informatizz. B. Durante

Sbarco degli emigranti al porto di Santos-da AA.VV.,The World in my Hand, Italian emigretion in the World, 1860-1960, Ellis Island, 23 giugno-26 ottobre, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1997







Dall'Italia noi siam partiti
Siamo partiti con grande onore,
Quaranta giorni per nave a vapore
Nel Brasile arrivati noi siam.
Giunti alfine alla terra promessa
Siamo sbarcati nell'emigrazione,
A noi italiani la prima canzone
D'onore e grandezza fu.
Di mangiare ci dava abbastanza
Perché credeva riempirci la pancia
Con la minestra e l'acqua del fosso;
E per carne ci davano un osso,
Per dormire ci han dato un tavolo,
Mentre faceva un freddo del diavolo,
Senza coperte né materasso;
Per cuscino abbiamo avuto un sasso
.
Questa canzone è retaggio di quell'ancora poco indagato fenomeno migratorio in Brasile, di cui son prova ben venticinque milioni di residenti del grande paese sudamericano di ascendenza italiana.
Mentre l'Italia era insanguinata dalle guerre risorgimentali (e dai loro iniziali fallimenti) oltre che tormentata da gravi problemi economici, principalmente connessi alla crisi agraria, il Brasile era prostrato dall'abolizione della schiavitù (che aveva dato luogo alla grande carenza della manodopera) e da un enorme debito interno ed esterno, sì che i ceti dirigenti per compensare lo spettro di crisi irrisolvibili si trovarono nella necessità di patrocinare una qualche politica di popolamento rifacendosi all'agevolezione dei processi immigratori dal Vecchio Continente.
Colta la favorevole contingenza storica tanti spregiudicati imprenditori, spinti da una feroce logica dell'estremo profitto, organizzarono, non solo in Italia naturalmente, agenzie di reclutamento legate a compagnie di navigazione, ed inaugurarono una capillare "corsa alla persuasione" ventilando, con abile senso propagandistico e facile loquela, a contadini, spesso tormentati dallo spettro della fame, la fragile speranza di realizzare "oltremare" delle vere e proprie grandi fortune. Veneti, piemontesi, liguri, emiliani e trentini furono i primi a partire per le terre d'oltreoceano, spinti da prospettive di miglioramento e con essi si potevano scoprire anche piccoli proprietari terrieri od artigiani in crisi finanziaria desiderosi di affermare nel Nuovo Mondo le loro competenze professionali o la loro supposta sagacia imprenditoriale.
Purtroppo l'edenica pubblicità promozionale finiva spesso per venire demotivata sin dalla partenza.
I disagi comparivano quasi subito allo scalo d'imbarco: per la politica utilitaristica della lesina paradossale delle compagnie di navigazione su insicuri vascelli era ammassato il maggior numero possibile di passeggeri.
La traversata (e si ha qualche testimonianza più estesa in occasione di qualche superstite lettera o, più ufficialmente, in merito ad una relazione di un viaggio transoceanico in Brasile della nave Europa di proprietà della compagnia armatoriale di G. B. Lavarello) si trasformava in un viaggio penoso, dalle scarsissime condizioni igieniche in ridotto spazio spazio vitale e con cibo quasi mai sufficiente alla bisogna.
In tal maniera il viaggio, che di per sè già durava grossomodo un mese, pareva un'interminabile odissea in cui si pativano disagi del tutto impensati. Quando si cominciava a nutrire la fede in un prossimo cambiamento, al momento dell'approdo in terra brasiliana, gli emigranti non mettevano troppo tempo a restare nuovamente disillusi: essi quasi subito si scontravano infatti con una realtà alquanto dura.
Venivano infatti per prima cosa ricoverati nelle hospedarias dos emigrantes, capannoni esenti di qualsiasi agio ove si continuava a sopravvivere in stato di difficile promiscuità nella snervante aspettativa dell'assegnazione del lotto di terra di propria competenza.
E quando avveniva l'agognato momento la delusione finiva per segnare lo sguardo dei più, atteso che spesso i lotti erano aspre aree collinari o intricate foreste da disboscare: le terre migliori erano già state occupate da agricoltori tedeschi e svizzeri giunti in Brasile alla prima metà dell'Ottocento.
Così gli nuovi immigrati, per lo più dislocati negli Stati del Sud, a Santa Catarina, nel Paranà e a Rio Grande do Sul, si trovarono a lottare contro dovettero formidabili difficoltà di adattamento, caratterizzate da molteplici concause tra cui la scarsità di cibo, la miseria delle vie di comunicazione, la penuria di assistenza sanitaria, giuridica e religiosa, la convivenza sempre complessa se non fisicamente rischiosa con i popoli indigeni.
La capacità italiana di adattarsi, flettendosi senza mai spezzarsi, finì col risolvere l'iniale e drammatico impatto ambientale: a tutto ciò, oltre che una quasi genetica propensione al sacrificio, concorsero tuttavia le buone conoscenze agronomiche di molti immigrati: e fu soprattutto per queste utlime, caratterizzate da evidenti successi anche nella bonifica delle terre, che il governo brasiliano accentuò la sua politica a favore dell'emigrazione.
I dati sull'emigrazione italiana in Brasile, anche per la necessità di più accurate investigazioni, abbisognano di riscontri sempre più approfonditi ma, sulla base di calcoli abbastanza concreti fin ad ora fatti, si può proporre la seguente tabella statistica di presenze di italiani, espresse in unità, per il periodo 1887-1901:
1887 31.445 unità
1888 97.730 unità
1890 16.233 unità
1891 180.414 unità
1901 82.159 unità
Si tratta di note documentarie rivolte all'emigrazione peninsulare, quella di quasi essenziale rilievo anche se dagli inizi del XX secolo risentì di una contrazione dovuta alla grave crisi economica, continuò durante tutto il primo quarto del Novecento: fu anche per siffatta motivazione che molte partenze verso il Brasile cominciarono ai fini di raggiungere le regioni centrali e meridionali e che alla fine il flusso migratorio prese ad optare per i grandi centri del Brasile e le fazendas pauliste, con la cosneguenza che attualmente quasi il 50% della popolazione di San Paolo è costituita da italiani.
Verso il 1870 la città di San Paolo ammontava ad appena 30.000 abitanti, e pochi gli italiani erano fra questa popolazione.
Però nel giro di pochi anni, e già nel 1886, gli italiani a San Paolo rappresentavano il 13% della popolazione ed ammontavano a 5717 persone: in quella che sarebbe divenuta una delle più popolose metropoli mondiali avevano infatti preso a dirigersi contadini del Veneto e dell'Italia Settentrionale oltre che commercianti ed artigiani provenienti dal centro e dal sud della penisola.
Gli italiani assunsero presto un ruolo importante nel contesto urbano e finirono per caratterizzare con le loro scelte architettoniche la realtà demica ed architettonica di San Paolo: la loro operosità ed i loro gusti incisero infatti sulla tipologia tanto dei bairros popolari,quanto dei palazzi dei quartieri alti, edificati da ingegneri, architetti, capomastri e costruttori di provenienza italiana.
In relazione all'inattesa crisi del mercato del caffè si ebbe, a partire dal 1896, un esodo abbastanza celere dalle fazendas in dipendenza del quale si assistette ad un rapido e mai tanto corposo inurbamento in tutte le città dello Stato.
Entro pochi anni l'elemento italiano invase le città pauliste, trapiantandovi la propria lingua (o meglio, i vari dialetti), i propri gusti alimentari, la moda, tutto un insieme di ben connotate opzioni esistenziali.
Onde sopravvivere nelle città molti, originariamente agricoltori, dovettero ancora reinventarsi in mestieri umili o temporanei quali lustrascarpe, strilloni di giornali, facchini, rigattieri… eppure proprio in funzione dell'adattabilità di cui diedero incomparabile prova non furono pochi gli immigrati italiani che riuscirono a conquistarsi il monopolio dei principali settori produttivi artigianali. Sì che tuttoggi le comunità italiane rappresentano un potente motore dell'economia brasiliana: e benchè spesso, a fronte di altre comunità di emigranti in altri paesi, risultino un po' colpevolemente dalla madrepatria, esse conservano - e spesso ostentano con un orgoglio - la cultura, i dialetti ed i costumi della penisola.
[ Materiale estrapolato e rielaborato dalla bella tesi di laurea della dott. Silvia Zingaropoli ]












Il viaggio della nave Europa in America del Sud, nel luglio 1877, [si legge ne Il viaggio della nave a vapore Europa di José De Souza Martins] è annotato nei registri della Compagnia Assicuratrice Lloyd's. Non abbiamo, invece, nessuna informazione, almeno fino ad ora, del giorno di partenza degli emigranti da Cappella Maggiore (cittadina del comprensorio vittoriese in Provincia di Treviso) per il lungo viaggio in Brasile, e che costituivano la maggioranza di coloro che si diressero verso San Gaetano. È possibile che in futuro si possa recuperare il Libro dello Stato di Anime, che a quanto sembra, esisteva in ciascuna parrocchia; si tratta del libro in cui ogni parroco registrava i nomi di coloro che partivano per l’America. Come emerge dalla lettura dei documenti di emigrazione della famiglia Cavana, giunta a San Gaetano nel gennaio del 1878; diverse settimane prima della partenza, i candidati all’emigrazione erano tenuti a sollecitare alle autorità civili il rilascio dei documenti di viaggio.
Fu tuttavia nel giorno 30 di giugno che Giovanni Peruch, uno degli emigranti, sottoscrisse a Genova un modulo prestampato con il quale prendeva conoscenza delle condizioni di emigrazione per la provincia di San Paolo. Poiché tutti partirono dallo stesso luogo ed erano fra loro imparentati, è da supporre che affrontarono assieme il trasferimento fino al porto. E’ probabile che si siano imbarcati nello stesso giorno sulla nave a vapore Europa, comandata dal capitano Vianello, che il giorno seguente, domenica 1 luglio 1877, partì con destinazione Buenos Aires. L’itinerario delle navi della compagnia Lavarello era il seguente: Genova, Gibilterra, Cadice, San Vincente (nell’isola di Capo Verde, per il rifornimento di carbone), Montevideo e Buenos Aires. Tuttavia il registro dei Lloyd’s, relativamente a quel viaggio, menziona solo Genova, Cadice (in Spagna), Capo Verde (possedimento portoghese) e Buenos Aires. E’ evidente che è stato omesso il porto di Santos, località nella quale furono sbarcati gli emigranti dei nuclei coloniali di San Gaetano e Santana. Sembra che le annotazioni sul registro siano state fatte a Londra, da un funzionario della compagnia, sulla scorta delle comunicazioni che giungevano attraverso un cavo sottomarino: appare chiaro che non tutti gli scali sono stati segnalati. Benché la Lavarello fosse una importante compagnia impegnata nel trasporto verso il Brasile, soprattutto di emigranti, con viaggi sovvenzionati dal governo brasiliano, raramente appaiono nei registri dei Lloyd’s riferimenti a soste delle sue navi nei porti brasiliani. Comunque, i bollettini quotidiani dei Lloyd’s, ci forniscono in alternativa una valida mappa della dislocazione di tutte le navi da essi assicurate, nei differenti porti del mondo.
Caxias do Sul nel 1890 quando era nota come come “Vila”, Rio Grande do Sul (Brasil)e Il 5 luglio la nave Europa sostò a Cadice, in Spagna, l’11 a Capo Verde, sulla costa africana e il 27 a Buenos Aires. La sua velocità di servizio era di dodici nodi (il rapidissimo Titanic sviluppava una velocità di servizio di 21 nodi). L’Europa era più rapido di tutte le navi precedentemente acquistate dal capitano Giovanni Battista Lavarello, e possedeva circa un terzo del tonnellaggio totale di tutta la flotta. La compagnia Lavarello garantiva ai propri clienti il fatto che le sue navi più vecchie erano in grado di compiere il viaggio da Genova a Buenos Aires in 30 giorni, tuttavia appare poco probabile che ciò avvenisse, in ragione del numero medio riportato, di viaggi per anno: appena uno. L’Europa, che era una delle navi più veloci, impiegava quasi un mese per compiere il percorso. Nel suo viaggio del 1877 è molto probabile che abbia sostato a Santos per sbarcare gli immigranti il giorno 24 luglio. Gli emigranti che dovevano essere inviati ai nuclei coloniali, dovettero, poi, attendere quattro giorni presso l’ “hospedaria de imigrantes” ( albergo degli emigranti), prima di essere trasferiti a San Gaetano la sera di sabato 28 luglio.
Quasi nulla si conosce di questo viaggio, pertanto i dati provenienti dall’archivio del Museo Nazionale Marittimo di Londra sono essenziali. Si possono immaginare le condizioni drammatiche della traversata: subito dopo aver raggiunto San Gaetano vi furono molti morti tra le famiglie degli emigranti, specialmente tra i bambini. Questi decessi sono molto indicativi circa le loro condizioni fisiche, mentre tutto lascia supporre che ve ne siano stati anche durante il viaggio; la sepoltura in mare poi, contribuiva ad aggravare ulteriormente il dramma.
Abbiamo anche delle testimonianze indirette a riguardo degli aspetti dell’universo mentale di questi emigranti; tutti provenivano da una stessa località: Cappella Maggiore ed i paesi circostanti di Sarmede, Rugolo e Montaner, villaggi molto antichi. Il ripetersi, nelle lapidi dei cimiteri di queste località e nelle pagine dell’elenco telefonico attuale, dei cognomi che incontriamo nell’elenco dei coloni che giunsero a San Gaetano, ci parla di un legame solido e secolare. Un rapido esame dei registri di residenza della parrocchia di Cappella Maggiore dà la misura immediata di questi legami. Le condizioni della traversata del 1877 furono peculiari, se confrontate ad altre esperienze simili di viaggi marittimi: era come se una parte della comunità di origine si trasferisse tutta assieme, risparmiandosi gli sforzi di risocializzazione e di convivenza con gli estranei, caratteristici di situazioni simili. Un secondo aspetto da considerare è legato all’immediato senso di scontentezza manifestato dai coloni che giunsero a San Gaetano: essi immaginavano, nell’imbarcarsi a Genova, di essere diretti verso Santa Catarina, territorio in cui risiedevano i loro parenti. La scoperta di essere stati condotti in un luogo differente, la provincia di San Paolo, provocò uno stato di forte tensione nelle relazioni con le autorità. Il Governo, per giorni, tentò di resistere alle loro richieste, ma il 15 agosto decise di inviare 21 persone a Rio de Janeiro, affinché fossero reimbarcate con destinazione le provincie del Sud, al fine di attenuare il conflitto ed evitare la permanenza del gruppo dei più insoddisfatti.
Un terzo aspetto è evidenziato nella lettera scritta da San Gaetano, da Giacomo Garbelotto, ad un suo parente a Cappella Maggiore il 14 febbraio del 1889. In essa, Garbelotto comunicava che sperava di partire per l’Italia nel mese di maggio seguente, e che il suo viaggio di ritorno dipendeva dalla concessione del titolo di proprietà della terra che era stata assegnata a lui e ai suoi figli, nel 1878, nel nucleo coloniale. Questa lettera suggerisce un aspetto interessante dell’emigrazione: quello dell’emigrante anziano partito con la speranza di ritornare presto al suo paese. Effettivamente diversi coloni di San Gaetano vendettero o abbandonarono i propri lotti di terra, che erano stati concessi a prezzi molto bassi rispetto al valore di mercato, probabilmente per ritornare in Italia dopo qualche tempo. Giacomo Garbelotto, come probabilmente altri coloni, già uomini maturi, con figli adulti e perfino già sposati, giunse in Brasile con la speranza di ottenere della terra per sistemare i propri figli, con l’intenzione di ritornare poi in Italia. Nella sua lettera questo aspetto appare evidente, tanto che egli non intestò il lotto di terra a proprio nome, ma a quello del figlio. L’idea di partire e poi ritornare in patria presto, era stimolata dalla relativa facilità del viaggio, pagato dal governo brasiliano o da quello di San Paolo.
L’emigrazione comportò un cambiamento nella vita dei contadini provenienti dalle diverse parti del Veneto, che venne ad avere un riflesso nella vita in Brasile: l’avvento di rapidi e moderni mezzi di comunicazione, come i treni, le navi a vapore, le poste e il telegrafo, già nel secolo XIX, garantirono che i forti legami familiari e comunitari con chi era rimasto in Italia, almeno in apparenza, non sarebbero stati distrutti. La lettera di Garbelotto dimostra che c’era un costante scambio di corrispondenza tra gli emigranti ed i propri parenti rimasti nei luoghi di origine, a riprova di ciò vi è il fatto che, non molto tempo dopo l’arrivo dei primi coloni, tra San Gaetano e Cappella Maggiore ci fu un significativo va e vieni di persone. Le informazioni contenute nei documenti ci indicano che, nel paese di origine, esisteva uno squilibrio tra terra disponibile e dimensioni delle famiglie contadine che conduceva ad una forte parcellizzazione della terra; l’emigrazione era la sola alternativa per garantire il sostentamento dei contadini. Sembra che tra i lavoratori della terra abbia cominciato a svilupparsi una nuova strategia di sopravvivenza, caratterizzata dalla riproduzione della famiglia contadina originaria, in terre distanti. I contadini veneti giunti nel Rio Grande do Sul utilizzarono in terra brasiliana questa strategia per più di cento anni: dall’area di insediamento originaria, a Caxias do Sul e Bento Gonçalves, migrarono, nelle generazioni successive, verso altri luoghi dello stesso Rio Grande, e più tardi a Santa Catarina e Paraná, giungendo nella nostra epoca nel Mato Grosso e Rondônia. A San Gaetano, già una generazione dopo rispetto a quella prima arrivata, i figli dei coloni locali, impossibilitati ad ottenere terre nel proprio nucleo coloniale, chiesero lotti in quello di Jundiaí.
Tale movimento non proseguì nelle generazioni seguenti, come invece avvenne nel sud del paese, perché l’industrializzazione dei sobborghi di San Paolo creò una alternativa di impiego che interruppe la tradizione contadina della famiglia veneta senza peraltro interrompere il senso comunitario, come è visibile tuttora a San Gaetano. Un quarto aspetto è evidenziato dai due unici pezzi rimastici, legati al viaggio del 1877: una stufa di rame, con coperchio lavorato a intarsi decorativi, munito originariamente di una estremità lunga da collocare sotto il letto. Questa garantiva il riscaldamento della casa e del letto nel freddo inverno del Veneto. Va precisato che non tratta di uno strumento completamente inutile a San Gaetano, in un tempo in cui, come risulta da diverse testimonianze dell’epoca, la località era più fredda e umida che non oggi. Un altro pezzo è costituito da un recipiente di rame utilizzato per mescolare i prodotti chimici di usare nei lavori agricoli, specialmente nella solfatazione delle viti. Questi pezzi furono donati al Museo Municipale di San Gaetano nel 1960, da Jacob D’Agostini, che ne fu il fondatore. Non è possibile osservarli senza porsi domande sulla loro importanza nella vita quotidiana delle persone che li utilizzarono. Per molti versi il secondo pezzo è un segnale emblematico di una delle componenti più importanti dell’immaginario dell’emigrante: il lavoro. Già il primo pezzo, la stufa, può costituire un indizio di ciò che la famiglia immaginava fosse necessario portare in un luogo freddo come Santa Caterina, in cui già risiedevano persone originarie di Cappella Maggiore; ma è pure indicativo della incertezza del destino di coloro che intrapresero quel viaggio.
Oltre alla scarsa chiarezza circa il futuro che si apriva davanti all’emigrante, vi era una ulteriore incertezza collegata alla destinazione finale verso la quale si emigrava. E’ un equivoco ritenere che coloro i quali parteciparono all’emigrazione di massa dell’ultima decade del secolo XIX sapessero esattamente dove erano diretti, specialmente quelli che erano stati reclutati dagli agenti del governo brasiliano nell’ambito del progetto di emigrazione sussidiata (con il viaggio a spese dello stato brasiliano).Quanti arrivavano per proprio conto, la minoranza, avevano sempre un indirizzo di destinazione, un parente o un compaesano emigrato precedentemente, a volte potevano beneficiare di un documento di chiamata di parenti già sistemati in Brasile. Il governo stesso stimolava gli emigranti a scrivere ai propri familiari nei luoghi di origine, invitandoli a loro volta ad emigrare. Molti degli emigranti che arrivarono a San Gaetano tra il 1887 e 1890 giunsero a condizione di essere inviati negli stessi nuclei di colonizzazione dei parenti, tuttavia, non sempre fu possibile garantirgli di essere assegnati agli stessi luoghi presso i quali già vivevano membri della loro famiglia. Altre volte, l’emigrante, in seguito a notizie ricevute nel luogo di origine, tramite conoscenze, o a causa di informazioni ottenute da altri passeggeri durante il viaggio, preferiva insediarsi in un luogo diverso da quello a cui era stato destinato dal governo. Nel 1887 a San Gaetano ci fu il caso di Angelo Santi, che imbarcatosi nel porto di Genova, dopo essere stato reclutato da un agente d’emigrazione del governo brasiliano, con destinazione la Colonia Dona Isabel nel Rio Grande do Sul, richiese alle autorità di poter stabilirsi a San Gaetano, luogo in cui, il 13 maggio, ricevette un lotto di terra.
Tuttavia, la vicenda degli emigranti imbarcati sul vapore Europa fu diversa. Il fenomeno dell’emigrazione era appena all’inizio. Dal documento firmato da Giovanni Peruch presso il porto di Genova, alla vigilia della partenza per il Brasile, risulta che l’emigrante partiva “con la ferma risoluzione di insediarsi nelle Colonie di Stato della Provincia di San Paolo”, cioè accettava di insediarsi in una qualunque colonia (e non in una particolare) ed a San Paolo. E’ molto probabile che tutti coloro che si imbarcarono in quella stessa occasione fossero tenuti a firmare un identico documento. Gli atti di concessione dei lotti di terra nel Nucleo Coloniale di San Gaetano, a partire dal 1878, provano che molti di questi coloni erano analfabeti, dunque gli stessi furono firmati per rogatoria, da terzi; e coloro che firmarono personalmente, con poche eccezioni, sapevano appena leggere e scrivere, ciò può essere facilmente comprovato dalla calligrafia del testo scritto di proprio pugno, che precede la firma, ed in cui il beneficiario della concessione del lotto di terra, dichiara di aver ricevuto il documento. Non sorprende, pertanto, il fatto che diverse famiglie giunte a San Gaetano sulla nave Europa, specialmente nei primi giorni, avessero manifestato grande malcontento dopo che avevano appreso che non sarebbero stati avviati a Santa Caterina, dove avevano parenti.
Il fatto che avessero firmato un documento con cui accettavano che la loro destinazione doveva essere la provincia di San Paolo, fu utilizzato contro le loro pretese dalle autorità, tuttavia senza successo. Lo stesso Peruch conservò il proprio documento nell’ipotesi che esso costituisse un titolo formale di impegno con gli emigranti da parte del governo brasiliano, benché lo stesso non contenesse alcun timbro o firma di rappresentante o delegato delle autorità del paese. Oltre a una incertezza personale, l’emigrante soffriva anche per un’incertezza interiore legata alla propria condizione, soprattutto alla mancanza di chiarezza su ciò che si pretendeva facesse quando arrivava nel nuovo paese. La lettera di Garbelotto del 1889, contiene un avvertimento ai suoi compaesani a riguardo degli inganni dell’emigrazione per il Brasile e per ciò venne, allora, pubblicata in Italia.
Coloro che arrivarono a San Gaetano nel 1887, sia quelli che si ribellarono che quelli per i quali, fin dall’inizio, era indifferente il luogo di insediamento, non avevano chiarezza riguardo al proprio destino nella provincia di San Paolo. Sfortunatamente non si conosce il criterio con cui si decise di inviare alcune famiglie a San Gaetano ed altre nel nucleo coloniale di Santana, una antica fazenda dei Gesuiti. Quello che è sicuro è che nemmeno il governo aveva chiarezza sul destino degli emigranti. A provare questa affermazione vi è l’atto di vendita di terre delle fazendas di San Gaetano e di San Bernardo, per l’insediamento dei coloni stranieri che fu concluso, con la firma dell’Abate del Monastero di San Benedetto, che ne era proprietario, il 5 luglio, quando la nave Europa era già in navigazione da cinque giorni verso il Brasile. Sembra che l’abate fosse riluttante a vendere le terre, tanto che nel settembre del 1876, meno di un anno prima dell’imbarco degli emigranti e due anni dopo l’esame e la misurazione della fazenda di San Gaetano, l’Ispettore delle Terre e della Colonizzazione aveva telegrafato da Rio de Janeiro chiedendo al presidente della provincia di San Paolo l’invio di una dichiarazione scritta dall’abate, con cui questi confermasse il proprio assenso all’operazione di esproprio delle fazendas. In quel momento avrebbero dovuto già essere iniziate le opere di costruzione delle case provvisorie dei futuri coloni e la demarcazione dei rispettivi lotti rurali e urbani, cosa che avvenne tuttavia solo dopo l’arrivo degli emigranti di San Gaetano, che rimasero per mesi senza coltivare la terra, senza sapere quale fosse il lotto loro assegnato, mantenuti precariamente dal governo (malcontento evidenziato dalla rivolta del gennaio 1878), alloggiati provvisoriamente in un’ala dell’antica fazenda. Per giustificare il sussidio quotidiano che ricevevano, il governo li utilizzò nella costruzione delle loro stesse case.
J. de SOUZA MARTINS, A viagem do vapor Europa ao Atlantico Sul em julho de 1877, apparso sulla Rivista "Raizes", Pubblicazione semestrale del Servizio di Comunicazione Sociale del Comune di Sao Caetano do Sul, Sao Paulo/Brasile, n.13, luglio 1995, pp.4-11.
In realtà gli emigranti di quel viaggio provenivano da Vittorio, che allora non si chiamava ancora Vittorio Veneto, e soprattutto dai paesi dei dintorni della pedemontana orientale: San Giacomo di Veglia, Cappella Maggiore, Colle Umberto, San Martino di C.U., Fregona, Montaner, Sarmede, Pinidello, Cordignano)



























Francesco Costantin, originario della provincia di Treviso, spedi a un amico l'8 giugno 1889, descrivendo la vita degli italiani a San Paolo, in Brasile (da Emilio Franzina, Merica! Merica!, Cierre edizioni, Verona, 1994, pp.171-172):
"Se il tempo è favorevole tutto va bene, ma è difficile compiere il viaggio così lungo sempre col buon tempo. Non trovo parole adeguate per descriverle per l'intiero lo sconvolgimento del Piroscafo, i pianti, i rosari e le bestemmie di coloro che hanno intrapreso il viaggio involontariamente, in tempo di burrasca. Le onde spaventose s'innalzano verso il cielo, e poi formano valli profonde, il vapore è combattuto da poppa a prua, e battuto dai fianchi. Non le descriverò gli spasimi, i vomiti (con riverenza) e le contorsioni dei poveri passeggieri non assuefatti a cositali complimenti. Il giorno che il mare è in burrasca, pochi sono quelli che vanno a prendere il rancio, il maestro di casa potrebbe tralasciare di far suonare il campanello. Tralascio dirle dei casi di morte che in media ne muoiono 5 o 6 per 100, e pregare il Supremo Iddio che non si sviluppino malattie contagiose, che allora non si può dire come l'andrà.
Riguardo al vitto io non posso dirne bene, che essendo tutti emigranti gratuiti ci trattavano peggior dei maiali, rancio, pane, baccala, carne, ed altro che ci davano era preparato peggio che potevano, e ci volevano stomachi di ferro per mangiare.
Finalmente permettendolo Iddio dopo 20 e più giorni si arriva al desiderato porto di Santos, oppure a Rio de Janeiro. Montati in ferrovia si prosegue il viaggio verso la Capitale e prima d'arrivarvi si trova la strada funiculare (stupendo lavoro inglese), che fece restare di marmo tanti viaggiatori e dicono che un lavoro simile non l'hanno mai veduto. Ci sono le macchine che tirano i treni intieri su per monte che a guardare in su fa rabbrividire il sangue.
Ma è tempo ormai che si trasporti col pensiero in casa d'immigrazione in San Paolo. Si immagini uno stabilimento capace di contenere un 50 milla persone. Entrati, si vedono frammischiati italiani, austriaci, spagnuoli, alemanni., portoghesi ed altre nazioni, tutti che attendono un qualche padrone, che dirlo, ad onore del vero, non si fanno troppo aspettare. Ci pigliano per le mani (i sensali di cotesti signori) e lì su due piedi ci dicono: volete accordarvi con questo signore? Vi dà casa nuova comoda, vi mantiene un anno, vi garantisce acqua ed aria buona, denaro a volontà, lavoro sopportabile, comodi alla chiesa, e scuola pei bambini, vi dà cavallo ed insomma tutto ciò che dimandate. In quel mentre che un povero emigrante ascolta le chiacchiere di questo buon sensale, un altro lo prende per il di dietro lo tira in disparte e l'assicura che quel che dice l'altro sono tutte bugie, allora ne segue una salva d'ingiurie tra i due contendenti che vogliono ognuno di loro conchiudere il trattato tra l'emigrante ed i Facendieros (così sono chiamati i signori che hanno quelle grandi tenute di caffé).
Però di tutte le promesse che ci dicono in casa d'emgrazione non sono vere neppure la decima parte. Il giorno stabilito si monta in ferrovia, avviati a destinazione. Giuntivi alla stazione più prossima alla colonia, vi sono i carri che c'attendono, perché il telefono li ha preceduti. Montati sui carri vi conducono entro pei boschi, strade fangose, caldo soffocante, nessun paese, pochissime chiese, non si sente il rimbombo dei sacri bronzi, e tutto questo non è che un principio dei patimenti a cui andrà soggetto il povero emigrante gratuito nella Provincia di S. Paolo. Arrivati al posto l'occhio non vede che una quantità sterminata di piante da caffé, foreste vergini, case coperte di paglia, gli schiavi negri, che al primo vederli vi mettono orrore, famiglie di Brasiliani che li stringono la mano, e che li fanno prendere il caffé e nel medesimo tempo li dirigono molte domande alle quali non si può rispondere un'acca, perché non si comprende nulla. Dopo due o tre giorni di riposo il direttore li conduce nel caffé e la vi destina, secondo le braccia da lavoro, che è composta la famiglia, tante migliaia di piante di caffé coll'accordo di zapparle sei o sette volte all'anno. Convien notare che ogni trecento piedi di caffé occupa un campo di terreno (misura trevisana) metà di questi vi consegnano caffé da frutta e metà caffesado (dicono i bresilieri), che viene ad essere di quel giovane, e nel mezzo si può piantare, granoturco, fagiuoli, patate, mandioca, carras, e piante di tabacco, zucche, angurie, melloni. Si può piantare riso ma questo bisogna metterlo fuori del caffé. Riguardo alla zappa bisogna adoperarla 9 mesi all'anno, vale a dire da settembre a tutto maggio e gli altri tre mesi sono destinati alla raccolta del caffé. [...] La pioggia cade spesso in queste parti, e guai se no si morirebbe tutti dal caldo. L'erba nella stagione delle pioggie cresce a vista d'occhio, che in 20 dì viene alta piu d'un metro e se anche la terra è bagnata bisogna zappare e zappare e sempre zappare, che se vi perdete di coraggio, l'erba cresce lo stesso, e voi avrete il lavoro sempre più faticoso, che qui non c'è redenzione, terra asciutta o bagnata bisogna zappare..."