcol garantiva una quota significativa assunta quotidianamente di energia.
Oltre all'alcol e ai carboidrati, la birra forniva poi alcuni integratori alimentari di fondamentale importanza, come vitamine e sali minerali.
Il valore calorico e il volume liquido della loro assunzione garantiva ai nostri progenitori la sopravvivenza.
Il valore nutrizionale faceva della birra e del vino alimenti essenziali quanto il pane e altrettanto indispensabili al mantenimento in vita.
L'espressione pane e birra, in uso presso gli antichi di ambiente soprattutto nordico, doveva avere un valore affine a quello dell'odierna espressione pane e burro.
Depurazione e concentrazione dell'alcol mediante distillazione La scoperta della distillazione provocòla prima importante trasformazione qualitativa e quantitativa nel consumo di alcol da parte dell'uomo. erano trascorsi 9000 anni dall'introduzione della fermentazione e della viticoltura.
Fatto forse ancor piu' importante, la distillazione segno' il passaggio dalla birra e dal vino come elementi nutritivi al consumo di alcol in quantita' nocive tali da richiamare l'attenzione sull'altra faccia dell'uso dell'alcol stesso.
La distillazione forni' insomma il vero e proprio metro di valutazione dell'abuso di alcol e dei suoi effetti negativi.
Alla fine del Medioevo, la rinascita delle citta' come centri di cultura, l'espansione del commercio e dell'economia, la riforma della vita religiosa e culturale e delle norme politiche e giuridiche diedero vita a nuovi sistemi sociali, alcuni dei quali nati dall'estendersi dell'egemonia europea su altri continenti: Americhe, Africa, Asia.
Il diffondersi dei metodi di distillazione e della conseguente possibilita' di condensare e concentrare l'alcol in bevande molto piu' forti e di limitato volume forgio' modelli sociali nuovi e nuove alleanze fra produttori, mercanti, clero, aristocrazia e altri esponenti delle classi dominanti. Grazie alla distillazione si poteva concentrare e isolare l'etanolo, preparando bevande di cui erano noti il contenuto alcolico e la potenza, standardizzando tanto i dosaggi quanto gli effetti.
L'alcol era apprezzato come base ideale per la preparazione di distillati farmaceutici ed era considerato in sé e per sé un'autentica panacea: ed anche per questa ragione giungeva addirittura blasfema la proibizione coranica di astenersi dal vino.
Sino alla meta' del XIII secolo, non si svilupparono segni di un particolare interesse per il nuovo procedimento di distillazione.
Nel considerare la funzione dell'alcol e delle bevande alcoliche nel corso dei "secoli bui", non vanno perlatro dimenticate le ricorrenti esplosioni di epidemie, in particolare di peste.
Contro calamita' che decimavano i popoli europei, uccidendo fino a due terzi della popolazione nell'arco di una generazione e causando devastazioni, tragedie e carestie di proporzioni quasi inimmaginabili, non si conoscevano rimedi di alcun genere e quelli che venivano sperimentati si dimostravano inefficaci.
La diffusione delle bevande alcoliche distillate sembra seguire molto da vicino la grande peste del 1348-1349: ed infatti soprattutto l'acquavite procurava una momentanea sensazione di calore e di benessere sì che le si attribuivano poteri "magici".
Gli stessi medici giunsero a prescriverla in caso di pestilenza, benché non fosse di alcuna utilita'.
La classe medica ufficiale giunse a dichiarare che l'alcol era un farmaco strabiliante per malattie anche gravi: siffatta convinzione raggiunse l'apice nell'opera di Hieronymous Brunschwigk di maniera che che il suo Liber de arte distillandi fu tradotto in molte lingue e divenne una delle pubblicazioni mediche piu' citate del Medioevo.
Nonostante i forti sconvolgimenti politici e religiosi prodottisi in quasi 3000 anni di storia nel mondo occidentale, il consumo di alcol e l'atteggiamento nei confronti del suo uso non conobbero cambiamenti sostanziali dall'ascesa e caduta dell'Impero romano alle migrazioni delle popolazioni germaniche e alla successiva eta' di mezzo, malgrado tutti i nuovi dispiegamenti religiosi e politici che l'accompagnarono.
A cominciare dal 1450 circa, la ripresa dell'economia accelero' l'urbanizzazione, rese disponibile una quantita' maggiore di beni e consenti' il raggiungimento di livelli sontuosi di vita, in contrasto stridente con le condizioni di penuria spaventosa e di conflittualita' sociale che vigevano prima.
Ebbe inizio allora un'epoca di ostentazione, di grandi mangiate e di grandi bevute.
Comunque è dalla fine del Medioevo che l'intossicazione da alcol comincio' ad essere osservata in senso clinico e ad esser vista come un elemento di disturbo del "nuovo ordine razionale", poiché dava luogo a una perdita di controllo fisico e psichico e a spreco di tempo, di efficienza e di ordine.
Senza dubbio la disponibilita' di bevande alcoliche distillate contribui' in misura notevole al consumo eccessivo di alcol.
E' quanto meno interessante osservare che, contrariamente al pensiero comune, la Chiesa non prese mai alcuna posizione ufficiale contro l'alcol. La predicazione dell'astinenza coincise con l'avvento della Riforma.
Ma neppure questo deve indurre a correlazioni troppo strette: in realta' né la Chiesa cattolica né i capi della Riforma si fecero fautori di una lotta all'alcol e, almeno su questo punto, non vi fu alcun disaccordo fra protestantesimo e cattolicesimo.
I capi riformisti come Lutero (1520) e Calvino (1540) vedevano nel vino una delle cose create da Dio a beneficio dell'uomo e per il suo piacere.
Si direbbe anzi che negli anni della Riforma l'astinenza dall'alcol sia stata caratteristica piu' dei cattolici che dei protestanti.
Il protestantesimo dava gran risalto alla separazione del "sacro dal profano ", ma faceva affidamento piu' sull'autorita' civile che su quella ecclesiastica e pretendeva di modellare i comportamenti sociali piu' sulla base della morale che del costume.
Gli austeri codici morali degli ussiti, dei quaccheri e degli anabattisti sono altrettanti esempi di un estremismo ideologico a cui i posteri, e non i contemporanei, hanno dato tanto risalto.
Le radici del proibizionismo moderno possono essere rintracciate nella combinazione di codice morale degli anabattisti e di fiducia calvinista nell'autorita' civile.
Piu' tardi il pietismo tedesco avrebbe esercitato una forte influenza sul metodismo inglese e queste correnti, saldandosi nel XVII secolo con il movimento quacchero, avrebbero prodotto i veri e propri pionieri moderni della temperanza e del proibizionismo.
A questo punto è pero' necessario sottolineare che i richiami alla temperanza e persino alla proibizione totale risalgono all'epoca biblica e alla civilta' greco-romana, e si ripeteranno nel corso della storia.
Le motivazioni di queste censure sono altrettanto varie quanto i sistemi politici, le strutture sociali e le pratiche religiose supponevano.
Peraltro anche le ordinanze, le leggi, i decreti, le minacce di sanzioni di castigo appaiono diversi quanto erano diversi i sistemi politici o religiosi che li decretarono.
L'atteggiamento comune, dalla tarda età intermedia sino all'inizio del XVIII secolo, fu oggettivamente favorevole al consumo di alcol, e per quanto gli effetti negativi dell'ubriachezza fossero riconosciuti, i poteri pubblici fino al XVII secolo operavano abbastanza blandamente stante la difficoltà probatoria dello stato di ebbrezza di cui dissertavano i giuristi.
Con il tempo, l'aggravarsi dei reati sicuramente dovuti all'ubriachezza molesta (lo stupro in particolare) i governanti inasprirono con celerità le pene: per esempio nella redazione dei Regolamenti militari della Repubblica di Genova nel XVIII secolo si comincia a dare un peso rilevante alle punizioni da infliggere a soldati resisi variamente colpevoli per ubriachezza: ad onor del vero, procedendo dalla metà del XVIII secolo, la giustizia laica, prima sostanzialmente tollerante verso i reati commessi da individui in stato di ebbrezza, finì per eccesso col diventare così severa che per esempio si dovette mitigare, ad esempio, il Codice penale sabaudo del 1859 una volta che nel 1861 fu esteso a tutti gli ex Stati d'Italia assorbiti nel nuovo Regno Unito tramite la revisione degli articoli 94 - 95 appunto concernenti le sanzioni, durissime, avverso i colpevoli d'aver compiuto crimini sotto gli effetti di bevande alcoliche.
Attraverso le acquisizioni dell'illuminismo e della moderna ricerca scientifica si andavano intanto sviluppando nuove interpretazioni in merito all'uso ed all'abuso dell'alcol: al proposito risulta sintomatico che tra la fine del '700 ed i primi decenni del XIX secolo fossero diversi i medici ordinari delle aree rurali che, contro l'abitudine dei predecessori, catalogavano elementi e indicazioni terapeutiche avverso etilismo ed ubriachezza. In merito vale la pena di citare da un Manoscritto, accuratamente redatto da un medico (che operava nell'area di Perinaldo, in Liguria occidentale, in un ambiente in cui l'uso anche alimentare del vino aveva costituito per secoli una costante dietetica) in cui oltre ad proposizione di cura (ricavata da un periodico di informazioni scientifiche) l'autore si ingegna, affrontando il temutissimo argomento delle morti apparenti, a tentare una sua ipotesi di pronto intervento contro una delle forme di morte apparente più consueta nell'ambito rurale, appunto quella dovuta all'Ubbriachezza.
La piaga dell'alcolismo era andata intanto assumendo un rilievo consistente e pericoloso proprio in Liguria: le rilevazioni degli istituti di cura per malati mentali sono state studiate soprattutto per quanto concerne la II metà dell'Ottocento e da esse si desume una notevole presenza, fra i reclusi dei manicomi di Genova, di vagabondi, alcolisti e prostitute (vedi A. Molinari, Alcol e Alcolisti a Genova tra Ottocento e Novecento: una prima ricognizione, in "Movimento Operaio e Socialista", 1980, n.2).
Nel 1879 Enrico Raseri (pubblicando i suoi materiali per l'etnologia raccolti per cura della Società italiana di antropologia ed etnologia, in "Annali di Statistica", serie II, vol.VIII) sottolineò decisamente alcuni fatti: soprattutto che la Liguria fosse al primo posto nelle statistiche di ricoveri per alcolismo e che erano considerevoli sul territorio regionale le morti casuali dovute ad incidenti sopraggiunti per abuso di "bevande spiritose".

Far bollire l'acqua aveva l'evidente effetto di distruggerne i componenti "velenosi".
In Oriente, e per l'esattezza in Cina, questa circostanza era gia' nota non meno di 5000 anni fa: non cosi' in Occidente, dove la "scoperta" fu rinviata al XVII secolo, qaundo il metodo di preparazione del caffe' e del te' diffuse su larga scala la pratica di far bollire l'acqua.
Con l'aumento del consumo di caffe' e te', quello delle bevande alcoliche subi' una drastica diminuzione.
In seguito all'introduzione del caffe' in Europa nel XVII secolo, il caffe' come bevanda e i locali pubblici che ne presero il nome conobbero una rapida espansione in tutta la Gran Bretagna.
Dal 1680 al 1730 si consumo' piu' caffe' a Londra che in qualsiasi altra citta' del mondo e, di conseguenza, verso la fine del secolo, si ebbe in Inghilterra una sensibile diminuzione dell'intossicazione da alcol fra le classi piu' abbienti.
La diffusione di bevande alternative comincio' a rendere superfluo il consumo di alcol come principale metodo atto ad assicurare l'equilibrio dei liquidi: ancor meno necessario il consumo di alcol era gia' diventato, a quel tempo, come metodo di assunzione di un'adeguata quantita' di calorie.
Fra il 1801 e il 1850 la popolazione europea, specie nelle aree urbane, subi' un forte incremento, mentre il processo di industrializzazione portava alla concentrazione di un numero crescente di persone in spazi sempre piu' ristretti.
Cosi', in mezzo secolo, la popolazione della Gran Bretagna si trovo' piu' che raddoppiata e quella di Glasgow, in Scozia, addirittura quadruplicata. La densita' crescente della popolazione e le considerazioni igieniche connesse portarono in primo piano il gravissimo problema della depurazione dell'acqua e in particolare della separazione delle acque luride da quelle di scarico.
Prima del 1900, le acque luride scolavano insieme con tutte le altre nei fiumi e nei laghi e, poiché questi costituivano la fonte dell'acqua potabile, il colera e il tifo erano malattie sempre piu' diffuse.
L'avvento della batteriologia, a cominciare da Pasteur per continuare con Ebert, che isolo' nel 1880 il bacillo del tifo, e con Koch, che isolo' nel 1883 quello del colera, comprovo' che la causa delle epidemie di cui questi organismi erano responsabili erano appunto le acque luride, che dovevano pertanto essere tenute separate dall'acqua d'approvvigionamento.
Infatti, benché fin dal 1854 John Snow avesse dimostrato la correlazione esistente fra il colera e il rifornimento idrico di Londra, si continuava a pensare che il problema piu' grave sollevato dallo scolo delle acque luride fosse il puzzo che pervadeva le città'.
A questo punto, sul finire del XIX secolo, nei paesi industrializzati dell'Occidente restava solo un ultimo passo da compiere per lo sviluppo delle misure igieniche e della depurazione dell'acqua potabile: eliminare completamente l'alcol come elemento essenziale della dieta, indipendentemente da tutti gli altri usi che se ne potessero fare.
In passato, le societa' dell'Estremo Oriente e quelle occidentali presentavano le une rispetto alle altre grandi differenze nel consumo di liquidi: mentre in Oriente si beveva te' preparato facendo bollire l'acqua, in Occidente si bevevano vino e birra.
Tutto questo ha naturalmente subito profondi cambiamenti, ma le differenze del passato sollevano nuovi e importanti interrogativi sul metabolismo dell'alcol nell'uomo.
Circa la meta' della popolazione cinese e giapponese presenta un metabolismo dell'alcol sensibilmente diverso da quello comune praticamente a tutti gli occidentali, e cio' a causa di differenze genetiche che danno origine a una mancata funzionalita' della deidrogenasi dell'aldeide mitocondriale, la quale a sua volta si traduce nella cosiddetta flushing syndrome ("sindrome del rossore").
Gli orientali mancanti di questo enzima sono intolleranti all'etanolo, il cui consumo provoca in loro un grave disturbo. Misure terapeutiche (contro l'alcolismo), come l'uso dell'Antabuse, che simula le conseguenze di questa differenza genetica, ottengono bensi' il risultato dell'astinenza dall'alcol, ma attraverso tutta una serie di segni e di sintomi dai quali si puo' dedurre la pericolosita' e la tossicita' del farmaco.
Quella di controllare la quantita' di alcol ingerito non e' la principale funzione dell'Antabuse, né di altri analoghi agenti.
L'incapacita' di produrre la deidrogenasi dell'aldeide mitocondriale e' l'unica alterazione genetica specifica finora nota che dia luogo ad astinenza dall'alcol. I tentativi di simulare questa condizione genetica, pur non avendo dato risultati incoraggianti, hanno richiamato l'attenzione su possibili misure alternative, che sono state sperimentate in Oriente, soprattutto in Cina, per il trattamento dell'abuso di alcol, un problema che ovviamente si puo' verificare solo in quella meta' della popolazione nella quale non sussiste l'alterazione genetica di cui si e' detto.
Nei tentativi messi in atto per controllare il consumo di alcol non e' mai stato preso esplicitamente in considerazione il ruolo dell'"appetito".
Al momento attuale, la biochimica dell'appetito, o del desiderio, e' ancora in gran parte sconosciuta, sia per quanto concerne in particolare i cibi e le bevande sia per quanto riguarda il piacere in generale. E' indispensabile la comprensione di questa biologia molecolare, se si vuole arrivare alla definizione di una terapia razionale.
Un approccio alla terapia dell'alcolismo mediante una modificazione del desiderio di alcol resta tuttora da definire, anche se e' possibile perseguire questo obiettivo in modo empirico.
Approcci di questo tipo vengono utilizzati da millenni in Cina, dove proprio per questa strada si e' arrivati all'individuazione di Radix puerariae, un'erba dalla quale si potrebbe partire per ottenere una classe di composti in grado di agire sul desiderio dell'alcol.
Le varie forme in cui l'alcol puo' essere consumato in diverse combinazioni, a seconda dei fattori geografici, sociologici, economici, medici ed altri precedentemente citati, sono state largamente sperimentate negli ultimi 500 anni. Da circa 100 anni, poi, la medicina, la farmacologia, la psichiatria e le scienze alimentari producono a loro volta effetti di grande rilievo.
Tutte le possibili argomentazioni, di tipo medico, morale o religioso, sono state proposte e tentate allo scopo di correggere la tendenza all'eccessivo consumo di alcol, ma nessuna di esse, comprese quelle di tipo psicologico o psichiatrico, ha prodotto effetti decisivi o convincenti.
Nel caso della dipendenza da alcol come da altre sostanze, tutti i richiami alla ragione, di natura giuridica, religiosa o sanitaria, si sono dimostrati incapaci di modificare o di disciplinare la condotta morale dell'uomo.
La storia di questi sforzi ed il loro fallimento non incoraggia certo all'ottimismo: vi sono ben pochi elementi a sostegno di simili tentativi. Neppure le esperienze anglosassoni e americane fanno eccezione.
La letteratura in materia testimonia che attraverso i secoli sono stati vantati i pretesi successi di queste misure, ma che in realta' esse sono sempre state fallimentari e hanno addirittura complicato i problemi anziché risolverli.
La storia che abbiamo tracciato a grandi linee in questo articolo puo' forse aiutare a una migliore comprensione dell'argomento e a una definizione degli strumenti di gestione del problema, sulla base magari delle piu' approfondite conoscenze biologiche, fisiologiche e farmacologiche acquisite.
Tuttavia anche i fautori di un approccio razionale di questo tipo non dovrebbero dimenticare la massima pronunciata da lord D'Abernon nel 1918: "Coloro che sono disposti a prestare qualche attenzione alla ricerca scientifica sull'alcol lo fanno non tanto per acquisire conoscenze quanto per trovare armi e argomentazioni a sostegno delle proprie opinioni preconcette".
L'alcol nella storia dell'uomo da Medicina delle Tossicodipendenze Anno II n.5, (1994) - Bert L. VALLEE Center for Biochemical and Biophysical Sciences and Medicine Harvard Medical School, Boston Massachusetts, USA.











"Non è bello bere sino all'ebbrezza mai in nessun caso (unica eccezione: le feste del Dio che ci ha dato il vino), ma soprattutto non è cosa scevra di pericolo [queste frasi, dal VI libro Delle Leggi pongono Platone in antitesi con certe esaltazioni pseudorgiastiche, tipiche per esempio della lirica melica monodica eolica di cui Alceo fu cantore supremo: ma, incarnando per vari aspetti Platone un'ampia visione del modus vivendi ateniese, e addirittura di tutto l'ecumene greco, non è affatto da escludere che all'esaltazione letteraria del vino, quale euforizzante, si sia finita per dare dai ricercatori una dimensione pubblica e sociale superiore alla reale sua portata, rispetto almeno ai parametri del vivere quotidiano]
E questo vale per chi si prepara seriamente alle nozze.
In tale occasione, lo sposo e la sposa debbono pur essere nel pieno dominio d'ogni facoltà spirituale.
Quale cambiamento per quelle esistenze!
Poi c'è da pensare alla creatura che nascerà; che vorrà esser concepita da chi è in sicuro possesso delle proprie facoltà.
E' oscuro infatti in quale notte o in quale giorno con l'aiuto di Dio ne avverrà il concepimento.
Inoltre il concepimento della prole non deve avvenire nel momento in cui il vigore fisico è stato dissolto dall'ubbriachezza.
L'atto del concepimento deve compiersi in momento buono per accordo di due voleri, senza incertezza, con calma e tranquillità.
L'uomo preso dal vino al contrario è trasporato in ogni parte da impulsi, incapace di dominarsi e agitato da furore nel corpo e nell'anima.
L'ubbriaco è inadatto, insomma, alla generazione e quasi impotente.
E in tale condizione, saranno generati con ogni probabilità esseri anormali incostanti, uomini mal conformati per carattere e per doti fisiche.
Quindi, sempre, per tutto l'anno e per tutta la vita, ma specialmente nel periodo in cui si procede a generazione, l'uomo deve star molto attento a non fare, per quanto da lui dipende, operazioni e danneggiano la salute, operazione di libidine e di peccato.
E' legge di natura, cui non si sfugge, che sull'anima e sul corpo della creatura generata venga infusa e impressa come un sigillo l'impronta del padre; perciò, in tale condizione, verranno generati figli sotto ogni aspetto deteriori...
.(tratto da LE LEGGI (LIBRO SES TO), da Platone, i Dialoghi, a cura di E. Turolla, Rizzoli editore, Milano, 1964, vol. III, p. 459).












PLATONE: filosofo greco (Atene 428/427-347 a.C.). Di famiglia aristocratica, fu discepolo di Socrate e, alla morte di questi, fu alla corte di Dionisio il Vecchio a Siracusa. Costretto ad allontanarsi, fondò ad Atene (387) l' Accademia. Fu ancora due volte a Siracusa (367 e 361), dove tentò inutilmente di attuare le sue idee politiche. L'opera di Platone consta di 34 dialoghi, divisi in quattro gruppi; fra i principali: Apologia di Socrate, Critone, Eutifrone, Menone, Repubblica (10 libri), Fedro, Simposio, Fedone, Teeteto, Parmenide, Sofista, Filebo, Timeo, Leggi. A queste opere vanno aggiunte 13 Lettere. Nei primi dialoghi sono affrontati problemi di etica, circa il conseguimento della virtù, definita come sapienza e pertanto insegnabile. In polemica con i sofisti, Platone pose come fondamento dell'essere e del conoscere le idee, essenze pure e intelligibili che risiedono nell'iperuranio, gerarchicamente ordinate nell'idea suprema del Bene. Al dualismo gnoseologico (opinione-scienza) corrisponde quindi il dualismo metafisico tra il mondo sensibile in divenire e il mondo immutabile delle idee la cui conoscenza è anamnesi o reminiscenza, essendo l'anima per natura partecipe della natura delle idee. Su questo principio trova fondamento la dottrina, d'origine orfico-pitagorica, dell'immortalità dell'anima (Fedone) e, sul principio del dualismo tra mondo sensibile e intelligibile, la dottrina dell'eros (amore), desiderio di conoscenza che media dialetticamente i sensi e la ragione, la conoscenza e la pratica. La politica è, per Platone, l'attuazione della giustizia e l'educazione dei cittadini, la cui organizzazione deve basarsi sulla divisione delle classi (filosofi, guerrieri, artigiani).