DOCUMENTO GIA' INEDITO CUSTODITO IN MUSEO DELLA CANZONE DI VALLECROSIA: LETTERA A FIRMA AUTOGRAFA DI NINO BIXIO DATATA MELBOURNE 16 APRILE 1856















DOCUMENTO II
[INTRODUZIONE]
In una lettera dell’
Epistolario, già pubblicato da Emilia Morelli, di Nino Bixio (numero LXXVIII) datata "Melbourne, 15 aprile 1856" si riscontra il primo affettuoso contatto epistolare "australiano" del capitano genovese con la moglie Adelaide: in base all'edizione critica delle lettere del futuro generale garibaldino è stata però sempre considerata basilare l'epistola, sempre scritta alla carissima sposa Adelaide, datata "Melbourne, 24 maggio 1856" (numero LXXIX del repertorio curato dalla Morelli). Costituisce quest'ultima missiva uno scritto lungo e dettagliato in cui Bixio, oltre a ribadire i suoi attestati d'amore per la famiglia tutta, si concede interessanti divagazioni sulla raggiunta Australia sin a tracciarne quello spaccato descrittivo, che ha conseguito una sua piccola fama, e che a suo modo potrebbe costituire la prima emozionale riproduzione del contatto di un viaggiatore italiano con il grande paese australe:
"Ma pochi giorni dopo [sino a p. 144 Bixio si è in effetti soffermato su alcune peripezie di viaggio] quale sorpresa per tutti noi! [allude naturalmente all'intiero equipaggio del Mameli]. Ecco la baia esterna di Melbourne! dal Capo Verde in poi non avevamo veduto che di notte ed a distanza le isole Canarie, poi l'isola di Tristan d'Acuna [Isola Tristan da Cunha nell'Atlantico] il 3 febbraio a distanza, appena riconoscibile. Ora quale differenza! una immensa baja con centinaia di enormi bastimenti, molti dei quali di 3 o 4 mila tonnellate, con vapori che corrono la Baja in tutti i sensi, portando passeggieri da un punto a l'altro. Ora è un vapore che viene a prendere le lettere per la posta, ora un altro che si offre di trasportarti la merce in città per la riviera che passa da Melbourne (l'Yarra), un altro che ti offre il passaggio fino a Sandrige da dove parte la strada ferrata per Melbourne. E là all'orizzonte una immensa città con una popolazione di 100 mila abitanti almeno, attivi, ricchi di tutte le comodità che la cadaverica Europa non ha saputo ancora addottare, illuminata a gaz, con ricchissimi magazzini come Londra, con caffè che pagano 4 mila sterline all'anno (L. 100.000, caffè del Teatro Reale), e tutto questo fatto in quattro anni, ne più, ne meno. Da noi una generazione non vede finita una strada! quale confronto! L'Australia è un libro aperto che la sola razza inglese sa stampare e che noi non sapremo neppure leggere! E come è governato, non un soldato! qua e la qualche poliziotto, eppure le leggi sono eseguite a puntino; vi è la massima sicurezza sia nelle persone che negli averi; non v'ha esempio di furto. I convogli dell'oro partono dalle città dell'interno scortati da 4 poliziotti! Le Banche di deposito sono in tavola, e qualche volta in tende, e nessuno ruba! Eppure uomini anche tristi di tutti i paesi popolano questo paese! quale è il segreto? Non ve ne è che uno: le leggi sono l'espressione vera dei bisogni del paese, ecco tutto! Il paese intero è interessato a che le leggi siano eseguite, e lo sono."
E' da questa lettera che si apprende del carico di rotaie imbarcato dal Mameli per Newcastle ed ancora in questa missiva compaiono cenni su certe difficoltà nel mercanteggiare quanto caricato a Genova: ma l'autore rimane sempre piuttosto nel vago, indulgendo semmai sulla costruzione di un quadro edenico del territorio (forse anche per rassicurare la moglie, non in buona salute eppure ancora obbligata ad allattare la piccola figlia Giuseppina) e prediligendo piuttosto qualche pennellata di colori esotici, come quando descrive le sue gesta di caccia, in particolare agli albatros. Bixio non fa alcun cenno nel contesto di questo suo scritto all'insorgenza di problemi reali come le difficoltà insorte per gli operai italiani, soprattutto per i muratori, che aveva trasportato sulla sua nave o come, altresì, per le merci imbarcate a Genova e che, contro le aspettative, non riusciva in gran parte a sistemare, sì che a fine maggio si vedeva ormai abbligato a stornare da ogni ipotesi di commercio.
Dalla sostanziale genericità del contesto si arriva così al punto che certe conclusioni di questa missiva risultano comprensibili solo leggendo e studiando un'altra lettera, scritta anteriormente ma sfuggita alle investigazioni della Morelli e rimasta inedita sino ad oggi, fino a quando cioè è emersa durante i recentissimi lavori di archiviazione condotti presso il "Museo della Canzone di Vallecrosia": si tratta di una lettera autografa [firmata da Nino Bixio, vergata su carta azzurrina (7 fogli scritti sul recto), datata "Melbourne 16 Aprile 1856" e indirizzata ai "Signori Pratolongo e Vignolo - Genova"] che è emersa dallo stesso faldone ove si rinvenne il documento qui classificato come I dell'Appendice critico - documentaria.
E tale epistola, densa di considerazioni anche severe su certe scelte fatte dagli armatori, se letta criticamente, cioè con l'ausilio di tutti i possibili strumenti scientifici, giunge estremamente utile per interpretare meglio la realtà australiana che Bixio scoprì sia nel positivo che nel negativo: in questo, al fine di una comprensione ancora più oculata, è giunta un'altra emergenza archivistica, il fatto cioè che, allegata a questa missiva, si sia rinvenuta la Bolla di carico, cioè l'elencazione del materiale imbarcato a Genova il 20/XI/1856 con le specificazioni delle merci, dei quantitativi e dei valori attribuiti (altro importante documento rimasto ignoto alla Morelli e qui riprodotto in immagine oltre che specificatamente studiato, anche per utile collazione con il contenuto della lettera inedita, alla
nota numero 3).
La lettera del 16 aprile 1856 (inventariata alla coll. provv. C, 1b del "Museo della canzone") è qui di seguito trascritta in linea conservativa, fatto qualche aggiustamento di punteggiatura ed inseriti tra parentesi quadre sia i numeri delle note di riferimento, sia gli interventi del trascrittore, che ha ritenuto di commentare direttamente nel testo dell'epistola quei termini che, per la brevità dell'esplicazione necessaria, meglio sarebbero stati intesi con tale espediente che facendo ricorso all'uso dell'apparato critico con note finali.
La Bolla di carico del novembre 1856, come preannunciato, è stata riprodotta nella sua interezza sotto forma di immagine fotografica e studiata nel contesto dell'ampia nota 3: la stessa Bolla risulta, al pari degli altri autografi, custodita presso l'archivio-biblioteca del vallecrosino "Museo della canzone" (coll. provv. C, 1c).

[[INEDITO - LETTERA DI NINO BIXIO DA MELBOURNE (11/IV/1856) A PRATOLONGO - VIGNOLO ARMATORI DE "LA GENOVESE - SOCIETA' PER L'EMIGRAZIONE]

Melbourne 16 Aprile 1856
Signori Pratolongo e Vignolo [1]
Genova

Vi ho scritto da San Vincenzo, delle isole Capoverde, in data 24 dicembre scorso; per mezzo d’un bastimento francese che abbiamo veduto in navigazione nel passaggio del Pernambuco: avrete forse saputo una parola di noi, se pure s’è ricordato direttamente della nostra raccomandazione. In quel giorno non abbiamo avuto alcun mezzo di mandarvi un saluto, né un’informazione sul nostro conto. Per singolarità di circostanza dopo il francese sul Pernambuco non abbiamo veduto un bastimento prima di giungere all’entrata di Melbourne. Oggi parte un Pacchetto [nave postale e per passeggeri, anche traghetto = dall’inglese packet- (pacchetto di lettere) (boat = battello): a metà ‘800 era già disusata la forma completa packet-boat sviluppatasi per interazioni linguistico-semantiche con il fr. paquebouc del 1634 e poi paquebot del 1665: così che anche la marineria italiana, per assonanza, evolse prima dell’esito Pacchetto la forma Pacchebòtto] Clipper [dall'inglese clipper / pl. clippers, 1830 in questa accezione, derivato di (to) clip= "tagliare (le onde)"; veloce veliero a tre o quattro alberi, usato nella seconda metà del XIX sec., specialmente per traversate oceaniche] per Londra ed è tempo che sappiate qualche cosa di noi. Non possiamo ancora dirvi tutto, poiché è meglio lasciar passare i primi giorni di sorpresa per scrivervi con più posatezza sopra quanto vediamo. In ultimo quando avremo meglio veduto quanto può interessare ve ne renderemo conto. Per oggi è un semplice avviso del nostro arrivo. E’ impossibile però tacervi come questo paese sorprenda per la sua straordinaria attività. Questa Colonia di Vittoria (di cui Melbourne è la capitale con 120.000 di popolazione) che ha un’esistenza politica sua propria, e che per vapori e buone strade, si lega alle altre due di Sidney ed Adelaide aventi pure una particolare Costituzione (è un fatto recente quello dell’indipendenza quasi totale di questi paesi. Sono oggi nel periodo dell’elezione e fra tre mesi si raduneranno le due Camere un poco alla foggia inglese ma molto più larga è la base del Suffragio), ha fatto tanto in 4 anni, e immaginato tanto per il suo ben’essere che i nostri uomini di Stato ne sarebbero ben sorpresi. E’ un libro aperto anche pe’ ciechi, ma forse è un libro che non vi è che la razza Inglese e la nord-americana (Melbourne è americana alle midolla) capaci di stamparlo. Io non potendo leggerlo in pochi giorni, tanto più quando affari particolari ce ne distolgono, ma certo questo paese ha un grande avvenire davanti a se.
Per quello che riguarda la navigazione, sapete cosa sono capaci gli Inglesi. Riconoscenze idrografiche, osservatorj metereologici, fanali nei punti importanti, segnali (Balise) [il termine messo tra parentesi tonde da Bixio era grossomodo equivalente di "Boe"], vapori per rimorchio, piloti obbligati a tenervisi, telegrafi per avviso, tutto insomma quanto può farsi è già fatto. Il porto stesso un’immensa baia esterna di Melbourne e continuamente traversata in tutte le direzioni da almeno 10 vapori che trasportano merci, passeggeri, volete alla stazione della strada ferrata, o dentro il fiume Yarra a Melbourne stesso, che è a 10’ minuti sulla riva destra di questa importante acqua, navigabile fino alla città e piena di bastimenti al disotto d’ un immersione di 10 piedi inglesi. Sbarcano ne’ nuovi bacini e a lato di banchine, le merci per essere poi con carro rese all’uffizio de’ negozianti sempre attiguo al loro magazzeno. Vedete fino un vapore della posta che non fa altro uffizio che quello di raccogliere le lettere da bastimenti che arrivano da tutti i punti importanti del mondo. Quale differenza con noi i vecchi-bambini del mare!
Nel 1835 i selvaggi del paese, razza poco umana e ultimo giudizio dell’uomo sociale correvano queste sponde, oggi 400 mila abitanti vi cambiano, combinano operazioni per almeno 70 milioni di Lire Sterline con ogni punto del globo (cifre d’un resoconto della Camera di Commercio): le diligenze a cavalli percorrono 100 miglia al giorno di strade in tutte le direzioni. Strade ferrate in corso di costruzione, illuminazione a gaz, teatri i cui Caffè pagano l’enorme somma di Lire 100.000 l’anno. Stabilimenti d’educazione d’ogni genere, Università, giardini botanici, osservatori astronomici: tutto insomma è cominciato, fatto o ideato. Giornali molti co’ quali si fa tutto per avvisi e che tutti leggono: insomma è un paese che stordisce, bisogna studiarlo, ha un avvenire immenso e bisogna trovarvi il nostro.
Quanto alle Comunicazioni con l’Europa, qui aspettano i Clipper colla stessa regolarità de’ Vapori. I viaggi in media sono di 80 giorni, per questo periodo hanno un nolo fisso, per il meno un grosso regalo e per il di più una uguale multa. La loro marcia media non può essere meno di 12 miglia e giungere a 15. I nostri ridono, ma intanto loro compiono i fatti che la nostra mente non sa e non vuole intendere. Il nostro viaggio che è stato di 4 mesi precisi da Genova, strappa a tutti esclamazioni di sorpresa, eppure il Mameli oggi ve lo posso dare per un bastimento che non ha pari tra noi ed è viaggio che potremo fare in avvenire in 3 mesi ma non in meno. Per la seconda volta avendo e la guida nuova dell’osservatorio di Washington e la vecchia d’Horsburgh [2], abbiamo fino al Capo di Buona Speranza tenuto una media, ma giunti qui dopo aver veduto co’ nostri occhi la verità contro l’Horsburgh [2], abbiamo seguito interamente le traccie americane tutto che indicate per bastimenti d’altra portata, ma se ne trovammo benissimo ed il nostro mese da Capo di Buona Speranza o per meglio dire dal meridiano del Capo Buona Speranza a Melbourne prova che non siamo inferiori in marcia media a nessun altro bastimento di ben’altra importanza che non è il Mameli.
Il viaggio è stato del resto senza incidenti rimarchevoli: un colpo di vento di molta forza il 16 marzo a notte ci ha inspirato qualche inquietitudine al nostro giungere dal meridiano del Capo Leeuwin (50 Australia) ma lo ricevemmo convenientemente e non rimase che una cattiva impressione, come della vista delle isole di Ghiaccio a Marinai che sono in generale assuefatti a navigazioni più prudenti.
Quanto a Passeggeri, la cosa non è molto brillante quando non so’ la lingua; lavoro vi è molto in ogni ramo: ma è duro e duro assai. Unica risorsa ne primi momenti per chi è avventuroso sono le miniere. Danno da vivere a tutti e arricchiscono molti.
I Svizzeri del Canton Ticino che sono molti, non vi si trovano male. I nostri contadini vi sono e molti degli altri passeggeri vi andranno. I 13 del Casella sono assieme e partirono subito dopo il loro sbarco da noi (il 28 marzo). La Compagnia de nostri Muratori si trova male abbastanza, volevano de lezioni d’Architettura e si trova che giunti non intendono nulla al lavoro. Per mezzo di preti Irlandesi parlanti l’Italiano, avevano ottenuto un lavoro a Cottimo in una Chiesa che si sta costruendo, ma hanno dovuto abbandonare il lavoro, anche poco bene fra loro, e andranno alle mine, ma è lavoro duro per chi non ha macchine o capitale e deve venire a giornata. Quelli che sono più sicuri di trovar lavoro oggi sono i scarpellini, perché adoperano per le costruzioni tutti pietre lavorate a scarpello o mattoni, ma tutto il bello ed il lusso di qui è a pietra lavorata. Quando poi si abbia la fortuna di farsi intendere, e si possegga una professione, allora si è certi di vivere bene, perché tutto, dal vestire al vitto è a buonissimo mercato: brucciano le bevande, le donne forti di questo paese: ma di ciò vi dirò meglio prima della nostra partenza che sarà opportuno essere verso la fine del mese.
Quanto agli incassi da farsi qui è la terza questione assai difficile. Non vi è che il Cattabene che paga: badate alla sicurtà e aspettate poco da noi per tutto quello che riguarda i passaggeri.
Quanto al carico
[3] siamo consegnati a Signori Dervas Routldge e Compagni come ci consigliò Rocca e li troviamo abbastanza attivi. Il poco che abbiamo potuto sapere nei primi momenti fu favorevole a loro ed oggi non ne siamo malcontenti.
La Commissione è alta ma è tutto sotto un solo nome e non è poi quanto può sembrare a principio il 7 e mezzo per cento. Non vi sono spese di mediatori, spedizionieri etc. I diritti di dogana poi sono sopra pochi generi e non enormi: pagano i liquori in generale 10 Scellini per Gallone, il vino 2 ed il tabacco, ed è tutto. Le merci poi costano in media 8 scellini la tonnellata dalla Nazione esterna a Melbourne Città alla Calata, e da questa 4 scellini il carro per l’ufficio: insomma le spese in generale tutto compreso ascendono secondo vediamo e ci dicono i raccomandatari al 18 per cento.
Quanto a generi il solo genere conveniente per noi sarebbe il marmo: credo che avremo una buona commissione con disegni: certo può questo lasciare un vistoso profitto - è desiderato molto e ricercatissimo - ma bisogna essere precisi più di quello che si ha l’abitudine di esserlo da noi. Ieri stesso abbiamo dovuto mettere un perito per giudicare l’abbuono da farsi per certi buchi riempiti di pece colorita in pezzi di monumento da cimitero. E poi lamentano la poca finitezza del lavoro, e questo può farci male molto in avvenire perché il marmo è e sarà sempre più ricercato in questo paese ricco. Non è freddo, tutt’altro, ma tutte le Camere hanno Cammino: ma di ciò meglio a suo tempo. Quello che possiamo dirvi, si è che i liquori non convengono credo mai, a meno che non si voglia fare il Contrabbando che è facilissimo, ma nello stesso tempo pericoloso assai e ad ogni modo non bisogna fidarsi che di chi si conosce bene e gli’italiani che sono qui sono poco buoni se non tristi.
Le frutta, vini di Spagna, i vini Kersh e Porto, velluti e seta molto. Marmi anche in qualche blocco, lavorato ad ogni maniera. Segnatamente Tavole, Cammini, Bagni, Monumenti del Cimitero, ma il tutto nel miglior modo possibile e finiti, assolutamente finiti. Un genere ricco e sempre conveniente è l’oppio tutto che ne arrivi abbastanza da Calcutta pure lascia e lascerà sempre un 50 per cento.
L’olio di Lucca [4] in Fiaschi non è noto e non si guadagna: quello di Nizza [approfondisci qui per avere una visione più completa, anche in merito alle denominazioni e varietà nella circostanza troppo semplificate dal Bixio nella semplice dicitura "olio di Nizza] piace, ma disgraziatamente non è il momento migliore, è una merce che si vende benissimo in primavera ed estate e non in autunno. Quanto alle paccottiglie vi si perde il collo. Il Curry non può sbarcare se non in barili di 20 galloni almeno. Il Cognac ed il Ginepro li portiamo via e non l’abbiamo neanche sbarcati. Il Marsalla non lo conoscono e non lo pagano in generale, in generale poi meno, l’olio di Nizza, tutte le bottiglie non sono mostrabili. Tutte più piccole e mal turate, peggio tichette [etichettate]. Il Ginepro, l’assenzio [dal latino absinthium a sua volta dal greco apsinthionin botanica è nome comune di varie specie di erbe del genere Artemisia, erba del genere Artemisia (Artemisia absinthium), da cui si estrae un olio essenziale amaro usato in farmacia e nella preparazione di liquori: nel passato assenzio era principalmente sinonimo di liquore amaro di colore verde, tossico, un tempo estremamente comune e diffuso, ottenuto dalla macerazione in acquavite delle foglie e dei fiori dell' Artemisia] che si venderebbero bene non han prezzo per le bottiglie ma prenderemo giusta lezione per l’avvenire.
Stiamo sulla Speranza di trovare un Carico a parte per nolo, fra 15 a 20 scellini la tonnellata. Da là passeressimo a New Castel per il Carbone se non troviamo nolo. Non abbiamo trovato lettera della Casa Sturgis Russel di Manila come potevamo sperarlo ma nessuna vostra c’è giunta. Le informazioni sul Carbone New Castel a Manila sembrano eccellenti, ma non sono ancora tali da poter dire se veramente anderemo. Spero però che col prossimo Pacchetto, cioè fra una settimana, potrò dirvi qualche cosa di certo e nello stesso tempo mandarvi qualche cosa di più giusto e di più preciso circa al presente e futuro nostro in questo paese che certo ha dell’avvenire per noi, sia nell’importazione che nell’esportazione.
Troverete molto leggera la mia lettera in ciò che dovrebbe avere di più preciso, la parte del venduto e del da vendere, ma vi dirò meglio fra 6 giorni. Fino adesso siamo appena scarichi da bordo e siamo presso a scaricare dalla Goletta che ha caricato da noi. Io ho la certezza che prima di partire da qui troveremo savia cosa spedirvi un fidato amico Socio, forse nella spedizione con disegni per marmo lavorato e con i Campioni e tutte informazioni necessarie per un Carico, che voi certo non mancherete di mandare anche prima di noi. Chi sa ch’io se riesco a saper qualche cosa di più certo a parte che mi sembri meritevole io non mi decida a lasciar qui Rosellini che studii meglio il paese e si prepari qui il ritorno appena voi gliene darete l’istruzione. Intanto lui col suo buono e squisito senso pratico e la sua intelligenza possedendo di più la lingua del paese ed essendo proprio dell’accomandatario [termine del sec. XIV, dal lat. mediev. accommendatariu(m) a sua volta derivato da accomandare = socio di una società in accomandita che ha responsabilità illimitata rispetto agli obblighi societari] presentata Casa ossii Società potrebbe giovare ad un avvenire di questo paese per marmo lavorando [marmo da lavorare], vini di Spagna, lini, frutta, parti che sono ricercatissime (quelle di Ricci all’uso di Londra si sono spedite fino dal Capo di Buona Speranza, quelle poi con zafferano di provviggioni sono in buon stato e ne vendiamo una trentina di Cassette a scellini 0,90 la libbra inglese), l’oppio, i velluti, le sete in stoffa e particolarmente in filo. Darebbe un discreto affare quando una Casa qui s’occupasse di prepararli il Carico in Lane merino, Cuoia, Sego [sego termine noto già dal 1292 derivato dal latino siebu(m) = grasso animale di colore giallo, usato nella fabbricazione di candele, saponi e simili ed utilizzato pure come lubrificante], pelli di Montone, Corni eccetera: le Cuoia è particolarmente un genere che richiama l’attenzione nostra dacché non vi si pensa ancora. Ma sono costretto salutarvi e finire perché devo importare.
Un saluto dunque [a] tutti voi.
Date le mie notizie alla mia famiglia alla quale scrivo ma può sempre perdersi. Tra una settimana vi scrivo più a lungo.
Vi allego un listino. Vostro Nino Bixio [Sul margine sinistro dell’ultimo foglio si legge: "Haburc [?] non può che rimaner con Rosellini se rimane o venir con me a Manila. Saluta caramente tutti i suoi"]














1 - L’archivista e studiosa del risorgimento Emilia Morelli, fra le tante opere che scrisse nella sua lunga ed operosa vita (1913-1995), annovera la raccolta delle lettere di Nino Bixio. La grande fatica da lei dispiegata, anche per i molteplici interessi del personaggio ed i suoi tanti corrispondenti, non ha impedito la dispersione e l’introvabilità di inediti come quello sopra riprodotto:
Epistolario di Nino Bixio / a cura di Emilia Morelli. Vol. 1., 1847-1860, Roma/Trento - 1939
Epistolario di Nino Bixio / a cura di Emilia Morelli. Vol. 2., 1861-1865. Vol. 3., 1865 1870, Roma/Bologna - 1942
Epistolario di Nino Bixio / a cura di Emilia Morelli. Vol. 4., 1871-1873, Roma/Torino - 1954
L’inedito qui proposto, datato Melbourne 16 Aprile 1856, dovrebbe collocarsi nel I volume della Morelli (lettere di Bixio tra il 1847 ed il 1860) dopo la lettera che sempre da Melbourne Nino Bixio indirizzò a Genova alla moglie Adelaide il 15 aprile 1856 (pp.140-143, classificata come "Lettera LXXVIII") cui invece nell’opera di Emilia Morelli segue la celebre epistola (Melbourne, 24 maggio 1856 classificata "Lettera LXXIX", pp.143-146) in cui Bixio, sempre scrivendo alla consorte, riproduce alcune sarcine della lettera da noi sopra editata, depennando le considerazioni commerciali ed inserendo nuove descrizioni del panorama australiano, sia demico che geografico.
L’inedito proposto si può quindi definire, di fatto, la prima descrizione fatta da Bixio dell’Australia: la lettera precedente, del 15 aprile, è infatti soprattutto uno scritto di rassicurazioni per la moglie, un attestato dell’amore del capitano per Adelaide e la figlioletta Giuseppina ancora in fasce, un inno al coraggio delle donne tutte e specialmente delle donne dei marinari, liguri e non, destinate ad attese interminabili di notizie sempre tardive nell’arrivare: l’appassionata lettera del 15 aprile 1856, sostanzialmente uno scritto d’amore per quanto marcato di una certa retorica ottocentesca, pare piuttosto un sincero attestato verso la moglie che vive in precarie condizioni economiche, atteso anche che Bixio nell’impresa della "Società di navigazione" ha profuso ogni risorsa economica della famiglia, sì che quasi, in alcuni punti, sembra patire e volersi scusare di quell’avventura durissima (si ricava l’impressione che scriva in fretta e stanco, senza quasi nemmeno aver messo ancora piede sul nuovissimo continente) in cui ha coinvolto con sé persone di lui assai meno forti.
















2 - Verso gli ultimi decenni del '700 ed i primi del 1800 il capitano inglese James Horsburgh e John Walker, idrografo per le Indie orientali al servizio della East India Company percorsero le rotte verso l'Oceania, redigendo molte carte marittime che ebbero grande riscontro e furono pubblicate, oltre che tradotte in varie lingue (a titolo esemplificativo si cita qui una delle edizioni ritenute migliori, anche per le revisioni subite: The India Directory, or, Directions for Sailing to and from the East Indies, China, Australia, and the Interjacent Ports of Africa and South America. Due volumi, xiv, xxxiv, [2], 650; [iii]-vii, [1], 890 pp. 4to., 270 x 211 mm., Londra, William H. Allen & Co., 1852) ma nonostante l'impegno degli estensori la grande opera risentì di parecchi errori di calcolo, di cui non solo Nino Bixio ed il suo equipaggio restarono vittime dopo che, lasciata l'Australia, si misero sulla rotta del ritorno.
Dall'Epistolario, I, LXXXI, pp.156 sgg. si evince che mentre in prossimità dell'Australia (come Bixio scrisse nella lettera del 16 aprile 1856) l'industriosità anglosassone aveva provveduto all'esplorazione delle acque, alla sistemazione di segnali e boe, alla redazione di carte adeguate, identiche soluzioni non era state ancora sviluppate nel complesso del vasto nuovissimo ed in gran parte sconosciuto continente.
Dopo gli iniziali entusiasmi dei mesi di Aprile e Maggio del 1856, verso la fine dello stesso anno, prescindendo da una certa delusione per la difficoltà di sistemare il carico imbarcato un pò genericamente a Genova, Nino Bixio evidenziò un crescente stato di nervosismo e soprattutto di diffidenza nei riguardi degli strumenti nautici a sua disposizione.
Proprio al socio Eugenio Rosellini, rimasto in Melbourne a curare l'interesse della Casa armatoriale genovese (come peraltro si legge nell'epistola del 16 aprile 1856) il comandante del Mameli inviò (da Manila, il 16 Novembre 1856) una lettera (n. LXXXI dell'Epistolario) permeata di pessimismo e che così inizia: "Mio caro Eugenio,/ Ho da 3 giorni le vostre lettere con date 14 Agosto e acchiuse 15 e 19 Settembre. Altro che giungono in tempo mio buon amico! Voi non immaginate per quante e quali peripezie il Mameli ha impiegato tre lunghi e tormentosi mesi funestati da almeno 50 giorni di desolanti calme. E' una traversata che mi ha invecchiato di 20 anni e tutto questo tempo perduto a 4 giorni di navigazione da Manila; cioè in prossimità della entrata dello stretto di S. Bernardino...". I problemi per la navigazione sorsero entrando la nave nell'arcipelago delle Caroline e Bixio annotò in merito: "[Voi] ignorate forse come tra le carte che abbiamo a bordo non ve ne sia una d'accordo sulle varie isole dell'immenso Arcipelago Carolino, ne sul numero di cui si compongono i vari Arcipelaghi particolari o gruppi, ne sulla posizione del nodo principale: a questo s'aggiunge che sono isole basse e bassissime e tutte, o quasi tutte, attorniate da banchi di Corallo che va crescendo cogli anni. Di buon'ora aveva io rettificato alla meglio [?] con la scorta del Connaisasance e più
col dettagliato cattalogo del D'Urville, sulla Carta alla quale m'abbandonai. Ma voi capite che ciò era ben lungi dal lasciarmi tranquillo. Poi il tempo era così di orizzonte limitato e le terre così basse ch'io mi vidi costretto ad inclinare assolutamente la mia prua, e guadagnare il paraggio della Nuova Guinea, penetrare per Basilan direttamente o per lo stretto di Dampier o Gilolo nel primo. Questa direzione mi avvicinava a paraggi ch'io temeva per calma, ma mi permetteva di giungere nei venti di S.E. che regnano nelle Molucche, Celebe e adiacenze, tanto più certo quanto più incalza il S.O. nel mare delle Filippine e China e d'altronde mi permetteva di servirmi delle Carte di Horsburgh che tutto che non precise pure sono ancora, meno le Olandesi, le Carte migliori. I fastidii e il batticuore delle Carte cominciò quasi col viaggio quando ancora sulla costa d'Australia, m'avvidi di differenze di 30 a 60 miglia nella posizione de' vari gruppi e fui costretto ad abbandonarmi per intero ad una Carta Ufficiale Inglese di scala tanto piccola che evidentemente è stata messa nella collezione più per parte istorica di scoperta che per altro. Eppure con questa ho dovuto passare in prossimità di bassi dalla punta Meridionale della Nuova Caledonia e attraversare le Nuove Ebridi, Santa Croce, Salomon, Nuova Irlanda e parte delle Caroline. A queste strette s'aggiunge che Tini, come immaginate, non mi era di alcuna utilità, e che ho dovuto appoggiarmi interamente sopra Carrena il quale presto presto ne ha saputo abbastanza per fidarmi delle corrispondenti cronometriche da lui prese, mentre io prendeva il sole. Io non ho mai fidato sulle Carte Idrografiche che trovansi in Commercio a qualunque Nazione appartengano; ma questa traversata mi ha dato una nuova lezione e io le brucerò tutte, e non ne avrò più fra le mani..." [Il viaggio del Mameli verso Manila, raggiunta l'1/XI/1856, fu complicato da queste carenze documentarie ma pure da altri inattesi eventi, tra cui l'uragano che sfiorò la nave di Bixio devastando poi la capitale delle Filippine il 27/X/1856: tuttavia, come si evince dalla fine della narrazione fatta al Rosellini, ad alimentare alcuni gravi seppur momentanei scoramenti di Bixio avevano concorso alcuni problemi sorti fra l'equipaggio specialmente essendo rimasto, per le ragioni suesposte, in Melbourne Eugenio Rosellini, vero ed abilissimo pilota del Mameli sostituito vanamente dal citato Tini, presto rivelatosi incompetente e quindi surrogato dal Carrena dimostratosi al contrario abbastanza capace: a complicare la situazione era peraltro occorsa la diserzione d'alcuni marinai, "...i due ragazzi, Mattassi, Orosimbo (cugino del Bronzo), il Carpentiere ed il giovinotto di Prà Parodi Cesare..." come lo stesso capitano scrisse alla moglie Adelaide in una lettera, datata Manila 8/XI/ 1856, (numero LXXX, post scripta, del citato Epistolario, pp.147-156).
















3- Nino Bixio ebbe notoriamente un animo irruento, che caratterizzò alcune sue gesta, anche all’epoca della “spedizione dei Mille”: lui stesso sottolineò in alcune circostanze questo suo limite caratteriale e, nella lettera scritta alla moglie da Melbourne il 15/IV/1856 (n. LXXVIII del citato Epistolario curato dalla Morelli), non casualmente fece cenno alla “collera che mi prende spesso, e sempre più vivamente”. L’impulsività, che di per sé giammai è atteggiamento emozionale positivo, non di rado può interagire, alternativamente, con stati di momentanea esaltazione che seguono o precedono attimi, a loro volta più o meno durevoli, di sfiducia se non, in situazioni drammatiche o patologiche, di depressione. Molte giustificazioni sottostavano però alla possibile esasperazione caratteriale di Bixio, in particolare la consapevolezza di aver impegnato quasi tutte le sue risorse economiche nell’allestimento della “Società di navigazione” con la conseguenza d’aver lasciata l’amatissima moglie Adelaide, che non godeva di salute eccellente e comunque ancora allattava la piccola Giuseppina, in ristrettezze economiche. Dalla consapevolezza di ciò e da una palese incertezza che le scelte fatte potessero fruttificare, e proficuamente, a tempi brevi, come peraltro esigeva la contingente situazione di famiglia (al modo che si legge nelle lettere LXXVIII, LXXIX ed ancora LXXXII e LXXXIII dell’Epistolario, tutte indirizzate alla consorte) la menzionata, costituzionale impulsività di Bixio risentiva in maniera inevitabile, anche per un latente ed assai mal mascherato senso di colpa, di una forte inarcatura emozionale. Così chi oggi legge con superficialità l’Epistolario, che finisce comunque per essere un vero e proprio resoconto di viaggio meritevole di più ampie rivisitazioni, può anche maturare un giudizio di immotivata imprevedibilità a riguardo del capitano genovese attesa la lontananza tra le piuttosto distinte valutazioni da lui espresse, volta per volta, su una direttrice diacronica non ampia per quanto intensa: Bixio appare infatti ottimista sulla “linea di partenza” al porto di Genova, speranzoso nel corso del viaggio verso l’Australia, entusiasta di Melbourne nonostante qualche pensamento sulle reali possibilità commerciali del suo carico (che definisce pure “paccottiglia”), poi sfiduciato per la perigliosa navigazione del ritorno, ed alla fine appena un po’ sollevato da nuovi contatti mercantili e quindi da quanto imbarcato a Manila.
Come visto, non gli mancavano umanissime ragioni per far succedere alla speranza la delusione e viceversa: nel testo si è prima scritto che al suo arrivo in Genova era soddisfatto dell’impresa e che stava già ideando altre gesta avendo intuito le potenzialità del mercato australiano. Ciò non risulta, di fatto, in contraddizione con i citati periodi di scoramento, Bixio era realmente sicuro di aver individuato nuovi orizzonti commerciali e, anche se non era riuscito a mercanteggiare come nelle sue aspettative, aveva verisimilmente maturata la convinzione, certo ulteriormente suffragata dal contatto con l’area di casa e dal crescente ottimismo vista la prospettiva di imminenti ricongiungimenti affettivi, di straordinarie prospettive mercantili “australiane”, seppur a patto di una più agile ed impegnata linea operativa della sua “Società armatoriale”.
In siffatto contesto merita quindi di essere letto, ma con diversa e meditata “filosofia”, quanto scrisse al Rosellini che si era fermato in Melbourne a curare gli affari societari (lettera da Manila del 16/XI/1856, n. LXXXI dell’ Epistolario):”…E qui [a Manila] mi è venuta una lettera della Casa, nostra armatoriale, scritta con stizza; come se a me dovessero il male ti tutte queste porcherie imbarcate alla balorda in Genova senza attenzione, e soltanto perché avuta a respiro…” [da un post scriptum in una lettera alla moglie (LXXXIII dell’Epistolario, datata Manila, 11/XII/1856) di poco posteriore a quella spedita al Rosellini, si evince che la Casa armatrice, per rescritto di certo Colombino, aveva in quell’occasione rimbrottato al Bixio una scarsa efficienza quale mercante del carico assegnatogli e che per sua parte il capitano, a giustificazione del proprio operato, andava sostenendo che quanto gli era stato fatto imbarcare in Genova non era nemmeno semplice paccottiglia ma costituiva un insieme di vere e proprie “porcherie”].
A questo punto vien da chiedersi però come mai il capitano non avesse, già all’imbarco, sottolineata o addirittura messa sotto accusa la povertà mercantile dei prodotti imbarcati alla partenza da Genova.
Qui possono innescarsi tutte le risposte plausibili: che, per esempio, nonostante alcune perplessità iniziali Bixio, già prostrato economicamente, non avesse potuto intervenire sulle scelte dei soci armatori, o che lui stesso avesse creduto che l’Australia e specificatamente Melbourne vivessero ancora in uno stato di maggiori ristrettezze e risultassero bisognose, contro la realtà effettiva, di ogni sorta di rifornimenti e via discorrendo su questa direttrice di riflessioni. Forse è più corretto affermare, sulla scorta di questa ultima postulazione, che il capitano genovese, come tanti se non tutti, avesse pensato, all’inizio dell’impresa, ad una più agevole dinamica mercantile in Australia, anche per le voci e le non rare dicerie su presunte gravissime carenze strutturali sussistenti in quelle contrade e che di poi (lui stesso nelle lettere più volte menzionate paleserà un aperto quanto inaspettato stupore per il reale sviluppo della regione e della capitale in dettaglio) fosse rimasto deluso dall’impossibilità di liberarsi convenientemente del proprio carico, nel contesto di un mercato australiano già abbastanza esigente, e in maniera speciale di prodotti cui, a onor del vero, un italiano non poteva non credere come l’olio d’oliva, i vini, parecchi manufatti edili e marmorei.
Dalle considerazioni che in seguito comunicherà e che anche editerà, come si scrive sopra in questo nostro libro, in collaborazione con un coautore anglosassone, si evince comunque la lezione appresa dal Bixio e forse da lui, inefficacemente, comunicata ai suoi più sordi Consoci: che cioè per imprese commerciali tanto impegnative fosse necessario investigare prioritariamente sul campo (ecco il perché del soggiorno di Rosellini in Melbourne dal 1856 voluto proprio da Bixio), studiare le esigenze reali dei mercati locali, allestire navi più grandi, veloci e capienti del Mameli, in alcun modo soprattutto abbandonarsi all’improvvisazione e cercare sempre e comunque di rispondere alle reali esigenze del mercato locale.
E' in siffatto contesto, grazie cioè alle postulazioni già maturate al 16 aprile 1856 e poi verisimilmente meditate con superiore quiete emozionale, che si intende compiutamente come, prima di abbandonarsi al quadro sostanzialmente edenico e futuristico dell'Australia, nella più tarda epistola del 24 maggio 1856, da Melbourne alla moglie Adelaide, dopo alcune affettuose convenevolezze Nino Bixio abbia inaugurato il colloquio a distanza con la giovane moglie tramite una sarcina narrativa non priva di allusioni critiche avverso la Società armatrice ma poi sveltamente abbandonata, quasi gli sembrasse argomento da non calcare inopportunatamente al segno di coinvolgere la consorte in possibili gravi turbamenti emotivi.
Il futuro condottiero garibaldino appena presa la penna si concesse infatti qualche autogiustificante rudezza avverso gli armatori scrivendo: "Come vanno le cose del viaggio? dirai tu. Ne bene ne male ti posso dire. Il paese è mille volte migliore di quello che si suppone da noi e quando i nostri lo conosceranno vi potranno fare buoni affari; ma per questa prima spedizione i risultati non possono essere brillanti. I nostri sono sempre così: non vogliono conoscere i paesi coi quali intendono lavorare, non bastava mandare merci, bisognava mandare ciò che conviene e quello che conviene non si può sapere che vedendolo coi propri occhi. La prima cosa da fare è recarsi personalmente. Gli stessi generi guerniti diversamente avrebbero dato un diverso risultato: questo fu da me cantato in musica e inutilmente. Abbiamo portato qui tutto vestito alla spagnuola e voleva essere vestito all'inglese, ciò che è ben diverso. Se sarò inteso le disposizioni che ho preso [impegni commerciali assunti direttamente e poi tramite il Rosellini] frutteranno, per l'avvenire. Ma i miei armatori mi approveranno? Vedremo...".
Speranze, proposte, suggerimenti maturati dall'esperienza, forse una qualche umanissima debolezza nell'ambizione di stornare da sè un fardello di possibili responsabilità: come si è scritto l’impresa di questa sua “Società” non venne meno ma parimenti neppure decollò, forse perché Bixio rimase inascoltato o, più probabilmente, perché le reali risorse della Casa non avrebbero potuto sostenere siffatti impegni su rotte marittime tanto complesse.
E' probabile che tutte le susseguenti difficoltà siano dipese da quel carico iniziale, del Mameli, preso a respiro, come più volte scrisse il Bixio, e magari non tanto per avarizia, alla maniera che lui un poco voleva far trapelare: magari molti soci avevano i suoi stessi problemi economici e forse un poco tutti si aspettavano che, come accadde in vari altri casi, dalla buona sistemazione di quelle merci acquisite sulla fiducia (e che invece Bixio dovette anche qualche volta svendere come all’asta) giungessero alla Società le necessarie risorse economiche onde proseguire nell’iniziativa imprenditoriale.
Nella lettera individuata presso il “Museo della Canzone” di Vallecrosia e sopra riportata si può ben leggere che, contro le aspettative personali, molto di quello che era stato portato valicando l’Oceano a Bixio risultò, per diretta esperienza, poco “spendibile” sul mercato australiano contemporaneo, ma ad onor del vero, ed a giustificazione delle primigenie scelte imprenditoriali, non si trattava di paccottiglia, diversi erano prodotti validi, che vale la pena di rivisitare anche studiando un altro documento inedito emerso sempre dallo stesso faldone donde sono derivati sia lo “Statuto della Società di navigazione” che l’inedito autografo del 16 aprile 1856.
Si tratta della Bolla di Carico -qui riprodotta in immagine- datata Genova 20/XI/1855.
Dalla citata "Bolla", controfirmata dai funzionari dell'autorità portuale e dallo stesso Bixio quale capitano della nave imbarcante, si evince una variegata tipologia del carico, sulla cui "spendibilità mercantile" in Australia, il capitano genovese, come anche si legge nella lettera del 16 aprile 1856 darà successivamente giudizi precisi e spesso assai distinti.
Risultano dunque elencati come componenti del "carico" stivato sul Mameli: 44215 mattoni e svariate casse per migliaia di marmette di varia dimensione e forma: il termine marmetta (plurale marmette) deriva da marmo con l'aggiunta del diminuitivo femminile –etta e vale ad indicare una piastrella per pavimenti, specialmente quadrata (ma anche non raramente ottagonale come si legge nella menzionata "Bolla"), fabbricata con graniglia o con frammenti di marmo e cemento compresso.
Per quanto ancora si può leggere ed anche intuire scorrendo la citata lettera, tutto questo materiale edile non dovette comportare grandi risultati: anche se Bixio non vi si dilunga, al seguito di siffatta gran quantità di merci destinate alla costruzione stavano parecchi "muratori" (leggendo si intende presto che eran più gente di fatica e manovalanza che specialisti o qualificati in qualche settore, che avevano grandi difficoltà per la non conoscenza della lingua inglese e delle usuali tecniche costruttive: il momentaneo soccorso di preti irlandesi, che parlavano italiano, e l'impiego temporaneo nei lavori per una chiesa cattolica da edificare non impedirono che si trovassero presto disoccupati sì da dover ripiegare, anche fra qualche malumore e reciproco contrasto forse alimentato dalle disilluse speranze, nel duro lavoro delle miniere e delle cave).
Spesso, nella sopra trascritta sua lettera, Bixio parla invece della commerciabilità del "marmo": e tra il suo carico stavano "6 vasi di marmo", "tre lavapiatti in marmo", "Casse quindici contenenti numero 3 Monumenti", "Undici Casse contenenti numero 30 tavole di marmo". Se scrivendo dei "Muratori" Bixio si rivelò pessimista, segnalò invece le buone possibilità di impiego degli "scarpellini", di cui parimenti un certo numero doveva stare tra i passeggeri od emigranti del Mameli.
Dalla "Bolla di Carico" non è nemmeno facile intendere quali potessero quindi risultare le "merci invendibili" da definirsi paccottiglia alla maniera che poi scrisse il capitano genovese: probabilmente tra queste erano da ascrivere, con altre e diverse attrezzature da lavoro, le citate "Dieci gabbie, e d'esse due contenenti venti piedi in ferro fuso". Dalla più volte menzionata lettera inedita di Bixio, come pure da quelle pubblicate nell'Epistolario, non è dato di sapere se per paccottiglia (e poi porcherie), cioè merce quasi incommerciabile, fossero da ascrivere pure la "Cassa una contenente seme di Cipolla o le "casse due contenenti in tutto numero 200 punte".
Il capitano in teoria non avrebbe mai dovuto definire "robaccia" l'"olio di Lucca" in fiaschi, tantomeno le "Casse nove di Bottiglie 50 cadauna Vino di Bordeaux" e neppure le "Ceste Cento di 7 Bottiglie cadauna anisette di Bordeaux" ["anisette" deriva da francese anisette attestato nel 1771, derivato di anis = "anice" stante ad indicare un liquore dolce aromatizzato all'anice].
Fa però sorpresa che, se Bixio alluse nella nostra lettera all'invendibilità del pur pregiato olio di Lucca, nulla addirittura abbia lasciato scritto dei vini di Bordeaux, quasi che, nonostante la rinomanza, non sia riuscito a collocarli e che magari questi prodotti, rimastigli nella stiva per ragioni mai spiegate, siano stati da lui riportati indietro sin a Manila [lettera ad Eugenio Rosellini del 16/XI/1856, numero LXXXI dell'Epistolario] quando con spregio e delusione evidenti scrisse: "Quanto a tutto quello che rimaneva a bordo è molto se posso disfarmene con vendere tutto all'asta pubblica...".
Occorre però dire che nel corso del tormentato ritorno in Europa -solo da Sydney a Manila occorsero 93 giorni di navigazione per trasportarvi il carbone imbarcato e caricare lo zucchero da trasportare a Genova- a Bixio risultò fruttuoso il breve soggiorno a Zamboanga, città di Mindanao, anche da lui nominata Zambonga o Samboanga, ove come scrisse sempre in questa lettera al Rosellini "...vi ho realizzato per circa 300 Colonnati [Colonnato stava ad indicare una moneta creata da Carlo V, recante due colonne con il motto non plus ultra; il Tommaseo nel suo vocabolario, alla voce relativa scrisse:"Colonnato, scudo di Spagna...del valore di poco meno che sei lire italiane"] delle varie porcherie che avevamo a bordo".
Fa sorpresa -si diceva precedentemente- e di sicuro risulta strano ma, nonostante il quantitativo di vini e liquori di Bordeaux caricato sul Mameli, Bixio mantenne per tutta la corrispondenza un sorprendente silenzio, giammai facendo cenno a possibili e nemmeno improbabili svendite quanto a totali loro insuccessi durante approdi più o meno concertati come quelli di Zamboanga o di Manila.
Nell'inedito sopra trascritto egli parlò semmai di altri vini e liquori.
Per esempio in Genova aveva imbarcato, come detta la "Bolla", ben "Barili Cinquanta da litri 50 cadauno Vino Marsalla" (ma il Marsala non risultava vino commerciabile in base ai gusti australiani) ed ancora centinaia di cassette di "Liquori diversi": alle bottiglie confusamente inserite entro questa "miscellanea" di prodotti si riferiva verisimilmente il capitano genovese citando il "Curry"(che però, in base alle norme australiane, non si poteva sbarcare in bottiglie ma solo in barili da 20 galloni), il Cognac ed il Ginepro (che dichiarò di non aver neppure sbarcato per la scoperta invendibilità sulla locale piazza commerciale di Melbourne).
In effetti parlando di vini e liquori Bixio non risulta sempre preciso sì da suscitare qualche difficoltà di interpretazione critica: ad esempio scrisse che i vini di Spagna, ed il Porto al pari del francese Kirsh si commerciavano benissimo, ma per nulla annotò se facessero parte del suo carico, magari custoditi entro quelle tante casse di "Liquori diversi".
E del resto, a riprova di queste sue incongruenze documentarie, è da rilevare come, dopo aver scritto della necessità di riportare via dall'Australia il "Ginepro" (acquavite che si ottiene mediante la distillazione di cereali fermentati in presenza di coccole di ginepro) si sia poi fermato a precisare che esso si sarebbe però venduto assai bene, al pari dell' "Assenzio", se entrambi questi liquori fossero stati conservati in bottiglie di buon aspetto e correttamente provviste di etichette.
Chissà che forse, rovesciati i termini della questione, proprio la gran quantità di liquori e vini siano stati, più o meno sorprendentemente, il "fardello" di carico invenduto che il Mameli dovette "riportarsi a casa"; Bixio certo non ci aiuta con la sua scrittura a volte telegrafica: alla base del mancato successo commerciale, oltre al fatto d'aver privilegiato "gusti spagnoleggianti" e non "anglosassoni", possono anche esservi stati alcuni locali e non conosciuti divieti doganali, certe proibizioni tipologiche in merito ai contenitori stessi, magari una particolare riluttanza dei mercanti di Melbourne più propensi, per varie ma anche comprensibili ragioni, a valersi dei servigi di Case di importazioni rette da connazionali...e forse, in definitiva, riassumendo tutti gli ostacoli pensabili quanto imprevedibili del commerciare in alcolici vale quanto a guisa d' epitaffio, magari senza perdersi in troppe o troppo scomode precisazioni scritte, annotò lo stesso Bixio nella lettera a Pratolongo e Vignolo del 16/IV/1856: "...si è che i liquori [sul mercato australiano] non convengono credo mai, a meno che non si voglia fare il Contrabbando che è facilissimo, ma nello stesso tempo pericoloso assai."
Un segnale in merito potrebbe essere dato dal fatto che alla fine di tutto, nella prospettiva di un vero, costruttivo e soprattutto economicamente fruttuoso rapporto commerciale con l'Australia cui il capitano genovese dimostrò sempre di credere, ai posti eminenti dei prodotti da mercanteggiare in Melbourne per suo, indubbiamente esperimentato parere, erano semmai dai collocare quali merci da importazione: il marmo, i vini di Spagna, tessuti di lino, frutta, l'oppio [oppio, termine noto dal 1347 e derivato dal latino opiu(m) a sua volta proveniente dal greco opion, der. di opios cioè "succo", un lattice estratto per incisione delle capsule di alcune piante delle Papaveracee, spec. del papavero bianco, contenente numerosi alcaloidi con proprietà narcotiche, tra cui la morfina, usato a scopo terapeutico o come droga: con il termine di guerra dell'oppio si indica ciascuno dei due conflitti sostenuti verso la metà dell'Ottocento dalla Gran Bretagna e dalla Francia contro la Cina, per imporle l'apertura al commercio europeo], i velluti, la seta.










4 - L'olio di Lucca è una qualità superiore di olio extra vergine di oliva (vedi The Concise Oxford Dictionary alla voce Lucca oil). Le olive utilizzate per la produzione di olio di Lucca appartengo maggiormente alla qualità "frantoio" e l'olio prodotto in questa maniera acquisisce un sapore veramente molto gradevole, di olive fresche, delicato, corpo dolce, burroso, sul quale si inserisce il gusto dei frutti, poi con fragranza armoniosa si avverte il profumo ed il sapore. Tra altri pregi del prodotto non è poi da trascurare il fatto che l’ “olio di Lucca” ha enormi caratteristiche, sì che anche dopo 4 anni dalla confezione, presenta ancora caratteristiche pressoché di freschezza. La coltura dell'olivo, fin dalla classicità, ha peraltro caratterizzato sempre la “Lucchesia” e specificatamente l’”olio di Lucca” godette sempre attraverso i secoli di una straordinaria rinomanza; a suo riguardo in un trattato sull'olivicoltura del XIX secolo si legge che "gli oli più celebrati per la loro finezza sono quelli di Lucca che godono di grandissima fama all'estero. A questi si accostano quasi tutti gli altri oli che ricavansi dalla Regione Toscana".
Sulla scorta di questo universale apprezzamento e per il fatto che costituiva storicamente un rinomato prodotto dell’esportazione italiana nel XIX secolo, Nino Bixio dovette far molto conto sulla possibilità di commercializzare agilmente in Australia le “Cassette Cinquecento di 30 fiaschetti cadauna Olio di Lucca da lui imbarcate a Genova: ma il prodotto non ebbe successo, sembra da intendere, più che per una qualità ben difficile da discutere, in dipendenza della tipologia di questa specifica ed antica mercatura che comportava, anche in onore stesso della garanzia di qualità, assimilazioni sotto forma di recipienti di limitata dimensione, in contrasto però con un’usanza locale ormai radicata nel privilegiare merci consimili conservate piuttosto in grandi contenitori (probabilmente perché più gestibili di fronte alle esigenze di trasporto per i grandi spazi australi) a partire dalle damigiane.

5 - D. Bertolotti nel suo volume del 1834 Viaggio nella Liguria Marittima scrivendo dell'agricoltura ligure inevitabilmente parla di "Ulivi" e di "Olj": in merito all'origine riprende -pur tra altre ipotesi- considerazioni abbastanza note e qui proposte di una provenienza "Provenzale" = poi analizza la tipologia delle piante partendo da Ventimiglia e Bordighera per giungere a citare la varietà detta Taggiasca (San Remo, Taggia, Oneglia) che reputa eccellente sopra ogni altra. Scrive inoltre in altro luogo della sua trattazione esprimendo una considerazione sua ma maturata anche sulla lettura di manoscritti e testi un'opinione diversa nel confronto tra l'"olio di Nizza" o meglio, seppur implicitamente rispetto a quanto prima scritto, la qualità "Taggiasca" dell'areale di Sanremo, Taggia, Oneglia= "Gli olj Ligustici dal capo delle Mele al Varo, conosciuti in commercio co' nomi di olj di Nizza, di Oneglia, di Diano sono di perfetta qualità e tenuti i più dilicati e squisiti del mondo per la leggerezza loro, la somma dolcezza ed il gusto dell'oliva, il quale lusinga in grato modo il palato e nol picca. Non evvi che l'olio verdognolo di Aix che ottenga sopra di essi la preferenza appresso i buoni gustaj di Parigi e di Londra. L'olio di Lucca, sebben ottimo, è men saporito





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