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IL PESCATO E IL SUO POSTO DI RILIEVO NELLA GASTRONOMIA ROMANA = VEDI QUI IL MENU' DI UN ROMANO ED IMPERIALE "RISTORANTE"

Nel 1959 durante i lavori per la costruzione dell'Aereoporto Internazionale di Fiumicino nell'area occupata, in epoca antica, dal bacino portuale costruito nel 42 d.C. dall'imperatore Claudio nenne individuato l'unico reperto noto di NAVE DA PESCA ROMANA poi classificato come reperto FIUMICINO 5.
Lo scafo venne recuperato nel 1961 e, in seguito agli interventi di conservazione con una miscela di resine, nel 1979 fu esposto nel Museo delle Navi Romane , Roma loc. Fiumicino Aeroporto, via Guidoni, 36.
L'imbarcazione è conservata per buona parte dell'opera viva sia a babordo che a tribordo e misura 5,20 m di lunghezza, 50/55 di altezza e 1,50 m di larghezza sulla sezione maestra.
La chiglia
A proposito dei diversi elementi strutturali del relitto, il sistema della chiglia è costituito da tre elementi.
Il troncone centrale, che è di restauro moderno, è collegato ai brioni di poppa e di prua mediante calettature a palella e denti.
Altre calettature dovevano essere presenti alle estremità dei brioni per il collegamento con le ruote, non conservate.
I brioni hanno una sezione rettangolare su cui è stata praticata una battura per l'incasso del torello e delle altre tavole del fasciame.
Queste tavole sono fissate da chiodi in rame e da caviglie lignee.
Il fasciame
Il fasciame è di tipo semplice collegato a paro ed è composto da 6 corsi di fasciame a babordo e 7 a tribordo.
Il torello, costituito da un'unica tavola sia a tribordo che a babordo, è largo 14 cm e spesso circa 2 cm. Il collegamento con la chiglia è effettuato da linguette bloccate da spinotti.
Le altre tavole del fasciame presentano larghezze comprese tra 7,5 e 22 cm, mentre lo spessore varia tra 1,8 e 2,3 cm.
I corsi sono collegati per mezzo di linguette tenute ferme da spinotti distanti, in media, 27.7 cm. Le mortase sono rastremate verso il fondo (larghe 6 cm e spesse 0,5/0,6 cm), mentre i tenoni sono leggermente più piccoli.
Le tavole sono prolungate longitudinalmente mediante collegamenti a Z.
Le ordinate
L'imbarcazione conserva al suo interno 18 ordinate collegate al fasciame per mezzo di caviglie lignee (0.9/1 cm di diametro). L'alternanza tra madieri e semiordiante non è rispettata e la distanza tra ordinate misura, in media, 14 cm.
Il pozzetto per il pesce
Fiumicino 5 è caratterizzata dalla presenza di un pozzetto per il pesce posizionato al centro dell'imbarcazione. Si tratta di un acquario-vivaio per conservare il pesce fresco.
Il pozzetto, di forma troncopiramidale a base quadrata di 1 m di lato, è costituito da tavole piuttosto spesse (5 cm) collegate da tenoni. Gli angoli sono rinforzati da chiodi in ferro.
I longheroni trasversali sono sagomati inferiormente in modo da adattarsi perfettamente alla curvatura del fondo dello scafo e sono collegati al fasciame mediante chiodi in rame infissi dall'esterno.
Gli elementi superiori presentano degli incassi angolari per poter fissare un coperchio in legno (non conservato). Sul fondo dello scafo sono presenti 19 fori (diametro 2,5/3 cm), alcuni ancora muniti di tappi in legno, per permettere di riempire il contenitore con acqua fresca.
Le essenze del legno
La chiglia e i brioni di poppa e di prua sono di quercia (Quercus sp.), il fasciame di cipresso (Cupressus sempervirens), abete rosso (Picea sp.), pino domestico (Pinus pinea) mentre le ordinate sono state costruite con ginepro (Juniperus), pino domestico (Pinus pinea), cipresso (Cupressus sempervirens) e quercia (Quercus sp.). Un tenone è risultato di leccio (Quercus ilex) mentre uno spinotto di bloccaggio è in cipresso. L'olivo (Olea europaea) è stato utilizzato per collegare il fasciame alle ordinate.
Nel pozzetto per il pesce troviamo il pino domestico, il cipresso, la quercia e l'olmo (Ulmus sp.).
Interpretazione dei resti dello scafo
La datazione di Fiumicino 5 è ancora incerta.
Il risultato dell'analisi al Carbonio 14 ha fornito una cronologia compresa tra il 92 a.C. e l'8 d.C., mentre il materiale associato, più tardo, risale al II sec. d.C.
Il principio di costruzione di Fiumicino 5 è a guscio portante a causa dell'omogeneità degli assemblaggi a mortase e tenoni, la debolezza del sistema delle ordinate e l'assenza di collegamento di questi elementi con la chiglia.
Il sistema di propulsione dell'imbarcazione era costituito da remi.






















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DA LA PIAZZA UNIVERSALE DI TUTTE LE PROFESSIONI DEL MONDO
OPERA DI TOMASO GARZONI
DISCORSO LIX
DE' CACCIATORI DA FIERE, UCCELLATORI, E PESCATORI
Della caccia da fiere e animali terrestri si dice gli inventori essere stati i Tebani, nazione famosa per inganni, per rubberie e per giuramenti falsi, vituperosa per uccisione di padri e per congiongimenti disonesti tra parenti;dai quali passaron le regole di questo essercizio ai Frigi, gente non meno impudica, ma più sciocca e vana, i quali perciò furono poco stimati dagli Ateniesi e daI lacedemoni, popoli di loro più gravi.
Nondimeno più anticamente si legge avervi atteso fin dal principio del mondo Cain, Lamech, Nembrot, Ismael ed Esaù, quali tutti, per testimonio delle Sacre Scritture, furon robusti cacciatori.
Questa professione è da molte parti notata come di vana fatica, di studio inutile, di piacere infelice e tragico, di crudeltà iniqua, d'essercizio da uomini pessimi, perché nell'Antico testamento non si legge ch'alcuni attendessero alla caccia, se non gli Ismaeliti, gli Idumei e le genti che non conobbero Dio.
E fin nelle istorie pagane non si truova ch'alcun uomo santo e savio, né filosofo fosse cacciatore, ma sì ben molti pastori, e alcuni pochi pescatori.
E san Ieronimo sopra il salmo ottogesimosecondo, il cui detto è allegato capitulo "Esau" alla distinzione ottagesima sesta dice espressamente: "Non invenimus in Scripturis sanctis sanctum aliquem venatorem, piscatores invenimus Sanctos".
Il qual detto isponne Giovanni di Turrecremata intendersi del Vecchio testamento, per cagione della istoria d'Eustachio e Uberto santi, che furono con tutto questo cacciatori.
E Augustino dice che quest'arte è la più malvagia di tutte l'altre; e i scari concilii l'Ebilitano e quello d'Oriliens la proibirono e la dannarono nel clero.
E ne' sacri canoni non pur è vietato ai cacciatori che non possano ascendere agli ordini sacri, ma se gli sospende anco il grado del sacerdozio ch'avessero già ottenuto.
Da questo procede la tirannide de' signori, perché gli animali, che per lor natura sono liberi e che secondo la ragione devrebbono esser di chi li prende, con espressa tirannide, talora per temerarie gride [i decreti], son usurpati da loro.
Quindi i lavoratori son cacciati dai suoi poderi, a' contadini son tolte le possessioni, e i campi a' lavoratori, chiudonsi i boschi e i prati a' pastori, per aumentare i pascoli alle fiere, affine d'ingrassare e dar piacere ai nobili, ai quali solo è lecito mangiarle.
Delle quali, se contadino alcuno o lavoratore punto ne assaggiarà, come s'egli avesse offeso la maestà del prencipe, insieme con le fiere è fatto preda dal cacciatore, anzi qual bestia è impiccato o scannato dal prencipe, come Valerio Massimo nel sesto libro, al titolo De severitate [in Catalogus, XI, 50 (An sit licita venatio) in Fact. dict. memor., VI, 3, 5)] nota di Domizio [forse Lucio Domizio Aenobarbo, pretore nel 58 a. C.], pretore romano in Sicilia, qual fece crucifiggere un pastore ch'aveva preso un cinghiaro, con tutto ch'egli n'avesse fatto un presente a lui.
Però Giovanni de Platea e Guglielmo di benedetto, famosi giureconsulti, tengono che ragionevolmente si proibisca ai contadini la caccia, acciò che questo essercizio non gli impedisca da lavorare i campi che tornano a beneficio del publico.
E per questa ragione forse è inibita in Francia a' contadini e persone ignobili, che in mestieri più utili hanno bisogno d'essercitarsi.
Ludovico Secondo (come riferisce Gaugino nel libro decimo delle sue Istorie) nel principio del suo regno proibì quasi affatto ogni consuetudine di caccia, riservandosi, a lui la licenza; come anco in Italia molti de' nostri prencipi son soliti a far l'inibizioni e certe riservate di luoghi particolari, le quali se siano o giuste o ingiuste dichiara l'Armila [sotto voce venatio dell'opera scritta da B. Fumo sotto titolo de Summa aurea quae armilla inscribitur ed edita a Venezia dai "Figli di Aldo" nel 1554], non ben liberamente che chiaramente.
Oltra di ciò danno gran nota alla caccia i danni che si fanno ai campi, ai frutti delle vigne, alle piante novelle, ai seminati; così le spese inutili e superflue di tanti cani che s'allevano per questo essercizio tumultuoso e superbo; onde i cacciatori consummano la robba e divengono, a guisa d'Ateone, stracciati dalle fiere; si perde grandissimo tempo; e s'incorre nel pericolo di morte spesse fiate, come più volte incorse Adriano imperatore, secondo il testimonio di Dione.
ma sopra tutte le cose questo essercizio sta malissimo nelle donne, per essere una occasione evidente di ritirarsi all'opere lascive, come fecero Didone ed Enea (presso a Virgilio nel libro quarto) e Dafne e Leucippo presso Partenio negli Erotici.
I re de' Persi (come scrive senofonte nel primo libro dellaPedia) l'ebbero già in pregio, come vera meditazione delle cose della guerra, imperò che la cacciagione ha in sé un certo che di battaglia, mentre che la fiera esposta ai rapaci cani, col sangue sparso e le viscere stracciate, è riportata come in trionfo a casa, con suoni di cordi e ululati di di cani, dalla grossa comitiva de' cacciatori.
Mitridate (fra gli altri) re del Ponto, fu tanto vago di questo mestiero che stette sette anni alla campagna, senza mai posar sott'alcun tetto, per attender solamente a cacciar fiere.
Ma io domando a colui che scrive questo: chi aveva fra tanto cura e governo del regno?
Domiziano imperatore v'attese ardentemente; Elimo e Panope, compagni d'Aceste, re di Sicilia, son descritti sommi cacciatori da Virgilio nel quinto libro della Eneide, in quei versi:
Tum duo trinacrii iuvenes, Helymus Panopesque
Assueti selvis, comites senioris Acestae
.
Cefalo, marito di procride, è celebrato per cacciatore da Ovidio nella epistola di Fedra, ove dice:
Clarus erat Cephalus silvis, multaeque per herbam
Conciderant illo percutiente ferae
.
Ippolito, figliuol di Teseo, è posto nel numero de' cacciatori da Seneca nelle tragedie; Endimione da valerio Flacco, nell'ottavo libro della sua Argonautica; il bellissimo Adone da Ovidio; il gentil Cloridano dall'Ariosto; e le belle cacciatrici antiche - procri, Atalanta, callisto, figlia di Licaone re d'Arcadia, Diana, Aretusa, Amimone figliuola di Danao, Ippe, figliuola di Chirone centauro - son da' poeti sommamente celebrate.
Così anco i cani da caccia, come Vertago, presso a Marziale, di cui si dice:
Non sibi, sed domino venatur Vertagus acer
Illaesum leporem qui tibi dente feret
;
Melampo, cane d'Ateone, da Ovidio nel terzo delle Metamorfosi; Volante da strozza padre in quei versi:
Ille pedum cursu praestans, animoque Volantes
Occubuit trucibus pestis acerba feris
;
Licisca, da palladio Sorano, in quel verso:
Non lepus intrepidum fugat ore Lyciscam.
Particiolarmente Giulio Polluce, nel quinto libro dell'Onomasticon, essorta commodo imperatore alla caccia, come a studio eroico, utile al corpo, dilettevole all'animo, induttivo all'audacia, e dispositivo alla gagliardezza militare.
Appresso Omero si descrivono i gioveni intenti alla caccia per cagione di divenir più sani, più robusti e più pazienti alle fatiche, essendo vero quel che dice Orazio nel primo libro de' suoi Carmi che:
manet sub Iove frigido
Venator tenerae coniugis immemor
.
E Filone Ebreo, nel libro della Vita di Mosè, dice che la caccia è una strada, anzi un principio vero della milizia; il che anco afferma Cicerone nel secondo libro De natura deorum.
A questa attese per diletto e ristoro dell'animo qualche volta marco Antonio imperatore, come scrive Giulio Capitolino; e così Alessandro Severo, come scrive Lampridio; e Orione, come scrive Partenio negli Erotici, assicurò l'isola d'Elice dalle fiere, mediante la caccia grande che diede loro.
Per questo è scritto anco nella Cantica: "capite vulpes parvulas quae demoliuntur vineas, essendo necessario dar la caccia ad alcuni animali come a volpi, cinghiari, lupi e altri che non fanno se non male; a questo fine Meleagro uccise il cinghiale che ruinava la Calidonia.
Descrive la caccia benissimo Angelo Poliziano in quella stanza:
Spargesi tutta la bella campagna,
Altri a le reti, altri a la via più stretta,
Chi serba in copia i can, chi gli scompagna,
Chi già il suo ammette, ch'il richiama e alletta

[da stanze per la giostra, I, 29]
Nella caccia poi s'adoprano i cani, i bracchi, i levrieri, l'armi da caccia, i spedi, i spuntoni, le reti, le trappole, il facione, le copole, i collari, i lasci [guizagli], i corni da caccia; facendo le ramate, tendendo i lacci e le reti, stando saldo a quelle, sciogliendo i bracchi, tenendo i cani a lascio, cercando l'orme delle fiere, borrendo quelle, incontrandole, seguendole, cacciandole, ferendole, prendendole vive, uccidendole, dando l'interiora a' cani, togliendo su le reti, chiamando i cani, zuffolando, suonando il corno, tornando a casa gridando.
E chi vuol veder di questa materia più a longo, legga Conrado Heresbachio, De venatione, e Giacobo Phouilloux, non molto in lingua francese stampato [La venerie, Poitier, 1560].
Gli uccellatori in particolare tengono della loro origine obligo a Ulisse, che fu il primo che dopo la presa di troia portò in grecia uccelli armati e ammaestrati alla caccia, acciò fussero come una consolazione di novo piacere a quelli che sentivano i danni de' parenti morti. Non volle però che Telemaco, suo figliuolo, s'impacciasse in questo essercizio.
S'uccella poi con reti o con vischio o con uccelli.
Alle reti s'appertengono le maglie e gli anelli, le corde, l'armatura, le ballanzuole, le saccole, le stagge, il cavalletto; e così c'è la rete da uccelli grossi o minuti, la ragnuola, la pantiera, i lacci, e la rete da tratta coi richiami, il boschetto, il capannetto; e poi il covolo con la cantarella e il quagliaruolo; e appresso il copertore con il can da rete.
dall'altro canto c'è il vischio, o da sole o da acqua, i cannoni, le panie, la civetta con la crociola sua, e la folietta e'l zuffolo e'l carniere e'l boschetto, ove intervengono molte azioni, finché, fatta la tesa, si prendono gli uccelli e si portano a casa.
Dall'altro canto si fa avanti lo sparviero co' getti, il gettaruolo, lo sguinzalio, la lunga, i sonagli, le bracchette, il capelletto; e poi il guanto dell'uccellatore, il carniere, l'udrio, il bastone, il can da uccello, e il ronzino.
Ove si spiglia lo sparviero, s'acciglia, si disciglia, si fornisce, si porta in pugno, se li tocca la coda, si getta l'uccello in piede, si chiama al pugno o all'udrio, se gli dà da mangiare, s'incapella, si discapella, si pone in istanga, si mette in mut, si cava di muta; si pone il guanto, si mette a a cavallo, si chiama il cane, si getta lo sparviere che segue l'uccello di brocca e, con un volo o più, lo piglia e torna a casa.
Quasi l'istesso avviene con falconi, con astorri, con smerli e altri uccelli da rapina, de' quali tratta il bellone francese nel 2 libro De avibus [Pierre Belon detto Bellonius autore, in francese, dell'opera da cui estrapola dati il Garzoni: L'histoire de la nature des oyseaux, G. Corrozet, Parigi, 1555].
All' ultimo [in questo suo Discorso scrive il Garzoni] gli PESCATORI ci si fanno incontro onoratamente, perché lo STUDIO DEL PESCARE [vedi] fu già tanto in pregio e onore presso a' Romani che, a guisa di semenza in terra, seminavano nel mare italiano i pesci forastieri, portandogli con le navi di lontanissimi paesi [Bisognerebbe scorrere l'intero DIGESTO GIUSTINIANEO per evincere notizie concernenti i vari aspetti dell'attività della pesca: basti comunque qui menzionare due rubriche del I LIBRO in cui si registrano dati sugli SPAZI LECITI DI PESCA IN PROSSIMITA' DELLA RIVA MARINA ed ancora sul fatto che fosse legittimo per i PESCATORI ERIGERE CAPANNI SULLA RIVA DEL MARE onde ricoverarsi e custodire la propria attrezzatura]
Oltra di ciò con spese intolerabili edificaron PESCHIERE E VIVAI pieni di preziosissimi pesci, dai quali finalmente molte famiglie romane trassero cognomi: come Licini, Mureni, Sergi e Orazi.
Per questo M. Tullio [Cicerone] chiamò Lucio Filippo e Ortensio piscinarii, cioè "dalle peschiere".
Plinio narra a proposito che Sergio Orata fu il primo che trovò i vivari dalle ostreghe, e Licinio Murena trovò poi l'altre peschiere.
Marco varrone scrive che catone Uticense, lasciato erede da Lucullo, vendè un'infinità di pesci alla peschiera sua.
Una gran cosa si legge di Caio Irtio, inventore de' vivari dalle murene, che nelle cene trionfali di cesare dittatore ne diede a peso fino a sei mila [vedi Plinio in nat. Hist., IX, 55, 171].
Vedio Pollione fu tanto studioso delle peschiere che soleva uccidere i suoi servi e dargli a devorare ai pesci, perché diventassero più delicati.
Ortensio oratore ebbe ancor lui cura dei vivari, e amò cotanto una murena che, essendo morta, molti giorni come attratto la pianse.
E Antonia di Druso n'amò tanto una che li messe le perle che all'orecchie portava, impazzendo del suo amore.
Fra' pescatori antichi son nominati Diti da Stazio, ed Erminio da Sillio nel quinto libro.
Leggesi a proposito che Augusto soleva pescar con l'amo; e Svetonio scrive che Nerone pescò con una rete d'oro e con le corde tessute di porpora e di cocco.
Di quest'arte della pesca scrissero fra gli antichi Ceclo argivo, Numenio eracleote, Pancrazio arcadico, Possidonio corinzio, Oppiano cilice, Seleuco, figliuol di Tarseo, e Leonida bisanzio, per testimonio d'Ateneo nel I libro al capitolo quinto.
All'ultimo la pesca si fornisce con nasse, nassolini, reti, ami, fossine [fiocine], sardi, rastelli e pasta.
Or tanto basti.
Annotazione sopra il LIX discorso
Posson notarsi alquante cose de' cacciatori in celio Rodigino, al 14 libro e c. 20 delle sue Antiche lezioni, oltra le predette. E così nel libro De' secreti dell'Uvechero a carte 307; sì come anco degli uccellatori a carte 345; e de' pescatori a carte 336.
De' cacciatori massimamente può notarsi qualche cosa in Giovanni Tomaso Frigio a carte 210 e 297 [delle Variarum lectionum libri, XII, 15 e XVII, 2 parimenti dedicati alla pesca]. Della caccia ha composto un libro [il Cinegeticon] Senofonte, oltre quello che ne dice nella Cyropedia.