In un saggio ormai abbastanza datato ma sempre attuale per la validità critica "L'Alcibiade fanciullo a scuola". Nota bibliografica in "Studi Secenteschi", XXVI, 1985 Laura Coci scrisse: " L'Alcibiade fanciullo a scola può forse considerarsi lo scritto più osceno della letteratura italiana del Seicento.
Antonio Rocco vide la luce a Scurcula d'Abruzzo nel 1586: consegnatosi alla vita religiose prese l'abito dei minori conventuali dedicandosi principalmente al lavoro intellettuale in campo filosofico e teologico nell'ambito universitario di Roma, Perugia, Padova dove godette dell'insegnamento del pur controverso Cesare Cremonini, che ne indirizzò la formazione in ambito spiccatamente aristotelico e peripatetico.
La trama è alquanto esile: in una Grecia di fantasia un pedagogo omosessuale tenta, con successo, di corrompere un giovanissimo allievo, Alcibiade. E' evidente il ricordo del Convito platoniano, che pure presenta un'analoga situazione, ma rovesciata: è infatti il giovane e bellissimo Alcibiade che aspira all'amore dell'Anziano e austero Socrate.
Lo scandalo non risiede tanto nell'intreccio del libro, né nell'amplesso che lo conclude, quanto nel lucido, razionalissimo rovesciamento della morale costituita appunto da Filotimo, maestro ben esperto di logica e capace di controbattere con rigore tutto dimostrativo alle obiezioni di Alcibiade, di volta in volta assennato interprete dell'istinto naturale, dell'opinione comune, dello scrupolo religioso. Non si tratta semplicemente del gusto dell'infrazione alla norma (che contraddistingue, ad esempio, la produzione erotica del Pallavicino), a del vero e proprio rovesciamento di essa, che porta alla costituzione di una norma nuova e coerente condotta sul filo di un ragionamento aberrante ma impeccabile. Operazione che verrà portata alle estreme conseguenze, ben un secolo dopo, soltanto da Sade".
L'autrice, correda la sua indagine di una vasta bibliografia ed investiga con attenzione estrema sulle varianti A1 ed A2, del XVII secolo, cui da parte della Coci si accostano a titolo comparativo le varianti delle ristampe ottocentesche A3 ed A4 che caratterizzano i pochissimi esemplari superstiti del libro, che fu stampato anonimo (come pare evidente al fine d'evitare gli strali dell'Inquisizione) con sole tre lettere D.P.A. sottostanti al titolo e con indicazioni di stampa assolutamente improbabili: il luogo = "Oranges", lo stampatore = "Juann Vvart", e persino l'anno = "1652".
Il contenuto e l'eccezionale rarità del libro (che verisimilmente alcuni bibliofili preferirono distruggere onde evitare sicure persecuzioni) ha da sempre attratto l'attenzione quasi morbosa dei bibliofili sì che, sulla base di dati tanto vaghi, si è proceduto ad attribuzioni estemporanee e/o scorrette come in particolare quelle a Pietro Aretino e Ferrante Pallavicino.
La svolta decisiva in merito a questo libro dannato si ebbe nel 1888 quando Achille Neri giunse a conclusioni esaustive su questo libro pregno di mistero nel suo saggio Il vero autore dell'Alcibiade fanciullo a scola in "Giornale Storico della Letteratura Italiana", XII (1888), pp. 219 - 227.
Lo studioso propose inoppugnabili ragioni, che non si limitarono tanto allo scioglimento del nesso D.P.A. in DI PADRE ANTONIO, ma che soprattutto trassero energia nell'attribuzione dell'Alcibiade a
Padre Antonio Rocco, Accademico Incognito a Venezia
(di cui sopra si può vedere un ritratto recuperato da Le Glorie degli Accademici Incogniti) da molteplici e ben più eclatanti ragioni come la formazione padovana dell'autore (chiaramente influenzato da Pomponazzi e Cremonini), la forte cultura peripatetica che lo distingue ed ancora l'analisi di due Discorsi Accademici che Padre Antonio Rocco tenne in seno all'Accademia degli Incogniti: specificatamente il della Bruttezza (pp. 150 - 163) e Amore è un puro interesse (pp. 164 - 177), contenuti nei Discorsi Accademici de' Signori Incogniti, Havuti in Venetia nell'Accademia dell'Illustrissimo Signor Gio: Francesco Loredano nobile Veneto, in Venetia, per il Sarzina stampatore dell'Accademia, 1635, in 8°, pp. 287, laddove il della Bruttezza ripropone un significativo rovesciamento della morale corrente.
Il Neri risolto l'enigma di fondo, su cioè chi fosse l'autore de L'Alcibiade fanciullo a scola non aveva al contrario chiarito chi avesse composto i cinque sonetti (Udite o voi, maestri babuassi, che precede il testo: L'arte che buggeronica si chiama; Sentite o voi, poeti pecoroni; Potta, che non vuò dir di qualche male; O voi, che le scienze studiate che seguono invece il testo) caratterizzati da un'altra sigla, in questo caso M.V., su cui vale la pena di registrare quanto scrisse Giambattista Baseggio (che erroneamente attribuiva L' Alcibiade...Ferrante Pallavicino) nella sua Disquisizione intorno il rarissimo libretto intitolato "Alcibiade fanciullo a scola, Bassano, dalla tipografia Baseggio 1850: "...le due lettere che si trovano alla testa M.V. sono invenzione [...] e certamente intesero significare Maffìo Veniero cioè quel Veniero, non però Maffìo, amico dell'Aretino e autore della P.E. [Puttana Errante] e della Zaffetta [dunque Lorenzo Veniero]. Ma se costui fu poeta detestabile per oscenità, era però atto scriver versi, mentre l'autore dei mentovati sonetti dee essere stato qualche fattorino di cuoco, o peggio".
Questa manchevolezza del Neri nulla però toglie alla sua scoperta: era egli un assiduo frequentatore della Biblioteca Universitaria di Genova e alle pagine 221 e 222 del suo citato lavoro annota: "Leggendo poco fa le lettere inedite scritte da Gio Francesco Loredano al p. Angelico Aprosio, ci è occorso di trovare menzione di quel libro [cioè L'Alcibiade fanciullo a scola]. Il Negri in dettaglio si riferiva ad una lettera del Loredano del 21 gennaio 1650 in cui leggesi "L'ordinario venturo prometto a V.S. un libretto da Carnevale intitolato: Alcibiade in Scuola" e quindi ad una ancor più esplicita missiva all'Aprosio del 28 gennaio 1650 ove leggesi "Riceverà un libretto da Carnevale, non valevole credo però a perturbare la tranquillità del suo animo. Vien attribuito a D. Antonio Rocco. Può essere che egli negli anni suoi più giovanili possa haverlo composto, e sono 20 anni che l'ho avuto a penna".
Il Neri di seguito dà una sua razionale spiegazione, ma in merito alla data di pubblicazione: scrivendo a commento di questo "Osserviamo subito due cose; la prima che nel gennaio del 1651 (secondo lo stile comune) l'opera era già stampata, mentre nel frontespizio reca il 1652; la seconda che il Loredano, secondo si rileva dal tenore delle sue parole, ebbe probabilmente mano nell'impressione, la quale perciò potrebbe benissimo essere uscita dai torchi di Venezia, come sospettò il mazzucchelli. La gherminella della falsa data posticipata non deve meravigliare, perché se ne hanno altri esempi, e serviva ad imbrogliare le possibili ricerche dell'autorità; quanto al Loredano si sa per più riscontri come non solo mandasse fuori delle cose sue stampate alla macchia, ma cooperasse alla pubblicazione di opere altrui d'argomento difficile o pericoloso. Laura Coci, che condivide le postulazioni del Neri, conclude questa nota 8 di p. 304 del suo saggio scrivendo in merito al Loredano: "Ad esempio [compose] L'Anima di Ferrante Pallavicino. L'Alcibiade [sulla scia del Neri la studiosa ne data a 20 anni prima la stesura] al 1631.
Sarà pertinente questa ultima osservazione in questo gioco degli inganni: forse sì...ma restano dei dubbi.
Non sembrano invece sussistere dubbi sul fatto che da Venezia poco oltre la metà del XVII secolo il Loredano abbia inviato ad Aprosio per la sua Biblioteca (o forse solo per la sua intellettuale curiositàI il tanto discusso volume: eppure dalle mie investigazioni all'Aprosiana intemelia nulla ho trovato del Rocco e tantomeno tracce di qualche passaggio di una copia de L'Alcibiade fanciullo a scola cosa di cui non dovrebbe dubitarsi attesa la corrispondenza del Loredano, purtroppo non abbiamo copie delle lettere aprosiane a differenza di quelle dei suoi corrispondenti!
Ipotizzando che il libro sia giunto all'Aprosio (cosa molto probabile comunque) resta allora da spiegarsi la sua scomparsa: io personalmente non la collegherei alle indiscusse peripezie dell'Aprosiana.
Proprio l'oblio fatto scendere da Aprosio su Antonio Rocco induce ad ipotizzare che il frate intemelio, sempre più lontano dai giochi eruditi ed erotici veneziani e sempre più vicino all'Inquisizione, lo abbia letto e poi al pari di altri bibliofilo fatto in modo che si disperdesse, magari anche tramite il "rogo purificatore" come allora si diceva.
Ebbe anche lui occasione di dissertare sulla questione dei Massimi Sistemi, e quindi sia di Copernico e Tolomeo che soprattutto di Galileo contro cui scrisse un SAGGIO che è variamente significativo: Aprosio, innestatosi saldamente sul campo dell'ortodossia, sembra quasi strano che, a fronte di tanti autori di relativo peso e significato non abbia utilizzato di Antonio Rocco quelle sue peripatetiche ed aristoteliche oltre che note e per nulla banali Esercitazioni filosofiche dal passo chiaramente antigalileano, quasi che temesse d'avvalersi di un autore di cui aveva saggiato la potenziale pericolosità sia per le postazioni ideologiche ereditate dal Cremonini sia per l'aver scritto un'opera che era a lui nota, che aveva letto e che non gli permetteva d'utilizzare i pensamenti di quell'autore senza tremare quale Vicario dell'Inquisizione proprio in forza del "segreto" che conosceva, esser cioè il Rocco autore del pericoloso L'Alcibiade fanciullo in scola.
La tradizione vuole che il Rocco sia poi stato lettore di filosofia presso il Convento di San Giorgio maggiore e che fosse seguito con passione dalla gioventù studiosa ed aristocratica: stando ai documenti invece venne eletto dal Senato Maggiore di Venezia quale lettore di retorica in forza di una delibera datata 12 luglio 1636 (così la Coci cit. che riprende il Neri cit pp. 223-224).
Ebbe comunque successo a Venezia ed ottenne l'ascrizione a due importanti Accademie della città lagunare: quella degli Incogniti e quella degli Unisoni.
Così, oltre alle opere sue qui di seguito elencate sulla base dell'SBN, questo personaggio, indubbiamente scomodo per le postazioni ufficiali della Chiesa romana redasse scritti non facilmente accettabili dalla censura ecclesiastica che vennero inseriti tanto nei Discorsi academici de' Signori Incogniti e nelle veglie de' Signori Unisoni (opere editate a Venezia parimenti dal Sarzina negli anni 1635 e 1638).
Ma la reputazione e quasi certamente la simpatia e la riprovazione (se non la curiosità dell'Aprosio e certamente d'altri) ad opera delle autorità ecclesiastiche gli furono gravissimamente condizionate dalla pubblicazione dell' opera-trattato Animae rationalis immortalitas..., Francofurti, apud Philippum Hertz: venne quasi subito posta all'Indice dei Libri Proibiti atteso che sosteneva sulla linea dell'aristotelismo padovano la teoria della mortalità dell'anima. E così il Rocco mai più lasciò Venezia ove poteva godere della protezione del Senato: ciò gli concedeva di non nascondere quanto in altri Stati, italiani e non, gli sarebbe costato caro, il suo sostanziale ateismo e le posizioni ereticali sempre più marcate.
Ciò costituì per la sua cagionevole salute un riparo altrimenti improponibile: in particolare dal 1648 quando si ammalò sempre più gravemente, sin a redigere il proprio testamento nel 1650, tre anni prima circa della morte che lo colse il 20 marzo del 1653.
Ecco l'elenco delle sue opere in Italia secondo l'attuale schema documentario dell'SBN:
Rocco, Antonio, Antonii Rocci ... In Aristot. Logicam paraphrasis textualis, & quaestiones ad mentem Scoti. Vna cum introductione in principio, & tractatu de secundis intentionibus , Venetiis: Varisco, 1627
Rocco, Antonio, De immortalitate animae rationalis via peripatetica libri duo. Primus exercitationum. In quo ipsius Animae productio ex propagatione, immortalitas ex recessu a corpore indagatur. Secundus resolutionum. In quo Animam creari, immortalitatemque a sui primordio potiri, ostenditur. Rationesque omnes ad oppositum, cum alijs quibusque ad ipsas attinentibus diluuntur ab Antonio Rocco ...,Venetiis: Leni, Matteo & Vecellio, Giovanni, 1645
Rocco, Antonio, Antonii Rocci ... In uniuersam philosoph. naturalem Arist. paraphrasis textualis exactissima; necnon quaestiones omnes desiderabiles ad mentem Joannis Duns Scoti subtilis. Quod quidem opus ... in tres partes diuiditur. Pars prima -tertia, Venetiis: Varisco, 1623
Rocco, Antonio, 3: Antonii Rocci ... Pars tertia. Quae in tres libros De anima, ac in parua naturalia Aristot. paraphrasim textualem, vna cum quaestionibus ad mentem Scoti comprehendit , Venetiis: Varisco, 1624
Duns Scotus, Joannes
Rocco, Antonio, Antoni Rocci de Scurcula Marsorum ... In logicam, atque vniuersam naturalem philosophiam Aristoteles paraphrasis textualis exactissima; nec non quaestiones desiderabilis ad mentem Joannis Duns Scoti doctoris subtilis. Quod quidem opus est lectura eiusdem Antonij habita in florentissima Academia Peripateticorum Innouatorum Venetijs ... [Pars prima-tertia], Venetijs: Baba, Francesco, 1654
Rocco, Antonio, Esercitationi filosofiche di d. Antonio Rocco filosofo peripatetico. Le quali versano in considerare le positioni, & obiettioni, che si contengono nel Dialogo del signor Galileo Galilei Linceo contro la dottrina d'Aristotile, In Venetia: Baba, Francesco, 1633