Tra le celebrità, oggi ingiustamente misconosciute di BADALUCCO ricordiamo GIOVANNI MATTIA STRIGLIONI che nacque a Badalucco (bel paese storico della valle Argentina, nell’attuale provincia di Imperia) il 25-II-1628 da Giovanni Bartolomeo e da Bianchinetta Jiugales e, dopo una fanciullezza qualsiasi, nè bella nè brutta, prese i voti religiosi, divenendo prete quasi soltanto per un voto fatto dalla madre, quando egli venne alla luce con qualche tribolamento di troppo. Finiti gli studi religiosi si diede, fra la sorpresa di tutti, a quelli della pittura e dell’incisione in Genova avendo quale maestro Giulio Benso di Pieve di Teco. Scoperta questa sua vocazione autentica, lo Striglioni si lasciò coinvolgere presto nel mondo degli artisti, spesso ai limiti della provocazione e dei sospetti inquisitoriali, anche nella Genova apparentemente quieta del suo tempo! Prese così a frequentare le botteghe ed i cenacoli d’arte, divenne amico del Fiasella e di Domenico Piola, pittori di vaglia, apprese le tecniche rare dell’incisione da artigiani eccellenti come Cesare Bassano, Lorenzo Borzone, Giuseppe Testana. Presto riuscì ad ottenere ottimi successi e gran reputazione in un ambiente difficile e per un lavoro tanto complesso quanto poco retribuito come quello dell’incisore, cui si dedicò per pubblicazioni di gran pregio: amico dell’Aprosio e del Piola realizzò, per esempio, su disegno di quest’ultimo la bella incisione per il frontespizio della tragedia "Belisa" al cui testo Aprosio fece allegare, in accordo con l’autore Antonio Muscettola, un suo elogio critico intitolato "Le Bellezze della Belisa": parecchio dopo sarebbe ritornato proprio per Aprosio all'arte dell'incisione realizzando su disegno del Fiasella l'eterea antiporta del volume La Biblioteca Aprosiana [vedi l'immagine sopra].
Eppure quest’uomo, che fu anche poeta e che a giudizio di molti aveva ben più talento d’altri incisori in auge, dovette abbandonare presto Genova, riducendo di parecchio la sua attività artistica, mai però abbandonata, quasi fosse un’esigenza profonda del suo spirito.
Comunemente si dice che il ritorno dello Striglioni nel Ponente ligure sia dipeso da sopraggiunte difficoltà economiche e dalle pressioni dei parenti che lo volevano vicino: si sa che vinse per concorso la parrocchia di Riva Ligure ove si trasferì vivendo meglio col soccorso dei redditi o prebende della chiesetta. Poi nel 1666 ottenne un’altra parrocchia, quella della natia Badalucco ove si recò a visionare la bella chiesa che si stava ampliando ed abbellendo: egli stesso dispiegò il suo talento in qualche intervento pittorico all’interno dell’edificio sacro.
Così narrano i fatti e gli storici: la fuga da Genova, un pò troppo repentina, fa pensare che le cose siano andate diversamente, nella forma almeno, più che nella sostanza.
Certo lo Striglioni tornò a casa ma cosa v’era nel profondo delle cose?
Non lo si potrà mai affermare con certezza ma è probabile che, alla base di tutto, vi fosse l’insofferenza della sua vita, una serie di incomprensioni inusuali per un religioso controriformista, soprattutto un tenore di vita stridente, nella voce corrente, coi dettami della condotta normale.
Aveva cinquantadue anni quando fu accusato di sodomia : "colpa" diffusa e non criminalizzata nella tranquillità socio-economica e culturale di Umanesimo e Rinascimento ma reato terribile, per Chiesa e Stato, nel crepuscolo della Controriforma, quando si cercava di reprimere i costumi, per celare le "sporcizia di troppi errori politici e diplomatici" sotto il velame degli "Atti di Fede", dei "Libri Proibiti