ripr. Durante da copia dell'originale

SOPRA IMMAGINE DA CODICE SKYLITZES, MANOSCRITTO BIZANTINO DEL '300 IN CUI E' RAPPRESENTATO L'USO FATTO DEL FUOCO GRECO.
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"STORIA DELL'ARMA TOTALE DI BISANZIO E IPOTESI SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL FUOCO GRECO O FUOCO SACRO"

[ VEDI QUI ALTRE RIFLESSIONI SULLA MARINERIA DA GUERRA E NON NELL'ANTICHITA']








































STRATEGICON
di
SIRIANO
[tratto da Scritto sulla Tattica Navale, di anonimo greco, per la prima volta tradotto e pubblicato dal Cav. Prof. F. Corazzini, coi tipi di P. Vannini e figlio, Pia Casa del Refugio, Livorno, 1883]
INDICE
-ESEGESI DI FRAMMENTO DI UN TRATTATO DI TATTICA NAVALE DI ANONIMO GRECO
- Capitolo IV - (parte).
- Capitolo V - Come è necessario che lo stratego abbia con sé sempre gli uomini esperti ...
- Capitolo VI - Degli esploratori
- Capitolo VII - Dei segnali dei quali si servono gli esploratori.
- Capitolo VIII - Dei segnali di comando (strategici, dello stratego).
- Capitolo IX - Come bisogna ordinare le navi, essendo in procinto al combattere.
- Capitolo X - Come debba lo stratego governare l'armata dopo la battaglia.























FRAMMENTO DI UN TRATTATO DI TATTICA NAVALE DI ANONIMO GRECO
"Questo frammento di antica tattica marittima, che è il più antico scritto sulla materia che ci sia rimasto, fu tolto dal manoscritto membranaceo della Biblioteca Ambrosiana di Milano, segnato B. 119, super.
Copiato nel 1881 dal D.r K. K. Müller con molte illustrazioni e raffronti era da lui stesso pubblicato nel 1882.
Il manoscritto nelle sue parti primitive fu scritto da una mano nel secolo XI; ma posteriormente era legato insieme ad altri manoscritti di più mani e di tempi diversi, trattanti soggetti di guerre terrestri.
Esso nello stato presente è mutilo in principio ed infine.
L'ordine anche delle parti esistenti non è il primitivo.
Questo scritto comincia dal capitolo IV e termina col X: mancano i primi tre, e parte del IV.
Il sig. Müller giustamente osserva che i primi capitoli mancanti, oltre una introduzione, dovevano trattare della nave e delle sue parti, dell'equipaggio, delle diverse specie di navi da guerra, e forse anco dei movimenti delle singole navi.
E in quelli dall'undicesimo alla fine, è da supporre che trattassero della flotta nell'assedio e nella difesa delle città.
Le parti perite si potrebbero determinare più facilmente se restassero altri trattati completi di questa materia, ma disgraziatamente non ci restano che pochi raffronti nel capitolo XIX della Tattica di Leone, nel IV libro di Vegezio: tuttavia sono così pochi i punti di contatto del nostro testo con questi, ch'esso acquista una incontestabile importanza, anco per tal rispetto.
Per determinare il tempo dello scrittore ben pochi dati ci fornisce lo scritto poi che non v'à nessuna citazione di fatti storici o di persone che ci somministri un qualche lume.
Dal non farvisi parola del FUOCO GRECO [annota l'editore critico] che alcuni vogliono trovato dall'architetto Callinico di Eliopoli e altri, che lui solamente lo ritrovasse circa il 668, possiamo dedurre che lo scritto nostro dové essere pubblicato innanzi questo tempo.
L'autore si professa cristiano (capitolo IX), quindi la compilazione è da porsi tra IV e il VII secolo.
Questa opinione è corroborata pur dalla lingua, la quale evidentemente non è ancora bizantina, ma del periodo della grecità decadente.
Da tutto questo il sig. Müller induce che debba essere opera del V o VI secolo.
Minori indizi si ànno circa il nome dell'autore di questa scrittura: solo si può supporre che Eliano, Enea Tattico o il suo epitomatore Cinea siano state le fonti del nostro anonimo.
In ogni caso questo è certo che è il più antico ed autorevole scritto greco sulla guerra marittima, e però mi sono affrettato a raccoglierlo per aver modo un giorno di trattare anco quest'altro ramo della storia della marina militare antica, la storia cioè della tattica navale.
Nella traduzione sono stato aiutato dal prof. Carlo Francesco Pellegrini e dal prof. cav. Enea Piccolomini della R. Università di Pisa. I
l Piccolomini à risolto le maggiori difficoltà che presentava il nuovo testo greco.
Ringrazio pubblicamente questi signori tanto più che prestarono l'opera loro con modi squisitamente gentili, oggi che la gentilezza pare che non sia la virtù più comune negli uomini di Lettere.
Al Piccolomini detti pochissimo tempo, ciò non ostante mi piace di vedere che egli nella interpretazione del testo aggiunse alcune cose al pregiato studio del Müller.
IV.
... schierati, ultimi poi i prorati: e salgono all'incontrario . E questo è utile ogniqualvolta vogliamo accostarci a terra straniera: imperocché gli abitatori di questa, veduto da lungi l'armata che approda, spesso convengono insieme, e corrono contro i nostri mentre escono dalle navi e mentre sono trasportati chi qua chi là a caso, per desiderio delle sostanze dei nemici, non sapendo quello che questi effettuano. Però dunque è necessario ch'essi, discesi dalle navi, siano ordinati come in falange, finché con qualche segnale non accennino loro gli esploratori o il non aver cure né sospetto, per mezzo del silenzio; o lo star pronti alla battaglia e il loro numero per mezzo del suono della tromba o di qualcuno degli altri segnali. È pur necessario istruire i rematori in quelle cose che è loro comandato di fare dai nocchieri, e tra queste in primo luogo il nuotare, non solo a galla (a. l. mostrandosi) ma anche talora sott'acqua (a. l. sommergendosi): perché un palombaro una tal volta avendo traversato lungo tratto a nuoto giù nel fondo (avendo notato per gran tratto a tondo) e tagliati i cavi delle ancore, le navi dei Persiani, levandosi i venti, sfracellò; e un altro inseguito da una nave nemica, e ora qua sommergendosi, ora altrove da lungi mostrandosi, sfuggì alle mani dei nemici.
V. Come è necessario che lo stratego abbia con sé sempre gli uomini esperti di tutto ciò che riguarda il mare e i suoi paraggi.
Che dunque è assolutamente necessario che lo stratego abbia con sé chi sappia le cose del mare (chi conosca il mare) pel quale e verso il quale navighiamo, è evidente: dico e l'esperienza del mare, come pe' venti si gonfia, e i venti di terra (che spirano dalla terra) e i frangenti, e le secche (e i luoghi senza profondità); e similmente anche la terra presso la quale si naviga, e le isole che le son presso, i porti, gl'intervalli (distanze) dall'una all'altra di queste cose, i paesi, le acque: poiché molti perirono per inesperienza del mare e dei luoghi, come ancora moltissimi per inesperienza delle altre cose. Ed è necessario che essi abbiano sperienza non solo di quel mare, ma anche delle regioni adiacenti; imperocché spesso i venti soffiando disseminano qua e là le navi. È adunque necessario non solo che il capitano abbia di cosiffatti, ma che anche ciascuna delle navi abbia alcuno che queste cose sappia, in modo che chi di tali cose s'intende possa ben consigliarsi di quel che giova; perché spesso sorprendendole la procella, non possono né star collo stratego né andar di conserva. È pur necessario assolutamente che sieno almeno due su ciascuna nave i rematori che possano accomodare i fori e le rotture che per avventura si producano alle navi, e che tutti i rematori sappiano, anche senz'arte, come possano da sé tappare i fori, per mare, colle vesti o le coperte che si trovin fra mano, senza chiamare gli altri da lontano o prima del tempo disperare della salvezza.
VI. Degli esploratori.
Spesse volte ignorando dove mai sieno i nemici, c'incontriamo in loro alla sprovvista (a. l. impreparati); dunque è necessario andando e per terra e per mare, che alcuni dei nostri vadano innanzi per esplorare e annunziare l'apparir dei nemici: e prima significarlo per mezzo di segnali, dipoi anche a voce, tornando indietro prestissimo e dicendo e il luogo nel quale li ànno scorti e, il loro numero. E per mare (è necessario) spedire le più leggere e più rapide delle navi, fornite di remiganti forti massimamente e resistenti anziché coraggiosi; imperocché ànno per ufficio non di combattere, ma di prendere cognizione e riferire a quelli che li ànno mandati. E poiché spesso i nemici, nascostisi presso la costa di un promontorio, o in un fiume, o in un porto, o presso un'isola, dipoi, uscendo di lì prendono la nave che va innanzi (l'avviso); bisogna che queste sieno quattro, due lontane da tutta l'armata circa sei miglia, e nell'intervallo altre due, affinché le seconde avvertite dalle prime per certi segnali convenuti dalle une colle altre, dell'apparire dei nemici, ed anche queste avendo fatto i medesimi (segnali) all'armata, tutti quanti si apparecchino a combattere, come già presenti i nemici. In terra poi è necessario spedire gli uomini massimamente più leggeri e più veloci degli altri. Ed occorre oltre a queste cose, che essi sieno di vista acuta, di buon udito, abili all'esplorazione e al riferimento delle cose vedute o udite, armati soltanto di spade e che sieno parimente quattro; due che vadano innanzi, e dopo costoro due altri, tanto distanti dai primi da poterli vedere o udire, non solo per le tortuosità della regione, ma anche per dover essi correr innanzi di buon tratto sicché fatti (trasmessi) a vicenda da lontano i segnali, e venendoli a conoscere lo stratego, possa questi ordinare quel che giova.
VII. Dei segnali dei quali si servono gli esploratori.
Segnali poi [sono] in mare le tele più bianche agitate, ma principalmente un denso fumo che si sollevi nell'alto; perché l'uno apparisce nelle acque, l'altro nell'aria; e l'uno è breve e basso e però mal si discerne da lontano; l'altro per la grandezza e per l'altezza da lungi apparisce. Se poi abbiano anche il sole alle spalle, si può anche mediante uno specchio, o anche una spada mossa rapidamente, far noto da lungi il ricercato. In terra poi il segnale è la più sonora delle trombe; di questa infatti ci serviremo quando appaia una moltitudine di nemici; perché se costoro sieno pochi, o non s'accorgano della nostra presenza, non è necessario servirsi delle trombe per non essere da queste maggiormente svelati: ma indietreggiando subito riferire. Ancora è segnale non soltanto il suono della tromba, ma anche il tacere di quella; quello indicando la presenza dei nemici, questo lo star senza cura e senza prepararsi.
VIII. Dei segnali di comando (strategici, dello stratego).
Quanto poi ai segnali di comando occorre assolutamente che da' tutti siano capiti che cosa ciascuno di quelli significa, cosicché uno qualunque di essi fattosi sentire, e l'armata avendo distinto che segnale sia, questa faccia agevolmente le cose comandate.
IX. Come bisogna ordinare le navi, essendo in procinto al combattere.
Venendo a dare ammaestramenti della naumachia è necessario dir prima della disposizione, delle navi, la quale veramente è una falange marina. Imperocché come nelle falangi di terra, dal buon ordine dell'esercito più che dalle altre cose ci viene forza superiore, così pure nelle naumachie perché quel ch'è disordinato, è più pronto a sparpagliarsi.
E primieramente è da dire che delle navi da guerra altre sono grandissime, e con molti uomini su, e però più tarde e più sicure delle altre, altre piccole e leggere e di poca ciurma; altre stanno così di mezzo fra le une e le altre di quelle. Occorre delle più grandi servirsi nei combattimenti di mare, e talvolta anche spesso nei laghi ma non già anche pei fiumi: perché per la gravità non possono facilmente condursi a ritroso, e massimamente quando la terra sia occupata dai nemici; ma delle mezzane e delle più corte nulla impedisce di servirsene anche pei fiumi.
Essendo poi per combattere disporremo innanzi alle altre le più grosse e di ciurma più numerosa ordinate fra loro secondo la costa. E [è necessario] che una sia distante tanto dall'altra che non s'impediscano l'una coll'altra il combattimento, né fra loro si urtino; e che l'armatura dei soldati che vi sono su, sia più sicura di quella degli altri: e infatti anche nelle falangi di terra armiamo più fortemente quelli delle prime file, come primi e che sostengono col loro corpo l'assalto. Le altre navi poi [è necessario] che di dietro le seguano, ordinate come quelle della prima fila e non già erranti a caso.
E non conserveremo l'ordine soltanto proprio nel combattimento, ma l'osserveremo invero opportunatamente anche nel muovere, senza la presenza di nemici, poiché anche nei combattimenti di terra ciò facciamo, e il motivo è questo; che gli eserciti dapprima prendendo abito al buon ordine necessario in guerra, l'abbiano al momento opportuno.
Colui poi che guida tutta l'armata è necessario che vada innanzi ad essa tanto da poter vedere tutta la lunghezza della falange, e che la corregga se in qualche cosa erri; e conduca con sé due delle più rapide navi, che portino i suoi comandi; e che egli preceda di un poco trasportandosi dall'una parte e dall'altra, che non [avvenga che], trascorrendo egli stesso ora da una parte della falange, ora dall'altra, spinga l'una all'ordine colla sua presenza, ma venga poi l'altra a disordinarsi quand'egli è passato.
Perocché questa è opera importantissima anche negli esercizi, che lo stratego sempre comandi in modo, quando le navi sono schierate di fianco, da ottenere che stiano assieme, attendendo le altre, quelle che per incuria degli stessi loro capitani si avanzassero troppo e da spingere le troppo lente finché non sono in riga colle altre. Occorre poi che gli apparecchi della battaglia bene prima d'ogni altra cosa lo stratego da sé stesso esamini, e si consigli coi più valenti (a. l. più utili) se abbisogna assolutamente combattere o no.
Ed è necessario a chi sia per deliberare sulla guerra, saper bene la forza nostra e quella degli avversari, e quante navi abbiamo noi e quante gli avversari; indi quante grandi e di molti uomini e quante piccole e di pochi, affinché talora andando, come spesso accade per non saperlo, contro più [di noi] non siamo poi con facilità sconfitti. Indi l'esercito del nemico, se di prima leva, o esperto della guerra; indi l'armamento (la qualità delle armi, le armature), e la disposizione della gente alla imminente battaglia. E veniamo a saper queste cose e dalle nostre spie, e dai disertori, e non credendo a uno qualunque che le dica, ma a molti che dicano il medesimo (concordi).
E paragonando le forze dell'una coll'altra parte (a. l. l'una e l'altra delle forze) e le nostre e quelle degli avversari, se noi superiamo con la (nostra) forza i nemici, combattiamoli, senza disprezzarli per la superiorità della forza, imperocché molti fidatisi nel numero sono stati sconfitti dai meno.
Se poi sono pari le forze, e nella robustezza del corpo e nel valore e nelle armi e in tutto il resto; se i nemici non ci assalgono, che anche noi ce ne stiamo, guardando noi e le cose nostre, ma non assaltiamo loro; se poi ci vengono addosso, oppure depredano il nostro territorio, combattiamoli.
Se poi molto più di noi sono forti i nemici, e gran pericolo sovrasti alle nostre città scansando la battaglia (si dee) piuttosto superare il nemico coll'accorgimento che colla forza, ponendo attenzione così a parecchie altre cose, come ancora all'opportunità e al tempo e al luogo, per le quali spesse volte gl'inferiori superano i più forti.
Il tempo, a seconda del quale assalendo i nemici, abbiamo per alleati i venti, come per lo più avviene quando spirano i venti etesii e terrestri a' luoghi, il mare, posto tra due terre o un fiume, nel quale mare per la sua strettezza la moltitudine dei nemici diventa inutile al combattere; avviene poi questo in tre modi: o fra due isole, o fra un'isola e un continente, o fra due continenti. È possibile poi anche altrimenti superare un numero maggiore dopoché sieno stati divisi in diversi gruppi, sicché non possano soccorrersi gli uni cogli altri. E ciò avviene ogniqualvolta da diversi luoghi, essendosi molto fra loro allontanati, si riuniscano (pervengano a riunirsi); o quando da un sol luogo si volgano verso luoghi diversi, oppur anche altrimenti, (procedendo) per (mare) nemico divisi in gruppi diversi; e alcuni essendo venuti a battaglia prima cogli uni, e poi cogli altri vinsero ambedue. E questo si dice, quando i nemici abbiano forze massime rispetto alle nostre, e vi sieno pericoli per le cose nostre nel rifiutar la battaglia; ma se nessun altro pericolo ci sovrasta a rifiutarla fa mestieri di non combattere. Ed è meglio alla nostra volta rivolgersi contro la terra nemica, sicché i nemici non possano condannarci di viltà perché rifiutiam la battaglia, e noi possiamo rendere, ai nemici, il medesimo danno [che facessero a noi]. E, a volte, essendo accaduto ciò, i nemici, abbandonando il territorio straniero si rivolsero al proprio.
Fatto adunque così in certo modo il paragone dell'una e dell'altra forza, e sostenendo noi la battaglia, è necessario che lo stratego convocati a sé tutti, faccia un discorso d'eccitamento al combattere, denigrando i nemici con argomenti persuasivi e lodando i suoi; oltre a ciò aggiunga che chiunque escito dalla propria fila si rivolga a disertare, quegli subirà i castighi estremi; e se la moglie o i figli o alcun altro sia a casa, sarà cacciato dalle proprie case e dalla propria patria, e andranno ad abitare una terra piena di molti mali.
Allora, dopo queste cose, chi per le donne e pei figli e pei genitori, non si porrà a pericolo, e non preferirà la morte alla vita? Imperocché ciò vuole anche la natura irragionevole; infatti spesso la [fiera] che à figliato, pei suoi nati dà sé stessa nelle mani del cacciatore; ed è orrenda cosa che gli animali irragionevoli pugnino per i loro, e noi ragionevoli trascuriamo i nostri proprii. Indi di nuovo rivolgersi alla minaccia, recando innanzi anche le colpe dei minacciati; come, che per questo è necessario che i disertori, assoggettandoli prima a molti castighi, sien fatti morire piuttosto di fuoco che di ferro: prima, perché non si curarono di Dio e, posero in non cale la propria fede; indi la donna, i figli, i genitori, i fratelli e quelli della medesima fede, e ciò potendo [invece] superar gli avversari.
Occorre poi inoltre, che lo stratego interroghi la moltitudine, se anch'essi sien dello stesso parere, e accordandosi essi collo stratego, e decretando morte contro i disertori, di nuovo lo stratego si rivolga alla lode, dicendo così: io poi so bene che nessuno fra tutti diserterebbe, vedendo il coraggio degli altri; ma anche se alcuno v'è tra voi, che inclini l'animo a disertare, si desterà al medesimo zelo degli altri; e colla preghiera avendo sigillato da ultimo il discorso ecciti a salir sulle navi e a disporsi in ordine di battaglia; e così ordinata tutta la falange secondo il già detto, vada a cercare i nemici.
E già avvicinandosi i nemici, bisogna che lo stratego, trascorrendo innanzi alla fronte della falange, ecciti anche più calorosamente a combattere e desti nei soldati belle speranze; quindi venuto a tergo di tutta l'armata, o che la falange delle navi sia su una sola fila o che su due, spinga le più tarde e le rimetta nella fila rispettiva.
E se veda alquanto esitanti al combattere i soldati; egli prima degli altri un poco uscendo [dalle file], incominci la zuffa coi nemici, avendo con sé di qua e di là le più forti e più piene d'uomini delle navi. Se poi veda i soldati più ardenti (meglio disposti) al combattere, egli verso il mezzo della falange, seguendola, dia nelle trombe e faccia i suoi più coraggiosi, e minacci più paurosamente i più timorosi, e collochi da ciascuna delle due parti della falange alcuni dei più sicuri per tenerla unita. Alle volte anche quelli che sono schierati alla fronte della falange danno indizio di voler disertare, quantunque volte trattengono fermi i remi, o li muovono più lentamente: e talvolta anche quelli che stanno di dietro. Però [è necessario] che lo stratego premurosamente recatosi là, o invece di lui un altro, risvegli i pigri e riordini i disordinati.
Se poi non veda avvenire nulla di tutto ciò, e alcune parti sono sospette di diserzione, a quelle lo stratego abbia l'occhio, ed esplori, e mandi presso di loro alcune delle navi più leggere, minacciando morte immediata se alcuno degli altri combattenti disertasse. E sospetto di diserzione in regione straniera danno quelli disposti verso il mare, e ne' nostri paraggi quelli disposti verso terra.
È poi anche utilissimo determinar prima da uno o anche da ambo i lati della intera falange alcune (navi), che sieno così di mezzo fra le maggiori dei nemici e le loro più leggere, in modo che fuggendo non possano esser prese dalle maggiori, né dalle minori esser oppresse; e esortarle, poiché abbian visto le falangi venire alle mani, a spiegare la falange, e venire a tergo degli avversarii: perocché so bene che i nemici divisi si troveran più deboli al combattimento, pugnando alcuni con quelli d'innanzi, e gli altri volgendesi chi qua chi là contro quelli di dietro, affinché questi non gli combattano alle spalle.
E perché i nemici vedendosi dinnanzi quelli che spiegano la falange, non distendano anche essi contemporaneamente e parallelamente la propria, e impediscano il loro passaggio, occorre che le dette navi non procedano di fronte ai nemici, ma a tergo dei nostri, finché le falangi degli uni e degli altri non siano venute fra loro alle mani; e poiché veggano le falangi azzuffate, anch'essi allora, spiegata la falange vengano alle spalle degli avversari, tenendosi da questi tanto distanti da non poter esser prese dalle più forti delle loro, e si avvicinino massimamente e disturbino coloro che più fervidamente assalgono le nostre. Ed è bene stabilire, innanzi, siffatte navi alle estremità non solo per far danno, ma anche per non riceverne; imperocché affrettandosi i nemici a ciò fare, ed esse alla lor volta spingendosi incontro a loro come destinate innanzi a quest'uopo, daran sicurezza ai proprii. E questa tal cosa avviene, quando abbiamo più navi dei nemici.
Alcuni poi dicono che il muovere dell'armata sia più rapido, per dar coraggio ai nostri e paura agli avversari; alcuni credettero invece più sicuro venire alle mani coi nemici movendosi lentamente; altri anche senza muoversi. A me poi sembra più sicuro regolare l'occorrente, vedendo la disposizione della ciurma al combattere; cioè se vedremo i nostri più timidi alla battaglia, con altissime grida e gran rumore e rapidità contro i nemici farli irrompere; se poi li vediam più esaltati, muoversi piano conservando l'ordinanza; se poi sono scontenti dell'ordinanza di battaglia, in tutto star fermi conservando l'ordinanza e aspettando gli avversari; perché nel muoverci quella guasta. E poiché li veggano venuti più vicini, allora anche essi essendosi mossi più rapidamente, con molto gridare azzuffarsi cogli avversari.
Un modo adunque d'ordinanza di battaglia è questo pel quale, stendendo la falange, veniamo alle mani coi nemici. Talvolta poi anche, curvando la falange diritta, la facciamo falcata; e ciò accade quando vediamo gli avversari più forti e che conservano l'ordinanza, e altrimenti rinunziar la battaglia non possiamo per risparmio dei nostri. Perché allora invero, avendo disposte le molto più sicure alle estremità dello schema (la forma, la figura dell'ordinanza) porremo dopo di quelle le mediocri, e dopo di queste le più deboli, perché è necessario che le navi nemiche si guardino dall'entrare (in mezzo) per non ricever danno, saettate di qua e di là: e la forma (lo schema) non sia troppo profonda, ma assolutamente minore d'un semicerchio, affinché venendo insieme i nemici, contro le estremità della falange, anche quelli di fondo possano subito prevenirli, aiutando i proprii. E questa tal forma di falange non si deve condur da lungi (non bisogna condur per lungo tratto la falange in questa forma), ma (ordinarla) avvicinandosi i nemici: ché i nemici, avendo visto da lungi la forma della falange, non dispongano anch'essi la loro falange secondo che a loro giova, ponendo le [navi] più forti alle estremità, e le più deboli nel mezzo; e ... o separatisi e prendendo il largo, ... oppure... raccogliendosi in due file e l'una facendo venire contro il fondo della nostra, e l'altra seguire, e le estremità della seconda fila azzuffarsi colle estremità [della nostra ordinanza], e le navi di mezzo seguitare le precedenti affinché vedendole quelli che son disposti ai lati della falange falcata non s'uniscano contro quelli dei nemici che procedono, perché non vengano loro alle spalle quelli disposti nella seconda fila.
Perciò dunque ordinandosi alla lor volta per siffatto modo i nemici, non devono le [navi] vicine alle estremità muovere insieme contro quelli dei nemici che precedono, ma aspettare, combattere con quelle, o lasciandole entrare, venire alle spalle dei nemici. Si vuol poi assolutamente fuggire il luogo di dentro (cioè d'esser presi in mezzo) affinché, da quelli di fuori incalzati e ristretti, non solo non divengano più terribili contro di noi le saette dei nemici, ma anche da noi stessi per la ristrettezza ci sfracelliamo.
È possibile anche non solo dalla parte concava della falange falcata, venire alle mani coi nemici; ma anche dalla parte convessa, avendo questa rivolta verso i nemici, non disposta ciascuna nave al medesimo luogo come dicevamo per la falange falcata, ma le più forti e più piene d'uomini fra le navi disposte nel mezzo e le mezzane dopo di quelle e le inferiori alle estremità; affinché primieramente le massime si azzuffino cogli avversarii e le più deboli si conservino in distanza procedendo alle estremità. E occorre anche alle estremità stesse porre a due a due alcune delle più forti a guardia delle più deboli: se poi abbiamo maggior numero di navi che i nemici, il più di quelle porre dietro nel mezzo della falange, affinché primieramente azzuffandosi le maggiori navi cogli avversari, dietro ad esse anche queste procedendo, soccorrano quelle, o quelle che più veggano oppresse delle altre. E si forma anche questo schema, ordinate prima (le navi) in linea retta e poste in mezzo le più grandi e più piene d'uomini, dipoi dopo di loro le mezzane e dopo di queste le più deboli, e così le estremità della falange rimanendo dominate, e le navi di mezzo precedendo, e seguendole anche le altre fino all'estreme, senza oltrepassare il posto che avevano nell'ordinanza spiegata (o rettilinea).
Occorre poi che venendo noi alle prese cogli avversari in quest'ordine facciamo star le navi anche a maggior distanza le une dalle altre, così che l'ordinanza cresca di lunghezza, evitando (che nasca) fittezza nel mezzo dell'ordinanza per l'incalzar dei nemici, e che lo stratego aggirandosi dentro alla falange dia nelle trombe, e faccia i suoi più ardenti, e massimamente dovunque veda la battaglia più fiera. E anche in quest'ordine non bisogna avanzarsi da lungi che non possano i nemici mutar (di posto) le navi a maggior loro prò, mentre incalza il momento di combattere.
Ci serviamo poi di tale ordinanza anche quando vogliamo dividere la falange dei nemici e sconvolgere (o distruggere) la ordinanza loro. E questo ci giova principalmente ogniqualvolta gli avversari si servano della falange falcata sicché, entrando per mezzo a quella la falange convessa, [noi] possiam fare la battaglia nell'ordinanza (cioè, possiamo combattere senza alterar gli ordini nostri) [ciascuna delle] navi disposte in forma convessa, azzuffandosi colle avversarie.
È poi da sapersi che servendosi i nemici della falange falcata e noi dall'opposta, non disporremo più, secondo il già detto le [navi] più cariche d'uomini nel mezzo della falange convessa, e le altre dopo di quelle, ma le più cariche d'uomini contro le più cariche d'uomini e le più deboli contro le più deboli, e le mezzane egualmente contro le simili a loro.
È pur da dire dei luoghi del mare, nei quali dobbiamo combattere; se cioè noi staremo per fare la naumachia mentre costeggiamo la terra nemica, facciamola in alto mare, evitando la battaglia presso la riva: se poi costeggiando la nostra [facciamola] senza esserci molto allontanati da terra, affinché sconfitti e non potendo salvarci per mare, ci rifugiamo a terra. Bisogna adunque per questo motivo anche a quelli che sono in terra, indicare il luogo nel quale disegniamo di combattere; e non ciò soltanto, ma sivvero anche prima navigando lungo il continente, ed informandoci dove mai sieno i nemici, indicarlo ai continentali, e che essi alla lor volta sapute queste medesime cose le accennino all'armata secondo il possibile. Poiché spesso dove sieno i nemici non si può scoprir dall'armata; ma son veduti (o scoperti) da chi è in terra, o al contrario. Alcuni poi condannano affatto la pugna presso terra: e cosa dicono?: Che i gregarii impauriti della battaglia, se ne fuggono a terra; ma io non credo che ciò possa chicchessia osare, se lo stratego osservi le cose dette di sopra.
X. Come debba lo stratego governare l'armata dopo la battaglia.
Combattuta pertanto la battaglia, se saremo stati più forti del nemico, o in tutto o in parte, non bisogna che lo stratego, come avendo vinto i nemici, si governi temerariamente, ma si giovi di quella sicurezza, di cui si era giovato anche prima della battaglia; se poi siamo stati vinti dai nemici, neppure in questo caso disperare, ma andare a raccogliere delle navi rimaste e aspettar l'occasione per una seconda battaglia.