cultura barocca
Ovidio Montalbani, Angelico Aprosio, Athanasius Kircher e ritrovamenti di romanità a Bologna = con il parere di Lorenzo Legati riportato da Aprosio a p. 72, dall'alto, della "Biblioteca Aprosiana" sui geroglifici incisi sul grande basamento scoperto a Bologna dal Montalbani nel 1664 di un supposto simulacro della dea Iside ritenuta venerata nell'areale felsineo (approfondisci qui da testo e digitalizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante) Dal Museo Cospiano vedi dal Trattato degli Idoli (l. V) la sez. dedicata agli "Dei dell'Asia e dell'Egitto" (con attenzione alla "Dea Iside") e agli "Dei di Roma".

Nell'immagine, da un reperto archeologico (qui ingrandito e con testo antiquario esplicativo) rinvenuto nel XVII secolo a Roma sulla via Appia si visualizza perfettamente una non comune e per certi aspetti inquietante fatta raffigurare e poi editata dell'antiquario G. B. Casali della divinità egizia di ISIDE = del reperto il Casali scrisse profusamente come qui si legge (l'immagine era a colori e il Casali, oltre a riprodurla in tal modo, ne diede la sua interpretazione) in una vasta sezione del De veteribus aegyptorum ritibus edito a Roma, per A. Phaei, nel 1644 = oltre a ciò nella stessa opera l'autore proprietario entro il proprio romano museo di simulacri di divinità egizie nella stessa opera entro il Capitolo XIII si propose di stendere una storia mitologica documentata in merito ad Iside e Osiride.
Fermi restando due principi, le lacune evidenziabili nell'opera del Casali specie in merito all' acritica identificazione di Iside con la romana Diana (da allegare comunque all'imponente sforzo dell'autore come museografo, collezionista, antiquario e protoarcheologo) e i tanti moderni approfondimenti via via maturati sulla Dea, vale la pena di fruire qui in merito di un lavoro modernissimo ed esauriente sia dal lato scientifico che divulgativo. Si tratta un contributo recentissimo estremamente utile offertoci dalla competenza scientifica di Anna Ferrari, Dizionario di Mitologia Greca e latina, UTET, Torino, 2000 che assai utilmente sotto voce scrive = "Iside è una delle principali divinità egizie, sposa di Osiride, e madre di Horus. Originariamente dea della terra, poi della Luna, venne dai Greci ora identificata con Demetra ora con Io, ora con Afrodite e con svariate regine tolemaiche e accolta nel mondo ellenistico fra i culti delle divinità egizie. Insieme alle caratteristiche ufficiali e pubbliche del suo culto si affermarono in Grecia quelle di un vero e proprio culto misterico che comprendeva, accanto a pratiche come l' incubazione e l'iniziazione individuale [propria nelle specifiche forme di altri culti misterici come quello del Dio Mitra], anche la rappresentazione di un complesso mito liturgico che rievocava la morte e la resurrezione di Osiride. Verso la fine della repubblica il suo culto venne introdotto in Roma e divenne estremamente popolare durante l'età imperiale. Il principale tempio di Iside a Roma sorgeva presso il Campo Marzio (qui analizzato nel complesso dei tanti Circhi romani: l'immagine è di quello di Caracalla) e determinò l'attributo Isis Campens con il quale era talvolta indiata. Un altro tempio, che si è conservato in buone condizioni, sorgeva a Pompei. Dagli ornamenti di lino che venivano indossati dai suoi sacerdoti essa derivò inoltre l'epiteto di linigera (Ovidio, Metamorfosi, 1. 747). Il culto aveva caratteristiche proprie, che lo distinguevano da quello tributato alle divinità greche e romane: prevedeva la presenza di sacerdoti di origine egiziana, l'uso di acqua sacra del Nilo, danze, musica e processioni" [ un utile lavoro sulla scienza moderna vista anche nei collegamenti con quella antica -attese le opportune integrazioni- è offerto dall'opera Historia Naturale -qui digitalizzata- di Ferrante Imperato: espressioni di medicina romana di ascendenza orientale non mancano certo nelle scoperte archeologiche in Italia, dato anche il processo di assimilazione delle divinità terapeutiche di origine orientale: vedi qui a Ventimiglia, per esempio, una testimonianza di fede in Asclepio/Esculapio peraltro fluito, anche ma non solo come componente anche folkloristica, nell'ambito di tradizioni che comportano varie sinergie culturali e scientifiche del paganesimo con il cristianesimo originario ( dall'"Aretalogia" pagana di matrice ellenistica ai Santuari dell'Incubatio all'importante culto romano per Esculapio di cui -come appena sopra si è detto- si son trovate tracce anche in Ventimiglia Romana ai successivi e d'epoca cristiana Santuari della Tregua (o Santuari della Rinascita o meglio di una presunta, momentanea rinascita onde battezzare bambini morti senza esser stati liberati del Peccato Originale): analizza per approfondire la loro diffusione e la connessa credenza popolare ma anche la condanna della Chiesa come possibili cancelli per i ritorni di paganesimo e idolatria ) ]
Il collezionismo antiquario fu attratto dal mondo egizio e nemmeno ne rimase escluso l'Aprosio come qui si vede coinvolto più di quanto si creda dal mistero dei geroglifici = un esempio sull'argomento, e contestualmente sul tema del culto di Iside e sulle sue molteplici interpretazioni, proviene dal De Lucernis..... di F. Liceti = ove si trova un incredibile repertorio di Lucerne spesso esumate da altri antiquari suoi amici da sepolcri intatti la cui analisi attivò anche
tematiche esoteriche come in merito al tema delle "Lampade Eterne" verosimilmente anche suffragato non da una non leggenda ma da un fatto storico, quella del tuttora inspiegato "Fuoco Greco o Fuoco di Bisanzio"
fatto che all'autore attirò ammirazione e stupefatte attestazioni ma anche una
polemica abbastanza intensa con l'eruditissimo vescovo di Tortona Paolo Arese.
Il De Lucernis..... del Liceti resta comunque tuttora oltre che opera monumentale un repertorio, specie iconograficamente assai utile, comprendente pure un ricco elenco di antiquarie immagini orientaleggianti (per es. la Sfinge) già appartenuto alla raccolta napoletana del Gazophilacio nobilissimi Viri Domini Vincectij Ciossi e conosciuto dal Liceti specie con l'ausilio di M. Aurelio Severino (grande medico ma anche antiquario e corrispondente di Aprosio e oltre a ciò Fautore e quindi munifico sostenitore dell'Aprosiana di Ventimiglia = p. LV, e quinto nome dall'alto come si legge nell'"elenco del repertorio aprosiano"] ebbe molteplici destini .
E così riassumendo e potenziando quanto appena detto, benché sarebbe intercorso molto tempo prima di decifrare i geroglifici e con essi aspetti vari della civiltà egizia, occorre ammettere che, anche nascostamente specie trattandosi di religiosi, l'interesse per quel mondo esotico e comunque per per la parte orientale dell'Impero Romano - la cui spiritualità a prescindere da Iside/Diana/Artemide pure era penetrata in vari aspetti e talora non senza scandalo in Roma (vedi la vicenda dell'Imperatore Eliogabalo)- era altissimo: un' ulteriore comprova è qui ampiamente offerta per esempio da questa lettera dell'antiquario Filippo Tomasini con cui chiedeva a Fortunio Liceti che prontamente gli rispose e lo soddisfece (proponendo accanto di una prima interpretazione esclusivamente pagana anche una a suo dire ben documentata seconda lettura mirante ad interpretare l'insieme iconico in chiave cristiana e/o biblica) ragguagli su una stupefacente gemma egizia effigiante una probabile scena di divinità -non escluse allusioni possibili figura all'epoca in auge del Trismegisto- già appartenuta al celeberrimo antiquario Lorenzo Pignoria = vedi pag. 409 della Biblioteca Aprosiana.....
Con la caduta del Paganesimo la nuova religione del Cristianesimo determinò la decadenza e la persecuzione delle religioni antiche non esclusa quella di Iside = tale processo in dettaglio fu spesso caratterizzato dalle tracce della
SCONSACRAZIONE CRISTIANA CON IL ROVESCIAMENTO DEL DIO PAGANO IN UN DEMONE DELLA CRISTIANITA'
e ad integrazione, specialmente per tutte le forme cultuali pagane che avessero connessione con il culto della Luna, questo risultò vanificato nel contesto di una postazione misogina peraltro tipica del cristianesimo originario di maniera che la
LUNA ONDIVAGA E DAGLI EFFETTI UMORALI SULLE DONNE ("LE LUNATICHE") DIVENNE SIMBOLO DELLA LORO SUPPOSTA MUTEVOLEZZA E PIU' ESTESAMENTE ESPRESSIONE DEL ROVESCIAMENTO DI UN ULTERIORE ASPETTO DEL PAGANESIMO, DI CUI UNA "FORZA BENEFICA" IN CONTESTO CRISTIANO RISULTO' METAMORFIZZATA IN "FORZA MALEFICA O QUANTOMENO AMBIGUA"
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Scrive Antonio Zencovich (pp.97 sgg.): "Il nome della dea cacciatrice DIANA [ divinità dai molti nomi identificata (ma è doveroso fare le opportune distinzioni) con la greca ARTEMIDE di cui nel De Lucernis.... di Fortunio Liceti compare assai bella questa Lucerna contestualmente detta della Luna e di Diana ed appartenente al rinomato romano Museo di G. B. Casali ] ricompare, in pieno Medioevo, al centro di un culto estatico come detto collegato alla solida radice popolare della SOPRAVVIVENZA DI CULTI PAGANI, quello delle COMPAGNE DI DIANA, giudicato una delle PRIME FORME DI STREGONERIA (WITCHCRAFT) contenendo a giudizio degli interpreti quasi tutte le componenti delle imprese successivamente attribuite alle STREGHE.
Ne parla il famoso CANON EPISCOPI, citato continuamente dagli scrittori di religione nell'epoca della CACCIA ALLE STREGHE: il testo, noto già verso l'inizio del X secolo a Reginone di Prum, veniva riesumato circa cent' anni dopo da Burcardo di Worms, il quale lo riportava in un passo dei suoi Decretorum Libri, attribuendolo, con un equivoco destinato a durare a lungo, al Concilio di Ancira del 314 d.C., mentre in realtà era stato scritto almeno mezzo millennio più tardi. Ne riportiamo uno stralcio: Pretendono e dichiarano di cavalcare nelle ore della notte piu profonda, esse con un'innumerevole folla di altre donne, insieme con la dea pagana Diana [e le Ninfe storiche compagne della Dea sarebbero presto state metamorfizzate in Streghe e Malefiche come qui si legge], a cavalcioni su certi animali e di percorrere col favore del silenzio notturno spazi immensi e di obbedire al comandi della dea come loro signora e di stare al suo servizio in ore ben determinate... Molte persone, indotte in errore, credono che queste cose siano vere e in tal modo si allontanano dalla vera fede e ricadono nell'errore pagano, stimando che possa esistere qualche altra divinità o potenza divina oltre l'Unico Iddio. E' invece il diavolo che assume ogni sorta di apparenze e figure umane e, ingannando per mezzo dei sogni le anime che tiene prigioniere, mostra loro cose ora allegre ora tristi, ora persone sconosciute: in tal modo induce in errore e, mentre impegna con le sue nenzogne soltanto lo spirito, fa sì che il superstizioso ahbia l'impressione che quel che vede non accada solo nella sua mente, bensì nella realtà concreta.
E' difficile stabilire se vi fosse una continuità tra simili manifestazioni e il CULTO PRECRISTIANO DI DIANA; il fatto di ascriverle a quella dea costituiva senz'altro un tentativo di sistemazione dottrinale da parte dei teologi, più che di coloro i quali le praticavano.
Tuttavia non è improbabile che una DEVOZIONE NASCOSTA ALLE DIVINITA' PAGANE abbia potuto conservarsi a lungo dopo l'avvento della Cristianità, soprattutto dove le sue radici erano più profonde.
Essa dovette rimanere confinata, in generale, nell'ambito popolare, legandosi a un complesso di riti eterodossi al quali la Chiesa non si opponeva seriamente, non ritenendoli una vera e propria minnaccia al proprio primato.
Una reminiscenza in tal senso veniva descritta, nel secolo VI, da Cesario di Aries: a quei tempi, in Francia, durante la notte delle CALENDE DI GENNAIO, i contadini allestivano tavolate per propiziare la prosperita e in tali occasioni si mascheravano da animali, gaudentes et exsultantes, si taliter se in ferinas species transformaverint, ut homines non esse videantur.
Anche in una simile tradizione, antenata dell'uso di festeggiare il CAPODANNO con cene e libagioni, si proponevano dunque degli elementi che in un secondo tempo sarebbero stati qualificati come diabolici, per via di quel trasformarsi in bestie che, interpretato allora a livello ludico, avrebbe finito per essere preso assolutamente sul serio vari secoli dopo.
Intorno alla fine del primo millennio dell' era cristiana, dunque, il culto di una DOMINA NOTTURNA raggiunse una fisionomia ben precisa e una forma organizzata che, per i teologi, faceva sospettare l'esistenza di qualcosa di simile a una società segreta, definita COMPAGNIA DI DIANA.
La figura dell'antica dea però (se di essa si trattava) si era profondamente modificata: non più soltanto personificazione della Luna, nonché signora delle foreste e degli animali selvaggi - competenze, queste ultime, alquanto secondarie in una società stanziale di tipo agricolo - essa era diventata padrona del regno dei morti e dispensatrice di fertilità, secondo connotazioni più proprie alla CELTICA EPONA che alla Artemide-Diana della tradizione dei Greci e dei Romani.
Aveva inoltre assimilato alcune delle prerogative di Era (la Giunone italica) con il cui nome veniva talvolta chiamata.
Ancora al principio del Quattrocento i contadini del Palatinato credevano che una HERA portatrice di abbondanza andasse volando nottetempo, nel periodo di dodici giorni dedicato al morti compreso tra il Natale e l'Epifania.
E' evidente dunque come a Diana, o Era, si riallacciasse il mito popolare e nello stesso tempo alquanto particolare della
BEFANA .
Ancora più esplicito il riferimento proposto da S. BERNARDINO DA SIENA che, nei sermoni pronunciati a Padova nel 1423, parlava delle vetule rencagnate che andavano in cursio cum Heroyda in nocte Epiphanie.
Heroida, o Erodiade, era un altro appellativo della dea, che ricorreva già in Burcardo di Worms.
Derivato forse dalla deformazione di Eradiana (Era + Diana), veniva però spiegato sulla base di una leggenda popolare, secondo la quale l'amante di Erode era stata costretta a vagare in eterno nell'aria, spinta da uno spirito maligno, dopo aver preteso la testa di S.Giovanni Battista. In ambito tedesco compariva a volte col nome di Fraw Selga, in omaggio alla quale si svolgevano, durante le quattro Tempora, cerimonie evocative dei defunti, con la partecipazione di donne che cadevano in deliquio. In altri casi, invece, a queste "processioni dei morti" presiedeva un'altra divinita, di nome Holda, identificata con Venere.
In tal modo quasi tutta la rappresentanza femminile dell' Olimpo confluiva nella figura di questa multiforme signora della notte, diventata ormai una "superdea" in cui rinasceva, sotto vari aspetti, la figura della DEA MADRE delle ANTICHE CIVILTA' MEDITERRANEE.
Essa [attraverso l'opera delle COMPAGNE DI DIANA] veniva a colmare la lacuna lasciata, nel terreno dei bisogni spirituali, dal Dio uno e trino cristiano, ereditato dalla religione degli Ebrei, popolo di guerrieri e pastori, nella cui società la donna aveva scarso peso.
In molte parti dell' Europa, invece, il ruolo femminile si era affermato in maniera autorevole fIn da tempi remoti, lasciando tracce indelebili nei sentimenti popolari. Nei posti in cui si trovava un terreno favorevole, le preesistenti istanze religiose finirono così per risorgere spontaneamente, col proporre un punto di riferimento antitetico a quella del DIO UOMO, in cui si affermavano ideali femminili che il Cristianesimo aveva sottovalutato in nome del proprio simbolo, portatore di opposte insegne.
Anche a prescindere dalla fisionomia con cui lo si raffigurava, infatti, era chiaro come l'immagine del Dio di forza e di luce propugnasse un modello accentratore e combattivo dalle evidenti connotazioni virili, mentre la dea rivale si esprimeva nel territorio deli' altra metaà dell'esperienza umana, per molti versi cara al maligno, signore di presenze oscure quali la notte, la morte, la selva, il silenzio e la solitudine.
Le motivazioni che inducevano le DEVOTE DI DIANA a presenziare ai riti estatici e a compiere imprese oniriche avevano però quasi sempre, almeno in origine, ben poco di demoniaco. Lo stimolo principale, perfettamente comprensibile nello stato di miseria diffusa a quei tempi, era l'aspirazione alla sicurezza e alla prosperità; talvolta non solo per se stesse, ma per l'intera comunità di appartenenza.
Non per nulla l'immagine popolare delle vecchiette veleggianti nell'aria era destinata a dare origine al mito gioioso della BEFANA.
Allo stesso modo le discese agli inferi e le battaglie per la fertilità di un secondo filone stregonesco... perseguivano finalità altruistiche, in quanto coloro che vi si dedicavano erano convinti di agire nell'interesse della propria gente. E anche se l'aiuto offerto non usciva dall'ambito dell'immaginario, il loro intervento non doveva mancare di una reale efficacia suggestiva nei confronti di chi avesse condiviso i fondamenti metafisici di simili mprese.
I religiosi, però, sospettavano qualche intrigo del diavolo e, in un'epoca abbastanza antica- quella della compilazione del Canon Episcopi cominciarono a mettere in guardia chi vi si dedicava o era tentato di farlo. Forse, più del diffondersi di un CULTO PAGANO, essi temevano il contenuto trasgressivo implicito in ogni manifestazione che si sottraesse al controllo delle istituzioni sociali, alimentando la pericolosa idea che il benessere, a livello individuale o di piccoli gruppi, non fosse da cercare lungo le vie indicate dalla morale comune, ma proprio in quelle sbarrate dagli imperativi e dai divieti.
Tuttavia, per alcuni secoli, la censura ecclesiastica non si sarebbe tradotta in una sistematica persecuzione. Condanne isolate - o più spesso linciaggi - certo non mancarono e anche in quei primi tempi doveva essere pacifico a tutti come esistesse una magia buona e una cattiva, non meno di stregoni amici e nemici.
Ma la DEA DELLA NOTTE E DELLA FORESTA restò a lungo, nell'immaginario collettivo, come la buona signora cui venivano attribuiti i nomi benaugurali di Satia, Abundia, Richella, o appellativi pseudocristiani, come la Madonna Horiente, materna figura che insegnava le virtù delle erbe, il modo di curare le malattie e di sciogliere i malefici.
Un improvviso cambio di tendenza si ebbe verso la fine del XIV secolo e un episodio legato al culto di MADONNA HORIENTE , riferito da Carlo Ginzburg, appare particolarmente indicativo dell'irrigidimento della Chiesa che, da allora, non disdegnò di avvalersi degli stessi argomenti irrazionali e suggestivi di cui si nutriva l'immaginazione degli umili.
Nel 1390 due donne lombarde, Sibillia e Pierina, furono processate per la partecipazione a quello che i religiosi chiamavano ancora IL GIOCO DI DIANA.
L'accusa originaria era di aver creduto di andare al convegno, limitando la loro colpa a un peccato di pensiero.
Ma sei anni più tardi, nel rivedere gli atti relativi a una delle due, un altro inquisitore ebbe a scrivere che la donna era stata materialmente alla festa del diavolo.
A questo punto cominciarono ad essere accreditati, da parte degli scrittori di Chiesa, tutti gli stereotipi che la fantasia popolare aveva accumulato, nel corso dei secoli, sul conto delle malefiche: quello di uccidere i bambini, di suscitare tempeste, di compromettere la fertilita dei campi e indurre malattie tanto agli uomini quanto agli animali.
E soprattutto ricomparve il mito della STRIX, il vampiro degli antichi Romani, ricordato da Plauto, Plinio e Ovidio, che volava nottetempo per succhiare il sangue degli infanti, da cui appunto deriva il nome di STREGA.
Conseguentemente venne accolta, da parte di molti religiosi, la leggenda che descriveva le indemoniate come capaci di mutarsi in bestie e volare nell'aria: quest'ultima eventualità, esclusa in precedenza non solo dal Canon Episcopi, ma da una linea di pensiero risalente a S. Agostino, avrebbe trovato la sua consacrazione nel MALLEUS MALEFICARUM e negli scritti di una nutrita schiera di teologi che, a partire da quel momento, presero a sostenere concordi come le intelligenze angeliche, buone e cattive, potessero, per propria naturale virtù, trasportare un corpo umano da un posto all'altro.
Tra i teorici che si occuparono dell'argomento prima del MALLEUS emerge il nome di Johannes Nieder, autore del Formicarius, scritto a Basilea tra il 1435 e il 1437, il cui quinto libro rappresentò, all'epoca, il principale riferimento per chi combatteva le superstizioni e la magia.
Benché fermamente convinto che il demonio potesse, con tali mezzi, conseguire effetti prodigiosi, egli non era tuttavia dell'avviso che le streghe volassero realmente.
Non così i predicatori i quali, nella prima metà del secolo XV, prepararono il terreno alle prese di posizione estremistiche di Sprenger e Kramer.
A livello di impatto sul pubblico la loro azione ebbe infatti una risonanza ben maggiore di quella dei teorici colti, non ancora in grado di avvalersi della risorsa decisiva rappresentata dal mezzo della stampa: arma di cui poterono invece disporre, pochi decenni dopo, i due inquisitori tedeschi"

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