Gli EMIGRANTI GIROVAGHI
(EMIGRAZIONE PERIODICA E STAGIONALE)
In ITALIA il fenomeno dell'EMIGRAZIONE STAGIONALE dalle aree montane in zone più fertili ove trovare lavoro periodico è un fatto storico ed antichissimo: il poeta tardormantico ALEARDO ALEARDI nel suo poemetto del 1856 il MONTE CIRCELLO, tra altre tematiche più estesamente dedicate al dolore di vivere, per esempio rese tristemente famosa l'EMIGRAZIONE STAGIONALE dei mietitori Abruzzesi verso le allora malsane Paludi Pontine dove si impiegavano quali mietitori salariati.
L'EMIGRAZIONE PERIODICA naturalmente caratterizzò anche le CONTRADE LIGURI e vi assunse anzi molteplici aspetti, anche di rilevante valore folklorico.
Cercando altrove ciò che la loro terra non dava, gli abitanti dell'estremo Appennino settentrionale per esempio avevano l'abitudine di propagarsi non solo nella penisola, ma in Europa ed oltre.
Fra loro si poteva indiviuare ogni SORTA DI PERSONAGGI: ambulanti venditori d'inchiostro, bottoni, pomate spacciate per miracolose, saponette, lumini e molte altre cose.
Molti erano LIGURI.
Pochi avevano con loro animali addestrati, tutti di piccola taglia e più che altro lo facevano per aggirare il divieto di accattonaggio (avendo una professione...).
Altri tra gli EMIGRANTI GIROVAGHI erano i cosidetti BIRBANTI: costoro preferivano raggirare la gente fingendosi preti, devoti, santi e quant'altro, speculando sulla credulità e sulle disgrazie delle persone.
I BIRBANTI in maggioranza provenivano dalla valle Sturla e dalla valle di Vara.
I COMMEDIANTI erano invece quelli che facevano spettacoli nelle strade, i musicanti, i burattinai e coloro che esibivano mostruosità, animali rari o addestrati e tutto quanto poteva stupire.
Le compagnie più grandi di questi GIROVAGHI, quelle che detenevano orsi e cammelli, erano del tutto assimilabili alle grandi famigli circensi, e normalmente i loro membri erano chiamati ORSANTI.
I commedianti in maggioranza provenivano dalle valli del Taro e del Ceno, ossia dal Parmense.
L'epicentro originario di questi artisti era considerata normalmente la zona del Monte Pelpi, fra Bedonia e Compiano.
Che fossero girovaghi ambulanti, birbanti od orsanti una cosa erano di certo, disgraziati senz'arte , nè parte, nè patria.
Tutte queste "professioni" cessarono all'inizio del '900 per via delle nuove leggi molto severe contro lo sfruttamento dei minori e per l'avvento di nuove professioni ambulanti più redditizie e sicure, soprattutto all'estero: gelatai, venditori di pesce e patatine fritte, caldarrostai.
Nel paese di COMPIANO (PR) è stata allestito un MUSEO (in forza della sinergia fra l'Associazione Culturale Barbara Alpi e la Parrocchia di Campiano) intitolato agli ORSANTI termine forse un poco riduttivo per indicare tutti quegli individui, perlopiù, appartenenti alle genti dell’Appennino settentrionale che, costrette a divenire girovaghe, nell’arco di alcuni secoli emigrarono in Paesi lontani alla ricerca di una vita migliore. In maggioranza i commedianti provenivano dalla valle del Ceno e dalla valle del Taro, ossia dall'Appennino parmense: ma non sono da escludere provenienze meno corpose come quelle alimentate dall'Appennini ligure: si legga al proposito Con arte e con inganno. L'emigrazione girovaga nell'Appennino ligure - emiliana, Genova, Sagep editrice a cura di Marco Porcella).
Le esibizioni degli ORSANTI, così detti dai giochi dell'animale ammaestrato più imponente cioè l'ORSO, avvenivano nelle strade e nello spazio delle fiere, suonavano e mettevano in mostra oltre che orsi anche scimmie, cani, uccelli, addirittura cammelli più o meno addestrati.
Arturo Cura' nel suo suggestivo libro Orsanti, Genova, Silva editore ha di loro scritto "Girovagando per tutto il Continente, avevano finito per somigliare agli zingari di cui avevano assunto l'aspetto pittoresco, il comportamento sfrontato, il linguaggio buono per ogni contrada, loro, analfabeti nella quasi totalità...Si strinsero la mano. Di bello questa gente aveva la capacità di conoscersi al primo fiuto, annusandosi come cani. Il sentirsi diversi dagli altri li univa fino a considerarsi padri e figli e fratelli, liberi sulle strade, speciali viandanti smemorati e fieri sotto le lune d'Europa." [Sarcina narrativa estrapolata dalla II di copertina - l'IMMAGINE proposta è stata invece tratta dal quotidiano genovese IL SECOLO XIX del giorno 24 dicembre 2002]
A tale riguardo è emblematica una lettera del 24 aprile 1842 dell'"Archivio della Diocesi di Chiavari (Parrocchia di Maissana)" in cui di mano ecclesiastica si legge:"Il prevosto di Maissana e suo fratello sono due pazzi che vanno vestiti per quelle parti in marzina che sembrano due ganimedi, solo amanti del giuoco e dell'osteria e spesso credo che si ubriacano, sono li protettori di quei birbanti che vestiti da vescovi, o da preti vanno a birbare delle messe od altre elemosine pel mondo. Quando questi partono fanno un gran pranzo e il signor Prevosto è il loro capo di tavola e lo stesso si pratica quando ritornano. Se si vogliono confessare vanno questi birbanti a lui e subito gli assolve".
A questo punto è però necessario fare un discorso sulla tradizione della QUESTUA cioè della richiesta di ELEMOSINA.
Sin dal 1500 la QUESTUA che era pratica lecita per ragioni devozionali (cerca dell'olio per la lampada, delle farina per le ostie, dei contributi dei fedeli per l'erezione di un altare, della chiesa o del campanile ecc.) prese a rientrare illecitamente nella variegata TIPOLOGIA MIGRATORIA GIROVAGA di molti areali, soprattutto di quelle povere comunità montane donde ci si allontava frequentemente in inverno alla ricerca di occupazioni varie o nel tentativo di variamente "sbarcare il lunario".
Onde evitare che molti individui si fingessero legittimi Questuanti l'autorità ecclesiastica prese ad introdurre norme di disciplina: in particolare per frenare ogni abuso connesso con pratica illegale della Questua venne introdotta la consuetudine di rilasciare ai questuanti contadini una patente rilascita dal vescovo, detta licentia questuandi, nella quale erano prefissati alcuni doveri istituzionali, tra cui quello di non oltrepassare mai, nell'espletamento di tale attività, i confini della dicesi.
La cosa si complicava in rapporto ad altre tipologie di questuanti tra cui in dettaglio quanti, grazie ad altre patenti rilasciate dalla Chiesa ma anche dallo Stato, potevano, senza confini e limiti prefissati, circolare per il territorio raccogliendo elemosine per ospedali e conventi se non per il riscatto dei servi cristiani dei Turchi od ancora a pro di ebrei e riformati convertiti: a costoro l'arte dell'ingannare era più facile ancora atteso che, potendo addirittura espatriare, era di certo meno soggetti a controlli.
Chi eludeva dalla normativa ecclesiastica e illecitamente esercitava la QUESTUA si rendeva responsabile della pratica della BIRBA e questa, in un esteso piano moralizzatore, prese ad essere colpita da alcune severe sanzioni ecclesiastiche, tra cui la scomunica minore: essa inoltre, sempre in termini confessionali, era giudicata un costume criminoso riservato cioè assolvibile dai confessori solo su licenza episcopale.
Non era tuttavia rara la circostanza in cui preti montanari, conniventi e variamente coinvolti in siffatta attività od al limite mantenutisi esterni alla faccenda, finissero per soccorrere i BATTIBIRBA (cioè i praticanti della BIRBA) assolvendoli ed eludendo la riserva.
La tradizione della BIRBA raggiunse la sua estrema diffusione nel XVIII secolo e, a proposito del DOMINIO DI GENOVA, l'areale in cui era maggiormente praticata era la, nel 1713, la VALLE STURLA ove operavano più di 400 BATTIBIRBA