L'area  del  Tabia Fluvius , nel II sec. a. C.,  dai  romani  fu  assegnata agli Ingauni per ragioni  diplomatiche e strategiche  che  ne rendevano  importante  il  controllo, specie  per i programmi politici, militari  e commerciale che essi maturavano nei  confronti delle "Gallie".
Nel  giro del Don o Capo S. Siro sarebbe stata potenziata la  stazione militare di Costa Beleni  (anche Costa Balena ).
Col tempo (e dopo la realizzazione della via Julia Augusta) la  Mansio di Costa  Beleni  divenne più importante che un luogo di  ristoro per funzionari  statali, assumendo i connotati di un  nodo  viario cui,  oltre  la strada imperiale, facevano capo  molti  itinerari preromani.
  Essa, disponendo di  un  PORTO-CANALE ( Tabia Fluvius ), fungeva anche da scalo marittimo, risultando punto di riferimento per tutto il commercio delle aree circonvicine.
I Romani, sensibili al  controllo capillare  del  loro  dominio,  potenziarono  le  mulattiere  liguri,  che  garantivano la  penetrazione  verso  l'interno,  collegando  la  costa con Briga  e  l'oltregiogo.
   Roma  controllava  così   in Liguria 2  percorsi,  verso l'area  dei   Bagienni ,  di   Augusta Bagiennorum   e  di   Pedo :  le 
mulattiere  di  COL DI NAVA  e VALLE ARGENTINA.
 Era  quest'ultima  un tragitto ligure preromano, proveniente dall'attuale  sito 
di  ARMA, prossimo a  Costa Beleni (Balenae) , destinata  a  diventare una diramazione della  JULIA AUGUSTA, la STRADA IMPERIALE di cui per l'area tra Cipressa e Sanremo si è peraltro ridisegnato il TRAGITTO in modo plausibile.
  La via di penetrazione o VIA DELLA VALLE ARGENTINA invece risaliva  fino a Taggia donde,  proseguendo  ad O. del  Tabia  Fluvius,  giungeva  a Campomarzio (sulla cui rocca si riconoscono i resti di un forte bizantino costruito su strutture murarie più antiche),  passando  sotto un ponticello  corrispondente  alla linea di crinale.
 Oltre Campomarzio, sulla rotabile  verso Baiardo, sono le tracce di una  trasversale per l'alta Val Nervia (Apricale).
Questa consentiva  di entrare nell'area  di   Albintimilium , aggirando la  via  costiera:  essa, oltre a permettere l'accesso all'oltregiogo, offriva un itinerario  alternativo  per  raggiungere  il  territorio  intemelio,  penetrando  da  settentrione sull'oppidum,  sito all'inizio della Val Nervia, nell'odierna località  Cantin, presso il Rio Seborrino.
 
Esisteva  poi un  itinerario di  sublitorale,  parallelo  al percorso  della Julia  Augusta ,  che  collegava  le   aree  di TERZORIO, POMPEIANA, Castellaro,  Taggia,  Ceriana,  Bussana vecchia: era  un  tragitto romano  su una mulattiera, che,  dopo  l'abbandono della  Julia Augusta , ai tempi delle invasioni barbariche, divenne via primaria di comunicazione.
Questo complesso di comunicazioni aveva la sua ragion d'essere in funzione dell'originaria via consolare ( Aemilia Scauria   rozza "matrice" della  Julia Augusta").
La JULIA AUGUSTA quasi sicuramente procedeva dal territorio di CIPRESSA verso il mare aggirando poi la zona degli AREGAI nella valle del MONTE COLMA.
Giungeva quindi nel Fundus Porcianus"  (S.Stefano, grossomodo) località nella quale è son stati identificati i resti di un PONTE ROMANO.
Secondo le rilevazioni del De Pasquale (cui sono debitrici le più moderne considerazioni sull'argomento) il PONTE doveva esser largo circa 5 metri: attualmente se ne vedono solo parte delle due pile in pietra squadrata.
La mancanza di tracce di strutture dell'arcata ha indotto lo studioso a pensare che l'arcata (un pò alla maniera che si sarebbe poi riscontrata per vari ponti medievali e rinascimentali, come QUELLO SUL ROIA) risultasse sostituita da un passaggio in legno.
La strada continuava poi il suo percorso sul lato destro del vallone in direzione dell'area della  chiesa di S. Maurizio di Riva Ligure donde continuava a snodarsi si a raggiungere il sito di Capo Don per inserirsi sul percorso di Valle Argentina attraversando l'omonimo torrente all'altezza di Taggia.
Il percorso viario raggiungeva quindi il luogo segnato dal toponimo LEVA' che secondo alcune riflessioni linguistiche sarebbe stato elaborato per indicare un terrapieno (o "levata") costruito allo scopo di bonificare il terreno evitando il formarsi di paludi.
Secondo il citato De Pasquale la via, da questo punto, avrebbe avuto un andamento simile a quello dell'ottocentesca Strada della Cornice, superando quindi il Castello dell'Arma e raggiungendo la Valle Armea.
La strada romana per un breve tratto avrebbe risalito il torrente per poi superarlo, tramite un ponte, in prossimità del frantoio detto dei Peri.
Superato Capo Verde, di nuovo seguendo la linea della costa, la via entrava nella località S.Martino di Sanremo nella quale, in base ad atti scritti nel medioevo, si parla di una "strada romana".
Questa giungeva quindi nel sito attuale di Rondo' Garibaldi, nel lato a settentrione di Piazza Colombo ed ancora seguiva il percorso oggi tracciato da via Palazzo (ancora in età medievale detta strata romana) e quindi parte di quello di via Corradi per uscire alla fine dal territorio di Sanremo.
Davanti all'"Hotel de Paris" è stato trovato un tratto della via romana col relativo strato della massicciata sì che si può dedurre che da questo punto il percorso romano si può identificare con quello dell'odierna statale "Aurelia".
Procedendo poi da Capo Nero la strada imperiale doveva invece seguire il tracciato oggi coperto dalla linea ferroviaria e raggiungere quindi l'area di Ospedaletti procedendo attraverso l'attuale corso Regina Margherita.
Si cita anche  un  ramo   alternativo,   che, originandosi poco oltre il fondo "Mori", avrebbe proseguito verso Pompeiana, innestandosi sulla direttrice di sublitorale. 
FONDI RURALI  DELL'ARGENTINA: "COLONIZZAZIONE" DEL SITO DI TAGGIA: LA "SENTINELLA" DI  CAMPOMARZIO
          
Nel  circondario  di   Costa Beleni,  sono  interessanti  i toponimi  Pompeiana, Bussana, Ceriana, Matuziana e  Porciana  (in effetti si  è anche parlato dal Lamboglia di altre ville, prossime a queste o disposte più  a levante come la  Buriana  o  Periana  e  la Luvisiana ,  ma  su  di esse esistono  davvero  ben  poche  tracce toponamastiche  e  nessuna  di  ordine  archeologico: v.G.MOLLE, Oneglia nella  sua  storia , I, Milano, 1972,  p.32).   Vista  la finale in  -ana (od  -anum ) tali nomi tradiscono la natura  di fondi rustici,  probabilmente  nominati da  gentes  ("famiglie")  romane. Secondo i testi agronomici, influenzati  dal   De agri cultura  di Catone, un  elemento base  per  un  fondo rustico era di  sorgere  presso  una  strada e uno scalo marittimo.  Vista,  per l'area in questione, la presenza di un porto facente capo a  Costa Beleni   ed  assodato che la  Julia Augusta   attraversava  i  fondi costieri   Matutianus  (ovest di Sanremo) e  Porcianus  (S.  Stefano) rimarrebbero  isolati  altri  fundi , se non  si  ipotizzasse  quel  collegamento  viario  di sublitorale cui si  è  fatto  cenno.  Tali itinerari avrebbero collegato i fondi agricoli fra loro e con l'importante direttrice di fondovalle, che, a sua volta,  era in  collegamento  col Piemonte e il mare di   Costa  Beleni.
    
I fondi  non  sembrano  disposti  in  maniera  casuale  ma  organizzati  secondo un disegno geopolitico. I toponimi  derivano tutti  da  nomi di buona latinità : questi  possedimenti,  data l'epoca  di  romanizzazione  del  Ponente  ligure  (90-49  a.C.), potrebbero  essersi sviluppati dopo  vaste  modificazioni socio-economiche,  collegate  all'insediamento  di  veterani   su territori  confiscati  (donativi  di terre e  poderi  furono,  con probabilità ,  il prezzo dovuto a Roma dagli Ingauni  per  antichi privilegi  e,  soprattutto,  una contropartita  per  la  conquista della piena cittadinanza romana).
 
Così facendo Roma cementava la sua presenza nell'area del  Tabia Fluvius , integrando il ruolo dei militari con uno stanziamento di cittadini  fedeli, utili  per  concludere l'acculturazione, cioè  l'imposizione della  cultura romana ai Liguri del Ponente.
                            
L'area di  COSTA BELENI-BALENA (VEDI QUI LA RELAZIONE DEGLI OTTOCENTESCHI RINVENIMENTI DI VINCENZO LOTTI) (   era  difesa  da   un   insieme   di fortificazioni.  Ad  occidente, antemurale contro  il  territorio intemelio  (poco fidato fino al 49 a.C.) e transalpino,  stava qualche EDIFICIO PUBBLICO O MILITARE ROMANO  genericamente poi detto TORRE DELL'ARMA dalla struttura armata fatta erigere dalla Repubblica di Genova verso il 1565 ai tempi delle scorrerie turchesche.
Stando alla CRONACA dei lavori fatta da Padre Calvi scavando le fondamenta per realizzare la moderna fortezza si rinvenne "in ruderibus antiquarum ruinarum" (fra "i ruderi di antiche rovine") "tabulam ex marmore albo" ("una bianca tavola marmorea") riportante un'EPIGRAFE LATINA.
Lungo la direttrice di  fondovalle,  sulla cuspide del promontorio, circondato per tre lati  dall'Argentina, si  vedono  tuttora i ruderi della rocca di CAMPOMARZIO o  di  "S. Giorgio".
 N. Lamboglia, sotto i ruderi medievali, eretti su  una costruzione  bizantina,  individuò  le tracce  megalitiche  di  un castello ligure preromano.
 La difficoltà  di accedere al sito  non ha  permesso di identificare tracce di edilizia militare  romana: però la  tradizione  locale  parla del ritrovamento di monete ed utensili di epoca romana, sì   da  far pensare  ad  un  insediamento: buone  motivazioni  rafforzano  in particolare l'impressione che si trattasse di una  fortificazione con  uno  stanziamento  militare.  Date  le  dimensioni   ridotte dell'area  e la disposizione del  complesso, avrebbe  potuto  trattarsi  di un  burgus , cioè   di  un   edificio situato in un punto chiave, a guardia di passi obbligati (strade, valli,  approdi  fluviali), atto a contenere una  cinquantina  di 
uomini,  ed a garantire la tranquillità  dei trasporti.
L'indagine sul campo fa pensare che i Romani,  teorici  dell'edilizia  militare  e  della  politica  di  difesa  preventiva, abbiano colto la  potenzialità strategica  della  Rocca  di  Campomarzio.  Esaminando  il  quadro geofisico  della  valle  Argentina e delle  zone  viciniori  pare  evidente che  Campomarzio  dovesse altresì risultare,  sia  per  la  dislocazione  strategica   di 
controllo viario che per la collocazione protetta e d'altura,  il più  solido punto di controllo e delimitazione del territorio  dei 
Montani (i Liguri più  "selvaggi" ed a lungo ribelli di Roma)  da quello  degli  Ingauni ( seguendo questi  parametri  che,  molto  dopo,  gli  ingegneri di Bisanzio intervennero  sulla  struttura, modificandola sì da farne un avamposto del loro  "limite" o  limes  difensivo contro invasioni barbariche da settentrione).
SVILUPPO  DI  COSTA  BELENI E  DEI  FONDI  RUSTICI:  "MATRICI"  DIVERSE DEI SITI DI SANREMO, TAGGIA, ARMA, POMPEIANA, CASTELLARO, TERZORIO, SANTO STEFANO AL MARE, RIVA LIGURE, BUSSANA, CERIANA
        
Quando la necessità di contenere popoli non domati venne meno (49  a.C.),  subentrò un  programma  socio-economico  e  culturale. Lo sforzo principale fu  di assimilare i Liguri  occidentali, ed è quindi probabile che lo stanziamento di civili  romani in queste contrade sia  diventato un  fatto  consistente  e  incoraggiato  dal  potere centrale  proprio a partire dal 49 a.C.:  è risaputo  che  scambi costruttivi avvengono meglio  con  elementi stanziali,   quali  civili  immigrati,  che  non  con   individui fluttuanti come i militari. In tal modo si  agevolò la  diffusione  di civili ad elevata  romanizzazione  in parecchie  aree della Liguria ponentina. La presenza di  militari non venne meno, ma acquisì un significato diverso per una popolazione  indigena,  che ormai vedeva  lavorare  pacificamente antiche  proprietà  agresti da civili Romani ed Italici, coi  quali era più  fattibile un rapporto di collaborazione.
I  fondi stessi, oltre tale funzione acculturante,  continuarono a  svolgere  una  funzione  strategica   di controllo  dell'area  di  Costa Beleni, anzi  integravano  quella delle rocche militari della Torre dell'Arma e di Campomarzio, che rimasero attive, pur essendovi stati probabilmente ridimensionati i contingenti.
In  tale  ottica era significativa la  funzione  del  fondo Porciano,  strutturato secondo alcuni su  2  aree divise dal  Tabia Fluvius : quella relativa all'odierna S.  Stefano era forse meno vasta ed importante di quella compresa tra l'Armea e l'Argentina, e successivamente nota come domocolta di Pozana o Porzana.  Fu   però il  fondo   Matutianus  ad  esercitare  verso  ponente  una  operazione  di  osmosi  tra  territorio  ingauno, cui apparteneva, e intemelio;  i fondi  Pompeianus  e  Coelianus, disposti  nell'interno, ad  est  ed ovest  del   Tabia ,  completavano  la funzione  degli  altri  nuclei  agricoli,  integrandoli  con   la pressione acculturante esplicata sui "Montani".
Nel circondario di Costa  Beleni,  tra  territorio  ingauno  ed  intemelio,  si  era  costituito  un ambiente ad elevato tasso di romanizzazione: da un lato era così salvaguardato  il controllo su una'area  tattica, dall'altro  risultava  accelerata la civilizzazione  di genti  notoriamente  infide  e  ribelli,  quali  gli  Intemeli  e i Montani.
A  proposito della maggior parte dei fondi agricoli si è sempre lamentata  la scarsezza dei ritrovamenti archeologici,  e  questo fatto  ha maturato delle perplessità sulla loro esistenza,  anche  perchè  nei  loro  riguardi  si è mediamente  usata  la  medievale  denominazione  di   villae.
   
In particolare   per   POMPEIANA  la mancanza   di   tracce d'edilizia  romana sembra contraddire l'eventualità ch  vi  fosse stanziata  una  villa secondo i crismi dell'edilizia, ancor poco chiara in verità di simili EDIFICI-AZIENDE: anche se lo studio di una fotografia aerea permette tuttoggi di identificare la peculiarità del sito, spazioso, vicino al mare ed alle sorgenti, parimenti prossimo alle vie di comunicazione e ad un centro di sufficiente importanza coma COSTA BALENA - BELENI, una di quelle peculiarità che da Catone a Columella si ritennero basilari per la scelta di un terreno su cui impiantare un'azienda agricola anche di tipo residenziale del ceppo padronale.
  
Pompeiana, come  i  centri  vicini prescindendo dalle attuali lacune di documentazione archeologia, doveva  quindi esser  stata  un  "praedium" ,  cioè   un   "fundus rusticus" ,  il cui centro residenziale era la  "villa  rustica" ,  ben diversa  dalle   "villae urbanae" , che, come quelle  di  Cicerone  a Formia e di Plinio il Giovane a Laurento, avevano così  splendida conformazione  architettonica  da  poterne  vedere  tuttora   gli opulenti resti.
 
La struttura della  "villa rustica" , delineatasi in modo  definitivo solo  dal I sec. a.C., rispondeva ad esigenze  pratiche,  essendo destinata alla residenza della  "familia rustica" , cioè  l'insieme di quanti  svolgevano i lavori agrico-pastorali ed a capo  dei  quali era il  "villicus" .
Di tali  "villae"  i ritrovamenti archeologici  sono poco evidenti: i contadini abitavano capanne di una  sola  stanza,  che quasi mai  si  evolsero in struttura più  complesse .
 E' possibile che presto gli antichi proprietari o i loro eredi si fossero trasferiti (inizi I sec. d.C.) nei centri di  costa ove  l'esistenza  era più  confortevole: Catone,  prodigo di  consigli  per  gli agricoltori,  invitò i  titolari  di poderi agricoli di amministrarli attraverso l'opera di un  villicus  fidato, uno sorta di servo amministratore  e sovraintendente.
 
L'argomento   è forse irrisolvibile alla  luce  delle attuali  conoscenze;  peraltro esistono dei problemi non  da  poco connessi  alla toponomastica dei fondi (specie per il   Porcianus, che a seconda delle interpretazioni si può  giudicare più o meno esteso di quanto fosse in realtà ). A proposito del fundus Pompeianus si può comunque ritenere che  i  suoi assegnatari si fossero trasferiti nei centri di  Costa Beleni se non di  Albingaunum  ed  Albintimilium  già  alla fine del I sec.  a.C.: in questa seconda  città,  in  virtù delle   epigrafi  recuperate  dalla  necropoli  romana,  abbiamo testimonianza  di  nomi  di  individui  della gens Pompeia.
                            
La  tradizione  attribuisce a Pompeo Magno  la  fondazione  della villa,  ma  si tratta di leggenda senza  prove.  Pompeo avrebbe infatti dovuto attuare questo progetto agli  inizi del  71  a.C., mentre procedeva  dalla  Spagna, dove aveva sconfitto Sertorio, contro  l'esercito  servile  di Spartaco, ribelle a  Roma  e  incalzato  dall'armata  di Crasso. L'intervento di  Pompeo,  come quello  di Crasso, venne ordinato tramite un  senatus  consultum ultinum: la gravità della situazione richiedeva un' azione rapida, senza dispersione  di  uomini,  tantomeno in una  regione  non  ancora coinvolta dalla sommossa servile come la Liguria.
    
In linea teorica Pompeiana avrebbe potuto prendere corpo e nome da Pompeo Strabone, padre del precedente: fu questi che avviò le  trasformazioni  della   Gallia   Cisalpina, attraverso  la concessione dello  Jus Latii  e d'altri benefici.  In Piemonte le città  di  Alba Pompeia   e   Laus Pompeia  presero il nome proprio da questo benefattore;  si trattava, però , di località  di importanza strategica, commerciale e  demografica.   Pompeiana  antica  presentava invece  il  suffisso -ana  o  -anus , sempre in funzione attributiva del termine  villa o locus :  per quanto si ricava dai più arcaici  documenti.  Tali  suffissi  sono  esclusivi  di   toponimi prediali,  servivano  cioè  a nominare, dalla  gente  o  famiglia proprietaria,  poderi agricoli, anche vasti ma sempre indegni  di essere  nominati da qualche illustre personaggio  pubblico.  In ultima analisi sarebbe più  accettabile se  Costa Beleni , centro di un  certo  rilievo,  fosse  stato  nominato   Costa  Pompeia  per celebrare  tale  glorioso  generale di  Roma.
  Non  si  trascuri, altresì,  il  fatto  che, se si ammettesse per   Pompeiana   un  sì celebre   fondatore,   non  si  giustificherebbero  i  toponimi abbastanza anonimi delle altre ville, a meno che per l'eventuale VILLA DI CERIANA, con molta fantasia, non si supponga un intervento di M. Celio Rufo, corrispondente  di  Cicerone;  tenendo poi conto che  i  toponimi  si originarono simultaneamente, si dovrebbe ipotizzare che parecchie celebrità  di Roma, quasi nello stesso tempo, si fossero  adoprate popolare  il  territorio del  Tabia  con ville di proprietà, gestite  da loro seguaci: evento che pare difficile  da accettare visto pure il ruolo ancora marginale che 
la  Liguria aveva nel giudizio dei Romani.
La  villa Pompeiana  (o  fundus Pompeianus ) non ebbe alcun illustre fondatore;  l'identificazione  di  questo  con  Pompeo  Magno o Strabone  avvenne in quanto di frequente gli eruditi  del  passato onde spiegare  un  toponimo ricorrevano ad un eponimo (cioè  ad un fondatore  che avrebbe  dato  il  suo  nome al  luogo)  quasi  sempre  illustre, ricavato sulla scia delle favole e della mitologia, come nel caso di Romolo per Roma o, più modestamente, dell'eroe antiromano Intemelio per Ventimiglia.
     
Pare più  plausibile che il  fondo  Pompeiano,  coi limitrofi,  sia  stato costituito nel corso od  alla  fine  della contesa  tra Cesare e Pompeo; il primo in particolare godette  di appoggi in Liguria e nella Cisalpina, dove reclutò  armati e largheggiò  nella concessione della cittadinanza romana.
  Tuttavia in   queste  zone  non  gli  mancarono  focolai  di   opposizione pompeiana,  e  questo  si verificò  proprio  nella  delicata  area intemelia,  prossima a Costa  Beleni  ed  all'insicura   Gallia Transalpina.
  Anche per questo Cesare, mentre da un lato  con  la Lex  Julia  municipalis  sanciva le strutture  amministrative  dei centri  maggiori, dall'altro proponeva distribuzioni  di terre  ai  suoi veterani, specie con prole  numerosa.
 In  cambio della  concessione  della cittadinanza romana gli  sarebbe  stato semplice confiscare territori agli Ingauni per  poi distribuirli  ai  suoi  legionari,  che,  divenuti   agricoltori, avrebbero popolato le zone rurali presso Costa Beleni ed  avrebbero  svolto  a suo  vantaggio la   citata  funzione   strategica,   economica   ed acculturante:  ed in tal caso la realizzazione dei fondi  rustici sarebbe  da  datare entro un periodo compreso tra il 46 e  il  44 avanti Cristo.
                            
Una  certa  macchinosità  di queste riflessioni,  la celerità  degli avvenimenti che coinvolsero Cesare, il poco  tempo che  avrebbe  comunque  avuto per  curarsi  della  realtà   socio-economica  del Ponente di Liguria, rendono  l'ipotesi,  per quanto suggestiva e plausibile, di non equilibrata solidità.
INTERFERENZE DELLA "PACE AUGUSTEA" SUL COMPLESSO DELL'AREA DI SANREMO-TAGGIA E DELLE VILLE RUSTICHE
A ragion veduta è  da previlegiare l'opinione che la realizzazione di tante iniziative nel Ponente ligure sia piuttosto da collegare con l'operato di Augusto, che, sconfitto Antonio, procedette alla  sistemazione dell'Italia e dell'Impero.
Albintimilium  ed  Albingaunum , ascritte alla IX REGIONE AUGUSTEA (Liguria  e  Piemonte subpadano),  risentirono di questo programma di trasformazione nel settore pubblico.
Il potenziamento della via costiera, che le attraversava, divenne il fiore all'occhiello dell'Imperatore. 
Le opere di ristrutturazione della  Julia Augusta  raggiunsero l'apice nel 13 a.C.; nello stesso tempo  si procedette alla risistemazione delle  Stazioni stradali, tra cui la  Mansio di Costa Beleni , per trasformarle  in luoghi di ricovero per funzionari pubblici, e poi  per  viaggiatori privati.
Resta fuori di dubbio che  la  Mansione stradale di Costa Beleni (a prescindere da un recente, pallido  e dilettantistico tentativo di distorsione storiografica) fosse sita nel giro del Don o Capo S. Siro.
Ancora nel 1985-86 si  sono avuti  ritrovamenti  che  comprovano una  lunga  visitazione  del luogo,  dalla romanità  al Medioevo (un buon sunto  delle  vicende del  luogo  si  trova  in N. CALVINI  -  A.  SARCHI,  Il Principato di Villaregia, 1977, pp. 24-29).
                             
Una  notevole quantità  di monete e medaglie  romane,  individuate nel secolo scorso dal canonico Lotti archeologo  dilettante, sull'area di  Costa Beleni , porta a riconoscere l'importanza  di quella  Mansio  stradale sulla  Julia Augusta   e  del porto-canale del  Tabia Fluvius:  è presumibile che i fondi si siano venuti a disporre intorno a questo complesso socio-economico, magari rientrando nel disegno augusteo di  natura morale ed economica.
OTTAVIANO AUGUSTO  pensava  che, ai fini di una ORGANIZZAZIONE DUREVOLE E PACIFICA del  DOMINIO DI ROMA,  il  suo  ruolo  di   GUBERNATOR ITALIAE richiedesse 4 virtù  ( virtus - clementia - iustitia - pietas  =  Res Gestae, 34).
 Dietro tale giudizio stava la convinzione che la  Pax e  l' Italia  Felix   dipendessero da  una  celere  romanizzazione.
Questa   era  a  sua  volta  realizzabile  con  un  processo   di urbanizzazione  dell'Italia,  basato  sulla  costituzione  di  un tessuto  demografico,  in  cui  l'elemento  romano  finisse  col prevalere su quello indigeno, assimilandone i residui di  cultura autoctona.
  Inoltre  la crisi morale del tempo  era, a giudizio dell'imperatore,  conseguenza della perdita degli antichi  valori che avevano reso grande Roma.
 Tali valori erano poi quelli di una  civiltà  agreste e guerriera, semplice ma dignitosa,  l'unica capace  di  evitare  "il suicidio della razza" e di divenire esempio  perenne di vita (DIONE, LI, 1).
 
Da ciò derivarono le leggi moralizzatrici e, nell'ambito della riorganizzazione economico-fiscale, l'impulso  all'agricoltura.
Specie in  Italia  l'imperatore investì   600  milioni  di  sesterzi  in  acquisti  di  terre   da distribuire ai veterani ( Res Gestae , VIII, 16), col proposito  di sistemarli  quali  proprietari  contadini  e  ridare  impulso all' agricoltura (E. GABBA, Ricerche sull'esercito professionale romano da Mario ad Augusto, "Athenaeum", 39, 1951, p. 245).
     
Per Albingaunum ed  Albintimilium è  facile ipotizzare  tale  fenomeno,  senza  escludere  che  le assegnazioni  si siano affiancate (a livello catastale)  a  fondi più antichi, conseguenza di precedenti assegnazioni ai veterani, magari fin dai tempi di Silla.
  E' tuttavia evidente che  Costa Beleni , verisimilmente sistemata nel 13  a.C. con la Julia Augusta , più  che in qualche altro  tempo  si presentasse, proprio ai tempi di Augusto Ottaviano, come  un'area eccellente per la qualità dei servizi  pubblici,  le  positive caratteristiche  del terreno, soprattutto per la possibilità  dei commerci  con la Transalpina.
 Sembra abbastanza naturale che le concessioni  di  fondi  in  questo  sito  sianno  risultate  ben appetibili  per  veterani  fedeli, che  vi  si  sarebbero  potuti  sistemare  in modo fruttuoso, garantendo peraltro  all'Imperatore la  continuità  di quel processo di romanizzazione cui egli  tanto teneva, ma anche offrendo, su luoghi di rilevanza strategica,  la presenza  di cittadini romani di provata fedeltà  (un segno  utile per  questa  teoria è rappresentato dal fatto  che  nell'area  di Costa Beleni  il Lotti abbia recuperato parecchie monete imperiali ma solo una d'epoca repubblicana: quasi a documentare  che  solo dai  tempi d'Augusto si verificò un consistente incremento socio-economico  di Costa  Beleni, che pure era già stata  utile  per quelle  finalità  strategiche  ed acculturanti, cui  si  è fatta menzione).
                            
In  loco, relativamente ai fondi, non si sono scoperte tracce  di lapidi;  tuttavia  la   gens Porcia   del   fundus  Porcianus ,  oggi Pursai,  presso Santo Stefano, è testimoniata epigraficamente  ad  Albintimilium (G. ROSSI, I Liguri Intemeli , XLIX); la  Pompeia del fundus Pompeianus  (che si può  giudicare più  esteso,  coinvolgente le aree attuali di Castellaro e Terzorio)  è parimenti documentata ad  Albintimilium ( C.I.L.,  V,  7816);  la  Coelia  del  fundus Coelianus  (Ceriana)  è  pure documentata dalle epigrafi scoperte in 
Ventimiglia  (C.I.L. , V, 7824), la  Matucia  del  fundus  Matucianus  (area  di  Sanremo) risulta attestata a   Cemenelum dal C.I.L. , V, 7907 e 7923.
 Si nomina anche un  fundus Tabianus (area di  Taggia)  ma non si sono ottenuti  riscontri  epigrafici:  per  Bussana  si ipotizza un fondo particolare e si nomina spesso  una gens  Vibia , di cui si ha traccia in territorio ingauno  (C.I.L., V, 7783 - N. CALVINI,  Storia di Bussana , Arma di Taggia, 1978).
                            
L'ampiezza dei fondi liguri romani (e  certamente  ne esistevano  in maggior numero di quanto vaghe tracce  ci  abbiano lasciato, seguendo N. Lamboglia citiamo al riguardo una misconosciuta villa Periana ) i rispettivi  confini, la  produttività  agricola  sono irricostruibili:  anche perchè  il ligure si abituò  in seguito,  e tuttora forse, a riflettere in termini di "pezze di terra" per la ristrettezza  dei siti coltivabili, mentre i Romani, per cui la  vastità   dei  possedimenti  e delle  terre  mai  costituì   un 
problema,  ragionavano  semmai sulla misura di  spazi  assai  più estesi di quelli con ci si possa ora, dal toponimo,  identificare un qualsiasi fondo rurale: così  che l'area del  fundus  Pompeianus era quasi di sicuro più estesa dell'attuale area comunale e quasi certamente coinvolgeva il sito di Terzorio (M. DE APOLLONIA -  B. DURANTE,  Terzorio , in "Riviera dei Fiori", XXVI [1982], 9-12, pp. 3-13).
Come  si  è  già accennato non  è improbabile che i  discendenti  di tutti questi antichi fondi (con l'ipotizzabile eccezione di  quelli del  Matucianus , del  Porcianus  e del GRANDE PODERE DI BUSSANA,  in posizione  più  agevole rispetto all' arteria di costa e che avrebbero potuto avere la conformazione di veri e propri EDIFICI COMPLESSI)  si siano  abbastanza presto spostati a trattare i loro affari  nelle città di costa, lasciando  i  loro  fondi  alla   manutenzione dell'opera  servile  e poi magari, in  epoca  ancora  posteriore, sminuzzandoli  in  vari appezzamenti di terreno  da  affittare  a coloni  semiliberi.
  Del  resto  già   dai  tempi  dell'imperatore Tiberio la concorrenza dell'agricoltura gallica e spagnola aveva  cominciato a rivelarsi deleteria per i prodotti dell'Italia  settentrionale e,  col tempo,  la  pressione  fiscale  sulle proprietà divenne  così asfissiante che non furono pochi quanti alienarono i loro beni.
Col tempo, nell'evoluzione medievale, si venne a costituire il BORGO MEDIEVALE destinato (come si vede nell'IMMAGINE di poco posteriore alla calamità) alla terribile devastazione del TERREMOTO DEL FEBBRAIO 1887 e quindi abbandonato dalla sgomenta popolazione,che, in anni di febbrile ricostruzione, ricostruì BUSSANA in un'area diversa, prossima alla costa ed alla via litoranea dove ben presto prese a fiorire mentre il borgo antico rimase desolato, sede in parte di artisti e pittori, scenario terrificante della potenza naturale: ed alla stessa maniera, abbandonata e deserta per sempre rimase la sconsacrata chiesa di N.S. delle Grazie e di S. Egizio, drammatica e "sventrata" testimonianza di sì grande sciagura.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°