STREGONERIA-ARTIFICIO DI MAGIA - ERESIA> MEDICINA POPOLARE/ MEDICINA MAGICA ("rapporti, complessità di chiarificazione canonica"):
I rapporti fra STREGONERIA [anche nell'ACCEZIONE PIU' VASTA conferitale dalla moderna investigazione scientifica] ed Eresia furono sanciti dal giudizio ecclesiastico prima abbastanza tollerante dopo alcuni processi contro le "STREGHE" istruiti in quelle regioni ove, tra XII e XIII secolo, l'influenza dell'eresia catara era stata forte: come nei due processi del 1335 a Tolosa e Carcassonne. Trattandosi di materia ardua il problema dei rapporti divenne oggetto di dispute complesse che ora si cerca di riassumere:
>A: Bernard Gui, inquisitore domenicano nel Midi francese, verso il 1320 dedicava un capitolo della sua Practica inquisitionis hareticae pravitatis all'interrogatorio dei Sortilegi, dei divini, degli invocatores daemonum. Riteneva che esistessero rapporti fra S. ed E. nelle confezioni di figure in cera o piombo, sortilegi e malefici (con uso di Sacramenti, dell'ostia consacrata e del crisma), evocazione di demoni e "omaggio" loro prestato (il Gui non riconosceva invece sussistenza di rapporti negli atti di S. tradizionale, compresa quella terapeutica o profilattica per l'uomo, il bestiame ed i campi. Tutto questo "scibile" lo bollava quale fantasia criticabile ma innocua).
>B: Contemporaneamente alla costituzione del 1326 Super illius specula di papa Giovanni XXII (con cui, pur non parificandosi S. ed E., si disponeva che i maghi fossero puniti "secondo le leggi valide per gli eretici") il canonista Oldrado da Ponte (rifacendosi a S.Agostino e S.Tommaso e al diritto romano) sostenne che la confezione di filtri amorosi ed effigi di cera apparteneva più alla "superstizione popolare" che all'E. difettando del connotato demoniaco. Secondo il giurista v'era semmai E. nella situazione "per cui, attribuendo al demonio una qualche giurisdizione sul futuro - anche la sola prescienza - si riconosceva alla creatura quanto spettava solo al Creatore": E. sussisteva altresì, per Oldrado, nell' invocazione del demonio, a meno che l'evocatore, colla sua scienza, non sapesse poi comandarlo" (ma ciò rinviava ad altro problema: quello dei poteri dei demoni e della presunta capacità di controllarli).
Nello stesso periodo il giurista senese Federico Petrucci emanava un consilium o parere per cui sussisteva rapporto fra S. ed E. "nell'evocazione esplicita od implicita del demonio ...collegandosi ad essa, quali sue specifiche forme illecite, il sortilegium ed il maleficium.
>C: Il giurista Zanchino Ugolini, coadiutore dell'Inquisizione francescana in Romagna nel primo qurantennio del secolo, forse anche perché operava in una regione dalla notevole pratica stregonesca, a livello sia popolare che signorile, come magia nera, dedicò il capitolo 22 del suo Super materia haereticorum a Divinatores, incantatores et similes, in cui si legge che chiunque mostri disprezzo per la Chiesa e la sua disciplina si deve considerare eretico. Secondo il suo pensiero a eretici si dovevano assimilare streghe, maghi, scismatici, ebrei ed infedeli senza distinzione.
>D: Dopo il terrore superstizioso della Morte Nera del 1348-'49 si ebbe viva preoccupazione per il dilagare della S. e ne derivò l'opera sistematizzatrice dell'Inquisitore generale d'Aragona, il domenicano Nicola Eymerich, autore nel 1369 del trattato Contra invocatores daemonum. Egli nell'opera del 1376 Directorium inquisitorium riassunse il proprio pensiero, arricchendolo con spunti tratti dal Gui e dal "Liber sextus decretalium": il giurista, pur riconoscendo forme non ereticali ma comunque peccaminose per superstizione di S., asserì che la maggior parte delle forme di S. , comportando atteggiamenti di latrìa o di dulìa nei riguardi dei demoni (forme di adorazione e venerazione), erano da giudicare espressioni di E. e di apostasia. E' importante notare la sua precisazione sul presunto patto col demonio che, non essendo paritetico ma comportando, tramite l'omaggio, i caratteri di una suggezione feudale propria del vassallo, sarebbe poi divenuta pilastro portante dell'immagine teologico-giuridica della stregoneria ereticale: adorando la creatura invece del Creatore, strega o mago violavano il I : "Non avrai altro Dio al di fuori che me".
>E: Contestualmente andavano riprendendo energia parecchie fonti altomedievali che attribuivano alle donne particolari poteri magici, come quello del VOLO.
Peraltro, fra XII e XIII sec., nell'ambito delle eresie, dei movimenti religiosi e del catarismo le figure femminili avevano assunto postazioni tanto rilevanti quanto poi contestate dalla Chiesa. Oltre a ciò resta difficile stabilire quale influenza abbiano avuto nel contesto della S. la persistenza di culti pagani femminili come quello delle Matres celto-romane, una radicata misoginia conseguente a particolari evoluzioni sociologiche, il presunto isterismo costituzionale femminile, il fatto che l'"abilità" stregonesca fosse legata alle particolari attività femminili dell' ostetrica e della balia (lib. II, 64, degli Statuti) o ad una condizione femminea relegata a livelli d'emarginazione (la medichessa, l'erborista, la mendicante, la mezzana, la prostituta).
>F: Verso il '400, entro una vasta pubblicistica, comparve lo scritto Formicarius del domenicano Johann Nyder o Nider seguito dal Praeceptorum divinae legis, sive ortodoxa et accurata Decalogi explicatio in cui si parlava di streghe, di cavalcate notturne ed entro cui serpeggiavano atteggiamenti di estrema intransigenza contro le donne e gli effetti derivanti dai loro presunti malefici.
>G: A metà del secolo l'inquisitore domenicano di Carcassonne e teologo parigino Jean Vineti compose il Tractatus contra daemonum invocatores si affermava che "la S. era una nuova eresia a carattere demonolatrico, la quale tuttavia niente aveva a che fare con le vecchie superstizioni contadine (contemporaneamente si diffondevano gli anonimi Errores gazariorum dove si elencavano terribili racconti stregoneschi, non escluso il patto diabolico scritto col sangue, l'orgia sessuale, l'infanticidio rituale, l'unguento magico per volare, vari atti di sacrilegio).
>H: Nel 1451 Niccolò V raccomandò agli inquisitori d'occuparsi di S. comunque, anche qualora non ne fosse provata la connessione coll'Eresia: nel 1457, Callisto III (ispirandosi alle inquietitudini d' Eugenio IV per casi di "stregoneria") dispose severissime norme inquisitoriali, specie nel bresciano dove eran stati segnalati casi di malefiche e fattucchiere.
>I: Nel 1458 il domenicano Nicolas Jacquier, col Flagellum haereticorum fascinariorum, individuò nella S. una Antichiesa demonolatrica concepita quale blasfema imitazione della Chiesa di Cristo. Jacquier negava che il tutto potesse ridursi a illusioni e citò il caso del teologo Guglielmo Edeline che, dopo aver abiurato sotto tortura alla sua negazione della realtà stregonesca, abiurò confessando d'esser seguace del demonio che gli aveva ordinato di perpetrare i suoi inganni fra gli uomini. Il Flagellum fu una pregiudiziale sulla realtà stregonesca, mettendo in discussione l'onestà intellettuale e religiosa oltre l'incolumità fisica di chiunque avesse da allora contestato l'esistenza della S. come fatto diabolico ed ereticale.
>L: Postazione più moderata fu quella dell'ebreo convertito e teologo in Salamanca Alfonso de Spina che, nell'opera (1464 o 1467) Fortalicium fidei contra Iudeos Saracenos aliosque christianae fidei inimicos, ammonì i teologi da eccessi di crudeltà verso la S. (per oltre un ventennio comunque si intersecarono scritti vari e spesso contrastanti ma al cui centro stava sempre la costante tematica del rapporto fra S. ed Eresia).
>M: Il 5-XII-1484 sancisce la nascita di quella particolare pubblicistica da cui si prese ad usare consuetamente il termine di caccia alle streghe.
In tale data venne promulgata da Innocenzo VIII (preoccupato per eventi stregoneschi, processi e roghi in Germania) la Bolla intitolata Summis desiderantes: in cui si denunziò che parecchie donne andavano macchiandosi di gravi colpe contro natura e fede, di coiti demoniaci, di danni magicamente procurati a persone, cose, animali, frutti e proprietà terriere.
>N: Poco dopo lo stesso pontefice affidò a due inquisitori tedeschi, i domenicani Jakob Sprenger ed Heinrich Kramer (detto Institor), la redazione di un trattato contro la S., ormai sottratta ad ogni dubbio d'esistenza, il Malleus Maleficarum o "Maglio delle Streghe" redatto tra 1486 e 1487 (ma destinato fino al XVII secolo a ristampe e ampliamenti) che stabilì con rigore stretto legame fra S. e sesso femminile sì che soprattutto le maleficae presero ad esser perseguite. Il "Maglio delle Streghe", da cui derivò una trattatistica più mirata alla codificazione ed alla raccolta di esempi che alla loro problematizzazione (trattatistica sublimata nel lavoro tardo cinquecentesco di M. DELRIO o Dissertazioni sulla magia), sanciva che "il demonio concorre sempre, direttamente o meno, al maleficium ; che il COITO con demoni succubi od incubi è possibile, e che il Maligno, pur non avendo un corpo fisico, può renderlo fecondo con uno stratagemma (i nati da esso non saranno però "figli del diavolo"; non secondo la carne, quanto meno); che le streghe hanno parecchi poteri, specie nella sfera dell'eros.
E' notevole che, toccando temi come pratiche contraccettive od abortive e attività illecite di streghe quali medichesse e ostetriche, lo Sprenger ed il Kramer ci pongano in contatto con il mondo della medicina popolare vivo allora soprattutto (ma non esclusivamente) tra i ceti subalterni. I due domenicani facevano propria la linea misogina e sessuofoba di Nyder, Visconti, Vignati" [CARDINI, pp. 86-87: di rimpetto al trionfo di quest'opera poterono poco le obiezioni e gli inviti alla prudenza del Tractatus de lamiis et pythonicis mulieribus edita non prima del 1489 da Ulrich Muller, il Molitor per cui nella maggioranza le Streghe erano delle sciagurate illuse o delle poveracce - di frequente già prostitute e poi magari ruffiane, ormai costrette dall'età a tirare avanti fra mille espedienti, dal piccolo commercio semilecito, all'accattonaggio, alla medicina empirica, all'ostetricia, alla chirurgia abortiva e plastica (con la reintegrazione dell'imene) alla cosmesi, alla chiromanzia - spesso in combutta con altri figli della miseria come mercanti di meraviglie, sicari, borseggiatori, falsari, mendicanti di professione, falsi ciechi o storpi, ghiottoni ed ubriaconi, saltimbanchi, vagabondi travestiti da pellegrini, frati questuanti o stranieri, se non anche trafficanti di reliquie, parassiti, meretrici e mezzani].
MASCA termine regionalistico equivalente di Strega> dal lat. tardo masca per "strega,
lamia">v. il piemontese e genovese Masca, il provenzale mod. Masco, il franc. Masque>
"ragazza sfrontata" documentato nel 1642 ( BATTAGLIA, IX, s. v. Masca 1 e 2 ipotizza
correlazione del termine col marinaresco Masca: "Ciascuna delle parti laterali della prua di
un'imbarcazione"> GUGLIELMOTTI, (pp.522-523)="quella parte della faccia in ogni naviglio,
che può ricevere brusca e violenta rivolta" e "disordinata contorsione di alcun filo, trefolo o
legnuolo, che, nella filatura, salti fuori, produca ruffello, e non segua il corso in piano cogli
altri".
Il legame semantico fra la masca/donna e l'arte del tessere è conosciuto, basti pensare
alle Parche, dee del destino la cui trama da tessere era la vita dei mortali.
L'attività del
filare fu sempre connessa con la femminilità, e in Roma antica il più grande elogio per una
defunta si riassumeva nell'epitaffio "custodì la casa, filò la lana": coi secoli la donna non
venne meno al suo ruolo di guardiana della vita, della salute, delle malattie e della morte,
del filo conduttore della vita di chi era parte della sua comunità.
SAGA da cui "SAGANA".
In Cicerone sta per "maga, fattucchiera".
Tibullo e Sesto Turpilio interpretano
mezzana o ruffiana [dal lat. sagus (sagio) = profetico].
Sagana fu nome d'una fattucchiera
delle Satire (1, 8, 25) di Orazio .
A volte è sinonimo di Lamia.
Annota ancora nel suo prezioso vulume sulla stregoneria A. Zencovich (pp. 102 sgg.): "Nei racconti che si facevano a proposito delle adunate delle streghe l'elemento maschile era quasi sempre presente, e non soltanto nella figura centrale del demonio.
Infatti, sebbene la rappresentanza femminile fosse preponderante, le confessioni delle accusate sostenevano concordi come vi intervenissero anche uomini e pure nella storia da cui siamo partiti ci siamo imbattuti nella figura di uno stregone complice delle malefiche.
Non è difficile immaginare che, ovunque vi fossero gruppi di persone messe al bando per la loro cattiva fama, potessero estrinsecarsi dei comportamenti in rottura con quelli predicati dalle norme morali.
In simili microcosmi sociali devianti il riferimento di una presenza virile, in posizione piu o meno centrale, veniva a costituire il corrispettivo pratico della gerarchia sabbatica, la quale a sua volta si richiamava a un archetipo radicato nell'inconscio comune: l'organizzazione poligama caratteristica delle società dei primati e, verosimilmente,
degli uomini primitivi.
C'erano però anche delle congreghe occulte costituite da individui di sesso maschile i quali, nell'epoca in cui la persecuzione si fece più intensa, si videro spesso accusati dei medesimi crimini attribuiti alle streghe.
Uno di questi casi viene descritto da Carlo Ginzburg in un altro suo libro di estremo interesse per gli studi sull'argomento, relativo alla storia dei Benandanti friulani.
La vicenda iniziò a Cividale nel 1575.
Le testimonianze raccolte vennero in un primo momento accantonate come bale ma, cinque anni più tardi (già abbiamo visto come lo studioso francese Robert Mandrou individui nel 1580 un improvviso acutizzarsi della persecuzione), il caso venne ripreso da un inquisitore che, istituendo il processo, cercò in tutti i modi di assimilario a quelli delle "sette e riti proibiti" denunciati da papa Alessandro V nella sua bolla del 1409.
I Benandanti erano individui di estrazione contadina che cadevano, in determinati periodi dell'anno, in un sonno profondo, durante il quale immaginavano di recarsi in spirito a combattere contro streghe e stregoni nemici che attentavano alla fertilità dei campi.
La disfida avveniva in un luogo stabilito in precedenza tra i capitani delle due parti e l'epoca coincideva con quella delle Tempora cristiane, all'inizio di ogni stagione.
La battaglia era condotta a colpi di gambi di finocchio da parte loro e a canne di sorgo da quelia degli avversari.
Se i Benandanti vincevano, cli sarebbe stata abbondanza di raccolti, mentre una sconfitta era presagio di carestia.
In questi racconti sopravviveva, da una parte,
l'eco dei tornei cavailereschi, dall'altra il ricordo probabile di qualche rito arcaico di fertilità, in cui schiere contrapposte si affrontavano realmente sul terreno con armi incruente, per una pubblica rappresentazione che, messa al bando come eretica dalla Chiesa, continuò a sopravvivere a lungo nell'inconscio collettivo.
Benandanti lo si diventava per destino: erano chiamati ad esserlo tutti coloro che erano nati con la camicia, cioè avvolti nella membrana amniotica: circostanza ritenuta magica da una radicata tradizione popolare e, come tale, favorevole allo sviluppo di qualità sovranormane.
Arrivati all' età di vent'anni, erano chiamati alla battaglia a guisa del tamburo che chiama il soldato e non potevano esimersi dall'impegno, continuando ad esservi assoggettati fino ail' età di quaranta.
Uno di essi raccontò come, all'epoca della convocazione, gli apparisse un angelo tutto d'oro, come quelli dell'altare, et mi chiamò, et lo spirito andò fuori.
II spirito loro - confermava una donna, moglie di uno di essi - quando esce dal corpo pare un sorzetto, et così quando ritorna.
Nell' intervallo tra l'andata e la venuta, che durava un giorno intero, l'anima si recava sul luogo della disfida.
Mi parve andare in uno prato largo, grande, bello; et sentiva oglioso, cioè mandava buan odore, et mi pareva che vi fossero assai fiori e rose... Non vedevo tai rose, perché vi era a modo di uno nembo et di fumo, ma solo sentivo l'odore... Parevami che molti andassemo in compagnia a modo di un fumo, ma non ci conoscevamo, et per l' aria parevami andassemo come fumo et che paSsassemo le acque come uno fumo; et mi pareva nell'ingresso che il campo fosse aperto, et la dentro non conoscevo nessuno, perché 1à non si conosce alcuno.
Il corpo rimaneva esanime, nel letto, per ventiquattr'ore, durante le quali doveva restare supino.
Nel caso qualcuno l'avesse girato, lo spirito non poteva piu rientrare e, se la spoglia fosse stata messa nel sepolcro, l'anima sarebbe rimasta a vagare nel mondo per tutto il tempo che la persona era stata destinata a rimanere m vita.
Per l'inquisitore era chiaro che si trattava di una cosa diabolica, poiché gli homini non hanno virtù né di farsi invisibili, né di condur via lo spirito... e di questo riuscì a convincere gli imputati del primo processo, uno dei quali alla fine dichiarò, a proposito dell'apparizione angelica sopra nominata: Io sono venuto in opinione che questa sia opera diabolica, poiché il Signor Iddio non manda li angeli a menar li spiriti fuora delli corpi, ma ben a farli buone ispirazioni.
Gli accusati furono costretti a pronunciare un' abiura in cui ripudiavano le loro precedenti convinzioni, dopo di che vennero condannati a una mite pena: sei mesi di carcere, presto condonati.
Nei casi successivi non ci fu piu bisogno dello zelo religioso per sanzionare la matrice demoniaca del rito.
Intorno al primi anni del Seicento diversi elementi sabbatici comparvero spontaneamente nelle deposizioni degli accusati.
In un caso si raccontava che alcuno andava sopra lievori, altri sopra cani, altri sopra porcelle et altri sopra porci di quelli da li peli lunghi.
Poi, giunti a destinazione, si
ballava e si mangiava in compagnia delle streghe.
C'era pero sempre un angelo a sorvegliarli e impedir loro di compiere i peggiori eccessi.
Nel 1634 un imputato parlò di un bussolo d'un certo oglio con il quale ci si spalmava il corpo: dopo di che appariva un leone che in un batter d'occhio trasportava lo spirito del benandante in un luogo dove innumerevoli persone mangiavano e bevevano et commettevano molte dishonestà.
In un successivo interrogatorio egli aggiunse nuovi particolari, ambientando la scena dentro un palazzo bellissimo, in una sala del quale c'era il diavolo con un cappello nero dal pennacchio rosso e la barba nera bipartita; in testa si vedeva due cornua come di capra et li piedi come di asino, et haveva in mano una forcha.
In tal modo l'accusato - non sappiamo se per sua volontà o dietro il suggerimento degli inquisitori - introduceva un riferimento innovativo alle precedenti versioni.
Il sabba, infatti, secondo le consuetudini delle streghe nostrane, aveva per lo più luogo all'aperto, in una folta foresta, in coerenza con la tradizione mediterranea del culto della dea delle selve.
Quella del palazzo bellissimo, rappresentava una variazione derivata verosimilmente dalla mitologia di zone a clima più rigido.
.....Quindici anni più tardi, cioè nel 1649, si riscontra la totale identificazione con gli stereotipi del sabba nel racconto di uno che, non pago di ammettere di aver adorato il demonio, aggiunse di essersi tramutato in gatto e, in quella forma, di aver ucciso bambini, tra cui un nipote: ...Presi in bocca le dita della mano del detto putto mio nipote -puntualizzò- con i denti gl'aprii la sommità delle dita e di lì gli succhiai il sangue ch'aveva nelle vene et lo sputai fuori uscendo di casa...et di più gl'aprii le vene dalla parte del cuore sotto il braccio sinistro e gli succhiai il sangue per arte diabolica....
Ma a questo punto, ormai, erano più gli imputati a crederci che gli inquisitori stessi; perciò tali trucidi racconti non sfociarono in repressioni feroci. Inoltre in Friuli, come nota il Ginzburg, l'Inquisizione era nelle mani dei Francescani: un ordine che, all'epoca, non si macchiò di particolari eccessi".