GIUDITTA PASTA EFFIGIATA IN UN RITRATTO DI GIOACHINO SERANGELI CUSTODITO NEL MUSEO DEL TEATRO MILANESE DELLA SCALA (FOTOGRAFIA DA ARCHIVIO MUSEO DELLA CANZONE - VALLECROSIA)
TRA LE GRANDI INTERPRETI FEMMINILI DEL MELODRAMMA DA FINE XVIII SECOLO A TUTTO L'OTTOCENTO SONO DA RICORDARE PRIME FRA TUTTE:
GIUDITTA PASTA
Giuditta Pasta (1798-1865) ebbe in dono dalla natura una voce di contralto meravigliosa per robustezza e insieme per dolcezza, flessibilità ed estensione, che le permise di cantare anche parti da soprano, così come la versatilità del suo ingogno le permise di trionfare tanto nella Norma quanto nella Sonnambula, tanto nel Profeta quanto nella Cenerentola, tanto nella Semiramide quanto nel Barbiere di Siviglia. Aveva educato la sua voce a superare ogni difficoltà tecnica, anche nel campo dell 'agilità e delle fioriture. Il pubblico le decretò il trionfo, e i teatri d'oltralpe se la contesero.
Ma non fu facile per Giuditta Pasta
raggiungere la celebrità.
La natura l'aveva dotata di una voce profonda, ma piuttosto dura; per renderla ampia e flessibile, la giovane cantante dovette studiare a lungo e con molta costanza.
Il suo debutto avvenne al Teatro dei Filodrammatici di Milano; da 1ì spiccò il volo per i massimi teatri europei.
Ovunque ella era applaudita per il meraviglioso volume della sua voce, ma soprattutto per la sensibilità e l'intelligenza con cui interpretava i vari personaggi. Raro fenomeno, Giuditta riuniva al completo le due tonalità di soprano e di contralto.
Per lei Bellini compose la Norma e la Sonnambula, per lei Donizetti musicò l'Anna Bolena.
Negli ultimi anni della sua carriera la Pasta ebbe come rivale Maria Malibran, ma gli amatori del bel canto non seppero mai decidere a quale delle due
artiste si dovesse concedere la palma.
Giuditta Pasta amava, forse quanto il suo canto, i fiori e, ogni qualvolta i suoi impegni glielo permettevano, si ritirava nella villa di Blevio, sul lago di Como, ove si dedicava al giardinaggio. Si racconta che un giorno, durante uno di questi brevi riposi, un musicista straniero, desideroso di conoscerla e di renderle omaggio, si fosse recato a cercarla nel suo rifugio. Scorgendo vicino al cancello una donna sporca di terra, con un cappellone di paglia, china sulle aiuole, domandò: Buona donna, ml sapreste dire se ablta qui la signora Pasta ? . La giardiniera dilettante alzò gli occhi divertita, si pulì nel grembiale le mani imbrattate di terra e, gorgheggiando nel modo più squisito, Sono lo rispose.
MARTA MALIBRAN
Sottoposta dal padre, Manuel Garcia, a una rigida disciplina di studi, Maria fece il suo esordio sulle scene parigine soltanto a diciotto anni nel
la parte di Rosina del Barbiere di Siviglia.
Poi, durante un soggiorno con la famiglia a Nuova York, ella accondiscese a sposare un banchiere di origine francese, certo Malibran, ma il suo non fu un matrimonio felice e ben presto i due coniugi si separarono.
Dedicatasi allora completamente alla sua arte, Maria Malibran fece un rapido giro trionfale attraverso la maggiori capitali europee e venne pure a Milano, chiamata ad interpretare la Norma.
Erano i tempi in cui sulle scene della Scala furoreggiava Giuditta Pasta e gli appassionati frequentatori di questo teatro accolsero l'annuncio del debutto di Maria Malibran con una diffidenza quasi sdegnosa.
Ma già la prima sera, al termine dello spettacolo, il puhblico, colpito dalla sorprendente bravura con la quale ella eseguiva i passaggi più arditi, e insieme commosso dalle modulazioni patetiche della sua voce, l'applaudì freneticamente.
Nelle sere seguenti, il delirio crebbe sempre più: si applaudì a seena aperta, si gridò bis perfino per i recitativi.
La fine di ogni rappresentazione diede occasione a episodi di fanatismo.
Oltre ad essere una cantante dalla voce d'oro, Maria Malibran era anche una donna buona e generosa; perciò quando un giorno si diffuse la triste notizia che una caduta da cavallo le era stata fatale, al compianto dei suoi ammiratori si unì anche quello degli innumerevoli poveri che ella aveva beneficato.
Maria Malibran morì, nel 1836, appena ventottenne.
MARIETTA ALBONI
Marietta Alboni nacque, non a Cesena, come dicono i dizionari biografici musicali, ma a Città di Castello, il 6 marzo 1826.
Fece i suoi primi studi di canto a Cesena con certo Biagioni, continuandoli poi a Bologna sotto la guida del Mombelli e dello stesso Rossini, che, allora direttore del Liceo Musicale di quella città, ebbe di lei molta cura e assai la protesse.
Esordì al Teatro Comunale di Bologna il 3 ottobre 1842 cantando la parte di Climene nella Saffo del Pacini, poi quella di Maffio Orsini nella Lucrezia Borgia del Donizetti: non aveva ancora sedici anni.
Da Bologna passò alla Scala di Milano, indi a Vienna, a Pietroburgo, a Praga, a Berlino, ad Amburgo, riportando ovunque grandi successi.
Questi culminarono poi a Londra (dove gareggiò con Jenny Lind, superandola) e a Parigi, nelle quali città conseguì eccezionali trionfi.
Fu poi a Madrid e in America: tornò ancora a Parigi (dove sposò il conte Pepoli) e a Londra.
Nel 1868 si ritirò dalle scene, ne più si produsse in pubblico, se non per cantare ai funerali di Rossini e per eseguire la parte del contralto nella sua Messa, quando l'impresario Strakosch volle farla conoscere in Francia e nel Belgio.
TERESA STOLTZ
Questa affascinante e intelligentissima Boema, fu l'interprete per eccellenza delle opere di Verdi.
Per lei il grande maestro compose l'Aida e, in suo onore, vi aggiunse la celebre romanza 0 cieli azzurri.
Dotata di un meraviglioso volume di voce, Teresa Stolz lanciava all'unisono con l'orchestra e il coro i suoi potenti do di petto che mandavano in delirio il pubblico.
Era soprattutto insuperabile nelle parti drammatiche che richiedevano padronanza della scena, impeto e passione.
Di lei si ricorda la partecipazione allo Stabat Mater di Rossini, a Pesaro nel 1868.
Questa grande interprete si ritirò dal teatro nel 1879 dopo l'esecuzione memorabile della Messa da Requiem scritta dal Verdi per la morte di Alessandro Manzoni.
Ella rimase perennemente legata da buona ed affettuosa amicizia al grande maestro, cui fu vicina nel momento della morte.
Trascorse poi il resto della vita modestamente, assorta nei suoi preziosi ricordi. Morì nel 1902.
ADELINA PATTI
Risiedeva a Madrid una nobile
famiglia siciliana, fiera del
suo stemma gentilizio
sormontato da
una corona
a cinque punte;
essa discendeva dai Patti e qualcuno dei nuovi membri era spesso preso dalla malinconia della patria lontana.
Nel 1843 i Patti furono rallegrati dalla nascita di una bambina, Adele, chiamata per vezzeggiativo Adelina: e Adelina rimase per tutta la vita, anche nei giorni di gloria.
La bimba nei suoi primi anni commosse la parentela per la sua voce prodigiosa: i suoi canti rievocavano a quegli spiriti le armonie e le cantilene della Sicilia.
Fu avviata al teatro e ben presto vi si affermò, acquistandosi, ancora giovanissima, allori e trionfi: più d'una volta le folle furono viste scattare in piedi nel delirio dell'entusiasmo e aspettare l'incomparabile artista all'uscita del teatro per porgerle nuovi omaggi.
La Norma del Bellini ebbe in lei un'interprete insuperabile e le nostre bisnonne, i nostri nonni, anche avendola udita una sola volta, conservavano in cuore la celebre romanza: Casta diva .
Anche le opere francesi e tedesche ebbero nuova vita per la voce meravigliosa della Patti, che suscitava una commozione profonda quando cantava nel Faust di Gounod o nelle Nozze di Figaro di M ozart.
Ben presto nel mondo dell'arte ella fu chiamata Regina del bel canto.
Fu la prima artista che ebbe l'ardire di iniziare un giro per i teatri d'oltremare,
e anche lì le furono tributati onori eccezionali.
Adelina si ritirò, al termine della sua carriera, nel castello di Craig-y-nos nel Galles, dove morì nel 1919.
GEMMA BELLINCIONI
Nel primo fiorire della nazione redenta, e precisamente negli ultimi decenni dell'Ottocento, fiorisce meravigliosa anche la primavera di Gemma Bellincioni, nata a Monza nel 1864 e morta nel 1950.
Figlia di cantanti, esordì a Napoli nel 1880; nel 1890' al Costanzi di Roma, fu la prima interprete della Cavalleria rusticana di Mascagni, nella parte di Santuzza.
Divenuta moglie di un celebre tenore, Roberto Stagno, ne ebbe una figlia, Bianca, poi nota soprano anch'essa.
Si disse che la sua voce somigliava alla voce della primavera: ma Gemma Bellincioni aveva nel canto qualche cosa di più d'una grazia armoniosa di piccoli suoni: aveva tale potenza drammatica e passionale da trascinare le folle che l'ascoltavano rapite nei teatri di tutto il mondo.
Il suo canto era la sublime espressione lirica d'un interno tormento: riassumeva in una nota più alta il dolore supremo che chiede ali per volare direttamente a Dio.
LUISA TETRAZZINI
Nata a Firenze ( 187 1 - 1 940)
fu insuperabile nell'interpretazione della musica nazionale.
Quando intonava 0h, non credea mirarti della Sonnambula, o Una voce poco fa> del Barbiere di Siviglia, od ancora Pace, mio Dio! della Forza del destino, il pubblico balzava in piedi: ed erano applausi, chiamate ed anche lacrime di viva commozione.
Luisa Tetrazzini fu un'ottima esecutrice della musica di Verdi, di Bellini, di Rossini; nella donizettiana Lucia di Lammermoor, stando ai giudizi anche dei critici più attenti seppe raggiungere effetti miracolosi.