"Vi son uomini che" come dettava un proverbio mesopotamico "non possono vivere in comode città, nè son trattenuti da sensi di donne lascive o da ori od altre pregiate ricchezze ancora prima di aver affrontato il deserto e i suoi venti che percuotono l'animo": A. Burnes cercò sempre in ogni suo viaggio per l'Asia centrale le tracce del "Bicorne" (nella zona poi conosciuto anche come "Iskander Khan") conquistatore venuto dalla Macedonia e che fece sua, con il Mondo conosciuto, Samarcanda la grande città che risplendeva al pari di una gemma: e forse non a torto l'esploratore inglese nel suo "I Libro di Viaggi" scrisse Lo Scamandro ha una fama che l'immenso Missisipi non potrà eclissare giammai; e la discesa d'Alessandro per l'Indo è il più autentico e meglio attestato monumento di tutta l'istoria profana (p. 49 fine) [la frase non è enfatica in merito all'impresa del Burnes ma per qualche verso suona come una specie di rivincita archeologica inglese a fronte dei
successi coevi di archeologi ed esploratori francesi tra cui in primis il Visconte di Marcellus che recuperò -vincendo ogni concorrenza- per il Museo del Louvre la splendida "Venere di Milo"].
Burnes esplorò l'Asia Centrale con minuzia e pazienza ma mai abiurò alla ricerca del suo idolo e vagò ansioso per ogni contrada, sin nei luoghi più aridi e selvaggi; con il Ventura generale di Rendgit Sing scese negli abissi della terra a vedere reperti che venivano da un passato che pareva fuori del tempo e visitò il luogo della battaglia dell'Idaspe e nemmeno omise di andar a vedere lo Tscenab là dove l'Acesines come scrisse Arriano risultò invalicabile al Macedone
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