STREGHE DI TRIORA
DA BORGHESI A "STREGHE"

A TRIORA, in ALTA VALLE ARGENTINA, si ebbe nel XVI sec. il più famoso processo per stregoneria del ponente ligure (F.FERRAIRONI, Le streghe e l'Inquisizione, superstizioni e realtà, Roma, 1955 - ristampa ed. Dominici-Imperia, 1988).
A fine d'un'estate segnata dalla carestia nel 1587 [a fine '500, peraltro, la fame perseguitò tutto il ponente ligure come conseguenza della carestia e subito, di riflesso, si diffuse la "letteratura sulle streghe" che attribuiva loro il potere di scatenare varie calamità.
Tra i tanti MALEFICI DELLE STREGHE si ricordava la capacità di spargere unguenti diabolici propagatori di mortali malattie, di scatenare incendi e miserie naturali [leggi MAGIA TEMPESTARIA (STREGONERIA TEMPESTARIA)] di evocare malefici [d'amore, di asservimento, del sagittario, della consacrazione al Maligno (detto anche Maleficio di possessione diabolica donde il "dramma" degli "indemoniati, ossessi o posseduti"), della sterilità, dell' avvelenamento delle malattie, dell' impotenza maschile, dell' odio, del sonno oltre la composizione di fatture] praticando sacrilegi ed il volo demoniaco onde partecipare al "rito" dei sabba], si segnalarono alla giustizia, in via anonima, alcune supposte streghe di Triora, ree di malie anche sulle colture [e per giunta la Liguria ponentina fu spesso esposta alle carestie vista la sua dipendenza dalla monocoltura dell'olivicoltura e conseguentemente dagli scontri di interesse fra agricoltori, frantoiani, commercianti, trafficanti e profittatori di vario genere, usurai compresi.
Non a caso una recente intepretazione va riconducendo la genesi dei fatti delle "STREGHE DI TRIORA" nello schema di fazioni e parentelle, quelle che si potrebbero definire faide di famiglia: delazioni di stregoneria e alchimia -magari per la parentela, l'amicizia o la semplice frequentazione con qualche "scienziato" locale- colpirono "matrone del luogo", donne dei ceti abbienti e poi le voci si concentrarono contro tal FRANCESCA BORELLI, appartenente ad una famiglia agiata di Triora, che, pur non evitando le torture, ebbe, a differenza d'altre poverette, un buon avvocato in tal Ludovico Alberto e godette della malleveria, per mille scudi, dal fratello Quilico pur dovendo comunque subire un TERRIBILE PROCEDIMENTO INQUISITORIO SOTTO TORTURA sì che per molti versi siffatto procedimento è stato spesso assunto ad esempio tipologico di ogni INVESTIGAZIONE INQUISITORIALE AVVERSO LE STREGHE E LE POSSESSIONI DIABOLICHE).
Dopo la carcerazione delle prime "streghe" ad ottobre giunsero nel paese due inquisitori ecclesiastici, uno dal S.Uffizio in Genova, l'altro inviato del vescovo di Albenga: i processi vennero condotti (dopo LAVAGGIO e DEPILAZIONE corporale alla ricerca del demoniaco STIGMA o segno -insensibile ai tormenti- del patto col diavolo) colla tortura, compresa trazione su cavalletto o eculeo, tratti di corda, applicazione del fuoco alle piante dei piedi, digiuno e veglia a tempo indeterminato.
Una lettera degli Anziani, coreggenti di Triora col Podestà forestiero, condannò le delazioni segrete, la ferocia degli uomini del borgo , gli Inquisitori ecclesiastici e le vessazioni su donne anche anziane; la lettera (di Triora, 13-I-1588) a Doge e Governatori di Genova si conclude alludendo ai patimenti di alcune poverette [Arch. di Stato di Genova, Lettere al Senato, n.537 già 142, LETTERA - LAGNANZA di Giovanni Battista Tauner, Teodoro Vozella, Silvestro Gandolfo, anziani di questo luogo] :"Il Vicario della S. Inquisizione sin da principio predicò in pubblico pulpito di questo luogo ad udienza di tutto il popolo quello che potevano fare simili streghe, e nelli gravi tormenti si potria dubitare che dicessero quello che hanno sentito predicare per quello che fussero suspette di aver fatto [era diffuso ed universale sospetto che molti torturati, sotto promessa di venir rilasciati, seguissero i consigli degli inquisitori sempre alla ricerca di rapide confessioni]; e che peggio ve ne sono che hanno avuto corda, fuoco e veglia senza avere detto cosa veruna, ne meno si liberano [non si sarebbero potute ripetere le torture e lasciar invece liberi quanti non avessero confessato, come detta il capo "Sulle torture" nel I libro degli Statuti Criminali di Genova del 1556: ma l'ARBITRIO IN PRATICA ASSOLUTO concesso ai giudici dell'età intermedia (limite tra i principali di quel diritto) impediva di porre un argine al loro procedere]; nessuna di queste incarcerate che da loro medesimi Vicari sono tenute per convinte [si son riuscite a far testimoniare d'esser streghe] sono conformi nelli loro esami, nè dicono di queste lor cose, l'una conforme all'altra [fu corretta l'allusione alla mancanza di convergenza fra confessioni estorte con la tortura]; non se li dà difese alcune nè copia d'indizi quantunque li sia stato inchiesto ["richiesto":cosa negata dal Vicario diocesano dell'Inquisizione ma con evasività, sostenendo che non sarebbe stata fatta petizione ufficiale d'atti di accuse e poi ribadendo che la cosa non sarebbe stata fattibile prima dell'applicazione delle torture: principio vero ma conforme solo a quanto sancito negli Statuti Criminali, II, cap. 70 , pei crimini "di lesa Maestà dello Stato"> FERRAIRONI, p. 110)], anzi dicono che essi Signori Vicari attorno a queste cose possono fare cosa le pare e piace [sono questi limiti gravi del diritto intermedio: l'arbitrio estremo dei giudici, sia laici che ecclesiastici, la facoltà di non rilasciare atti dell'inchiesta interponendo eccezioni, la potestà di non concedere nè autodifesa nè procuratori od avvocati di difesa], e si vede chiaro che qualcheduna di esse che già sono tenute per convinte [giudicate confesse per prove o testimonianza - ma su ciò sembrerebbe da dubitarsi per quanto scritto in precedenza - d'esser streghe], per lo tormento ha confessato cose che si vede chiaro cessino esser, e una di loro per tema di tormenti si gettò giù d'un barcone [balcone] altissimo e restò stropiata [storpiata] e così stropiata fu fatta andare alla curia minacciandole darline [dargli delle nerbate], e tre giorni dopo se ne è morta [si tratta di una fra le prime 17 donne di Triora accusate di stregoneria, gettatasi da una delle finestre del palazzo comunale nella Piazza della Collegiata: gli Anziani avevano anche a mente la sessantenne Isotta Stella che morì prostrata dalle torture, mentre il Podestà, a loro contrario, l'avrebbe definita impenitente nè disposta a confessarsi e per questo meritevole dell'orrenda fine: sempre da Triora, addì 21/I/1588 (Arch. St. Genova, Lettere al Senato, n. 142> FERRAIRONI p.109), il Vicario del Vescovo di Albenga Girolamo Del Pozzo, giustificando il proprio operato, scrisse invece che la donna, Isotta era sì di anni settanta (sic) ma robusta e comunque tormentata citra eccessum cioè meno di quanto fosse lecito (sostenendo che il diritto concedeva l'applicazione di tortura anche a vecchi decrepiti in casi di crimini di lesa maestà contro lo Stato e la Chiesa, intendendosi casi di eresia: in effetti però la donna era accusata di stregoneria e non esplicitamente di eresia, anche se la relazione era quasi sempre scontata); peraltro gli Anziani supponevano, non a torto, che i Vicari dell'Inquisizione stessero agendo sotto pressione popolare "sentendo con mie orecchie gridar il popolo non solo di questo luogo ma di sue ville che volevano che fossero castigate le malefiche (sin. per streghe)" e che i Vicari, non per giustizia ma sotto forma di paternalismo venato da terrore del popolo, avessero scelto la via di promettere per calmar la gente di "consultar dottori per non far pregiudizio nè a poveri nè a ricchi" sì che "il Parlamento tutto restò soddisfatto del loro procedere nè fu alcuno che dicesse parola in contrario" (dalla "giustificazione" del Vicario del prelato ingauno si ricava che l'"isterismo" mieteva le sue vittime: lo stesso Vicario ammise che parecchie accuse di stregoneria erano state causate da confessioni di streghe già arrestate: sì che se 13 furono detenute in carcere, l'inchiesta andava ad allargarsi coinvolgendo altre 30 donne)]. "Ve ne è anche di esse [si legge ancora nella Lagnanza degli Anziani] che sono a termine di morte [in fin di vita], e che hanno perso li piedi per il fuoco datoli [dagli Statuti Criminali si intuisce la facoltà pei giudici d'avvalersi di forme di tortura non sancite per iscritto: ulteriore prova dei limiti dell'arbitrio assoluto giudiziale; dalla giustificazione del Vicario del Vescovo ingauno apprendiamo che sarebbero state torturate 7 o 8 donne (ma visto che era stato presente all'applicazione dei tormenti perchè non risultava certo del numero ?), che solo a quattro gagliardissime ["streghe di Triora"] indiziate s'era applicato il fuoco ai piedi e che nessuna era rimasta mutilata, tranne una non ancora guarita forse perchè mal medicata (sic), e che la VEGLIA cioè l'impossibiltà di dormire era stata propinata senza neppure eccedere a tre donne resistenti alle altre torture (sic): la vaghezza delle giustificazioni in qualche modo rimanda a pressapochismo giudiziale)].
E fra esse incarcerate (continua la Lagnanza degli Anziani di Triora] vi è una giovene che pare che abbi, dopo aver avuto forse più di venti tratti di corda [sic! secondo gli Statuti Criminali tale tortura, e sempre previo controllo medico, non doveva superare i tre tratti: il Vicario negò le proteste degli Anziani parlando di un tormento di durata non superiore al quarto d'ora, con cadute inflitte da un'altezza di cinque o sei palmi meno del solito>FERRAIRONI, p.61, il tormento della corda da quell'altezza, già di oltre un metro, era efficace bastando in vari casi qualche decina di centimetri], detto saper qualche cosa, e tuttavia si lamenta e dice avere detto quello che ha detto per li tormenti, e non saperne cosa veruna per quello [che] ha sentito di ciò leggere in particulare da un medico di questo luogo e giovene di venti anni...[ritenuto un praticante di alchimia, con tutte le implicazioni magiche attribuite a tale metodo di ricerca; inoltre] questi Signori Vicari danno credito a denonciationi contra il dovuto [l'allusione non è tanto alle delazioni segrete ma al contravvenire al modo ortodosso di denunziare, come sancito ai libri I, capo 9 e II, capi 35 e 43 delli Statuti Criminali: le controdeduzioni del Podestà Stefano Carrega, di Triora 21-I-1588 (FERRAIRONI, cit., doc. IV) furono superficiali e pregne di superstizione - "la suicida secondo la sua versione operò non per fuggire ai tormenti ma perché istigata dai demoni" - mancando di sostanza giuridica da opporre alla Lagnanza degli Anziani, eccezion fatta pei riferimenti all' arbitrio totale dei Vicari : nella sua giustificazione il Vicario citò il fallimento di una fuga della donna che avrebbe tentato, istigata dal diavolo, di evadere, trasformate in corde vesti o tele].

Secondo gli Statuti Criminali di Genova ( II, 89) lo Stato riteneva che solo in materia d'"eresia" fossero competenti l'Arcivescovo e Vicario, oltre al Padre Inquisitore, che potevano valersi del braccio secolare per arrestare qualche sospettato, appellandosi ai Protettori del S.Uffizio, due rappresentanti della Signoria, scelti tra i Procuratori dello Stato (8 senatori e i dogi che avessero espletato il biennio di governo).
Il Ferraironi, piuttosto genericamente, sostiene nel proprio volume (p. 65) che il Governo, geloso dei suoi previlegi, assunse un contegno ambiguo per far prevalere i propri diritti, anche in campo religioso, sui sudditi, come appunto i residenti di Triora; il cap. 89 del libro II sancisce che all'Inquisizione intervenga contro il "perverso genere degli eretici" senza però far cenno a streghe o maghi, di cui semmai si parla, nello stesso libro, al cap.10 o "dei venefici" ma in cui si fa pure cenno a streghe, incantatori, e simili autori di magie, da trattare alla stegua di "criminali comuni", soggetti alle sanzioni delle leggi dello Stato (il c. 25 del II libro degli Statuti Criminali del '56, dedicato ai "Sacrilegi", attribuisce alla magistratura ordinaria, e non all'Inquisizione, la potestà di comminar pene, sempre severe - senza escludere l'impiccagione lenta sulla forca - contro profanatori, ladri e distruttori d'arredi sacri).
Nonostante le ambiguità che collegavano eretici e praticanti di magia, le tergiversazioni repubblicane non oltraggiavano la giurisprudenza e fu solo prudente interferenza nel diritto penale genovese la comparsa nel maggio del 1588 in Triora dell'Inquisitore di Genova che esaminò superficialmente le donne da 5 mesi trattenute in carcere, ove peraltro continuarono ad esser custodite ad eccezione d'una ragazza di 13 anni che il giorno 3 dello stesso mese, celebrandosi la messa solenne, abiurò nella Parrocchiale dei Santi Pietro e Marziano (del resto tale grazia per la fanciulla sarebbe stata prima o poi connessa al principio di "perdono" delle leggi criminali a vantaggio dei minori traviati, per cui si imponevano riduzioni di pene> Stat.Crim., lib. I, c. 13 "sui minori" : i minori di 14 anni non eran da torturare ma solo da spaventare). Bisogna precisare (F. CARDINI, Magia, stregoneria, superstizioni nell'Occidente medievale, Firenze, 1979, pp.71-72) che le interferenze tra "stregoneria" e "delitti comuni" erano innestate su contraddizioni giurisdizionali sia pei rapporti fra Stato e Chiesa che fra la stessa Inquisizione pontificia e le autonomie arcivescovili. Nel 1258 e quindi nel 1260 Innocenzo IV aveva affrontato questi problemi di competenze, dopo aver soppesato il malumore dei tanti vescovi che avvertivano menomate le loro prerogative inquisitoriali: il pontefice curò di raccomandare agli Inquisitori il restringimento dei propri interessi avverso la "stregoneria" sui casi di chiara connessione con l'"eresia". Per Innocenzo IV tali casi avrebbero dovuto restringersi alla divinatio ed al sortilegium ma tal frontiera non fu così lineare come potrebbe presumersi e finì col spostare il problema delle competenze dall'ambito teologico ed esorcistico al complesso settore delle relazioni fra istituzione religiosa e laica. Sotto l'ingerenza inquisitoriale i limiti di questa frontiera, col tempo, si spostarono a detrimento dell'autonomia statale e giuridica: così in ogni Paese europeo si manifestarono espressioni di protesta anche dure, come in Francia, sotto Filippo IV che nel 1303 vietò all'Inquisizione di occuparsi di maghi, ebrei ed usurai (anche se la peste bubbonica o Morte Nera del 1348-'49 avrebbe riproposto antiche superstizioni nei confronti di tutto quanto non concordasse colla morale cattolico-cristiana).
Il Governo genovese voleva ricondurre questi procedimenti nella giurisprudenza penale con l'arrivo in Triora (8 giugno 1588) di un commissario straordinario, tal Giulio Scribani, che non ebbe però occasione di indagare sulle "streghe" ivi detenute, trasferite poco dopo in Carcere a Genova per dar momentanea soddisfazione all'orgoglio ferito del Padre Inquisitore che aveva preso a rivendicare i suoi diritti per la revisione del processo a loro carico.
Il commissario governativo rimase invece nella Podesteria di Triora, indagando su altri casi di stregoneria e concentrando le sue indagini anche sulle dipendenze del borgo principale, come Andagna.
L'inchiesta sulle presunte STREGHE DI TRIORA procedette fra continue contraddizioni e qualche condono di legge come quello per un'altra minore, una ragazza di 13 o 14 anni di Baiardo, tal Giovannetta Ozenda, che confessò d'aver partecipato ad una sorta di sabba e di aver appreso l'arte di "far la polvere, con quale queste malefiche attossicano le persone cioè di ROSPI ARROSTITI" (come riporta il Ferraironi (p. 73): stando alle indagini del Ginzburg (P.287) questa POLVERE DI ROSPO non sarebbe stata pura voce di fantasia ma uno fra i vari tipi di UNGUENTO STREGONESCO tenedo conto del fatto che nella pelle di rospo è contenuta la BUFOTENINA sostanza cui sono attribuite delle spiccate PROPRIETA' ALLUCINOGENE.
La Ozenda fu comunque perdonata, come detto, visto la giovane età, con la momentanea ideazione d'affidarla ad un tutore o ad un monastero: perdoni suggeriti di legge, come detto, a vantaggio dei minori di anni 14 sia entro gli Statuti Criminali genovesi che nei più aggiornati testi di commenti giuridici ad uso degli Inquisitori eclesiastici) lo Scribani finalmente spedì il 22-VII-1588 i processi di quattro streghe di Andagna, con la proposta della condanna a morte. Leggendo i documenti riportati dal Ferraironi si intende altrettanto bene che, a ragione di un evidente piano governativo a salvaguardia delle leggi criminali statali, lo Scribani aveva proposto la pena di morte per delitti non di provata stregoneria ma sicuramente connessi con reati punibili secondo gli Statuti Criminali (avvelenamenti, procura d'aborti, esercizio colpevole della funzione di balie ecc. ma nessuna attestazione d'eresia, tale ciò da dover passare la pratica all'Inquisitore ecclesiastico.
La più eclatante dimostrazione di questo concerto governativo, per eludere le interferenze dell'autorità ecclesiastica, lo suggerisce altresì il fatto che il Governo da un lato prorogò da due a tre mesi la missione in Triora e circondario dello Scribani (coll'esplicita richiesta di indagare non su delitti comuni ma solo su veri casi di stregoneria: ottima formula per soddisfare alla luce del sole le proteste dell'Inquisitore ecclesiastico e le richieste della popolazione locale ma con lo scopo vero di concedere al commissario tempo ulteriore al fine di ammorbidire le tensioni e quindi formulare una risposta comoda ed evasiva - onde cancellare la fastidiosa vicenda - come quella di "non poter più raccogliere prove significative per esser tanti indizi, vista la longhezza di tempo [ormai trascorsa],andati in oblivione") dall'altro lato la Signoria affidò la revisione dei processi e delle condanne capitali all'uditore Serafino Petrozzi che, più o meno intenzionalmente accentuando la generale confusione, negò il valore giuridico delle condanne, perché lo Scribani aveva formulato le sue sentenze di morte per delitti condannabili secondo gli Statuti Criminali (senza tuttavia possedere, a giudizio del Petrozzi, prove esaustive) mentre, anche se ree confesse per stregoneria (sic), le donne in causa, a giudizio del Petrozzi, non si sarebbero dovute condannare dall'autorità laica perché sulle loro presunte attività diaboliche solo al tribunale ecclesiastico sarebbe spettato sentenziare, trattandosi di materia religiosa . Per quanto molti abbiano scritto su questa vicenda, l'impressione è che tanto l'autorità ecclesiastica che quella dello Stato mirassero a sminuire la sostanza dei fatti: sì da giungere a un ridimensionamento della questione (principio discutibile secondo i capi 10 e 90 del libro II degli Statuti criminali genovesi del '56).
I deliberati del Petrozzi, a rigor di una letteratura giuridica che interpretava la "stregoneria" come emanazione dell' ""Idra eretica", avrebbero potuto risolvere il tema basilare delle priorità inquisitoriali; l'interpretazione , avversa a quella dello Scribani, aveva dimensionato il problema delle "streghe di Triora" entro i parametri dell'Inquisizione ecclesiastica, stabilendo con forzatura nell'interpretazione dei capitoli criminali genovesi 10, 25 e 90, la priorità del Santo Ufficio sulle Curie.
La Signoria e il Senato, nonostante le pressioni ricevute per ratificare questa soluzione "ecclesiale" del problema della "stregoneria", non intesero dar prova di debolezza a fronte del Sant'Ufficio, dell'Arcivescovo e dell'episcopo ingauno), temendo il dilagare del problema ed una pratica impossibilità a controllarlo: ne è prova che la sentenza del Petrozzi non venne ratificata e allo stesso magistrato, per una revisione del processo, furono affiancati due commissari, Giuseppe Torre e Pietro Alaria (od Allaria) Caracciolo.
Questo triumvirato di nuovi consultori operanti sul caso delle Streghe di Triora, dotati di ampia facoltà inquisitoriale (assieme ad altre sanzioni di condanne, poi cassate, contro streghe individuate nei siti fra Triora e CASTELFRANCO), rovesciando il giudizio del Petrozzi confermarono le 6 condanne capitali dello Scribani.
Il Senato ratificò 5 esecuzioni (tramite impiccagione e conseguente bruciatura dei cadaveri in conformità dei capi criminali avverso profanatori di luoghi santi, peccatori contro natura, falsari, ed altro: con attenzione al capo 20 "dei Ladri", del libro II, ove si cita la morte sul rogo applicabile contro eretici e sacrilegi): dalla sanzione senatoriale a tergo della relazione dei 3 commissari (A.S.G., Lettere del 1588) - nonostante o forse proprio per una richiesta, in base ai toni del comandamento, da inoltrare al vescovo di Albenga onde far riconciliare con la Chiesa le condannate prima della sentenza - si evince che il consenso per l'esecuzione voleva essere una pubblica affermazione governativa, la quale ancora una volta puniva col capestro (impiccagione) le donne come "criminali comuni", concedendo all'Inquisizione il rogo post mortem (con dispersione in luoghi profani di ceneri o resti) applicato per quei delitti, non di "stregoneria", che risultassero avversi alle leggi dello Stato ed alla morale, sia cristiana che della società onesta (St. Crim., II, 2 "Su quanti peccano contro natura >sodomiti - omosessuali" e capo 3 "Sugli adulteri e stupratori").
Come annota il Ferraironi (p.79) si sarebbe quindi dovuto procedere (4 in Triora o in Andagna e 1 in Castelfranco) all'esecuzione pubblica delle sentenze capitali [Pene combinate> Stat. Crim., II, 18, 64, 70 ecc.: l'esecuzione della GENTILE di CASTELFRANCO sarebbe avvenuta nel borgo natio "per essere di essempio et gran terrore a molte altre malefiche esperte") con impiccagione lenta e rogo post mortem, al limite l'inumazione in terra non consacrata conformemente a suggerimenti contenuti nel t.III, sez. XIX delle Disquisitiones Magicae di M. DELRIO].
La procedura fu sospesa, vista una subitanea, ma non imprevista, opposizione del Padre Inquisitore di Genova che, con rigida interpretazione degli ordini del Sant'Ufficio, avanzò eccezione che spettasse all'Inquisizione il diritto di istituire i processi di "stregoneria".
Lo Stato, che aveva proceduto con cautela, non disdegnò l'opportunità di sospendere le esecuzioni capitali facendo scrivere alla Congregazione del S. Ufficio di aver accolto la petizione dell'Inquisitore genovese "con quel perpetuo zelo che viene in noi di servire a codesta Santa Sede et a compiacere Vostre Signorie Illustrissime (i Cardinali del Sant'Ufficio)".
Questo accondiscendimento del governo non deve confondersi con arrendevolezza.
La convenienza politica e diplomatica di intrattenere prudenti rapporti col Sacro Palazzo di Roma si manifestava specie in occasione di "cause miste", come quelle connesse coi sempre strani "delitti di stregoneria" in cui spesso si intrecciavano violazioni tanto dell'elemento profano che di quello spirituale, di modo che, insorgendo conflitti giurisdizionali fra giudici laici ed ecclesiastici, potevano evolversi ulteriori contenziosi fra uno Stato tradizionalmente geloso delle sue prerogative e l'organizzazione della Chiesa intenta ad affermare la propria autorità [riaffermando con decisione il cap.89 del lib. II degli Statuti Criminali del '56 -negli Advertimenti sopra il governo della giustitia in Genova- al cap. XI si legge: "Che li ministri di giustizia siano obligati favorire et con tutte le loro forze agiutare il Sant'Offizio dell'Inquisizione, et la corte dell'Arcivescovo di Genova, dandogli il braccio seculare gagliardo, ad ogni minima requisitione loro".
Questo punto verrà fuso nel cap. I "Sulla religione" delle "Leggi Nuove" del 1576, v. F.RUFFINI, Relazioni tra stato e chiesa. Lineamenti storici e sistematici, Bologna, 1974.
Tuttavia, a prova di una soluzione mai veramente raggiunta, è da notare che ancora nel triennio 1587-1590 si conducevano tra Stato ed Arcivescovo genovese trattative per definire le rispettive sfere di giurisdizione.
Nel marzo del 1590 si tennero incontri fra la delegazione genovese (Stefano Lazagna, G.B.Senarega, Pasquale Sauli e Gio.Andrea Costapellegrina) e quella arcivescovile a riguardo dei delitti di competenza del foro ecclesiastico o di quello civile, quali mixti fori, e sulle pene che la Curia arcivescovile potesse comminare ai laici.
La questione delle "streghe di Triora" era esplosa in concomitanza con un problema di competenze giurisdizionali, controverso o da definire, che avrebbe presto raggiunto il suo apice, fuori del genovesato, nella questione dell'interdetto avverso Venezia da Papa Paolo V rea, a suo dire, di esser intervenuta avverso due ecclesiastici, rei di crimini (anche di magia), violando i privilegi del foro ecclesiastico fatto contestato da Paolo Sarpi in diverse sue opere, ma giuridicamente soprattutto nelle Considerazioni.... avendo come oppositore un altro illustre canonista quale fu il cardinale Roberto Bellarmino.
In questo contesto si potrebbe anche ricondurre l'ambiguità di atteggiamento di volta in volta assunto dalle due Istituzioni, laica e religiosa, allo scopo di non compromettere la difficoltà di progressi, sempre lenti in questa materia].
Il commissario di Triora, su sollecitazione governativa, non tardò ad inviare nelle carceri dell'Inquisitore di Genova, per mare, partendosi dal porto di Sanremo, le 5 "streghe" facendo, in una lettera Doge e Governatori di Genova, cenno alla delusione di "questi populi (che) sono restati molto attoniti di questo fatto (la mancata esecuzione) poichè per esempio averiano avuto grandissimo piacere si fusse eseguita la sentenza, contro loro (le presunte streghe) data, in questo paese" (FERRAIRONI, p.80).
Gli studiosi si sono interrogati sulla fine di queste streghe, se le ultime 5 fossero state aggregate nelle carceri dell'Inquisitore di Genova alle 13 "fattucchiere" della precedente inchiesta (sempre che queste non fossero già state liberate e in segreto rinviate a casa): ma in fondo, al diritto ed alla diplomazia poco importava ormai quante fossero le streghe, se alcune di loro languissero per salute malferma, se in tempi diversi ne morissero alcune (su 5 sussiste relativa certezza).
Per quanto l'argomento sia interessante -e ben trattato dal FERRAIRONI, cap. IX e X- è importante evidenziare l'insignificanza del problema "stregonesco" a fronte della sua composizione giurisdizionale.
Questo risultato (specificatamente al contenzioso in oggetto e giammai trasformato in normativa) lo ottenne la diplomazia genovese con petizioni al Sacro Palazzo (tra febbraio e aprile 1589) e coll'ausilio di Cardinali filogenovesi in seno alla Congregazione come Giustiniani, Sauli e Pinelli.
Dopo una lettera personale (23-IV-1589) del cardinale Antonio Sauli (che difendeva presso la Santa Sede i diritti della Repubblica: vedi M. ROSI, Storia delle relazioni tra la Rep. di Genova e la Chiesa romana specialmente in rapporto alla riforma religiosa, in "Memorie della Regia Accademia dei Lincei", XXX, 1898), si ebbe una sanzione definitiva con una epistola (28-IV-1589) del cardinale Giulio Antonio Santori di Caserta, reggente della Diocesi calabrese di Sanseverina, che, scrivendo alla Signoria, comunicò ch'eran stati dati gli ordini necessari onde porre fine alla causa, procurando per un verso di "salvare la vita a sudditi della Signoria" e facendo sì che "in breve si manderà l'ordine per l'espedizione di quelle che sono state processate e condannate dal detto commissario, secondo la dotta e religiosa risoluzione di questa sacra Congregazione".
Da qui il Ferraironi (p.83) deduce una graduale, ma silente liberazione ( o emarginazione, in residenze coatte?) delle donne accusate di stregoneria, detenute dal giugno 1588 nelle carceri genovesi.
L'indagine sulla vicenda delle streghe di Triora non può esimere lo studioso dal riferire un'ulteriore particolare che contribuì senza dubbio ad accendere vieppiù le indagine e quindi le persecuzioni.
Mediamente sfugge agli investigatori un fatto e che cioè come nel
contesto della vicenda una giovane inquisita, verisimilmente sfinita da eccessi di torure, abbia confessato di esser stata in qualche modo condizionata verso certe pratiche curative e/o magiche da un certo qual medico.

























***********************************************************************************************************************************************












Aborto [lat. abortus da aboriri="perire" ed anche "nascere anzitempo"]>interruzione della gravidanza prima che il feto sia formato e vitale: gli Stat. Crim. genovesi (lib. II, cap. VIII) considerano reato l' A. procurato anche mediante pratiche mediche e l'A. criminoso esercitato da Mammane (da Mamma dal lat. mamma = "mammella", nel ling. infantile per "madre") termine antico per "levatrici ed ostetriche" poi caricatosi di valenze spregiative per Ruffiane o per criminali Levatrici che favorirebbero l'A con pozioni o veleni al modo di Streghe, Masche e Fattucchiere .

Su ciò la letteratura ecclesiastica inquisitoriale (da fine '500 sunteggiata da DELRIO),cui alludono gli Statuti, parlava di infanticidi per magia: "Alcune (streghe) si muovono del tutto apertamente, con sfrontata sicurezza, a caccia di vittime. Sono soprattutto quelle che cercano di sorprendere per via qualcuno sì da consegnarlo alle furie di un demone o che soffocano fra materassi e cuscini infanti e bambinelli colti nel sonno inermi, senza custodi. Ma esistono pure quelle forsennate che uccidono i fanciulli conficcandogli un ago dietro le orecchie, come fece quella perfida ostetrica Elvezia di cui fa menzione nel Malleus lo Sprengerio. Risultano comunque innumerevoli i malefici compiuti da fattucchiere contro i bimbi: quando si tratta di neonati esse preferiscono rapirli dalla culla per nutrirsene o far uso a pro d'unguenti delle loro misere carni....ai più grandicelli propinano invece un qualche filtro pernicioso che li uccide all'istante o li macera crudelmente di lenta consunzione ed alcune di loro, come già narrarono Quinto Sereno, Ovidio e lo stesso Festo Pompeo, giungono al segno di succhiare il sangue di questi poverelli...e per testimoniare che tal loro feroce costumanza è tuttora in vigore torna utile leggere quanto ha scritto il Chieza nella sua "Descrizione delle Indie" (parte II, carta 196) su un gruppo di streghe scoperte a Panama e ree d'aver ucciso dei fanciulli bevendone per intiero il sangue".

Un'eco del termine Mammane si riscontra nel nome di una creatura fantastica, il gatto MAMMONE per una certa "scuola" famiglio delle STREGHE, per "altre interpretazioni", indicato come incarnazione della STREGA METAMORFOSIZZATA (di cui si proponevano anche altre TRASFORMAZIONI ANIMALESCHE) e per altri studiosi di occultismo, come R. Fludd, DEMONE VERO E PROPRIO col nome di MAMMONE "principe della legione" dei DEMONI "TENTATORI" o "GENI": "Non era facile però sfuggire alle streghe, a causa della loro capacità di trasformarsi negli animali più disparati, come capre, conigli e soprattutto gatti [e altri animali ancora tra cui, come si vede nell'immagine, quello di una SCIMMIA, animale "esotico e strano", temuto per lo stravagante aspetto antropomorfico]. In particolare sotto le sembianze di gatti si intrufolavano facilmente nei casolari per carpire segreti o per agire contro persone a loro invise.".
ODDO , pp.16-17; "Nei Paesi Baschi per esempio si racconta un aneddoto secondo il quale una volta una persona di un certo villaggio ferì ad una zampa un GATTO, che andava tutte le sere a bere il latte appena munto, lasciato sul davanzale della sua finestra, e che, al momento del ferimento, lanciò un urlo umano. Il giorno dopo, si apprese che una vecchia vicina, bollata come strega, era stata ferita ad una gamba".
J. CARO BAROJA,p. 90.>La credenza nella metamorfosi felina è comune e, si riscontra anche in area ligure-pedemontana intervistando ottuagenari di zone rurali, i cui ricordi sono documenti utili al folklore e contributo per la conoscenza sintetica della storia.
Ritornando al gatto Mammone, si viene a conoscenza del fatto che esso ha abitudini alimentari simili alla strega, prediligendo, per i suoi banchetti notturni, tenere carni e sangue di neonato (condividendo, così, con il vampiro, il licantropo ed altre emanazioni delle tenebre e delle paure collettive, il ruolo di parassita ammorbatore il cui contatto spalanca le porte alla follia, quando non porta a condividere le sorti e le abitudini maledette del carnefice) e spesso è guida della donna malefica nelle tregende notturne, aprendo per lei gli usci sbarrati dietro i quali dormono le prede inermi.
Non si dimentichi che, nell'immaginario collettivo delle tradizioni, il FELINO DOMESTICO è sempre legato alla donna, emblema di sensualità sfuggente e pericolosa: in vari incantesimi e filtri, stando alle inchieste inquisitoriali, legature amorose, varie parti di gatto sarebbero state unite nel calderone con altre di altri animali, quando non vi si trovava grasso di bambini non battezzati.
Il GATTO, infedele e misterioso, lega le sue qualità a quelle di donne perverse preda (specie in documenti ecclesiastici preoccupati di salvaguardare, col rigore morale, l'anima dei fedeli), ad una sensualità che valicava i limiti che la natura avrebbe posto al sesso femminile con la fine della fertilità. Da qui le STREGHE, oltrechè cannibali, erano anche vecchie laide la cui sensualità si appagava nel sabba nel corso del quale sarebbe avvenuto il congiungimento carnale, vaginale ed anorettale delle adepte, col MALIGNO sotto forma di NERO CAPRONE come, per due donne sospette di stregoneria si legge tuttora negli atti inquisitoriali dell'"Archivio dell'Inquisizione di Tolosa": per la precisione si trattava di due donne francesi, di Tolosa tal Anna Maria di Georgel e Caterina [il tema dell'aborto fu sempre scottante tra morale, diritto e religione: v. il giurista del '600 TRIMARCHI che affrontò l' argomento].










E' quasi certo che da tempi immemorabili al ROSPO COMUNE (Bufo, bufo) (anfibio della famiglia dei Bufonidi del genere Bufo) la "medicina empirica" abbia riconosciuto le caratteristiche dell'"animale velenoso".
In effetti sia il maschio, di colore brunastro, col capo depresso, sia la femmina, lunga fino a 20 cm. e di dimensioni doppie del maschio, non hanno nell'apparato masticatorio organi di inoculazione di alcun veleno, alla maniera per esempio delle "vipere".
Tuttavia la pelle spessa e fortemente verrucosa presenta un grande numero di ghiandole cutanee in grado di secernere un veleno.
Questo [da cui nel 1934 è stata estratta la BUFOTENINA sostanza allucinogena, usata per provocare sperimentalmente forme di psicosi temporanee] entrerebbe per contatto nel circolo dell' eventuale aggressore o predatore: si tratta di una forma di "avvelenamento" ritenuto proprio della stregoneria ma in effetti diffuso nella medicina antica quando i farmaci o le pozioni erano somministrate sia in campo curativo che in ambito criminale sotto forma di unguenti [somministrazione da contatto] [da cui la diabolica leggende degli untori [di peste e altre malattie].















1 - MAGIA TEMPESTARIA: SUA DEMISTIFICAZIONE
2 - PROVVISIONI DI MAGIA TEMPESTARIA CONTRO LA SICCITA'
3 - ESORCISMO (PREGHIERA CRISTIANA) CONTRO MALEFICI DI MAGIA TEMPESTARIA














Agobardo di Lione nel suo Liber de grandine et tronituis ( in P.L., CIV, coll. 151 - 152) provvede ad una demistificazione di quella MAGIA TEMPESTARIA che pure godeva di gran credito a livello antropico:
Se dunque Dio onnipotente, grazie alla Sua potenza, flagella i nemici dei giusti con inondazioni, grandine e pioggia, e dalla Sua mano è impossibile sfuggire, sono del tutto ignoranti delle cose di Dio quanti a£fermano che anche gli uomini possono fare una cosa del genere.
Difatti, se gli uomini potessero far grandinare, sarebbero anche capaci di far piovere: difatti non si è mai visto una grandinata che non fosse accompagnata dalla pioggia.
Si potrebbero così vendicare dei loro avversari non solo rubando loro le messi, ma addirittura toglendo loro la vita: quando infatti i nemici degli stregoni tempestarii si trovassero in viaggio oppure allo scoperto nei campi, questi potrebbero suscitare contro di loro una grandinata tanto potente da ucciderli.
In effetti certi dicono che vi sono tempestari i quali possono adunare in un punto solo, e 1ì farla cadere, tutta la grandine che cade sparsa in una regione: essi sono in grado di concentrarla su un fiume su una selva non coltivata, addirittura su un barile sotto il quale i1 nemico loro si nascondesse.
Di frequente ho udito affermare con sicurezza da alcuni che essi sapevano che cose del genere erano accadute; ma non ho ancora sentito nessuno testimoniare di averle vedute di persona.
Una volta mi fu detto di uno che diceva di averle personalmente constatate: io mi affrettai a conferire con lui e così feci.
E, discutendo, poiché egli assicurava di essere stato testimone oculare, io da parte mia con molte preghiere e scongiuri e perfino con minaccia di sanzioni spirituali lo costrinsi a promettere formalmente di non dire che la verità.
A quel punto egli continuò ad affermare che ciò che diceva corrispondeva a verità, e citò persone presenti e circostanze di luogo e di tempo ma dovette anche confessare che da parte sua non era stato presente di persona
.




Burcardo di Worms nel Corrector et medicus (Decretorum liber XIX), 5, in P.L., CXV, col. 976), pur con tutte le formali riprovazioni della sua cultura religiosa, ha finito per descrivere una formula di magia tempestaria onde combattere siccità e carenza d'acqua (vedi al riguardo: R. Corso, Riti e pratiche popolari contro la siccita, in "Folklore italiano", VIII, 1933, pp. 1-23):
Hai fatto quel che certe donne sono solite fare?
Quando non piove, e ne hanno bisogno, allora molte fanciulle si adunano e scelgono quasi a loro guida una giovinetta vergine, la denudano e indi la conducono fuori dal villaggio, in un luogo dove vi sia l'erba chiamata giusquiamo, che in lingua tedesca si dice belisa; fanno sradicare quest'erba da quella vergine, legandogliela al mignolo del piede destro.
Indi le fanciulle, tenendo in mano ciascuna un bastoncello, accompagnano la vergine che si trascina dietro 1'erba fino a un flume, e con i bastoncelli l'aspergono dell'acqua di quel fiume; con questi loro incantesimi, sperano di procurarsi la pioggia.
Indi, tenendosi per mano, riconducono la vergine sempre nuda dal fiume al villaggio, camminando di traverso come i granchi.
Se lo hai fatto o vi sei stata consenziente digiuna per venti giorni
.




Una Oratio ad depellendam tempestatem (registrata da A. Franz in Die kirchlichen Benedittionen im Mittelalter, II, Friburgo, i. B. , 1909, Neudr. Graz 1960, pp. 74-76) ci ragguaglia su un esorcismo o meglio una preghiera esorcistica finalizzata allo scopo di disperdere da un determinato luogo ogni maleficio tempestario:
Nel nome di Gesu Cristo nostro Signore, che per mezzo della Sua grande virtù stese il braccio a legarti, o diavolo, e liberò il mondo da te, e ti confino, o empio Satana, nel profondo dell'abisso; per mezzo della Sua virtù e del Suo eccelso braccio Egli tiene nella confusione i tuoi servi; nel Suo nome io ti scongiuro affinché tu non possa nuocere né danneggiare in alcun modo questo luogo e questa parrocchia né con i temporali, né con il ghiaccio né con le intemperie, né con gli incantesimi degli stregoni.
Indietro, o Satana, da questo luogo che appartiene a Dio e ai Suoi servi, da questo luogo ch'è sacro a Dio.
Undici discepoli di Gesù Cristo nostro Signore salirono sulla loro navicella e si misero in mare; allora i diavoli si riunirono e turbarono contro di loro i venti e le acque, suscitando una tremenda tempesta; e i Discepoli di Gesù Cristo nostro Signore temevano tutti fortemente di morire annegati.
Tutti insieme pregavano quindi il Signore dicendo: "Salvaci, o Cristo nostro Maestro, salvaci, o Figlio di Dio Vivente, trattieni il diavolo e questo vento e ogni intemperia".
Fu allora esaudita la loro preghiera, e il Signore si avvicinò alla navicella, e i discepoli videro che camminava sulle acque; e appena lo riconobbero, furono pervasi da una grande gioia, e subito una grande pace fu fatta nel mare.
Vi scongiuro, o angeli di Satana, nel nome del Signore del cielo e della terra, di Colui che plasmò Adamo dal fango e che salvo Noè nel diluvio; vi scongiuro nel nome di Colui che salvoò Anania, Azaria e Misaele dalle fiamme; nel nome di Colui che per mezzo di Mosè Suo servo guidò i figli d'Israele attraverso il Mar Rosso; vi scongiuro nel nome di Colui che ha redento il mondo con il Suo prezioso sangue, affinché non possiate nuocere né con temporali, né con intemperie né con arti magiche a questo luogo di Dio e a questa Parrocchia.
Nel nome di Gesù Cristo nostro Signore, che verrà a giudicare i vivi e i morti e te, o nemico, per mezzo del fuoco.
Vi segno, o nubi, con il segno della Santa Croce e della passione di Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna ecc.
Vi segno, o nubi, con il segno del Cristo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Vi segno.
Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli Eserciti.