PIGNA

Le origini di Pigna si fanno risalire al 1164 anche se la tradizione vuole che il borgo risalga al X secolo.

Le ultime ricerche hanno permesso di valicare queste date, ricollegando il sito di Pigna a origini molto piu antiche che risalgono all'epoca degli insediamenti liguri preromani molto spesso connessi a religioni arcaiche e in parte di origine celtica, come quella delle dee Madri e del culto delle Acque simboleggiato dalla base termale di Lago Pigo.
I fondi agricoli romani (ad eccezione del Bucinus = Buggio) erano grossomodo situati all'altezza media di 600 m., su terrazzi naturali volti a sud, cioè in posizione ottima per le coltivazioni.
Di sicure origini romane sono il fundus Carnius e l'Aurius, fra questi, in una vasta area agricola lungo il torrente Carne, si usa il nome di luogo Parixe connesso con un in panicis che allude a un'azienda romana dedita alla coltura di quel tipico cereale minore di Liguria che è il panico.
Parimenti nell'area pignasca i nomi in Lucis (in dial.: lixe = i boschi) e in ieniperis (in dialetto: geribri = la boscaglia).
Ma in questa zona dell 'alta val Nervia (crocevia di civiltà per i contatti viari col mare, il Piemonte e la Francia) non mancano altre tracce d'insediamenti romani, spesso documentati da reperti.
Si ricordi la località Sesegliu (vallone con prati e pini già sede di una vastaira o recinto per l'alpeggio del bestiame) da collegare con l'esistenza di una villa Ciselia romano-imperiale (forse lì edificata per sfruttare il patrimonio di legname del bosco di Gouta).
Di origine romana è il toponimo Agnaira (alpeggio estivo degli animali), quello detto Clairara (da Clariara = bosco a radure per pascoli), l'Aurnu , l' Ouri, il fondo rurale Civagnu (da collegare a un Clotanius derivato forse dai nomi gallici Clotorix, Clotuavos , Clotius, se non da un Cluanius di provenienza sannitica = Cluatius/Cluentius), il fondo Veragne e la vicina proprietà che pure deriva da un fondo romano Vidumnus.
Verso IV-VII sec. si concentrarono nuove proprietà in siti più bassi di quelli dei fondi romani, in luoghi prossimi a fiumi e torrenti: altri dati sono utili per comprendere l'importanza di Pigna e territorio dai tempi di Roma sin alla fine del Medioevo.
Per esempio l'Argeleu [ritenuto sede dell'antico tribunale di Pigna], Prearba [nome di campi incolti alle falde del Toraggio, che sarebbe da mettere in relazione (attraverso i nomi ligure vindupale e latino Petra Alba = pietra bianca) con un tipo di pietra bella e pregiata seppure un po' scura"]> un discorso a parte poi, da trattare separatamente per importanza, è quello del complesso termale di Lago Pigo.
Pigna conserva tuttora bene la sua originaria struttura e, anche se sono state fatte varie ipotesi sulle origini del nome (poetica ma non vera quello che lo fa derivare dal latino pinea che indicherebbe i boschi di pini presenti nei dintorni), quella reale vien data da Giulia Petracco Sicardi che ha scritto: "II toponimo deriva da pinnia (da cui anche l'italiano "pigna" = frangiflutti del ponte) voce del latino parlato connessa con pinna = penna.
L'abitato, sviluppatosi sulle pendici del castello dopo la sua distruzione, occupa infatti l'estremità di un contrafforte che determina un'ansa del torrente Nervia.
Lo stemma cinquecentesco del comune, che porta come simbolo una pigna, è dovuto a un tardo accostamento paraetimologico al latino nux pinea = frutto del pino" (s.v. "Pigna" in Dizionario di Toponomastica, Utet, Torino, 1990).
Questo paese risentì di una storica influenza piemontese, e da Tenda e Briga, oltre ai pastori e ai commercianti, arrivarono fermenti di cultura.
Nel XII sec. Pigna divenne punto di passaggio fra Ventimiglia e Triora e fra Saorge, Baiardo, Sanremo, assumendo importanza nel complesso difensivo dei conti di Ventimiglia.
Passò nel 1258 ai conti d'Angiò e quindi, nel 1388, ai Savoia, diventando avamposto di frontiera.
Nel 1625 giunse sotto Genova ma nel 1633 tornò alla casata sabauda.
Nei secoli seguenti Pigna visse anni di pace e benessere seguendo i successi dei Savoia fino alla loro conquista del regno di Sardegna e, poi, del regno d'Italia.
Grande è l'interesse dei monumenti:

Importanti sono i resti della CHIESA DI S.TOMMASO: si tratta della più grande chiesa in stile romanico della val Nervia e di quasi certa matrice monastica benedettina.
Nell'INTERNO anche la lettura di QUESTO o di QUEL PARTICOLARE [secondo l'indagine fotografica fatta da Ruggero Marro: mentre quelle precedenti vengono dal lavoro di E.Eremita per la "Guida di Dolceacqua e della Val Nervia di Gribaudo ed, Cavallermaggiore, 1991] permette di riconoscere, per quanto è rimasto sia le tracce di una struttura religiosa monastica sia l'influenza del gusto romanico.
Fu sede del primitivo nucleo abitato detto "Malborgo" e che, secondo una leggenda, forse non priva di fondamento, sarebbe stato distrutto dai Saraceni

La chiesa di S. Bernardo di Pigna fu interessante per gli affreschi dipintivi nel 1489 dal CANAVESIO [successivamente sistemati nella PARROCCHIALE DI S. MICHELE e proprio nel 1998 tornati alla chiesa originaria] sul tema della "Passione di Gesù" e del "Giudizio Universale" (il celebre pittore di Pinerolo. dopo questi lavori nel Pignasco, risalì per la valle del Nervia sino a Notre Dame nel Brigasco, per affrescarvi un altro inquietante "Giudizio Universale", compiuto e inaugurato nel 1492 in contemporanea con la scoperta dell'America, quasi a preannunziare una nuova epoca e la morte di un evo torturato da incredibili angosce e dalle violenze di troppi tiranni).

Una visita merita la parrocchiale di San Michele, con la vetrata quattrocentesca raffigurante i 12 apostoli e la facciata decorata da un ROSONE GOTICO scolpito da Giovanni Gaggini: all'interno si ammira un polittico considerato il capolavoro del CANAVESIO del gennaio 1500: ma non bisogna dimenticare che, nella stessa chiesa, si conservarono a lungo (sempre del Canavesio) la Passione del Cristo e il Giudizio Universale del 1482, ivi trasportati, appunto, dalla cappella di S.Bernardo cui son stati riconsegnati nella primavera del 1998.

E sempre nella PARROCCHIALE si può "leggere" questa Deposizione di Carlo Maratta (1625-1713) o comunque della sua scuola: il pittore, allievo a Roma di A. Sacchi, fu un precursore del ritorno al gusto classico (neoclassicismo) e nella sua sterminata produzione di argomento religioso diede testimonianza di un piacevole accademismo che, pur senza raggiungere vette eccelse, gli consentì d'acquisire ecclllente fama nel mondo artistico italiano.
Per concludere l'analisi di questa chiesa è da segnalare l' alto campanile laterale a pianta quadrangolare, con duplice ordine di monofore e la cuspide in pietra squadrata di tipo piramidale. Il tutto nel rispetto tipologico di espressioni architettoniche affini, proprie delle alte valli nelle Alpi Marittime.
Al santuario della Madonna del Passoscio si accede seguendo un sentiero su cui si trovano ben 15 cappellette che mostrano, attraverso pitture popolari, i misteri della passione.
Nel centro medioevale sono caratteristici i vicoli, detti chibi (bui, cupi), collegati a una strade concentriche con le case accavallate a difesa.
Nella piazza Vecchia, la Loggia, sostenuta da bassi pilastri in pietra nera, sito di riunione del parlamento locale, conserva, nell' angolo a sinistra dell' archivolto di via Roma, le misure usate per la vendita dell'olio e del grano.
A 5 Km. da Pigna esiste la frazione di Buggio, a 410 metri sul livello del mare, nel cui territorio si trova la chiesa di San Siagrio (anche Siacrio): si può poi giungere al SANTUARIO DELLA MADONNA DI LAUSEGNO e quindi alla la chiesa della Madonna della Brighetta.
Dopo Buggio sorge il bacino artificiale di Tenarda arginato da una diga.



Un illustre pignasco fu l'archeologo e storico dell'arte, di formazione neoclassica, CARLO FEA.
Nacque a PIGNA nel 1753 proprie mentre si stava riscoprendo a scapito delle ridondanze barocche la linearità dell'arte classica, fenomeno ampiamente integrato dalle prime vere ricerche archeologiche e dalla riscoperta della città di Ercolano, Stabia e Pompei nel I secolo d. C. ricoperte dalla lava e dai lapilli del Vesuvio e, per uno straordinario fenomeno geomorfologico, consegnate dopo millenni agli studiosi parzialmente intatte con molti dei loro tesori da analizzare.
Sulla scia della riscoperta della cultura classica e dell'ideale platonico di bellezza il FEA studiò dapprima a NIZZA quindi si trasferì a ROMA ove venne ospitato da uno zio che era rettore del Collegio degli Orfanelli e che gli permise di completare gli studi umanistici diventando contemporaneamente sacerdote: ed a tal proposito non è da dimenticare che questo personaggio di vasta cultura conseguì anche la laurea in entrambi i diritti, cioé quello civile e quello canonico.
La naturale predisposizione per la ricerca archeologica lo indusse però a ben altra carriera che quella forense e presto, dopo aver a lungo indagato fra le stupende rovine di Roma antica, diede alle stampe un importante saggio intitolato"Sulle Rovine di Roma". Questo saggio finì poi per diventare un'appendice del III volume della celebre opera "Storia dell'arte nell'antichità" di Giovanni Gioacchino Winckelmann il grande e sventurato storico dell'arte tedesco che, assieme al Mengs ed al Milizia ma con maggior profondità critica, pose le basi della dottrina neoclassica che tanto influenzò l'arte (Canova) e la letteratura (Biamonti, Monti e soprattutto Foscolo). Il FEA fu sempre spiritualmente legato al grande tedesco continuandone, anche dopo la tragica morte per omicidio, l'impegnativa opera per il recupero della classicità: non è quindi un caso che ne abbia curata la ristampa della traduzione italiana della "Storia dell'arte" negli anni 1783-'84.
Dovette però abbandonare le ricerche travolto come tutti dagli eventi della Rivoluzione di Francia e del suo influsso politico sugli stati italici legati all'Antico Regime delle Monarchie assolute.
Considerato filopapista e reazionario, ai tempi della Rivoluzionaria Repubblica Romana del 1798-'99 eretta sui trionfi di Napoleone, conobbe dapprima la prigionia e quindi l'esilio.
Le sue responsabilità (era peraltro uno studioso appassionato e non un politico) alla luce delle inchieste furono trovate insignificanti se non nulle e potè quindi non solo ritornare dall'esilio ma riprendere le sue ricerche.
Tenendo conto dell'elevatissima preparazione e del fatto che Napoleone voleva costruire il suo Impero sui fasti dell'Impero di Roma, così lontani da certe meschinerie dinastiche degli Stati moderni e assoluti, il FEA ottenne la nomina a COMMISSARIO DELLE ANTICHITA' DELLO STATO PONTIFICIO.
Successivamente fu scelto per dirigere la preziosissima biblioteca del Principe Chigi, raggiungendo in seguito la somma carica di PRESIDENTE DEL MUSEO CAPITOLINO.
Era sua consuetudine scientifica quella di condurre le indagine archeologiche seguendo un importante criterio storico-deduttivo: egli aveva elaborata questa dottrina perché in tempi non lontani aveva visto sì estrarre dal sottosuolo romano autentici, incredibili capolavori ma a scapito di grandi dannificazioni apportate ad altro prezioso materiale nel corso di esacavazioni condotte eminentemente con uno scopo mirato e col principio di eludere e magari distruggere quanto non corrispondesse alla meta di ricerca progettata.
Grazie al suo magistero l'archeologia divenne una scienza che era regolata da norme esatte che preludevano contemporaneamente a recuperare i reperti e ad eludere il saccheggio di quanto, al momento, non potesse venire riportato alla luce.
I risultati furono eccellenti e costituirono veri antemurali del recupero e della salvaguardia dei monumenti: come tuttoggi si può constatare ammirando a Roma il foro Traiano, il Pantheon, il Pincio straordinari siti archeologici dove il FEA espletò la sua opera.
Scrisse ben 125 opere di vario formato ed importanza; tra queste, soprattutto per l'insegnamento che trasmisero nel momento fulgido della cultura neoclassica, meritano di essere ricordate "Lintegrità del Pantheon di M.Agrièppa" e la "Relazione di un viaggio ad Ostia" (entrambe edite nel 1802), la "Notizia degli scavi dell'Anfiteatro Flavio" (del 1813), i 3 volumi del 1822 intitolati "Descrizione di Roma con vedute", l'opera dal titolo "La fossa Traiana" (del 1824) e, frutto delle sue indagini sul complesso sistema idrotermale dei classici, soprattutto romani, la "Miscellanea antiquario.idraulica" edita nel 1827 ad una diecina d'anni dalla morte che lo colse nel 1836 a Roma ancora intento nei suoi studi.







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