INFORMATZZAZIONE DURANTE

WOLFGANG AMADEUS MOZART, nell'immagine sopra proposta in un RITRATTO da bambino, al clavicembalo (foto: IGDA / G. Dagli Orti) fu grandissimo compositore austriaco (1756-1791).
Dotato di una fervida e precoce predisposizione per la musica, iniziò a comporre e a sonare clavicembalo e pianoforte tra i quattro e i cinque anni.
Suo unico maestro fu il padre, Leopold (1719-1787), maestro di cappella presso il principe arcivescovo di Salisburgo.
Concertista completo già nel 1762, ottenne larghi consensi alle corti di Monaco di Baviera e di Vienna.
Seguirono numerosi viaggi in diverse città dell'Austria e della Germania, del Belgio, della Francia e d'Italia sino all'anno 1779, nel corso del quale Mozart assunse l'incarico di organista di corte, a Salisburgo, sua città natale.
Trasferitosi a Vienna due anni più tardi, compose Il ratto dal serraglio (1782) e Le nozze di Figaro (1786), che ebbero un esito contrastato.
Accoglienze cordiali furono decretate invece dal pubblico di Praga al Don Giovanni, colà rappresentato per la prima volta nel 1787.
Nell'anno della morte compose l'opera La clemenza di Tito, capolavori come Il flauto magico e l'incompiuto Requiem.
Artista di vena fecondissima, compose musica sacra (Messe); musica sinfonica (52 sinfonie, fra cui la Haffner, 1782; la Linz, 1783; la Jupiter, 1788); 23 concerti per pianoforte; concerti per violino, clarinetto, corni, flauto; musica da camera (serenate e divertimenti, 23 quartetti; 28 sonate per violino e pianoforte; 22 sonate per pianoforte).
Mozart affrontò tutti i generi del suo tempo.
Nelle sue composizioni giunsero ad amalgamarsi i più svariati procedimenti, riuscendo egli a equilibrare monodia e contrappunto, vocalità italiana e ricchezza strumentale germanica, impostazione polifonica in stile antico e sviluppo alla maniera barocca.
Tutte le composizioni di Mozart sono contrassegnate dall'iniziale K e da un numero, che si riferiscono al catalogo approntato nel secolo scorso da L. von Köchel e perfezionato nel 1937 da A. Einstein.









ASCANIO IN ALBA
FESTA TEATRALE
DI
GIUSEPPE PARINI
(libretto per l'omonima opera pastorale--K111--di Wolfgang Amadeus Mozart, rappresentata per la prima volta al Teatro Ducale di Milano il 17 ottobre 1771, in occasione del matrimonio dell'Arciduca Ferdinando d'Austria con Maria Ricciarda Beatrice d'Este e del suo ingresso a Milano come governatore e capitano generale della Lombardia: leggi di seguito per scorrimento e leggi separatamente la PARTE I e la PARTE II











PARTE PRIMA
[Area spaziosa, destinata alle solenniadunanze pastorali, limitata da una corona d'altissime e fronzute querce, che vagamentedistribuite all'intorno conciliano un'ombra freschissima e sacra. Veggonsi lungo la serie degli alberi verdi rialzamenti di terreno, presentati dalla natura, e in varia forma inclinati dall'arte per uso di sedervi con graziosa irregolarità i pastori. Nel mezzo sorge un altare agreste, in cui vedesi scolpito l'animal prodigioso, da cui si dice, che pigliasse il nome la Città d'Alba. Dagl'intervalli, che s'aprono fra un albero e l'altro, si domina una deliziosa, e ridente campagna, sparsa di qualche capanna, e cinta in mediocre distanza d'amene colline, onde scendono copiosi e limpidi rivi.
L'orizzonte va a terminare in azzurrissime montagne, le cui cime si perdono in un cielo purissimo e sereno]

SCENA PRIMA
[Venere in atto di scender dal suo carroAscanio a lato di esso. Le Grazie, e quantità
di Geni che cantano e danzano accompagnando la Dea. Scesa questa, ilcarro velato da una leggera nuvoletta si dilegua per l'aria]

GENI e GRAZIE:
Di te più amabile,
Né Dea maggiore,
Celeste Venere
No non si dà.
Tu sei degli uomini,
O Dea, l'amore:
Di te sua gloria
Il Ciel si fa.
Se gode un popolo
Del tuo favore,
Più dolce imperio
Cercar non sa.
Con fren sì placido
Reggi ogni core,
Che più non bramasi
La libertà.
VENERE
[al suo seguito che si ritira nell'indietro della scena, disponendosi vagamente]:
Geni, Grazie, ed Amori,
Fermate il piè, tacete,
Frenate, sospendete,
Fide colombe, il volo:
Questo è il sacro al mio Nume amico suolo.
Ecco, Ascanio, mia speme, ecco le piagge,
Che visitammo insieme,
Il tuo gran Padre, ed io. Quel tempo ancora
Con piacer mi rammento. Anco i presagi
Parvero disegnar, che un giorno fora
Del mio favore oggetto
Questo popolo eletto.
[Accennando l'altare.]
In quell'altare
Vedi la belva incisa,
Che d'insolite lane ornata il tergo
A noi comparve. Il grand'Enea lo pose
Per memoria del fatto: e quindi il nome
Prenderà la Città, ch'oggi da noi
Avrà illustre principio. Io fin d'allora
Qui de le grazie mie prodiga sono
Al popolo felice: e qui 'l mio core
Fa sovente ritorno
Da la beata sfera, ove soggiorno.
Ma qui presente ognora,
Con la mia Deità regnar non posso:
Tu qui regna in mia vece. Il grande, il pio,
Il tuo buon Genitor, che d'Ilio venne
A le sponde latine, or vive in cielo
Altro Dio fra gli Dèi:
E soave mia cura ora tu sei.
ASCANIO:
Madre, che tal ti piace
Esser da me chiamata, anzi che Dea,
Quanto ti deggio mai!
VENERE :
Già quattro volte, il sai,
Condusse il Sol su questi verdi colli
Il pomifero Autunno,
Da che al popolo amico il don promisi
De la cara mia stirpe. Ognuno attende,
Ognun brama vederti: all'are intorno
Ognun supplice cade: e il bel momento
Affretta ognun con cento voti e cento.
L'ombra de' rami tuoi
L'amico suolo aspetta.
Vivi mia pianta eletta:
Degna sarai di me.
Già questo cor comprende
Quel che sarai di poi;
Già di sue cure intende
L'opra lodarsi in te
ASCANIO:
Ma la Ninfa gentil, che il seme onora
D'Ercole invitto...? Ah dì..., la Sposa mia,
Silvia, Silvia dov'è? Tanto di lei
Tu parlasti al mio cor; tanto la fama
N'empie sua tromba, e tanto bene aspetta
Da le mie nozze il Mondo...
VENERE:
Amata Prole
Pria che s'asconda il Sole
Sposo sarai de la più saggia Ninfa,
Che di sangue divin nascesse mai.
Già su i raggi dell'alba in sonno apparvi
Ad Aceste custode
De la Vergine illustre. Egli già scende
Dal sacro albergo: e al popolo felice,
E a la Ninfa tuo bene,
Del fausto annuncio apportator qui viene.
ASCANIO:
Ah cara Madre... Dimmi...
Dunque vicina è l'ora...?
Ma chi sa, s'ella m'ami?
VENERE:
Ella ti adora.
ASCANIO:
Se mai più non mi vide!
VENERE:
A lei son note
Le tue sembianze.
ASCANIO:
E come?
VENERE :
Amor, per cenno mio,
Ordì nobile inganno.
ASCANIO:
E che mai fece?
VENERE :
Volge il quart'anno omai,
Che de la Ninfa a lato
Amor veglia in tua vece. Ei le tue forme
Veste appunto qual te. Tali le gote,
Tai le labbra e le luci, e tai le chiome,
Tale il suon de le voci. Appunto come
L'un'all'altra colomba
Del mio carro somiglia,
Tale Amor ti somiglia.
ASCANIO:
E quale, o Dea
Presso all'amata Ninfa
È l'ufficio d'Amore?
VENERE:
In sonno a lei
Misto tra' lievi sogni appare ognora.
Te stesso a lei dipinge: e tal ne ingombra
La giovinetta mente,
Che te, vegliando ancora,
La vaga fantasia sempre ha presente.
ASCANIO:
Che leggiadro prodigio
Tu mi sveli, o gran Dea! Ma che più tardo?
Voliam dunque a la Ninfa. A' piedi suoi
Giurar vo' la mia fé...
VENERE:
Solo tu devi
Ire in traccia di lei;
Me chiaman altre cure:
Non è solo un Mortal caro a gli Dèi.
ASCANIO:
Sì, le dirò ch'io sono
Ascanio suo; che questo cor l'adora;
Che di celeste Diva
Stirpe son io...
VENERE:
No, non scoprirti ancora.
ASCANIO:
O ciel! perché?
VENERE:
Tu fida.
Vedila pur; ma taci
Chi tu sei, d'onde vieni, e chi ti guida.
ASCANIO:
Che silenzio crudel!
VENERE:
Dimmi, non brami
Veder con gli occhi tuoi fino a qual segno
Silvia t'adori? a qual sublime arrivi
La sua virtù? quanto sia degno oggetto
D'amor, di meraviglia, e di rispetto?
Questa dunque è la via.
ASCANIO:
Dunque s'adempia,
O Madre, il tuo voler. Giuro celarmi
Fin che a te piace. Oggi mostrar ti voglio
Sin dove anch'io son d'ubbidir capace.
VENERE:
Vieni al mio seno. A quella docil mente,
A quel tenero core a quel rispetto,
Che nutri per gli Dèi, ti riconosco
Prole più degna ognora
E del Padre, e di me. Qui fra momenti
Mi rivedrai. De la tua Sposa intanto
Cauto ricerca: ammira
Come di bei costumi
A te per tempo ordisce
La tua felicità, come con lei
Ne la mirabil opra
E l'arte, e la natura, e il ciel s'adopra.
[In atto di partire.]
GENI e GRAZIE:
Di te più amabile
Né Dea maggiore,
Celeste Venere
No non si dà,
[Parte Venere seguita dal coro, che canta, e le danza intorno.]
Con fren sì placido
Reggi ogni core, che più non bramasi
La libertà.
SCENA SECONDA
Ascanio solo.
ASCANIO:
Perché tacer degg'io?
Perché ignoto volermi all'idol mio?
Che dura legge, o Dea!
Mi desti in seno
Tu le fiamme innocenti: i giusti affetti
Solleciti fomenti: e a lei vicino
Nel più lucido corso il mio destino
Improvvisa sospendi?...
Ah dal mio cor qual sagrifizio attendi...?
Perché tacer degg'io
Perché ignoto volermi all'idol mio?
Folle! Che mai vaneggio
So, che m'ama la Dea: mi fido a lei
Deh perdonami, o Madre, i dubbi miei.
Ma la Ninfa dov'è? Tra queste rive
Chi m'addita il mio bene? Ah sì cor mio
Lo scoprirem ben noi. Dove in un volto
Tutti apparir de la virtù vedrai
I più limpidi rai: dove congiunte
Facile maestà, grave dolcezza,
Ingenua sicurezza,
E celeste pudore: ove in due lumi
Tu vedrai sfolgorar d'un'alta mente
Le grazie delicate, e il genio ardente,
Là vedrai la mia Sposa. A te il diranno
I palpiti soavi, i moti tuoi:
Ah sì cor mio la scoprirem ben noi.
Cara, lontano ancora
La tua virtù m'accese:
Al tuo bel nome allora
Appresi a sospirar.
In van ti celi, o cara:
Quella virtù si rara
Nella modestia istessa
Più luminosa appar.
SCENA TERZA
Pastori, Ascanio e Fauno.
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incateni amor.
ASCANIO
[ritirandosi in disparte]:
Ma qual canto risona?
Qual turba di Pastor mi veggio intorno?
FAUNO
[non badando ad Ascanio]:
Qui dove il loco e l'arte
Apre comodo spazio
Ai solenni concili, al sacro rito,
Qui venite o Pastori. Il giorno è questo
Sacro a la nostra Diva. Al suo bel nome,
Non a Bacco, e a Vertunno,
Render grazie volgiamo
Presso al cader del fortunato Autunno.
Il Ministro del cielo, il saggio Aceste,
Sembra, che tardi. In gran pensieri avvolto
Pur dianzi il vidi. A lui splendea ridente
D'un'insolita gioia il sacro volto.
Forse il dono promesso è a noi vicino;
Forse la Dea pietosa
Del fido Popol suo compie il destino.
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incateni Amor.
[Il coro siede lungo le serie degli
alberi disponendosi vagamente.]

FAUNO
[volgendosi ad Ascanio]:
Ma tu chi sei, che ignoto
Qui t'aggiri fra noi? Quel tuo sembiante
Pur mi fa sovvenir, quando alcun Dio
Tra i mortali discende. E qual desio
Ti conduce fra noi?
ASCANIO
[accostandosi a Fauno]:
Stranier son io.
Qua vaghezza mi guida
Di visitare i vostri colli ameni,
I puri stagni, e per il verde piano
Queste vostre feconde acque correnti.
Tra voi, beate genti,
Fama è nel Lazio, che Natura amica
Tutti raccolga i beni
Che coll'altre divide.
FAUNO:
Ah! più deggiamo
Al favor d'una Diva: e non già quale
Irreverente il volgo
Talor sogna gli Dèi, ma qual è in cielo
Alma figlia di Giove. Il suo sorriso,
Dall'amoroso cerchio, onde ne guarda
Questo suol rasserena. Ella que' beni,
Che natura ne diè, cura, difende
Gli addolcisce, gli aumenta. In questi campi
Semina l'agio, e seco
L'alma fecondità. Ne le capanne
Guida l'industria; e in libertà modesta
La trattien, la fomenta. Il suo favore
È la nostra rugiada: e i lumi suoi
Pari all'occhio del sol sono per noi.
Se il labbro più non dice,
Non giudicarlo ingrato.
Chi a tanto bene è nato
Sa ben quanto è felice,
Ma poi spiegar nol sa.
Quando a gli Amici tuoi
Torni sul patrio lido,
Vivi, e racconta poi:
Ho visto il dolce nido
De la primiera età.
ASCANIO:
(Quanto soavi al core
De la tua stirpe, o Dea
Sonan mai queste lodi!)
FAUNO
[guardando da un lato nell'interno della scena]:
Ecco, Pastori,
[Il Coro si alza, e si avanza.]
Ecco lento dal colle
Il venerando Aceste; al par di lui
Ecco scende la Ninfa...
ASCANIO:
Oh ciel, qual Ninfa?
Parla, dimmi, o Pastor...
FAUNO:
Silvia, d'Alcide
Chiara stirpe divina.
ASCANIO:
(Ahimè cor mio
Frena gli impeti tuoi:
L'adorata mia Sposa ecco vicina.)
FAUNO
[accennando ad Ascanio, il quale pure sta attentamente guardando dallo stesso lato]:
Mira, o Stranier, come il bel passo move
Maestosa, e gentile: a le seguaci
Come umana sorride
Come tra lor divide
I guardi, e le parole. In que' begli atti
Non par, che scolta sia
L'altezza del pensiero, e di quell'alma
La soave armonia?
ASCANIO:
(È vero, è vero.
Più resister non so. Se qui l'attendo,
Scopro l'arcano, e al giuramento io manco.
Partasi omai.)
FAUNO:
Garzone, a te non lice
Qui rimaner, che la modesta Silvia
Non vorria testimon de' suoi pensieri
Un ignoto straniere. E se desìo
D'ammirarla vicino, e al patrio suolo
Fama portar de' pregi suoi t'accese,
Là confuso ti cela.
[Accennando il Coro de' Pastori.]
ASCANIO:
S'adempia il tuo voler, pastor cortese.
[Si ritira, e si suppone confuso fra il Coro.]
[Il Coro s'avanza da un lato alla volta di Aceste, e di Silvia.]
SCENA QUARTA
[Ascanio e Fauno, Pastori e Pastorelle o Ninfe, Silvia con seguito di Pastorelle, Aceste.]
PASTORI e PASTORELLE:
Hai di Diana il core,
Di Pallade la mente.
Sei dell'Erculea gente,
Saggia Donzella, il fior.
I vaghi studi e l'arti
Son tuo diletto, e vanto:
E delle Muse al canto
Presti l'orecchio ancor.
Ha nel tuo core il nido
Ogni virtù più bella:
Ma la modestia è quella
Che vi risplende ognor.
ACESTE:
Oh generosa Diva,
Oh delizia degli uomini, oh del cielo
Ornamento e splendor! che più potea
Questo suol fortunato
Aspettarsi da te? Qual più ti resta,
Fido popol devoto,
Per la sua Deità preghiera, o voto.
Ogni cosa è compiuta.
Dell'Indigete Enea
La sospirata Prole,
Vostra sarà pria che tramonti il Sole.
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incateni Amor.
ACESTE:
Di propria man la Dea
A voi la donerà. Né basta ancora.
Qui novella città sorger vedrete
De la Diva, e del Figlio opra sublime.
Questi poveri alberghi,
Queste capanne anguste
Fieno eccelsi palagi, e moli auguste.
Altre dell'ampie moli
Saran sacre a le Muse: altre custodi
De le prische memorie ai dì venturi:
Altre ai miseri asilo:
Altre freno agli audaci: altre tormento
A la progenie rea del mostro orrendo,
Che già infamia, e spavento
Fu de' boschi Aventini,
E periglio funesto a noi vicini.
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incatena Amor.
ACESTE
[rivolto a Silvia]:
Oh mia gloria, oh mia cura, oh amato pegno
De la stirpe d'Alcide, oh Silvia mia,
Oggi Sposa sarai. Oggi d'Ascanio
Il conforto sarai, l'amor, la speme:
Ambi di questo suolo
La delizia, e il piacer sarete insieme.
Per la gioia in questo seno
L'alma. oh Dio! balzar mi sento.
All'eccesso del contento
No resistere non sa.
Silvia cara, amici miei,
Se con me felici siete,
Ah venite, dividete
Il piacer, che in cor mi sta.
SILVIA:
(Misera! che farò?) Narrami Aceste,
Onde sai tutto ciò?
ACESTE:
La Dea me 'l disse.
SILVIA:
Quando?
ACESTE:
Non bene ancora
Si tingevan le rose
De la passata aurora.
SILVIA:
E che t'impose?
ACESTE:
D'avvertirne te stessa,
D'avvertirne i Pastori: e poi disparve
Versando dal bel crin divini odori.
SILVIA:
(Ah che più far non so. Taccio...? mi scopro...?)
ACESTE:
(Ma la Ninfa si turba...?
Numi! Che sarà mai...?)
SILVIA:
(No, che non lice
In simil uopo all'anime innocenti
Celar gli affetti loro.) Odimi Aceste...
ACESTE:
Cieli! Che dir mi vuoi?
Qual duol ti opprime in sì felice istante?
SILVIA:
Padre... Oh Numi..! Che pena..!
Io sono amante.
ACESTE:
(Ahimè, respiro alfine.)
E ti affanni perciò? Non è d'amore
Degno il tuo Sposo? O credi
Colpa l'amarlo?
SILVIA:
Anzi, qual Nume, o Padre,
Lo rispetto, e l'onoro. I pregi suoi
Tutti ho fissi nell'alma. Ognun favella
Di sue virtù. Chi caro a Marte il chiama,
Chi diletto d'Urania, e chi l'appella
De le Muse sostegno:
Chi n'esalta la mano, e chi l'ingegno.
Del suo gran Padre in lui
Il magnanimo cor chi dice impresso;
Chi de la Dea celeste
L'immensa carità trasfusa in esso.
Sì, ma d'un altro Amore
Sento la fiamma in petto:
E l'innocente affetto
Solo a regnar non è.
ACESTE:
Ah no, Silvia t'inganni
Innocente che sei. Già per lung'uso
Io più di te la tua virtù conosco.
Spiega il tuo core, o Figlia,
E al tuo fido custode or ti consiglia.
SILVIA:
Odi Aceste, e stupisci. Il dì volgea,
Che la mia fé donai
D'esser Sposa d'Ascanio all'alma Dea.
Mille imagini liete,
Che avean color da quel felice giorno,
Venian volando a la mia mente intorno.
Ed ella in dolce sonno
S'obliava innocente preda a loro;
Quand'ecco, oh Cielo! a me, non so se desta.
Comparve un giovinetto. Il biondo crine
Sul tergo gli volava; e mista al giglio
Ne la guancia vezzosa
Gli fioriva la rosa: il vago ciglio...
Padre, non più, perdona.
L'indiscreto pensier, parlando ancora,
Va dietro a le lusinghe
Dell'imagin gentil, che lo innamora.
ACESTE:
(Che amabile candor!) segui, che avvenne?
SILVIA:
Ah da quel giorno il lusinghier sembiante
Regnò nel petto mio; di sé m'accese;
I miei pensieri ei solo
Tutti occupar pretese i sonni miei
Di sé solo ingombrò. Da un lato Ascanio,
La cui sembianza ignota,
Ma la virtù m'è nota,
Meraviglia, e rispetto al cor m'inspira:
Dall'altro poi l'imaginato oggetto
Tenerezza, ed amor mi desta in petto.
ACESTE:
No, figlia, non temer. Senti la mano
De la pietosa Dea. Questa bell'opra
Opra è di lei.
SILVIA:
Che dici?
Come? parla, che fia?
ACESTE:
Piacque a la Diva
Di stringere il bel nodo: in ogni guisa
Vi dispone il tuo core, e in sen ti pinge
Le sembianze d'Ascanio.
SILVIA:
E come il sai?
ACESTE:
Sento che in cor mi parla
Un sentimento ignoto,
La tua virtù me 'l dice e m'assicura
Il favor de la Dea.
SILVIA:
Numi! chi fia
Più di me fortunata? Oh Ascanio, oh Sposo!
Dunque per te, mio Bene,
L'amoroso desìo
Si raddoppia così dentro al cor mio?
Amo adunque il mio Sposo
Quando un bel volto adoro? Amo lui stesso,
Quando mille virtù pregio, ed onoro?
Come è felice stato,
Quello d'un'alma fida,
Ove innocenza annida,
E non condanna amor!
Del viver suo beato
Sempre contenta è l'alma:
E sempre in dolce calma
Va palpitando il cor.
ACESTE:
Silvia, mira, che il sole omai s'avanza
Oltre il meriggio. È tempo,
Che si prepari ognuno
Ad accoglier la Dea. Su via Pastori
A coronarci andiam di frondi, e fiori:
Tu con altri Pastor Fauno raccogli
Vaghi rami, e ghirlande; e qui le reca,
Onde sia il loco adorno
Quanto si può per noi. Tu ancor prepara
Parte de' cari frutti, onde sull'ara
Con le odorate gomme ardan votivo
Sagrificio a la Dea, che a noi li dona.
Se questo dì è festivo
Ogni anno al suo gran nome, or che si deve,
Quando sì fausta a noi
Reca il maggior de' benefici suoi?
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incateni Amor.
[Partono tutti fuorché Ascanio.]
SCENA QUINTA
[Ascanio, e poi Venere e Coro di Geni]
ASCANIO:
Cielo! che vidi mai? quale innocenza,
Quale amor, qual virtù! Come non corsi
Al piè di Silvia, a palesarmi a lei?
Ah questa volta, o Dea, quanto penoso
L'ubbidirti mi fu. Vieni, e disciogli
Questo freno crudele...
[Venere sopraggiunge col Coro dei Geni]
VENERE:
Eccomi o figlio!
ASCANIO:
Lascia, lascia, ch'io voli
Ove il ridente fato
Mi rapisce, mi vuol. Quel dolce aspetto,
Quel candor, quella fé, quanto rispetto
M'inspirano nell'alma e quanti, oh Dio
Quanti mantici sono al mio desio!
Ah di sì nobil alma
Quanto parlar vorrei!
Se le virtù di lei
Tutte saper pretendi,
Chiedile a questo cor.
Solo un momento in calma
Lasciami o Diva, e poi
Di tanti pregi suoi
Potrò parlarti allor.
VENERE:
Un'altra prova a te mirar conviene
De la virtù di Silvia. Ancor per poco
Soffri mia speme. Appena
Qui fia la pastoral turba raccolta
Che di mia gloria avvolta
Comparir mi vedrà. Restano, o Figlio
Restano ancor pochi momenti, e poi...
ASCANIO:
Che non pretendi, o Dea!
Da un impaziente cor. Ma sia che vuoi!
VENERE
[accennando da un lato]:
Là dove sale il Colle
Finché torni quaggiù Silvia il tuo bene,
Ricovrianci per ora! In questo piano
De la nova città le prime moli
Sorgano intanto, e de' ministri miei
L'opra vi sudi. Auspici noi dall'alto
Dominerem su l'opra: e qua tornando
La pastoral famiglia,
N'avrà insieme conforto, e meraviglia.
Olà, Geni mei fidi,
De le celesti forze
Accogliete il valor. Qui del mio sangue
Sorga il felice nido; e d'Alba il nome
Suoni famoso poi di lido in lido.
E tu mio germe intanto
A mirar ti prepara in quel bel core
Di virtude il trionfo, e quel d'amore.
Al chiaror di que' bei rai,
Se l'amor fomenta l'ali
Ad amar tutti i mortali
Il tuo cor solleverà.
Così poi famoso andrai
Degli Dèi tra i chiari figli,
Così fia, che tu somigli
A la mia divinità.
GENI e GRAZIE:
Di te più amabile,
Né Dea maggiore,
Celeste Venere,
No non si dà.
Con fren sì placido
Reggi ogni core,
Che più non bramasi
La libertà.
[Molti Pastori, e Pastorelle, secondo l'antecedente comando d’Aceste, vengon per ornar solennemente il luogo di ghirlande, e di fiori. Ma mentre questi si accingono all'opera, ecco che compariscono le Grazie accompagnate da una quantità di Geni, e di Ninfe celesti in atto di meditare qualche grande intrapresa. I Pastori rimangono a tale veduta estremamente sorpresi: se non che, incoraggiati dalla gentilezza di quelle persone celesti, tornano all'incominciato lavoro. Ma assai più grande rinasce in essi la meraviglia, quando ad un cenno delle Grazie, e de' Geni, veggono improvvisamente cambiarsi i tronchi degli alberi, che stanno adornando di ghirlande, in altrettante colonne, le quali formano di mano in mano un solido, vago e ricco ordine d'architettura, con cui dassi principio all'edificazione d'Alba, e si promette un felice cambiamento al paese. Questi accidenti, congiunti con gli atti d'ammirazione, di riconoscenza, di tenerezza, di concordia fra le celesti e le umane persone, fanno la base del breve Ballo, che lega l'anteriore con la seguente parte della Rappresentazione]
PARTE SECONDA
SCENA PRIMA
[Silvia, Coro di Pastorelle]
SILVIA:
Star lontana non so, compagne Ninfe,
Da questo amico loco.
Ah qui vedrò fra poco
L'adorato mio Sposo, è l'alma Dea,
Che di sua luce pura
Questi lidi beati orna, e ricrea.
Ma ciel! Che veggio mai! Mirate, amiche,
Come risplende intorno
Di scolti marmi, e di colonne eccelse
Il sacro loco adorno. Ah senza fallo
Questo è il divin lavoro. Il tempo, e l'opra
De' mortali non basta a tanta impresa.
Sento, sento la mano
De la propizia Dea. L'origin questa
È dell'alma Città, che a noi promise:
Questa è mirabil prova
De la venuta sua. Fra pochi istanti
De le felici amanti
La più lieta sarò. Già dall'occaso
Il sol mi guarda; e pare
Più lucido che mai scender nel mare.
Spiega il desìo, le piume:
Vola il mio core, e geme;
Ma solo con la speme
Poi mi ritorna al sen.
Vieni col mio bel Nume
Alfine o mio desìo
Dimmi una volta, oh Dio!
Ecco l'amato ben.
[Siede da un lato con le Pastorelle intorno.]
PASTORELLE:
Già l'ore sen volano,
Già viene il tuo bene.
Fra dolci catene
Quell'alma vivrà.
[Il Coro siede.]
SCENA SECONDA
[Silvia, Coro di Pastorelle, Ascanio]
ASCANIO
[non vedendo Silvia, da sé]:
Cerco di loco in loco
La mia Silvia fedele; e pur non lice
Questo amante cor mio svelare a lei;
Ché me 'l vieta la Diva.
Adorata mia Sposa, ah dove sei?
Lascia, lascia, che possa
Questo mio cor, che de' tuoi merti è pieno,
Celato ammirator vederti almeno.
[Vedendo Silvia, da sé]:
Ma non è Silvia quella,
Che là si posa su quel verde seggio,
Con le sue Ninfe a lato...? Io non m'inganno.
Certo è il mio bene, è desso.
Numi! che fo'...? m'appresso...?
SILVIA
[vedendo Ascanio, da sé]:
Oh ciel! Che miro...?
Quegli è il Garzon, di cui scolpita ho in seno
L'imagin viva...
ASCANIO:
Ah! Se potessi almeno
Scoprirmi a lei...
SILVIA:
Così m'appare in sogno...
Così l'ha ognor presente
Nel dolce immaginar questa mia mente.
Che fia ...? Sogno...? O son desta...?
ASCANIO:
Oh Madre, oh Diva!
Qual via crudel di tormentarmi è questa?
SILVIA:
No, più sogno non è: quello è sembiante
Che da gran tempo adoro...
Ascanio è dunque...? O pur son d'altri amante. ..?
Dubito ancor ....
ASCANIO:
La Ninfa
Agitata mi par... Mi riconosce,
Ma scoprirsi non osa.
SILVIA:
Ah sì il mio bene,
Il mio Sposo tu sei.
[Alzandosi e facendo qualche passo verso Ascanio.]
ASCANIO:
Cieli! s'accosta:
Come potrò non palesarmi a lei!
SILVIA:
Imprudente, che fo? Spontanea, e sola
Appressarmi vogl'io?
[s'arresta]
Seco non veggio
La Dea, che il guida... Egli di me non chiede...
Meco Aceste non è... Dove t'avanzi
Trasportato dal core incauto piede?
Ingannarmi potrei...
SCENA TERZA
Silvia, Ascanio, coro di Pastorelle e Fauno.
FAUNO:
Silvia, Silvia, ove sei?
SILVIA
[accostandosi a Fauno]:
Fauno, che brami?
FAUNO
[a Silvia]:
Io di te cerco, o Ninfa,
[ad Ascanio, che si accosta dall'altro lato]:
E a te pur vengo,
Giovanetto straniere.
SILVIA:
(Egli è stranier, qual sembra: ah certo è desso,
Certo è lo Sposo mio.)
[A Fauno]:
Pastor, favella.
FAUNO
[a Silvia, scostandosi Ascanio]:
A te Aceste m'invia: di te chiedea:
Qui condurti ei volea. Di già si sente
La gran Diva presente. In ogni loco
Sparge la sua virtù. Vedi quell'opra
Che mirabil s'innalza? i Geni suoi
La crearon pur di anzi. Io, e i Pastori
Ne vedemmo il lavoro
Mentre qua recavam ghirlande, e fiori.
Ciò narrammo ad Aceste: ed egli a noi
Meraviglie novelle
Ne mostrò d'ogni parte. Oh se vedessi!
Silvia, sul sacro albergo,
Ove seco dimori, una gran luce
Piove, e sfavilla intorno, e par, che rieda
Pria di morir verso l'aurora il giorno.
Tutto il pendio del colle,
Onde quaggiù si scende,
Di fior vernali, e di novelli germi
Tutto si copre. Per la via risplende
Un ignoto elemento
Di rutile vivissime scintille,
Onde aperto si vede,
Che volò su quel suolo il divin piede.
Ma troppo tardo omai.
SILVIA:
(Quanto ti deggio
Amorosa Deità!)
FAUNO:
Volo ad Aceste:
[a Silvia, accennando di partire]:
Dirò, che più di lui
Fu sollecito amore...
ASCANIO
[accostandosi a Fauno]:
Ed a me ancora
Non volevi parlar gentil Pastore?
FAUNO
[ad Ascanio]:
Ah quasi l'obliai.
Garzon, mi scusa
In dì così ridente
L'eccesso del piacer turba la mente
Ad Aceste narrai
Come qui ti conobbi, e ti lasciai.
ASCANIO:
E che perciò?
FAUNO:
Sorrise
Lampeggiando di gioia il sacro veglio.
Levò le mani al Cielo e palpitando:
Sento, mi disse, un non inteso affetto
Tutto agitarmi il petto...
SILVIA:
(Oh caro Sposo!
Non ne dubito più.)
FAUNO:
Vanne, soggiunse,
Cerca dello straniere.
SILVIA:
Il saggio Aceste
Nell'indovina mente
(Tutto sa, tutto vede, e tutto sente!]
ASCANIO:
Che vuol dunque da me?
FAUNO:
Per me ti prega,
Che rimanghi tra noi finché si sveli
A noi la nostra Dea. Vuol che tu sia
De' favori di lei,
De' felici Imenei del nostro bene
Nuncio fedele a le rimote arene.
SILVIA:
(Oh me infelice! Aceste
Dunque Ascanio nol crede!)
ASCANIO:
(Ahimè, che dico?
Oh dura legge!)
FAUNO
[ad Ascanio]:
E che rispondi alfine?
ASCANIO:
Che ubbidirò... Che del felice Sposo
Ammirerò il destin...
SILVIA:
(Misera! Oh Numi!
Dunque Ascanio non è. Che fiero colpo!
Che fulmine improvviso!)
[Si ritira e si siede abbattuta fra le Ninfe verso il fondo della Scena.]
ASCANIO:
Alfin, Pastore,
Dì, che l'attendo.
FAUNO:
Ed io
Tosto men volo ad affrettarlo. Addio!
Dal tuo gentil sembiante
Risplende un'alma grande:
E quel chiaror, che spande
Quasi adorar ti fa.
Se mai divieni amante
Felice la Donzella Che a fiamma così bella
Allor s'accenderà.
[Parte.]
SCENA QUARTA
Silvia. Coro di Pastorelle e Ascanio.
ASCANIO
[guardando a Silvia]:
Ahimè!
Che veggio mai?
Silvia colà si giace
Pallida semiviva
A le sue Ninfe in braccio.
Intendo, oh Dio!
Arde del volto mio: e non mi crede
Il suo promesso Ascanio.
La virtude, e l'amore
Fanno atroce battaglia in quel bel core.
E dal penoso inganno
Liberarla non posso... Agli occhi suoi
S'involì almen questo affannoso oggetto
Finché venga la Dea. Colà mi celo:
E non lontan da lei
Udrò le sue parole
Pascerò nel suo volto i guardi miei.
Al mio ben mi veggio avanti,
Del suo cor sento la pena,
E la legge ancor mi frena.
Ah si rompa il crudo laccio,
Abbastanza il cor soffrì.
Se pietà dell'alme amanti
Bella Diva il sen ti move,
Non voler fra tante prove
Agitarle ognor così.
[Si ritira dalla Scena.]
SILVIA
[accorrendo ad Ascanio, e poi trattenendosi]:
Ferma, aspetta, ove vai? dove t'involi?
Perché fuggi così! Numi! che fo...?
Dove trascorro ahimè...? come s'oblia
La mia virtù...! Sì, si risolva alfine.
Rompasi alfin questo fallace incanto.
Perché, perché mi vanto
Prole de' Numi, e una sognata imago
Travìa quel cor che al sol dovere è sacro,
E sacro a la virtù...? Ma non vid'io
Le sembianze adorate
Pur or con gli occhi miei...? No, non importa.
Sol d'Ascanio son io. Da lor si fugga.
Se il Ciel così mi prova,
Miri la mia vittoria... E se il mio Sposo
Fosse quel, ch'or vid'io...? Ah! mi lusingo.
Perché in sì dolce istante
Non palesarsi a me? perché mentirsi,
E straziarmi così...? No. mi seduce
L'ingannato mio core... E s'anco ci fosse
Vegga che so lui stesso Sagrificare a lui,
E l'amato sembiante ai merti sui.
Ah si corra ad Aceste:
Involiamci di qui. Grande qual sono
Stirpe de' Numi al comun ben mi deggio.
Fuorché l'Alma d'Ascanio, altro non veggio.
Infelici affetti miei,
Sol per voi sospiro, e peno,
Innocente è questo seno:
Nol venite a tormentar.
Ah quest'alma, eterni Dei,
Mi rendete alfin qual era.
Più l'imagin lusinghiera
Non mi torni ad agitar.
ASCANIO
[accorrendo a Silvia]:
Anima grande, ah lascia
Lascia, oh Dio! che al tuo piè...
SILVIA
[partendo risoluta]:
Vanne. A' miei lumi
Ti nascondi per sempre. Io son d'Ascanio.
[Parte.]
PASTORELLE:
Che strano evento
Turba la Vergine
In questo dì!
No, non lasciamola
Dove sì rapida Fugge così.
[Partono.]
SCENA QUINTA
[Ascanio solo]
ASCANIO:
Ahi la crudel come scoccato dardo
S'involò dal mio sguardo! Incauto, ed io
Quasi di fé mancai.
Chi a tante prove, o Dea,
D'amore, e di virtù regger potea?
Di sì gran dono, o Madre,
Ricco mi fai, che più non può mortale
Desiar dagli Dèi: e vuoi, ch'io senta
Tutto il valor del dono. Ah sì, mia Silvia,
Troppo, troppo maggiore
Sei de la fama. Ora i tuoi pregi intendo:
Or la ricchezza mia tutta comprendo
Torna mio bene, ascolta.
Il tuo fedel son io.
Amami pur ben mio:
No, non t'inganna Amor.
Quella, che in seno accolta
Serbi virtù sì rara,
A gareggiar prepara
Coll'innocente cor.
[Si ritira in disparte.]
SCENA SESTA
Ascanio, Silvia, Aceste, Fauno, Coro di Pastori e di Pastorelle, poi Venere, e Coro di Geni.
PASTORI:
Venga de' sommi Eroi,
Venga il crescente onor.
Più non s'involi a noi:
Qui lo incateni Amor.
ACESTE
[a Silvia, che tiene graziosamente per la mano]:
Che strana meraviglia
Del tuo cor mi narrasti, amata figlia!
Ma pur non so temer. Serba i costumi,
Che serbasti fin ora. Il ciel di noi
Spesso fa prova: e dai contrasti illustri
Onde agitata sei,
Quella virtù ne desta,
Che i mortali trasforma in Semidei.
Sento, che il cor mi dice,
Che paventar non dei:
Ma penetrar non lice
Dentro all'ascoso vel.
Sai, che innocente sei,
Sai, che dal Ciel dipendi.
Lieta la sorte attendi,
Che ti prescrive il Ciel.
SILVIA:
Sì, Padre, alfin mi taccia
Ogn'altro affetto in seno.
Segua che vuol, purché il dover si faccia.
ACESTE
[ai Pastori, che raccolti intorno all'ora v'ardono l'incensi]:
Sù, felici Pastori. Ai riti vostri
Date principio; e la pietosa Dea
Invocate con gl'inni.
PASTORI e NINFE O PASTORELLE:
Scendi celeste Venere;
E del tuo amore in segno
Lasciane il dolce pegno,
Che sospirammo ognor.
SILVIA:
Ma s'allontani almen dagli occhi miei
Quel periglioso oggetto. Il vedi?
[Accennando Ascanio.]
ACESTE
[guardando Ascanio]:
Il veggio.
Parmi simile a un Dio.
ASCANIO:
(Silvia mi guarda:
Che contrasto crudel!)
ACESTE:
No cara figlia,
No, non temer. Segui la grande impresa,
Vedi che il fumo ascende, e l'ara è accesa.
Osservate, o Pastori.
Ecco scende la Dea.
[Cominciano a scendere delle nuvole sopra l'ara.]
Tra quelle nubi
Si nasconde la Dea. Oh Silvia mia,
Meco all'ara ti volgi: e voi Pastori,
De le preghiere ardenti
Rinnovate i clamori.
PASTORI e PASTORELLE:
No, non possiamo vivere
In più felice regno.
Ma senza il dolce pegno
Non siam contenti ancor.
[Le nubi si spandono innanzi all'ara.]
ACESTE:
Ecco ingombran l'altare
Le fauste nubi intorno. Ecco la luce
De la Diva presente, ecco traspare.
[Si veggono uscir raggi di luce dalle nuvole.]
PASTORI e NINFE O PASTORELLE:
Scendi celeste Venere;
E del tuo amore in segno
Lasciane il dolce pegno,
Che sospirammo ognor.
ACESTE:
Invoca, o figlia, invoca
Il favor della Diva:
Chiedi lo Sposo tuo.
SILVIA:
Svelati, O Dea,
Scopri alla fin quell'adorato aspetto
Al tuo popol diletto. Omai contento
Rendi questo cor mio.
[Si squarciano le nuvole. Si vede Venere assisa sul suo carro. Nello stesso tempo escono di dietro alle nuvole le Grazie, e i Geni, che con vaga di sposizione si spargono per la Scena.]
ASCANIO
[si va avvicinando a Silvia]:
(Or felice son io. Questo è il momento.)
SILVIA:
Oh Diva!
ASCANIO
[si accosta di più]:
Oh sorte!
ACESTE:
Oh giorno!
SILVIA
[ad Ascanio, che si accosta]:
Ah mi persegui,
Imagine crudele, insino all'ara?
[Risolutamente guardando Venere, e colla mano facendosi velo agli occhi, per non veder Ascanio]:
Qual è il mio Sposo, o Diva?
VENERE
[accennando, e pigliando per una mano Ascanio, il presenta a Silvia]:
Eccolo, o cara.
SILVIA
[volgendosi ad Ascanio]:
Oh Cielo! Perché mai Nasconderti così?
ASCANIO
[a Silvia]:
Tutto saprai.
SILVIA
[accorrendo ad Ascanio]:
Ah caro Sposo, oh Dio!
ASCANIO
[accorrendo a Silvia]:
Vieni al mio sen, ben mio.
SILVIA:
[ad Aceste]
Ah ch'io lo credo a pena.
Forse m'inganno ancora?
ACESTE
[a Silvia]:
Frena il timor, deh frena:
E la gran Diva adora.
ASCANIO:
Che bel piacere io sento
In sì beato dì.
ACESTE
[a Silvia, e ad Ascanio]:
De la virtù il cimento
Premian gli Dèi così.
SILVIA:
Numi! che bel momento!
Come in sì bel contento
Il mio timor finì!
ASCANIO:
Ah cara Sposa, oh Dio!
SILVIA:
Ah caro Sposo, oh Dio!
[Abbracciandosi rispettosamente.]
SILVIA, ASCANIO e ACESTE:
Più sacro nodo in terra,
Più dolce amor non è.
Quanto pietosa Dea
Quanto dobbiamo a te.
VENERE:
Eccovi al fin di vostre pene, o figli.
Or godete beati
L'uno nel cor dell'altro ampia mercede
De la vostra virtù.
[A Silvia]:
Mi piacque o cara
Prevenire il tuo core. Indi la fama,
Quindi Amore operò. Volli ad Ascanio
Così de la sua Sposa
La fortezza, il candor, l'amor, la fede
Mostrar sugli occhi suoi. Scossi un momento
Quel tuo bel core; e ne volar scintille
Di celeste virtude a mille a mille.
Ma voi soli felici
Esser già non dovete.
La stirpe degli Dèi, più ch'al suo bene,
Pensa all' altrui.
[Ad Ascanio]:
Apprendi, o Figlio apprendi,
Quanto è beata sorte
Far beati i mortali. In questo piano
Tu l'edificio illustre
Stendi della città. La Gente d'Alba
Sia famosa per te. De le mie leggi
Tempra il soave freno:
Ministra il giusto: il popol mio proteggi.
In avvenir due Numi
Abbia invece d'un sol; te, qui presente;
Me, che lontana ancora,
Qua col pensier ritornerò sovente.
ASCANIO:
Che bel piacer io sento
In sì beato di!
SILVIA:
Numi! che bel momento!
Come in sì bel contento
Il mio timor finì.
ASCANIO, SILVIA e ACESTE:
Più sacro nodo in terra
Più dolce amor non è.
Quanto pietosa Dea,
Quanto dobbiamo a te.
VENERE:
Ah chi nodi più forti
Ha del mio core in questi amati lidi?
I Figli, le Consorti, il Popol mio...
SILVIA:
Oh Diva!
ASCANIO:
Oh Madre!
VENERE:
Addio, miei figli, addio!
ACESTE:
Ferma pietosa Dea, fermati.
Almeno Lascia, che rompa il freno
Al cor riconoscente un popol fido.
Io son, pietosa
Dea, Interprete di lui. Questo tuo pegno
[accennando Ascanio e abbracciandolo rispettosamente].
Fidalo púre a noi. Vieni; tu sei
Nostro amor, nostro ben, nostro sostegno.
[A Venere, la quale sparisce, chiudendosi: ed alzandosi le nuvole]:
Adoreremo in lui
L'imagine di te: di te, che spargi
Su i felici mortali
Puro amor, pura gioia: di te, che leghi
Con amorosi nodi
I Popoli tra lor; che in sen d'amore.
Dài fomento a la pace, e di questo orbe
Stabilisci le sorti, e l'ampio mare
Tranquillizzi, e la terra. Ah, nel tuo sangue,
D'Eroi, di Semidei sempre fecondo,
Si propaghi il tuo core:
E la stirpe d'Enea occupi il Mondo.
GENI, GRAZIE, PASTORI e NINFE:
Alma Dea tutto il Mondo governa,
Che felice la terra sarà.
La tua stirpe propaghisi eterna,
Che felici saranno l'età.