INFORMATIZZAZIONE DURANTE

IL DIBATTITO ED IL FERVORE DEI MOTI PATRIOTTICI NON E' TESTIMONIATO, PER IL RISORGIMENTO ITALIANO, SOLTANTO DALLE IDEOLOGIE, DALLE LOTTE PER SOPRAVVIVERE ALLE PERSECUZIONI GOVERNATIVE OD ALLE GESTA INSURREZIONALI: TUTTO RISULTA SOTTESO DI UN'INCREDIBILE TEMPERIE INTELLETTUALE, CULTURALE ED ARTISTICA.
NELL'IMMAGINE SOPRA PROPOSTA PER ESEMPIO SI VEDE UNA
TAVOLA GEOPOLITICA DI UN PROGETTO DELL'ITALIA, CON LA SUSSEGUENTE SOLUZIONE DELLA QUESTIONE ROMANA SECONDO L'IDEAZIONE DI LUIGI TORELLI ESPRESSA NEL VOLUME PENSIERI SULL'ITALIA DI UN ANONIMO LOMBARDO ANONIMAMENTE EDITATA NEL 1846 (TUTTAVIA LA TAVOLA IN QUESTIONE FU ALLEGATA SOLO ALL'EDIZIONE DEL LAVORO CHE AVVENNE NEL 1853 CON L'INDICAZIONE DEL NOME DELL'AUTORE E CON IL TITOLO MUTATO IN PENSIERI SCRITTI NEL 1845 E COMMENTATI DA LUI MEDESIMO NEL 1853[ARCHIVIO FOTOGRAFICO DEL BIBLIOTECA PRIVATA VENTIMIGLIA]).
IL TORELLI DELINEO' (P.139 DELLA II EDIZIONE) IL SUO PIANO "OSSIA LA FORMAZIONE DI TRE REGNI COSTITUZIONALI E DELLA REPUBBLICA DI ROMA. OGNI REGNO HA DUE CAPITALI, LA RESIDENZA DEL SOVRANO E QUELLA DEL CONGRESSO NAZIONALE. IN QUESTO MODO SI INTERESSANO GLI ABITANTI DELLE SEI PIU' COSPICUE CITTA' D'ITALIA E S'IMPEDISCE LA SOVERCHIA CONCENTRAZIONE IN UNA SOLA METROPOLI...IL PONTEFICE NON SARA' PIU' AUTORITA' TEMPORALE MA SOLO SPIRITUALE".
L'UTOPIA, CHE FU ANCHE CORAGGIO IDEOLOGICO, DI SIFFATTO PROGETTO PUO' ESSER GIUDICATA L'EMBLEMA DI UN'EPOCA DI FERMENTI INTELLETTUALI STRAORDINARI, TALORA IN MANIERA ANCHE POPULISTICA E GENERALIZZANTE MA INDUBBIAMENTE SINCERA E SENTITA CALDEGGIATI DA UNA POTENTE VENA POETICA ESPRESSA IN FORZA DI INNI, CANTI, ODI











-CANTI - CANZONI - INNI PATRIOTTICI
-CARLO ALBERTO BOSI: IL VOLONTARIO PARTE PER LA GUERRA (ADDIO MIA BELLA ADDIO)
-CARLO ALBERTO BOSI: LA INNAMORATA AL VOLONTARIO PER LA GUERRA DELLA INDIPENDENZA
-GOFFREDO MAMELI: PER L' ILLUMINAZIONE DEL X DICEMBRE A GENOVA
-GOFFREDO MAMELI: INNO MILITARE
-LUIGI MERCANTINI: INNO DI GUERRA NEL 1848-49
-LUIGI MERCANTINI: LA SPIGOLATRICE DI SAPRI
-LUIGI MERCANTINI: L'INNO DI GARIBALDI









PER L' ILLUMINAZIONE DEL X DICEMBRE A GENOVA
(di Goffredo Mameli)
Come narran su gli Apostoli,
forse, in fiamma, sulla testa Dio
discese dell'Italia?
Forse è cio - ma anche e una festa.
Nelle gioie che fa il popolo
egli accende monti e piani
come bocche di vulcani,
egli accende le città. Poi se il popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
il suo fulmine gli dà.
E' uno scherzo ch'or fa il popolo:
a una festa ei si convita;
ma se e il popolo che è l'ospite
guai a lui ch'ei non convita;
- grande sempre è ciò ch'egli opera -
ei saluta una memoria
ma prepara una vittoria,
e vi dico in verità che se il popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
il suo fulmine gli dà.
Nol credete ? - Ecco la storia:
all' incirca son cent ' anni
che scendevano su Genova,
l'arme in spalla, gli Alemanni.
Quei che contano gli eserciti
disser: - L'Austria è troppo forte.-
Ed aprirono le porte
. Questa vil genia non sa
che se il popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
il suo fulmine gli dà.
Ma Balilla gittò un ciottolo.
Parve un ciottolo incantato,
che le case vomitarono
sassi e fiamme da ogni lato.
Perché quando sorge il popolo,
sovra i ceppi e i re distrutti
come il vento sopra i flutti
passeggiare Iddio lo fa.
Ché se il popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
il suo fulmine gli dà.
Quei che contano gli eserciti
vi son oggi come allora;
se crediamo alle lor ciance
apriran le porte ancora.
Confidiamo in Dio, nel popolo;
i satelliti, dai forti, non si contano che morti.
E vi dico in verità che se il popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
il suo fulmine gli dà.

INNO MILITARE
(di Goffredo Mameli)
Suona la tromba - ondeggiano
le insegne gialle e nere:
fuoco, per Dio, sui barbari,
sulle vendute schiere;
gia ferve la battaglia,
al Dio dei forti osanna!
Le haionette in canna,
è l'ora di pugnar.
Né deporrem la spada
finché sia schiavo un angolo
dell'itala contrada,
finché non sia l'Italia
una dall'Alpi al mar.
Avanti! - Viva Italia, . . viva la gran risorta;
se mille forti muoiono,
dite, che è ciò? che importa
se a mille a mille cadano
trafitti i suoi campioni?
Siam ventisei milioni
e tutti lo giurar:
non deporran la spada
finché sia schiavo un angolo
dell'itala contrada,
finche non sia l'Italia
una dall'Alpi al mar.
Finché rimanga un braccio
dispiegherassi altera,
segno ai redenti popoli
la tricolor bandiera,
che, nata fra i patiboli,
terribile discende
fra le guerresche tende
dei prodi che giurar
di non depor la spada
finché sia schiavo un angolo
dell'itala contrada,
finché non sia l'Italia
una dall'Alpi al mar.
Sarà l'Italia - edifica
sulla vagante arena
chi tenta opporsi. - Miseri!
sui sogni lor la piena
Dio verserà del popolo:
curvate il capo, o genti:
la speme dei redenti
la nuova Roma appar.
Non deporrem la spada
finché sia schiavo un angolo
dell'itala contrada,
finché non sia l'Italia
una dall'Alpi al mar.
Noi lo giuriam pei martiri
uccisi dai tiranni,
pei sacrosanti palpiti
compressi in cor tanti anni,
e questo suol che sanguina
sangue dei nostri santi
al mondo, a Dio d'innanti
ci sia solenne altar:
non deporrem la spada
finché sia schiavo un angolo
dell'itala contrada,
finché non sia l'Italia
una dall'Alpi al mar.


IL VOLONTARIO PARTE PER LA GUERRA DELLA INDIPENDENZA
(di Carlo Alberto Bosi)
Io vengo a dirti addio,
l'armata se ne va;
se non andassi anch'io
sarebbe una viltà! Non pianger, mio tesoro,
forse ritornerò;
ma se in battaglia io muoro
in ciel t'aspetterò.
La spada, le pistole,
lo schioppo l'ho con me;
all'apparir del sole io partirò da te.
Il sacco preparato
sull'omero mi sta;
son uomo, e son soldato;
viva la libertà!
Non e fraterna guerra
la guerra ch'io farò;
dall'italiana terra
lo stranio caccerò.
L'antica tirannia
grava l'Italia ancor,
io vado in Lombardia
incontro all'oppressor.
Saran tremende l'ire,
grande il morir sarà!
Si muora, e un bel morire
morir per libertà!
Tra quanti moriranno
forse ancor io morrò;
non ti pigliare affanno. . .
da vile non cadrò.
Se più del tuo diletto
tu non udrai parlar,
perito di moschetto,
per lui non sospirar.
No, tu non resti sola,
ti resta un figlio ancor;
nel figlio ti consola,
nel figlio dell'amor:
suonò la tromba, addio,
l'armata se ne va;
un bacio al figlio mio;
viva la libertà!

LA INNAMORATA AL VOLONTARIO PER LA GUERRA DELLA INDIPENDENZA
(di Carlo Alberto Bosi)
Tu parti o giovinetto,
né il cor manda un sospir?
O capo mio diletto,
ti ascondi, non partir.
Se tu mi lasci sola
chi mi proteggerà?
Ti ascondi, ml consola,
nessun ti scuoprirà! Se vengono i sergenti
a ricercar di te,
dirò: con altre genti
mosse da un'ora il pié.
Oh! che diss'io? perdona:
no, no, saresti un vil!
Parti, la tromba suona;
verrò con te, o gentil.
Ti seguirò alla guerra,
compagna a te fedel,
sopra qualunque terra
sotto qualunque ciel.
Allor che sarai stanco
avrai riposo, almen!
Porrai sull'erbe il fianco,
il capo sul mio sen.
Se mai troppo cocente
il sole splenderà,
la chioma mia cadente
dal sol ti cuoprirà.
Quando avrai sete, un rio
a ricercar ne andrò;
cammina pur, ben mio,
che ti raggiungerò!
Ii tuono del moschetto
non ml spaventerà;
accanto al suo diletto
la fida tua sarà!
Ferito, nelle braccia
lo ti raccoglierò:
morto, che Dio non faccia!
non dubitar, morrò.
Ma perché mai di nero
colorasi il pensier?
No, non morrai, lo spero;
no, non cadrà il guerrier:
va', saro teco in guerra
compagna a te fedel,
sopra qualunque terra
sotto qualunque ciel.


INNO DI GUERRA NEL 1848-49
(di Luigi Mercantini)
Patrioti, all'alpi andiamo,
patrioti, andiamo al Po:
perderem, se più tardiamo,
già il Tedesco c'insultò.
I1 tambur, la tromba suoni;
noi sul campo marcerem:
mille e piu sieno i cannoni,
noi le micce allumerem.
E sol verde, bianca e rossa
la bandiera s'innalzò.
E sol verde, bianca e rossa
la bandiera s'innalzò. Tre colori, tre colori,
l'Italian cantando va;
e cantando i tre colori
il fucile imposterà.
Foco, foco, foco, foco!
S'ha da vincere o morir.
Foco, foco, foco, foco!
Ma il Tedesco ha da morir.
E sol verde, bianca e rossa
la bandiera s'innalzò.
E sol verde, bianca e rossa
la bandiera s'innalzò.

LA SPIGOLATRICE DI SAPRI (di Luigi Mercantini)
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Me ne andava al mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All'isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s'è ritornata ed è venuta a terra:
sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!
Sceser con l'armi e a noi non fecer guerra,
ma s'inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido: - Siam venuti a morir pel nostro lido. -
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti! Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi:- Dove vai, bel capitano ? -
Guardommi e ml rispose:- O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella.-
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: - V'aiuti '1 Signore! -
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti! Quel giorno ml scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontrar con li gendarmi,
e l'una e l'altra li spogliar dell'armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s'udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra '1 fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti! Eran trecento e non voller fuggire,
parean tre mila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a loro correa sangue il piano:
fin che pugnar vid'io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai:
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.
Eran trecento, eran giovani e forti,
e sono morti!

L'INNO DI GARIBALDI
(di Luigi Mercantini)
Si scopron le tombe, si levano i morti
i martiri nostri son tutti risorti!
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
la fiamma ed il nome d'Italia sul cor!
Veniamo! Veniamo! su, o giovani schiere!
Su al vento per tutto le nostre bandiere!
Su tutti col ferro, su tutti col foco,
su tutti col foco d'Italia nel cor.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fuora, o stranier.
La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi
ritorni, qual era, la terra dell'armi!
Di cento catene ci avvinser la mano,
ma ancor di Legnano sa i ferri brandir!
Bastone tedesco l'Italia non doma,
non crescono al giogo le stirpi di Roma:
più Italia non vuole stranieri tiranni,
già troppo son gli anni che dura il servir.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fuora, o stranier. 20 Le case d'Italia son fatte per noi,
è là su1 Danubio la casa de' tuoi:
tu i campi ci guasti, tu il pane c'involi,
i nostri figliuoli per noi li vogliam.
Son l'Alpi e i due mari d'Italia i confini,
col carro di foco rompiam gli Appennini:
distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
la nostra handiera per tutto innalziam.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fuora, o stranier
Sien mute le lingue, sien pronte le braccia;
soltanto al nemico volgiamo la faccia,
e tosto oltre i monti n'andrà lo straniero,
se tutta un pensiero l'Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
si chiudan ai ladri d'Italia le soglie:
le genti d'Italia son tutte una sola,
son tutte una sola le cento città.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fuora, o stranier.
Se ancora dell'Alpi tentasser gli spaldi,
il grido d'all'armi! darà Garibaldi:
e s'arma allo squillo, che vien da Caprera,
dei mille la schiera che l'Etna assaltò.
E dietro alla rossa vanguardia dei bravi
si muovon d'Italia le tende e le navi:
gia ratto sull'orma del fido guerriero
l'ardente destriero Vittorio spronò.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fora, o stranier.
Per sempre è caduto degli empi l'orgoglio,
a dir - Viva Italia! - va il re in Campidoglio:
la Senna e il Tamigi saluta ed onora
l'antica signora che torna a regnar.
Contenta del regno fra l'isole e i monti
soltanto ai tiranni minaccia le fronti:
dovunque le genti percuota un tiranno
suoi figli usciranno per terra e per mar.
Va fuora d'Italia, va fuora ch'è ora,
va fuora d'Italia, va fuora, o stranier.









Il 10 dicembre del 1847 è lo stesso giorno nel quale fu distribuito il foglio te che recava la prima stampa del Canto nazionale Fratelli d'Italia ma per la storia di Genova costituisce un momento dell'insurrezione della città contro gli Austriaci iniziata il 5 dicembre 1746 e in in ricordo della quale vennero illuminate le vette degli Appennini.
Si narra che Mameli stesso ed alcuni suoi giovani amici abbiano contribuito a preparare quei fuochi di gioia e ammonimento. Furono anche altri i poeti che celebrarono tale evento tra cui l'Aleardi con I fuochi dell'Appennino e Arnaldo Fusinato. Lo stesso Mameli con estremo trasporto emotivo declamò il canto il 9 dicembre 1847 a Genova al banchetto offerto nella circostanza dagli studeni della locale all'Hotel de la Ville. In molte stampe il canto venne stampato sotto il tirolo di Dio e il Popolo, didascalia molto influenzata dall'ideologia amazziniana cui il canto si ispira.
Giuseppe Mazzini aveva commesso, tramite una sua epistola del 6 giugno 1848, questo inno a Goffredo Mameli,: contestualmente si era garantita la collaborazione musicale di Verdi. Il I7 luglio Mazzini nuovamente scrisse a Mameli informandolo di aver ricevuto la composizione :"Ho mandato l'inno che mi place assai a Verdi: ho tolto due strofe, una perché concerne il Re di Napoli, che non esisterà più quando durerà l'inno; l'altra per un "avemo" che in un canto popolare non può stare". Mameli accolse quietamente queste motivate soppressioni . Le due strofe soppresse seguivano al v. 39, e cantavano"` L'opra, in cui molti secoli
sudaro i re, consunse
un'ora sol del popolo.
Ciò che il Signor congiunse
L'uomo non può disgiungere.
Come un vessillo avremo
gl'Itali lo giurar.
Non deporran la spada . . . // E tu per cui Sicilia
i sacri un'altra volta
Vespri suonò, di Napoli
re e lazzarone ascolta:
colle tue bombe l'ultima
tenti e più stolta prova.
Sire una triste nuova
noi ti dobbiamo dar:
Non deporrem la spada...//"
.


Marchigiano, suddito del papa, Luigi Mercantini nacque a Ripatransone nel 1821. Di famiglia cattolica fu avviato dal padre alla carriera ecclesiastica, e studiò nel seminario di Fossombrone. Fino a vent'anni indossò l'abito talare ma poi, con disapprovazione dei genitori, lasciògli studi del seminario mettendosi asd insegnare umanità e retorica prima ad Arcevia, e poi eloquenza a Senigallia. Seguì con passione i moti risorgimentali del '48 e prima che Ancona fosse presa dagli Austriaci, raggiunse in esilio Corfu. Poco dopo passava a Zate per soggiornarvi oltre un biennio. Poi nell'agosto del 1852 ragginngeva Genova, e quindi Torino per riprendere, con la moglie Giuseppina Defilippi, l'attività d'insegnante. Nel '60 rientrava nello Stato Pontificio segretario di Lorenzo Valerio commissario per Vittorio Emalllele. Fu in seguito incaricato quale professore di letteratura e storia all'Accademia di Belle Arti di Bologna e quindi come docente di Storia moderna presso l' Università della stessa città: nel 1865 ebbe quindi la cattedra di letteratura italiana all'Università di Palermo, città in cui si spense nel 1872.
Come si legge nell'edizione dei Canti del Mercantini lo stesso autore annotò:"Questo inno, che come poesia niente vale, io non avrei ristampato se non chiudesse in sé tante care e dolorose memorie. Fu posto in musica dall'egregio maestro Zampettini di Sinigaglia, e i volontari entrarono nel Veneto con questo inno sul labbro, che fu poi cantato per tutta Italia. Quando in Corfù... lo fui a visitare Daniele Manin, da una stanza vicina si udiva cantare Tre colori, tre colori! -Ecco,- mi disse Manin conunovendosi - ecco il canto col quale abbiamo combattuto insino all'ultima ora sulle nostre lagune. - E in questa si affacciò un biondo e ardito giovinotto. - Ed ecco qua il mio Giorgio, - seguitò il padre affettuoso - che spera sempre e canta".
L'Inno di Garibaldi è invece uno dei tipici canti scritti per il popolo e nel contempo costituisce un frutto del classicismo del Mercantini, pur filtrato attraverso il Berchet (esso fu musicato dal maestro Alessio Olivieri di Torino e fu tra i canti piu popolari del Risorgimento).
Per certi versi questo Inno costituisce. In merito ad esso l'eroe dei due mondi scrisse al Mercantini (da Torino, 7 marzo 1859) "~Carissimo amico, ho ricevuto ed ho letto con ammirazione l'inno vostro bellissimo . . . Io spero d'intuonarlo presto caricando i nemici del nostro paese": ancora Garibaldi, il I settembre 1861, da Caprera, scrisse al poeta:"Vi mando un pugnale come pegno della campagna del '60, che illustraste col bellissimo vostro inno.
Questo canto fu dettato dalla tragica spedizione di Carlo Pisacane. Questi nato a Napoli nel 1818, partecipò col Mazzini a difesa della Repubblica Romana: visse poi esule in Svizzera e Genova. Da Genova s'imbarcò il 25 giugno 1857 sul Cagliari con grossomod 300 compagni nell'intento di provare un colpo di mano contro il regno delle Due Sicilie. Sbarcato all'isola di Ponza il giorno 27, 1iberarò circa trecento prigionieri ed il giorno dopo raggiungeva la spiaggia di Sapri, cercando di rifugiarsi nelle Calabrie. Raggiunto dalle truppe regie il I luglio a Padula, Pisacane accettò lo scontro che ebbe esito incerto. I1 12 luglio, a Sanza, il gruppo fu però sconfitto: nello scontro morirono 27 patrioti, tra cui lo stesso Pisacane. Gli altri furono imprigionati, ma ebbero salva la vita per l'astuzia di Giovanni Nicotera, altro partecipe della spedizione, il quale fronteggiò gli interrogatori, sviando i peggiori capi d'accusa.


Carlo Alberto Bosi, nato e scomparso in Firenze (1813 - 1886) è oggi autore misconosciuto ma all'epoca in cui scrisse godette di una certa fama anche se pubblicò mediamente i suoi lavori in maniera anonima essendo convinto che, per svolgere la sua funzione più vera e cioè socio-politica, la poesia dovesse sempre dar l'impressione di sgorgare dall'anima di un popolo. Di professione avvocato, naturalmente di idee liberali si compromise con il governo democratico di Toscana nel '48: in forza dei suoi ideali e dei meriti conseguiti dopo l'Unità potè ricoprire cariche pubbliche di prestigio fra cui quella di prefetto in varie città italiane.
Secondo una certa tradizione letteraria il Canto del Volontario sarebbe stato redatto da Bosi in pochissimo tempo la giornata del 20 marzo 1848 essendo egli seduto al tavolo di un caffè: mediamente a questo canto si conferisce pure il titolo di Addio, mia bella addio in base alla variante del primo verso, adottata dal popolo che intonò questo canto su una melodia precedente adespota (vedi anche: Poeti minori dell'Ottocento, a cura di Ettore Janni, tomo II, Milano, Rizzoli, 1955, pp.75-76).