cultura barocca
Si noti come il Liceti, rispondendo al quesito aprosiano (riga XV dall'alto di pag. 749) sulla ragione per cui Vulcano indossi un elmo o casco, aderisca -anche a livello vulcanologico e sismico- alla "teoria fuochista", cioè del fuoco sotterraneo del Mundus Subterraneus del grande Athanasius Kircher: teoria peraltro concordante con i dogmi e la cosmogonia della Chiesa Cattolica [ (esemplare volume digitalizzato da Biblioteca Privata) Inf. di Bartolomeo Ezio Durante ] DAL GIOVANE APROSIO DETTO "IL FILOSOFO" ALL' APROSIO MATURO, "IL VENTIMIGLIA", CELEBRE NON SOLO COME BIBLIOFILO MA PURE QUALE COLLEZIONISTA DI REPERTI ANTIQUARI ROMANI E NON SOLO: DALLA SCOPERTA DELLA TOPOGRAFIA DI ALBINTIMILIUM AL COLLEZIONISMO ANTIQUARIO: ANALIZZA QUI I CASI DELLA "MONETA/MEDAGLIA DI DIDONE" E DELLA "LUCERNA DEL DIO VULCANO" = INTEGRA IL TEMA CON LA DISSERTAZIONE SUL DE LUCERNIS DI FORTUNIO LICETI E SULLA POLEMICA LICETI (LICETO)/ARESI (ARESE) SULLE LAMPADE ETERNE - LUCERNE ETERNE

Qui comunque si possono vedere i reperti rintracciati per via documentaria cartacea della raccolta museale di Aprosio che certamente sarà stata arricchita col passare degli anni valutando pure la continuità dei rapporti coi suoi interlocutori collezionisti e, per esemplificare, leggendo qui i
contatti epistolari pressoché sconosciuti quanto di rilievo intrattenuti in merito alle Rune nordiche ed ai reperti di quell'areale con il grande Ole Worm.
Di fatto, e si sono citati i fatti in assenza di un catalogo aprosiano dell'oggettistica antiquaria da lui accorpata alla Biblioteca, non sarà mai passibile stabilire la portata di quanto assemblato in Ventimiglia presso la Biblioteca Aprosiana (penso a tutti sia chiaro quanto un'oggettistica sia più predabile di volumi ponderosi, peraldro poco "spendibili" specie in rapporto ad alcuni tipi di "predatori" di cui si legge subiti dopo qui = comunque qualcosa -come detto- si è individuata e chissà che vagliando altre opere e la stessa corrispondenza aprosiana non si possano elencare "altri pezzi di valore" quali 1 - la moneta effigiante Didone registrata da Thomas Bartholin e quindi ancora 2 - nel contesto della letteratura complessissima e non priva di esoterismo sulle lucerne degli antichi ed in particolare sui loro segreti e sulle "lampade perenni" si veda qui -da una corrispondenza tra "il Ventimiglia" e Fortunio Liceti il giudizio richiesto da Aprosio sulla lucerna poi detta "del Dio Vulcano" e quindi la risposta del celebre Liceti al pari della missiva aprosiana edita nella sua opera De Lucernis..." (analizzane anche le riproduzioni inviate al Liceti trasformate in stampe: vedi qui la numero 1 e quindi la numero 2).
[A prescindere dal fatto che soprattutto durante il soggiorno veneziano la fama di Aprosio quale bibliofilo e letterato interagisse con quello di raccoglitore di oggetti antiquari non è data solo da quanto in particolare ne scrisse T. Bartholin ma da altri segnali ancora come l'amicizia con e l'interesse con Giacomo Filippo Tomasini (da metà p. 140) e per le sue ricerche epigrafiche sin a riprodurne del materiale entro le sue opere senza dimenticare nel quadro più generale del collezionismo un fatto particolare attestante la nomea aprosiana raggiunta in campo europeo che cioè il Reggente di Francia Cardinale Giulio Mazzarino inviò anche presso l'Aprosio il suo bibliotecario Gabriel Naude' onde raccogliere dati per l'erezione d'una nuova Biblioteca a Parigi la "Mazzarina"].
Fatte queste precisazioni -in particolare a riguardo dei problemi che pure il Liceti si trovò ad affrontare- val ora la pena di proseguire le riflessioni in merito ai suoi rapporti con l'Aprosio dal momento che, fuor di polemiche scientifiche e piuttosto soffermandosi sulla tipologia degli oggetti, l'agostiniano ventimigliese non evita di parlare della Lucerna del Dio Vulcano scrivendo al Liceti la sua lettera da Bologna in data 28 maggio 1647 = egli, ritornando alla lettera sopra citata (riassumatone qui alcuni proemiali contenuti) scrive: [premesso che Liceti, conosciuto personalmente "il Ventimiglia", gli aveva fatto sapere che se fosse entrato in possesso d'una qualche lucerna gli avrebbe fatto piacere vederla per inserirla nel suo lavoro, appunto sulle Lucerne segrete degli Antichi, Aprosio gli comunica di averne avuta ora una di metallo, variamente ornata di icone verosimilmente destinate a significarne la valenza al punto che il frate gli invia un'immagine della stessa, anzi due dell'una e dell'altra faccia sì da averne una qualche spiegazione ] " E' formata a guisa di Conchiglia marina inserita sul capo di un Delfino che con la coda pare avvolgerla. Dal lato posteriore sta seduto su una sorta di coperchio un uomo nudo con in testa un casco od un elmo di cuoio: egli ha poi una tracolla che parte dall'omero destro sino al petto ed al dorso terminando quindi sul lato sinistro del corpo, con attaccata una certa qual borsa, come di cacciatore. Mentre sta seduto l'uomo con entrambe le mani agita un mantice, con cui sembra voler dar vita ad una fiamma, dacché il terminale del mantice, donde esce l'aria, quasi arriva a toccare l'estremità del lucignolo -----Alla sua sinistra l'uomo seduto ha poi una tenaglia da fabbro ed un martello e quindi alla destra come un pezzo di ferro grezzo. Io non riesco a comprendere cosa vogliano dire tutte queste cose. Sono però certo che tu, la cui erudizione non ha pari in Europa, sarai in grado di penetrare i segreti di siffatta figura. E così sperando che possa far tua questa occasione di adornare una Sparta " [nel senso di cosa misteriosa come la scomparsa grande città greca] " di siffatta maniera grazie a quattro gocce del tuo immortale inchiostro pongo fine a questa mia. Bologna, 28 Maggio 1647 "
La risposta del Liceti è invero minuziosa e sembra davvero superflua la citazione finale di pagina 752 qui tradotta: " Queste sono le cose, Chiarissimo Aprosio, che mi son venute alla mente per la spiegazione della tua antica lucerna bella non meno di quanto sia misteriosa. Tu valuta quelle cose per quanto di buono vi sono e amami sempre. Darò alla posta a Padova dal mio Museo il quarto dì dalle Idi di Giugno del 1647 ": Liceti non ha avuto dubbi, con enorme varietà di citazioni erudite, a parlare di una Lucerna effigiante il Dio Vulcano, giovane e nudo, connesso ai suoi misteri sia mitologici che fisologici per giungere poi a soffermarsi su argomenti fisici e chimici connessi ai quattro elementi aria, terra, fuoco e acqua.
Un fatto resta ancora evidente, come sia pervenuta ad Aprosio la Lucerna, un Aprosio soggiornante a Bologna laddove poi Liceti nel libro VI "In cui delle più antiche Lucerne, e nuovamente di Padova, si propone una spiegazione in merito agli antichi riti e alle storie occulte" elenca sì la Lucerna del Dio Vulcano senza suggerire però alcuna idea - nemmeno su vasta scala- della provenienza, del luogo del rinvenimento od anche del dono fatto ad Aprosio, che peraltro come si vede nella lettera è parco di dati e notizie (in teoria avrebbe potuto possedere da tempo l'oggetto ed esser refrattario ad indicarne la provenienza, dal Veneto come da altri luoghi od ancora dallo stesso luogo natale: sembra quasi a leggere che Aprosio si decida, in un momento per lui non semplice, ad accondiscendere il Liceti, magari procurandogli informazioni e dati prima per varie motivazioni non forniti: tutto è possibile, ma tutto è costituito da ipotesi; unica certezza il possesso aprosiano del prezioso manufatto romano) = quindi non pare facile dare né una logistica né una tempistica al momento esatto in cui Aprosio entra o è entrato in possesso della citata Lucerna e del resto è questo l'anno successivo alla pubblicazione della prima parte dello Scudo di Rinaldo (1646) caratterizzato da una serie di vicissitudini e da rapporti complessi con il mondo delle letterate per le dispute femminismo/antifemminismo ma anche da viaggi per prediche e contatti vari in terre anche straniere
per poi
tornare a Venezia ma subito doverne ripartire alla volta di Bologna, sede di un lungo soggiorno, in un continuo interagire con amicizie di ogni sorta -anche come contraltare agli eccessi generati dal polemismo antidonnesco- con letterati ma pure antiquari, senza calcolare le escursioni personali alla ricerca di luoghi nuovi e mai visti.
[Del resto mutatis mutandis e quindi in parziale alternativa a quanto scritto sopra - detto che ancora nel XIX secolo come qui si legge a Ventimiglia e circondario -sulla scorta dell'ottocentesco Navone- come in ogni parte d'Italia non era raro che i contadini trovassero reperti antichi, monete, lucerne, oggettistica varia e, data l'assenza di leggi specifiche sulle competenze in merito, neppure era reato vendere queste "anticaglie" ai turisti - nei secoli precedenti a maggior ragione, a patto di non impegnarsi nell'acquisizione di grandiosi reperti o di voler raccogliere il "massimo delle estravagantie", come ci insegna la lettura del seicentesco Museo Cospiano.... non solo era abbastanza semplice creare senza grossi oneri finanziari raccolte importanti di monete e medaglie ma anche di bassi rilevi sacri e profani (vedi qui l'elenco del libro IV) ma nemmeno risultava troppo costoso sia per le guerre recenti che per le esumazioni di antiche necropoli nemmeno era arduo raccogliere armi di vario tipo (vedi libro III): pur non disponendo di grandi risorse Aprosio era pur sempre un erudito accreditato, un religoso e non mancava di conoscenze (basti pensare ai suoi rapporti con il Museo milanese di Manfredo Settala frequentato, ammirato e studiato grazie all'amicizia personale con Carlo Settala, fratello di Manfredo, e vescovo di Tortona) da cui poteva esser favorito di qualche omaggio antiquario: e poi "il Ventimiglia" viaggiava tanto e non evitata di frequentare la gente umile, quella che trovava reperti che non comprendeva e che sottoponeva alla sua esperta attenzione: come non pensare che nelle tante frequentazioni con persone umili,comuni ed inseperte che gli sottoponevano oggetti rinvenuti e temuti come stranezze e diavolerie attesa la sua passione, senza ambizioni di lucro ma per ambizione di sapere e vedere il bello dell'antico, si sia tenuto per la propria raccolta quanto gli altri avrebbero cacciato o distrutto e così, per divagazione erudita, vien da pensare a quel suo viaggio, tra agricoltori e buone donne, lungo la via del Piave od ancora a quella sua spedizione in terra straniera -ad Eben nel Nord Tirolo- tra gente semplicissima, che però trovava e mostrava e donava senza nulla chiedere i reperti di un mondo antico che ignorava e i cui resti altrimenti avrebbe disperso ( già assodato che non sarebbe facile orientarsi tra gli antiquari e/o gli eredi e gli amici degli stessi con cui Aprosio ebbe contatti a titolo puramente casuale e quantomeno cronologico un nome sovviene ed è quello del cognato di Arcangela Tarabotti l'avvocato di Bergamo Jacopo Pighetti (vedi fine pag. 168) e quindi vedi pagina 170 che non solo parteggiò per il frate ventimigliese nel contesto della polemica con la suora veneziana ma che, per quanto economicamente dissennato e spesso indebitato, amava raccogliere antichità romane -lucerne specificatamente- che anche sottopose come qui si legge e vede al giudizio di Fortunio Liceti nel caso di una lucerna di soggetto non erotico ma osceno o tragico a seconda dei punti di vista effigiante -a parere condivisibile dell'esperto antiquario- la pena del rafanismo a scapito di un adultero = data la ritrosia aprosiana a denunciare al Liceti la provenienza della "Lucerna di Vulcano" potrebbe anche essere che sia stato il Pighetti o per quietare l'Aprosio già incaricato nel 1644 di riscuotere il denaro di debiti da lui fatti o per compensare il frate ventimigliese di qualche aiuto economico, magari sotto forma di avallo e o garanzia, colui che gli avesse ceduto l'oggetto antico e raro, motivo ed azione, in effetti, di cui un religioso non poteva vantarsi: ma come detto queste sono ipotesi elaborate entro un contesto estremamente difficile da inquadrare e quindi destinate a rimanere mere supposizioni senza fondamento documentario e pure stravaganze erudite o se vogliamo curiose ipotesi = ipotesi che tuttavia non escludono a priori qualche investigazione magari sull'epistolario aprosiano: cosa ben si sa assai ardua data la mole e l'assenza di lettere pighettiane ad eccezione di una editata come si può vedere da Aprosio stesso ) ]
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Riprendendo il discorso sulla Biblioteca/Museo Aprosiana o se vogliamo "Camera delle Meraviglie" o "Wunderkammer" nonostante le cautele di legge prese contro furti e depredazioni è da dire che ben poco purtroppo è rimasto: nulla dei reperti antiquari e alcuni quadri, piccola parte superstite dell'imponente Quadreria, peraltro encomiabilmente restaurati in tempi recentissimi: qui di seguito si possono visualizzare i tempi distinti della sua parziale spoliazione di materiale cartaceo (con pur minima sopravvivenza della Pinacoteca o "Galleria di Ritratti") e della totale spoliazione dei reperti antiquari romani e non = XVIII secolo: Guerra di Successione al Trono Imperiale d'Austria: occupazione austro-sabauda del Convento di S. Agostino e della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (notte tra il 13 e il 14 gennaio 1748 = la Battaglia di S. Agostino tra Convento e Biblioteca: i saccheggi di libri, quadri, raccolte antiquarie e numismatiche); altra spoliazione sotto Napoleone I per centralizzare la cultura a Genova vedi qui in dettaglio l'operazione Prospero Semino/-i a scapito del materiale della Biblioteca Aprosiana

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