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NELLE IMMAGINI SI POSSONO SCORRERE DUE TESTI MUSICATI DI SILVIO PELLICO (SULLA CUI VITA ED OPERE SI DANNO QUI ALCUNE NOTIZE TRATTE TESTUALMENTE DA E.M.FUSCO, SCRITTORI E IDEE, S.E.I., TORINO, 1956, SOTTO VOCE) POI ELETTI DA UNA DOCUMENTATA SILLOGE OTTOCENTESCA FRA I CENTO CANTI POPOLARI ITALIANI PIU' SIGNIFICATIVI: SPECIFICATAMENTE SI TRATTA DELLE ARIE L'AMORE DEL CANTO (MUSICATA DA MELGRONE) E SOPRATTUTTO LUNA E STELLE DELLA NOTTE (MUSICA DI S. MERCADANTE) TRATTA DALLA TRAGEDIA ESTER D'ENGADDI.
"Pellico Silvio. N. a Saluzzo il 21 giugno 1789, m. a Torino il 13 gennaio 1854.
Di salute cagionevole, visse i primi anni a Pinerolo, poscia a Torino.
A Lione passò quattro anni, presso un cugino materno, studiando letteratura francese.
Di là, raggiunse la famiglia, che si era trasferita a Milano, dove il padre aveva ottenuta la nomina di caposezione al Ministero della Guerra.
Conobbe allora il Monti e il Foscolo, ai quali al di sopra dei loro dissidi rimase affezionato.
Dopo la caduta del Regno italico, fu precettore in casa del conte Luigi Porro Lambertenghi. Dal 1818 al 1819 attese alla compilazione del Conciliatore (`v.).
Sospettato di carbonarismo fu arrestato il 13 ottobre 1820.
Nel febbraio del 1821 fu condotto a Venezia e chiuso nei Piombi, poi nelle carceri di San Michele in Murano.
Un mese dopo a lui e a Piero Maroncelli di Forlì (1795-1846) fu letta la sentenza di morte e la commutazione di questa pena nel carcere duro, di 15 anni per il Pellico,
di 20 per il Maroncelli, da scontarsi nella fortezza dello Spielberg in Moravia.
Ivi il Pellico rimase sino al I agosto del 1830, liberato per sopraggiunta amnistia.
Nel 1832 pubblicò Le mie prigioni, che, lette, in Italia e all'estero, danneggiarono l'Austria più che una battaglia perduta, come disse il Balbo.
Visse, negli anni successivi, in condizioni dl salute non buone, quasi sempre presso i marchesi di Barolo.
Il 1845 fece un viaggio a Roma.
Nel I 850 ebbe da Vittorio Emanuele II la croce al merito civile di Savoia.
Negli anni 1851-'52 soggiornò, ammalato, a Roma e a Napoli.
Nel Conciliatore il Pellico scrisse una quarantina di articoli, generalmente di critica letteraria, italiana e straniera: sul teatro di G. A. Chenier, sulla Maria Stuarda di Schiller, sul Pellegrinaggio di Aroldo e Il corsaro di Byron; una novella: I matrimoni; una narrazione satirica: Breve soggiorno a Milano di Battistino Barometro; recensioni ecc.
Le tragedie sono dodici; ma egli ne pubblicò soltanto otto: Francesca da Rimini, rappresentata la prima volta, con successo, a Milano, il 18 luglio 1815; Eufemio da Messina, di cui fu vietata la recita; Ester d'Engaddi; Iginia d'Asti; Leoniero da Dertona; Gismonda da Mandrisio; Erodiade; Tommaso Moro.
Come si vede, sei d'argomento medievale e due di argomento biblico, in conformità dell'indirizzo romantico.
E medievale era anche il Corradino, che, rappresentato a Torino il 1834, non fu bene accolto.
Il Pellico non era un ingegno tragico; ma nelle tragedie non mancano scene d'impeto tragico; né va taciuta la semplicità della trama, in generale, che s'accompagna a una versificazione senza nerbo.
Scrisse anche alcune cantiche o narrazioni liriche, di vita medievale, che rielaborò dopo il 1830; e cioè: Tancreda, Rosilde, Eligi e Valafrido, Adello, Raffaella, Ebelino, Ildegarda, I Saluzzesi, Roccello, Eugilde, Aroldo e Clara, La morte di Dante.
Alle quali bisogna aggiungere: Tasso e tre amici, scritta il 1844; e Rappresentazioni drammatiche inedite, pubblicate postume il 1886.
In prosa, oltre gli scritti apparsi nel Conciliatore e l'Epistolario, sono da ricordare I doveri degli uomini (1834), redatti in forma di discorso a un giovane: un candido libretto, di edificazione etico-cristiana.
Sovrasta a tutte queste opere: Le mie prigioni: uno dei libri più letti e di maggiore efficacia educativa e patriottica, della nostra letteratura.
Il racconto della prigionia che l'autore fa, non per spirito di vendetta né per ostentazione, ma solo perché giova il riguardare, in forma limpidissima, che non si stempera mai nel tenerume, né indurisce nel risentimento, e, oltre che opera letteraria di valore artistico, documento storico di grande importanza.
Se il prevalere delle correnti materialistiche e un innegabile settarismo della vita italiana, nella seconda metà dell'Ottocento, riuscirono a spingere nell'ombra le confessioni del Saluzzese, può dirsi che il tempo abbia fatto giustizia, perché in questi decenni si è ravvivata la simpatia degli studiosi e dei semplici lettori per la candida opera.
Essa va completata con le Addizioni del Maroncelli (1838) e Mémoires d 'un prisonnier d 'état di Alessandro Andryane (Paris 1838); ma le omissioni del Pellico non erano ingiustificate, dato il momento in cui il libro apparve.
Del resto il Pellico affidò all'amico Antonio de Latour, il 1837, 12 capitoli inediti, che questi tradusse, con l'intera opera, in francese, pubblicandola il 1843.
Oggi, quei capitoli, nella loro originalità e integrità, figurano in quasi tutte le edizioni del libro.
Silvio Pellico, quali che possano essere state le sue debolezze rimane al centro del movimento romantico italiano, del primo Ottocento.
Egli non solo ha attuato, col Conciliatore, con le tragedie, con le cantiche e le liriche, la poetica del romanticismo, ma è stato l'esponente del movimento, in cui operarono i maggiori e più rappresentativi scrittori e uomini politici del periodo cruciale della vita italiana, cioè quello immediatamente successivo alla caduta del Regno italico e al Congresso di Vienna: dal Berchet al Confalonieri; dal Porro Lambertenghi al Maroncelli; dal Romagnosi al Pecchio; dal Byron al Foscolo.
Si guardi all'Epistolario. Non senza ragione, il 1843, Vincenzo Gioberti dedicava il suo Primato a Silvio Pellico".