Inf. B. Ezio Durante Vedi il frontespizio d'un'opera alla base della sua rovina

Giulio Cesare Vanini, il cui vero nome sembra essere Lucilio, studia filosofia e teologia a Roma e diritto a Napoli , dove si laurea nel 1606 ; prosegue gli studi di giurisprudenza a Padova e vi prende gli ordini carmelitani. Successivamente è in Svizzera , Olanda , Francia e in Inghilterra dove nel 1612 abiura la fede cattolica, ma nel 1614 è incarcerato per 49 giorni con l’accusa di aver attaccato la Chiesa anglicana .
Ritornato in Italia e al cattolicesimo , è brevemente a Genova ; nel 1615 è a Lione dove pubblica l’Amphitheatrum aeternae Providentiae e l’anno dopo è cappellano del maresciallo di Bassompierre a Parigi. Qui pubblica i dialoghi De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis (I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali); l'opera, inizialmente approvata da due dottori della Sorbona , viene riesaminata, condannata e data alle fiamme. Vanini prudentemente si ritira a Tolosa dove però l’Inquisizione lo raggiunge: arrestato nel novembre 1618 e processato con l'accusa di ateismo , è condannato al taglio della lingua, impiccato e arso.
1563 - Secondo le ricerche dello studioso salentino Giovanni Cosi, la presenza di Giovan Battista Vanini, uomo d’affari d’origine ligure e padre del filosofo, viene segnalata per la prima volta in quest’anno in Terra d’Otranto.
1569 - Si ha la prima notizia che il padre del filosofo Vanini ha eletto a sua dimora il casale salentino di Taurisano.
1573 - Nasce Giovan Francesco Vanini, figlio naturale di Giovan Battista, fratellastro del filosofo, ma mai nominato o riconosciuto come tale da questi e destinato a rimanere a Taurisano e sempre estraneo alla famiglia che Giovan Battista costituirà, sposando una Lopez de Noguera. Giovan Francesco morirà nel 1613 , all’età di 40 anni, senza figli né beni, ma costituendo in Taurisano un’opera pia che tramanderà il nome Vanini sino ai giorni nostri.
1575 - Geronimo Lopez de Noguera, intraprendente mercante spagnolo, già operante in Napoli in società con altri mercanti genovesi, si aggiudica l’incarico di arrendatore delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra d’Otranto, della Capitanata e della Basilicata per un quinquennio ed entra in contatto con Giovan Battista Vanini. 1582 - Nasce il primo figlio legittimo di casa Vanini, Alessandro.
1585 - Giulio Cesare Vanini nasce a Taurisano , casale di Terra d’Otranto, nell’ambito della famiglia che Giovan Battista Vanini ha costituito sposando una Lopez de Noguera. Anche un successivo documento dell’agosto del 1612 scoperto nell’Archivio Segreto Vaticano lo qualificherà come “pugliese”, confermando il luogo di nascita ch’egli si attribuisce nelle sue opere.
1596 - Nel censimento ufficiale della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi del vecchio Giovan Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessuno cenno della moglie e del’altro figlio legittimo, che devono aver abbandonato la Terra d’Otranto ed essersi trasferiti (o essere rientrati) in Napoli.
1603 - Giovan Battista Vanini viene segnalato per l’ultima volta a Taurisano. Si ha motivo di ritenere che dopo questa data anch’egli sia rientrato a Napoli .
1606 - Giulio Cesare consegue a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando in giugno l’esame per essere iscritto nell’Almo Collegio dei Dottori che gli consentiva di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in documenti posteriori, egli ha assimilato una grande cultura, “parla assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po’ magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gli occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa”.
1606 - In questo stesso anno probabilmente il padre del filosofo muore a Napoli. Giulio Cesare Vanini, divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan Battista e tutore del fratello Alessandro.
1606 - Con una serie di rogiti e procure notarili redatte in Napoli , a partire da quell’anno, Giulio Cesare Vanini inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre: vende una casa di sua proprietà sita in Ugento , a pochi chilometri dal suo paese d’origine; dà mandato ad uno zio materno di assolvere incarichi dello stesso tipo (1607); incarica l’amico Scarciglia di recupergli una somma (1608 ); vende allo stesso Scarciglia alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia da due fratelli di questo casale, risultati effettivamente residenti in questa località (maggio 1608 ).
1608 - Sistemata ogni pendenza economica con tali atti notarili in Napoli , forse in pari data entra nell’ordine carmelitano, assume il nome di fra’ Gabriele e si trasferisce a Padova per intraprendere gli studi di Sacra Teologia presso quell’università. Giunge nelle terre della Repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall’Interdetto del papa Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da Paolo Sarpi, che alimenta le operazioni di controversia religiosa antipapale, appoggiandosi all’ambasciata inglese a Venezia.
1611 - Partecipa, su incarico della Signoria, in qualità di “lettore”, alle prediche quaresimali nella Basilica di San Marco , attirandosi i sospetti delle autorità religiose ed infine la condanna a rientrare al sud da parte dei suoi superiori.
1612 - In gennaio , in conseguenza di questi suoi atteggiamenti antipapali, viene allontanato dal convento di Padova e rinviato al Provinciale di Terra del Lavoro con sentenza del generale dell’Ordine Carmelitano, Enrico Silvio, in attesa di ulteriori interventi disciplinari.
1612 - Per evitare i provvedimenti disciplinari presi contro di lui, viene aiutato a fuggire in Inghilterra, insieme con il confratello genovese Bonaventura Genocchi. Il viaggio si compie toccando Bologna, Milano, i Grigioni svizzeri e discendendo il corso del Reno sino alla costa del Mar del Nord; attraversando la Germania, l’Olanda, il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth, sede arcivescovile del Primate d’Inghilterra. Quivi i due frati rimarranno per quasi due anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, George Abbot, li conosceva sotto un nome diverso da quello reale.
1612 - In luglio, nella Chiesa londinese detta “dei Merciai” o “degli Italiani”, alla presenza di un folto auditorio e del filosofo Francesco Bacone, Vanini e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica e abbracciano la religione anglicana.
1612 - In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti di provenienza. Infatti già nel giugno dello stesso anno Genocchi viene raggiunto da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, Gregorio Spinola.
1612 - A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. All’inizio di agosto è il nunzio a Parigi ad avvertire la Segreteria di Stato vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra “e si sono fatti ugonotti”, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso Paolo Sarpi, morto il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, era sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti.
1612 - Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale Borghese a Roma.
1612 - Il cardinale Borghese risponde ai due dispacci dei nunzi, mostrandosi già al corrente dei fatti e dell’esatta identità dei due frati. Si intuisce che è conscio della gravità dell’episodio: la fuga di Vanini, di Genocchi, di Paolo Sarpi e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al Papato già operante nella Repubblica Veneta al tempo dell’Interdetto.
1612 - Nei mesi seguenti il nunzio Ubaldini da Parigi continua ad inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell’arrivo del vescovo italiano.
1612 - La Segreteria di Stato esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l’identità del vescovo intenzionato a rifugiarvisi.
1612 - In ottobre il cardinale Ubaldini da Parigi assicura alla Segreteria di Stato tutto il suo impegno in merito all’argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale Arrigoni, che gli ha scritto in merito per conto del Papa e della Congregazione del Sant’Uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell’Inquisizione Romana.
1612 - Altra lettera preoccupata del cardinale Borghese al nunzio in Francia: sia vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, si faccia di tutto per “farlo ritenere”, come suggerisce il Papa e come “sarebbe molto a proposito".
1612 - In dicembre il Nunzio Ubaldini invia da Parigi al cardinale Borghese notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto a prima sui due frati , attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla Chiesa di Roma.Questa lettera viene poi passata al tribunale dell’Inquisizione romana , i cui membri ne discutono nei primi giorni del gennaio successivo, iniziando di fatto il processo a Vanini.
1613 - In marzo Genocchi pubblica in Inghilterra, sotto falso nome, un epitalamio in latino per celebrare le nozze della figlia di Giacomo I con il conte Palatino dal titolo [[De auspicatissimis nuptiis Illustrissimi Principis D.[omin]i Friderici … cum Illustrissima principe D.[omina] Elizabetha serenissimi Magnae Britanniae … Regis filia unigenita…]]. Il poemetto del Genocchi contiene, sotto una fiabesca costruzione biblico-mitologica, l’usuale polemica nei confronti dei Gesuiti e di certe iniziative politiche del pontefice; riprende le accuse (largamente diffuse nei paesi protestanti) che questi con la sua intransigenza e con la istituzione dei dogmi ha frantumato l’unità dei cristiani, si è allontanato dalla via tracciata dai Vangeli, è diventato lo strumento del Demonio, che, sconfitto da Cristo nella lotta per il dominio della Terra, ha meditato la propria rivincita e, suo tramite, la sta realizzando distruggendo la vera Religione. Ma essa, con l’aiuto di Dio che si avvarrà della famiglia reale inglese come Suo strumento, instaurerà nuovamente sulla Terra il Suo ordine e la vera Fede risorgerà. Così, riprendendo un’opinione largamente diffusa negli ambienti anglo-veneti, la chiesa anglicana viene riproposta come Chiesa ideale, l’unica che abbia saputo contemperare i contenuti del messaggio evangelico con l’esigenza di darsi una struttura degna di operare all’interno di una società moderna. Il poemetto contiene, quindi, un feroce attacco alla Chiesa di Roma e un chiaro tentativo di ingraziarsi i nuovi protettori anglicani; ma ciò non impedirà né ostacolerà il successivo, indolore ritorno del carmelitano nel mondo cattolico.
1613 - Nei mesi successivi si hanno però varie notizie di un gran trafficare di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l’ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il rientro nel Cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono un’attenta sorveglianza nei confronti dei due frati.
1614 - Nel periodo a cavallo tra la fine del 1613 e l’inizio del 1614 Vanini si reca in visita all’università di Cambridge e poi ad Oxford; qui confida incautamente ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall’Inghilterra.
1614 - In gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell’arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa “degli Italiani ” e rinchiusi al sicuro in case di alcuni servi dell’arcivescovo stesso. Scoppia un grande scandalo e dell’episodio vengono informati il re e le massime autorità dello Stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.
1614 - In febbraio Genocchi, eludendo la sorveglianza e con l’aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall’Inghilterra. In conseguenza di ciò, Vanini viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso in una delle celle sistemate nelle torri dell’ingresso principale del palazzo di Lambeth. Dilaga lo scandalo; volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due frati dall’Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del cappellano dell’ambasciatore veneto a Londra, Girolamo Moravo, e dell’ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso “recupero”. Dalla Curia romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo.
1614 - A Londra viene istruito il processo a Vanini: il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri della fede (come il carmelitano scriverà con enfasi poi nelle sue opere), ma una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l’arcivescovo Abbot suggerisce al re.
1614 - Tra il 10 e il 16 di marzo anche Vanini riesce a scappare di prigione e a fuggire dall’Inghilterra, sempre grazie all’aiuto dei soliti agenti dell’ambasciatore spagnolo a Londra (incoraggiato da alte personalità romane) e del cappellano dell’ambasciata della Repubblica Veneta, che si avvale dell’opera di alcuni servi dell’ambasciatore stesso, ma all’insaputa di questi. Due anni dopo, questo episodio diventerà motivo di processo della Repubblica Veneta contro l’ambasciatore Foscarini, nel corso del quale verranno alla luce tutti i dettagli e le complicità della fuga di Vanini da Londra.
1614 - In aprile Vanini e Genocchi arrivano a Bruxelles e si presentano al Nunzio di Fiandra, Guido Bentivoglio, che li attende da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in Inghilterra e per l’apostasia della religione e viene loro accordato di tornare in Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l’abito religioso, ma con il vincolo dell’obbedienza al loro superiore.
1614 - Forti di tali concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono presentarsi al Nunzio di quella città, Roberto Ubaldini. All’incirca nello stesso periodo giunge a Parigi anche l’ultimo frate “recuperato” dall’Inghilterra, fra’ Nicolò da Ferrara, al secolo Camillo Marchetti. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità cattoliche.
1614 - A Parigi, in estate, durante la permanenza presso la sede del Nunzio Ubaldini, Vanini si inserisce nella polemica relativa all’accettazione dei principi del Concilio di Trento in Francia, che tardava ad arrivare per il rifiuto di parte del clero gallicano; e per orientare gli animi nella direzione voluta dalla Santa Sede, egli scrive i Commentari in difesa del Concilio di Trento, di cui egli poi intende avvalersi (come scrive Ubaldini ai suoi superiori in Roma) per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede cattolica. Riprende quindi la strada per l’Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale dell’Inquisizione.
1614 - Sulla via del ritorno in Italia, dimora per qualche mese a Genova, vi ritrova l’amico Genocchi e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di Scipione Doria.
1615 - Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. In gennaio Genocchi viene inaspettatamente arrestato dall’Inquisitore di Genova; a Ferrara accade lo stesso all’altro frate “recuperato”, Marchetti. Vanini teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gli esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrarese (che vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita religiosa) dimostrano che forseVanini ha esagerato il pericolo insito in queste operazioni di polizia dell’Inquisitore e che se avesse continuato il viaggio di ritorno a Roma e completato il suo percorso di espiazione presso il tribunale dell’Inquisizione, la sua vita avrebbe avuto ben altra conclusione. Durante questo viaggio a Lione, probabilmente gli è compagno il poeta napoletano Giambattista Marino, anch’egli ricercato dall’Inquisitore di Torino, ma che gode e godrà anche in seguito di ben più robusti appoggi per sfuggire ai suoi rigori. I due italiani certamente furono insieme a Lione nella primavera del 1615.
1615 - A Lione, in giugno, Vanini pubblica l’Amphitheatrum, che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un dispaccio di Ubaldini alle autorità romane. Esso è dedicato a Francesco de Castro, ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, già collegato con la famiglia Vanini, da cui il frate fuggiasco s’aspetta un aiuto nell’operazione della concessione del perdono da parte delle autorità romane.
1615 - Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, Vanini ritorna a Parigi e si ripresenta al Nunzio Ubaldini, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. In agosto il prelato scrive al cardinale Borghese, in un certo senso intercedendo in suo favore e chiedendo chiare indicazioni sulla sorte dell’ex-carmelitano. La risposta del Segretario di Stato non è stata ancora rinvenuta ed è oggetto di ricerca. Vanini, comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese.
1616 - Dopo quella data, in pochi mesi, Vanini completa un’altra sua opera, il De Admirandis arcanis, ed il 20 maggio l’affida a due teologi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia.
1616 - In settembre, a Parigi, Vanini pubblica questa sua opera, De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis. Essa è dedicata a François de Bassompierre, uomo potente alla corte di Maria de’ Medici, ma è stampata da Adrien Perier, tipografo notoriamente protestante. Il lavoro vede la luce in un ambiente che è ricco di pubblicazioni blasfeme o che vengono guardate con sospetto dai rappresentanti religiosi e che a stento l’autorità dello stato riesce a frenare, pur infliggendo attraverso i suoi magistrati punizioni esemplari e molto dure e alcune condanne al rogo. Tuttavia esso ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di giovani spiriti che mal sopportano alcune vecchie regole e lezioni dell’establishment e che guardano invece con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall’Italia. In questo senso il De Admirandis costituisce una meravigliosa summa, peraltro esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere; dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà francese; diviene una specie di "manifesto" culturale di questi esprits forts e rappresenta per Vanini una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi.
1616 - Ma proprio per questo cominciano per Vanini le difficoltà. A pochi giorni di distanza dall’uscita dell’opera dalla stampa, i due teologi della Sorbona che avevano espresso la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della Facoltà di Teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a suo tempo, certi dialoghi scritti da Vanini; di non avervi trovato allora niente che contrastasse con la fede cattolica; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circolava invece un testo dell’opera diverso da quello approvato e contenente “alcuni errori contro la comune fede di tutti”, per cui i due dottori avanzano supplica che l’opera non circoli più con la loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle Conclusioni della Facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta.
1616 - La Facoltà di Teologia della Sorbona, però, sembra non occuparsi più dell’opera di Vanini, non prenderne più in esame l’opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi, gli errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore. Così parla, per esempio, un attento esame delle “censure” e delle “conclusioni” comminate dalla Facoltà sino al 1632 (che pur prevede la condanna dell’Amphitheatrum Aeternae Sapientiae, etc., di Kunvath e della De Republica Ecclesiastica di Marc’Antonio de Dominis), contenute nell’opera Collectio Judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, usque ad annum 1632, in Ecclesia prosrcipti sunt et notati, etc., opera et studio Caroli Duplessis d’Argentré, Sorbonici Doctoris et Episcopi Tutelensis. Tomus Secundus … Lutetiae Parisiorum, 1728, il cui autore, dottore della Sorbona e vescovo, si mostra informato sull’argomento e non menziona provvedimenti di qualsiasi natura contro Vanini; e non vi si rinvengono Arrêts du Parlement di eguale genere. Questo porterebbe a pensare che non vi furono atti ufficiali specifici di persecuzione contro Vanini da parte delle autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti, ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori cattolici. E’ comunque da tenere in considerazione il fatto che una netta condanna contro l’opera di Vanini nella sua interezza non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da Vanini nella sua pubblicazione non costituivano una novità assoluta per la cultura francese e molte delle opere e degli autori che tradizionalmente il mondo della critica ha trovato alla base della sua opera erano da tempo presenti sul mercato francese .
1616 - Fuggito da pochi mesi dall’Inghilterra, impossibilitato a rientrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, Vanini vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è abate commendatario il suo amico e protettore, Arthur d’Espinay Saint-Luc.
1617 - Anche altri fattori di preoccupazione per lui intervengono. In aprile viene ucciso a Parigi Concino Concini, grande favorito di Maria de Medici ed uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L’episodio, seguito poco dopo dall’allontanamento della regina dalla capitale con il suo odiato seguito di Italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degli Italiani residenti a corte.
1617 - Nei mesi seguenti, altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall’incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della Guyenne e poi della Languedoc ed infine a Toulouse. Nella particolare suddivisione politica della Francia del XVII secolo, Enrico duca di Montmorency, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa italiana Maria Felice Orsini, è governatore di questa regione e sembra poter accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi prudentemente nascosto.
1618 - La presenza a Toulouse di questo misterioso personaggio, di cui si ignorano la provenienza ed il background culturale, ma che fa mostra di grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente tra i giovani e di affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo.
1618 - Dopo averlo ricercato per un mese, il 2 di agosto le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di religione e di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire.
1619 - Il 9 febbraio il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, Vanini muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi Gilles Fremond e Jean Fontanier. Una morte assurda e sicuramente immeritata, perché il pensatore non è colpevole del delitto contestatogli in tribunale, ma rimane vittima di una vita spericolata vissuta senza i necessari supporti “politici” ai suoi comportamenti, tanto lontani dai canoni culturali del tempo.
1620 - Solo a pena eseguita ed a distanza di molti mesi, nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto Giulio Cesare Vanini, l’autore del De Admirandis, che aveva suscitato i sospetti di alcuni settori cattolici parigini nel 1616. Perciò non si può affermare che il filosofo salentino sia stato mandato al rogo per le idee espresse nelle sue opere, anche se tardivamente l’arcivescovado di Tolosa tenta a posteriori di fornire elementi di sostegno ad un processo e ad una sentenza che anche sulla base delle leggi di quel tempo resta un sopruso giuridico. 1620 - In luglio Joannes de Rudele, teologo e vicario generale dell’arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due opere di Vanini insieme con il padre Claudio Billy e di averle trovate contrarie al culto e all’accettazione del vero Dio e assertrici dell’ateismo, per cui emette ufficiale ordinanza di condanna e ne proibisce la vendita o la stampa, ma solo nel territorio posto sotto la sua giurisdizione, la diocesi di Tolosa. In precedenza, la Facoltà teologica della Sorbona non aveva comunicato di aver adottato analogo provvedimento.
1623 - Appaiono due opere che consacrano il mito del Vanini ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps..., etc. , del gesuita François Garasse e le Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione..., etc. , del padre Marin Mersenne. Le due opere, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che evidentemente era pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle affermazioni.
1623 - Il nome di Vanini viene nuovamente proiettato all’attenzione della cultura francese in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro il poeta Théophile de Viau : il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del Re, Mathieu Molé, predispone con ben articolati capi d’accusa su cui interrogare il poeta, contiene impressionanti analogie con il pensiero vaniniano, cui vien fatto esplicito riferimento.
1624 - Il frate Mersenne torna a martellare sulla figura e sul pensiero di Vanini, analizzandone alcune affermazioni nel capitolo X° del suo L’Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la Theologie , “nel quale il teologo porta il suo giudizio concernente le opere di Cardano, e di Giordano Bruno”.
Sec. XVII - La leggenda “nera” creata intorno alla figura di Vanini sopravvive al passare del tempo, si espande in altri paesi europei ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alle sue opere e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per la figura ed il pensiero del filosofo di Taurisano ed è soprattutto con l’opera di Charles Blount che il pensiero di Vanini entra nella cultura inglese ed acquista una dimensione europea che non abbandonerà mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo nel Seicento inglese.
Sec. XVIII - Un manoscritto inedito della Biblioteca Municipale di Avignon custodisce delle Observations sur Lucilio Vanini redatte da Joseph Louis Dominique de Cambis, Marquis de Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. In questo stesso periodo viene effettuata una copia manoscritta dell’Amphitheatrum , ad opera o su commissione di Joseph Uriot, il quale la trasferisce poi nella Biblioteca Ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un’altra copia manoscritta della stessa opera si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse della cultura tedesca per il pensiero di Vanini.
1730 - In quest’anno viene data alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo: The life of Lucilio (alias Julius Caesar) Vanini, burnt for atheism at Toulouse. With an abstract of his writings . L’opera, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana francese e quindi con i soliti errori d’origine, sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di Vanini e del suo pensiero è ormai aperta.
Amphitheatrum aeternae Providentiae.
L’ fu pubblicato a Lione nel 1615 nel corso degli eventi che accompagnarono il ritorno del carmelitano salentino nell’ambito della fede cattolica dopo la sua fuga da Venezia e i due anni trascorsi tra gli Anglicani d’Inghilterra. L’opera è stata spesso presentata o interpretata come espressione dello spirito libertino che pervadeva la cultura del carmelitano salentino, nonché di quel suo astio abilmente mascherato nei confronti delle autorità cattoliche e basato su quegli strumenti di dissimulazione che Rosario Villari vede alla base della lotta politica nel Seicento e di cui accredita anche Vanini. Ma l’esame del contesto storico in cui il testo nacque, delle ragioni che portarono alla sua pubblicazione e degli obiettivi fissati dal suo autore ci dicono che la vera ragione della pubblicazione dell’opera va ricercata nelle esigenze vaniniane del momento: dare valore alla propria riconversione al cattolicesimo e fornire agli Inquisitori romani, al di là delle confessioni rivolte in privato, la prova pubblica della volontà del postulante; dare forza alla propria richiesta di rientrare nel mondo cattolico, in quel momento ancora in sospeso presso le autorità romane, con una prova manifesta della sua sincerità, mediante la pubblicazione di un lavoro apologetico in difesa della fede cattolica. L’Amphitheatrum Aeternae Providentiae si compone di 50 esercitazioni, che mirano a dimostrare l’esistenza di Dio, a definirne l’essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Diagora, di Protagora, di Cicerone, di Boezio, di S. Tommaso, degli Epicurei, di Aristotele, di Averroè, di Cardano, dei Peripatetici, degli Stoici, ecc., su questo argomento.
Il De Admirandis Naturae reginae deaeque mortalium arcanis libri quattuor stampato a Parigi nel 1616 presso l’editore Adriano Périer, si divide in quattro libri: un Liber Primus De Coelo et Aëre;
un Liber Secundus De Aqua et Terra;
un Liber Tertius De Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam;
un Liber Quartus De Religione Ethnicorum;
per un totale di 60 dialoghi (ma in realtà solo 59, in quanto il XXXV manca), che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po’ complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l’amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all’interno dell’uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull’arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell’aria; sull’impulsione delle bombarde e delle balestre; sull’aria soffiata e ventilata; sull’aria corrotta; sull’elemento dell’acqua; sulla nascita dei fiumi; sull’incremento del Nilo; sull’eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l’alimento e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni; sul seme genitale; sulla generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione dell’uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell’utero; sulla generazione del maschio e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita dell’uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull’udito; sull’odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell’uomo; su Dio; sulle apparizioni nell’aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni.
L’interpretazione naturalistica dei fenomeni soprannaturali che Pietro Pomponazzi - chiamato dal Vanini magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi Philosophorum princeps - aveva dato nel De incantationibus, “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante, Vanini fa riferimento anche al Cardano , allo Scaligero e ad altri cinquecentisti. “Dio agisce sugli esseri sublunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento”; di qui l’origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni soprannaturali, dal momento che anche l’astrologia è considerata una scienza; “l’Essere Supremo, quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma” (De admirandis, IV, 52). Ma fondamenti dei presunti fenomeni sovrannaturali sono anche la fantasia umana, capace a volte di modificare l’apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè , Gesù , Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegnava già Machiavelli .
Seguendo ancora il Pomponazzi e la sua interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia , nega l’immortalità dell’anima. Il Vanini, secondo quanto risulta dalle sue opere, non si mostra propriamente ateo: nega la validità delle religioni rivelate ma accetta Dio come essere assoluto e considera la natura come sua manifestazione; la sua concezione filosofica si apparenta dunque al libertinismo e al naturalismo panteistico.
Bibliografia
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