Informatizzazione di Bartolomeo Durante: nell'immagine LETTERA DI CAMBIO Bruges-Barcellona Prato, Archivio di Stato, Datini, 1145, Compagnia Giovanni Orlandini a compagnia Francesco di Marco Datini, 15.11.1399










L'organizzazione della produzione e del commercio come li conosciamo oggi non sono per nulla una invenzione dell'ultimo secolo, avendo invece radici lontane nel tempo. Possiamo dire, senza essere smentiti, che molti aspetti odierni sono presenti e iniziano ad diffondersi già nel Basso Medioevo, in pratica nel periodo preindustriale che va dal XIV al XVI secolo. Sono infatti le pratiche di quel tempo che andranno ad influenzare poi i meccanismi e i metodi produttivi e commerciali dell'Europa occidentale del XVIII secolo.
Il periodo che stiamo prendendo in considerazione, generalmente un po’ dimenticato, è invece importante perché vede per l'ultima volta l'Italia in una posizione di dominio economico su tutto il mondo. Sono, infatti, i mercanti italiani del '300 e '400 a condurre i mercati internazionali delle merci più importanti, loro sono i padroni dei traffici e delle rotte commerciali del momento. Un esempio molto significativo è dato dal mercante Francesco di Marco Datini.
Quando si cerca di fare una ricostruzione storica di un'epoca, ci si pone sempre il problema delle fonti sulle quali ci si deve basare. Purtroppo, più ci si allontana nel tempo e più la trattazione ha connotati storici (con diversi livelli di approssimazione) e meno culturali o sociali, viceversa chi si occupa di storia moderna o contemporanea deve considerare le influenze che costume, società e cultura hanno sui processi di formazione delle decisioni e dei fenomeni umani. Questo aspetto è strettamente legato alla quantità di fonti che lo storico può consultare: si passa dalla scarsità delle fonti nel primo caso, all'eccessiva abbondanza dello storico contemporaneo. Se da una parte la scarsità di materiale comporta una difficoltà a tracciare il quadro complessivo, l'eccessiva documentazione richiede una necessaria opera di selezione e questo è soggetto a tutte le influenze di natura personale, culturale, di formazione che non è possibile evitare.
Anche lo studio dei mercanti italiani è basato sui documenti che sono rimasti a disposizione.
Ma purtroppo la scelta è obbligata sui quei pochi mercanti per cui è rimasta ogni sorta di documentazione, dunque preziosissima e unica.
Sul Datini [fine 1300 - inizio 1400] abbiamo una straordinaria quantità di materiale cartaceo, unica nel suo genere. Si tratta di 100 libri contabili e 150.000 lettere commerciali. Una tale ricchezza non è riscontrabile in nessun altro mercante di quel tempo. Ci sono altri nomi di importanti mercanti italiani, la famiglia Medici, il Barbarigo, ma non possiamo affermare che essi siano stati i più influenti personaggi di quel tempo, né possiamo dire che siano stati gli unici grandi imprenditori che la storia abbia conosciuto. Tuttavia, se anche vi siano stati altri nomi degni di nota, la storia non ci ha fornito una documentazione oggettiva, per cui noi ci si basa soltanto sui documenti che si hanno, cercando di estendere considerazioni generali che possano valere a dare una descrizione del modo di fare commercio nel periodo preindustriale.
Questo periodo è conosciuto per la crescente importanza assunta dalle città, che già nel XIII secolo esercitavano una grande forza di attrazione. I contadini del territorio circostante vi affluivano in gran numero, e se la città era invitante e offriva opportunità di lavoro, vi si trasferivano trasformandosi in operai e artigiani. Molti servi rurali ottenevano in questo modo la libertà: “L’aria della città rende liberi”, diceva un proverbio tedesco
. I contadini e gli incaricati dei grandi proprietari si recavano periodicamente nei mercati e nelle fiere cittadine per mettere in vendita il surplus della produzione agricola. La quantità delle derrate stimolava i consumi e consentiva la sopravvivenza di una popolazione urbana più numerosa.
Questo dinamismo riversava a sua volta effetti benefici sulle campagne, stimolando la produzione.
Si verificò così ben presto una più netta divisione tra attività rurali e attività urbane: mentre in precedenza nei poderi e nelle fattorie si fabbricavano gli attrezzi, i vestiti e tutti quei manufatti che servivano ai contadini, ora le attività artigianali si concentravano quasi tutte nella città, acquisendo una più alta specializzazione.
Il livello qualitativo dell'artigianato aumentò considerevolmente. Il settore guida delle manifatture urbane era quello tessile.
Esso richiedeva operazioni complesse (circa una trentina, dall'arrivo della materia prima allo smercio) e aveva una funzione trainante sulla stessa produzione agricola e sull'allevamento: la manifattura della lana incentivava l'allevamento ovino, quello degli altri tessuti stimolava la produzione delle cosiddette «piante industriali» che fornivano le fibre grezze e i colori per le tinture (la diffusione dei campi di guado in Francia e di zafferano in Toscana rispondeva appunto a quest'ultima esigenza).
La specializzazione delle attività artigianali e la tendenza all'organizzazione che era tipica del mondo cittadino, portarono alla formazione associazioni che in Italia presero il nome di Arti o Corporazioni e che riunivano tutti i maestri di un determinato mestiere.
C'erano corporazioni importanti, come quelle dei mercanti e dei tessitori, e corporazioni più umili, anche se indispensabili alla vita della popolazione, come quelle dei calzolai, dei cocchieri, dei cordai.
Il maestro era il proprietario della bottega, degli attrezzi, della materia prima, e dirigeva personalmente i lavoratori.
Questi ultimi si dividevano in operai (socii, cioè compagni di lavoro) e apprendisti (discipuli), reclutati all'età di 10/12 anni e avviati a tirocinio lunghissimo.
Queste associazioni, detenendo l'esclusiva delle attività di loro competenza, controllavano gli orari e le condizioni di lavoro, vietavano la concorrenza tra le varie botteghe, impedivano la pubblicità e qualsiasi iniziativa individuale che mirasse a porre una bottega in una condizione di eccessivo vantaggio rispetto alle altre.
Alcune norme molto severe vietavano le adulterazioni e le frodi: tutelando la clientela si tutelava anche il buon nome dell'Arte.
I maestri eleggevano alcuni sovrintendenti, che in Italia venivano chiamati priori, ai quali spettava il compito di sorvegliare il comportamento dei membri e l'organizzazione delle botteghe.
Le controversie tra i maestri venivano risolte dal tribunale privato dell'Arte.
Gli impiegati nell’industria tessile erano davvero molti: cardatori, follatori, tessitori, filatrici, setai, drappieri e tintori si contavano in centinaia di migliaia e rappresentavano la manodopera industriale più numerosa e organizzata, anche se molti di loro erano soltanto contadini-operai, che dedicavano una parte della loro giornata al lavoro dei campi e la rimanente alla tessitura.
Spesso la lavorazione veniva effettuata a domicilio: gli imprenditori consegnavano la materia prima presso il do­micilio dei lavoranti e passavano poi a ritirare il prodotto semilavorato e finito.
I tessuti erano il prodotto maggiormente commercializzato – più ancora dell’alimento base, il grano - e non c'era paese europeo che non ne producesse.
Alcune regioni erano però più specializzate e rinoma­te di altre.
Nell'industria laniera primeggiava sempre l’Italia: Milano, Co­mo, Bergamo, Pavia, Brescia e Firenze ne erano i centri maggiori.
I due sistemi di produzione - nell'opificio o a domicilio - coesistevano, op­pure si integravano: «A Firenze - ha scritto B. Bennassar - i due sistemi sono complementari. L'Arte della lana, che acquista la lana grezza delle Puglie, della Castiglia, della Borgogna e della Champagne, e la fa lavare, cardare e pettinare nei lavatoi e negli opifici dell'Arte con attrezzi pro­dotti in Lombardia, dà lavoro a 30.000 persone circa, in città e nei din­torni. I Medici, ad esempio hanno i propri opifici dove gli operai sono soggetti a una disciplina severissima e lavorano sorvegliati da capi­ tecnici con orari scanditi dal suono di una campana. La filatura e la tes­situra vengono invece eseguite a domicilio, la filatura principalmente in campagna da manodopera femminile e la tessitura in città da artigiani qualificati. La tintura, infine, per la quale Firenze importa i coloranti migliori e l'allume di Tolfa, torna a essere eseguita nell'opificio. Factory system e domestic system si avvicendano così secondo le fasi della lavorazione. L'organizzazione del lavoro presuppone però un capitalismo già evoluto, tendenzialmente monopolistico, sotto la direzione dei Medici».
L'altro grande centro della produzione tessile erano i Paesi Bassi, e particolarmente la Fiandra.
Si trattava di una produ­zione di altissima qualità, che manteneva intatte le antiche tradizioni cor­porative.
L'attaccamento a queste tradizioni e il rifiuto di ammodernarsi provocò tuttavia seri danni alla produzione di Fiandra, duramente colpita dalla vivace concorrenza inglese.
Ma le trasformazioni, alla lunga, s'im­posero, e 1e guidarono i commercianti di Anversa: una nuova organizzazione di tipo capitalistico fu impiantata nelle campagne e in piccole città, dove le vecchie pastoie dei regolamenti corporativi erano assenti o meno forti.
La nuova produzione, che rilanciò l'industria tessile dei Paesi Bassi, non si basava più su tessuti di alta qualità e quindi costosi; ma su tessuti leggeri e a buon mercato, destinati a un pubblico molto vasto.
L'integra­zione politica dei Paesi Bassi alla Spagna consentiva inoltre un ciclo produttivo integrato su lunga distanza: la lana prodotta dagli allevatori ibe­rici veniva convogliata a Burgos e in altri porti e di lì trasferita nei Paesi Bassi, dove veniva lavorata ed esportata come prodotto finito.
L'Italia era all'avanguardia anche nella produzione della seta.
Il Regno di Napoli produceva grandi quantità di seta grezza che in parte veniva la­vorata sul posto, in parte esportata verso altri centri.
Le più importanti seterie si trovavano a Genova, Firenze, Venezia, Milano, Como, Lucca, dove si producevano tessuti raffinatissimi (come i filati di seta, oro e ar­gento di Milano o i velluti di seta genovesi) richiesti in tutta Europa.
La produzione di seta era notevole anche in Spagna, dove eccellevano gli ar­tigiani moriscos a Granada, Valencia e Toledo, e in Francia, dove la seteria conobbe nel '500 una diffusione rapidissima.
La Francia era anche una grande produttrice di tele, che venivano lavorate soprattutto in ambiente rurale, utilizzando materie prime (canapa e lino), prodotte talvolta dal l'artigiano stesso sui propri campi.
La Germania si specializzò invece nei tessuti di fustagno, che sostituirono quelli di lana, divenuti troppo costosi.
Sono i fiorentini, i veneziani, i genovesi e i milanesi che controllano i traffici commerciali dell'epoca.
Essi si dotavano di strutture per il controllo dei mercati internazionali, per esempio attraverso dei rappresentanti che svolgevano attività di relazioni pubbliche e commerciali in loco.
L'organizzazione della produzione non era come abbiamo già evidenziato la fabbrica accentrata.
Esisteva una sola eccezione con l'Arsenale di Venezia.
La maggior parte della produzione era decentrata o disseminata.
I tre principali settori della produzione agricoltura, manifattura e edilizia erano caratterizzati da questo modo di produrre disseminato.
Se pensiamo al lanificio, le diverse fasi del processo di formazione del prodotto laniero come la tosatura della lana grezza, la filatura, la tessitura, la rifinitura, ecc., fino alla realizzazione del prodotto finito erano come abbiamo già detto sotto la lavorazione e responsabilità di diversi maestri artigiani.
Essi però risultavano essere indipendenti dal produttore-imprenditore e ricevevano una commissione per il lavoro svolto.
Una volta raggiunta la fine del processo produttivo, l'imprenditore si preoccupava di collocare il bene finale sui mercati di vendita.
Questo fanno il Datini, il Barbarigo.
Il sistema della produzione decentrata era utilizzato in tutte le filiere di produzione (per es. la lavorazione del cotone, la produzione di armature).
La tecnologia utilizzata in quel periodo era legata all’assenza dell’energia elettrica.
La forza motrice utilizzata per muovere gli attrezzi meccanici era fondamentalmente quella muscolare.
Il telaio veniva infatti mosso a mano.
Tuttavia per alcune produzioni si utilizza l’energia idraulica, infatti una notevole forza si sprigiona attraverso l’utilizzo dei mulini, soprattutto per quelli ad acqua.
La diffusione del mulino ad acqua, già conosciuto nell’Età Antica, fu un’invenzione importante in quanto risparmiò lavoro umano in un’epoca in cui c’era grande necessità di manodopera ed in cui il numero di schiavi era molto ridotto.
Non fu più necessario macinare cereali con grandi macine mosse dagli uomini o dagli animali, perché bastava a muoverle la forza dell’acqua.
Accanto al mulino ad acqua, dal XII secolo fu introdotto anche il mulino a vento, di origine asiatica e portato in occidente dagli Arabi.
Anche se meno potente del mulino ad acqua, esso si rivelò molto utile dove non vi erano fiumi adatti a muovere le ruote di mulini ad acqua.
I mulini non erano utilizzati solo per macinare i cereali: essi venivano impiegati per altri usi, tra cui la lavorazione dei tessuti, la preparazione della birra, la pigiatura delle olive, la concia delle pelli.
Il prodotto, una volta che raggiungeva il mercato di vendita, veniva scambiato negli appositi locali di proprietà dell’imprenditore.
Questi si avvallava di rappresentanti regionali che potevano concludere i contratti a nome dell’imprenditore stesso.
Essi inoltre operavano anche come approvvigionatori di materie prime.
Si capisce dunque come questi imprenditori riuscivano ad avere una così grande rete commerciale, tanto da potersi presentare un po’ in tutta Europa e pure in oriente.
Il Datini, per esempio, si approvvigionava della miglior lana inglese tramite il suo referente e poi, trasportata la materia grezza a Firenze per la lavorazione, era in grado di esportare il prodotto finito in tutta Europa, dunque anche in Inghilterra, in quanto mercato di consumo finale della lana.
Vi sono tre fondamentali modi di organizzare la produzione e la commercializzazione nei secoli che vanno dal XIV al XVI e sono l’azienda divisa, il sistema di aziende e il sistema con agente commissionario.
AZIENDA DIVISA
Questo tipo di organizzazione prevede l’esistenza di una casa madre nel luogo di produzione e poi tante filiali con salariati nelle varie località di approvvigionamento e vendita.
Dal punto di vista giuridico è una sola struttura, un tutt’uno. Il sistema quindi è rigido, se una filiale ha problemi economici o addirittura fallisce, i creditori si rivalgono sulla casa madre, la quale può avere grossi problemi, a volte tali da andare in crisi e fallire.
Un esempio di questo tipo ci viene dato dai Bardi e dai Peruzzi: la crisi delle loro filiali inglesi portarono al fallimento della casa madre.
SISTEMA DI AZIENDE
E’ il sistema che adotta il Datini.
La sede principale (casa madre) si trova a Prato, ma i suoi rappresentanti sono disseminati in tutta Europa.
Questo fra l’altro ci deve far pensare a come poteva essere il sistema di comunicazione e quanto veloce o lento potevano avvenire i contatti con le varie filiali (un esempio, la distanza da Prato a Bruges era di 20 giorni di cavallo!)
Tenere in piedi una rete così estesa richiedeva una grandissima capacità di controllo e di organizzazione.
C’è un coordinatore e le filiali non sono più alle strette dipendenze della casa madre: in pratica esse sono soltanto legate da vincoli contrattuali.
Oggi parleremo di contratti di fornitura o di agenzia.
E’ chiaro dunque che in questo modo l’organizzazione non è più un'unica entità giuridica, ma un insieme di entità distinte.
La tipica forma giuridica delle imprese dell’epoca si chiamava CONTRATTO DI COMPAGNIA.
Più soci erano legati da una responsabilità di tipo mutualistica e personale nel far fronte ai debiti dell’impresa.
Alcuni soci potevano essere soltanto soci capitalisti, che offrivano soltanto le loro disponibilità finanziarie, altri sono soci amministratori, che prestavano la loro esperienza e capacità imprenditoriali nella conduzione concreta degli affari.
Il sistema di aziende è molto innovativo.
C’è anche un lato negativo.
Il Datini deve avere dei direttori o responsabili regionali nei diversi mercati.
I mercati devono essere fiorenti o comunque dei mercati certi.
Quando, però Valencia, per fare un esempio, non sarà più un buon mercato, il mercante ne subirà i costi organizzativi di mantenimento.
Questo problema viene risolto con il sistema che utilizza l’agente commissionario.
Esempio di sistema di aziende del Datini:
Classificazione per forma:
· due aziende individuali (a Firenze e Prato)
· otto aziende collettive (Avignone, Genova, Pisa, Catalogna - Barcellona, con le filiali di Valenza e Maiorca -, due a Prato e due a Firenze)
Classificazione per tipo di attività:
· sei aziende mercantili (di cui una individuale)
· due aziende industriali (compagnia della Lana e compagnia della Tinta)
· una bancaria
· una domestico-patrimoniale e al contempo mercantile (Prato)
AGENTE COMMISSIONARIO
A Venezia i mercanti utilizzano un sistema che eviti questi problemi attraverso l’utilizzo di agenti commissionari.
L’agente commissionario opera per conto del mercante e riceve una provvigione sulle vendite.
Questo sistema permette una maggior flessibilità.
Quindi nei mercati certi il mercante adotterà il sistema delle aziende divise, mentre nei mercati emergenti o comunque incerti egli utilizzerà l’agente commissionario.
La fiducia era un elemento fondamentale nei rapporti commerciali fra mercanti e quindi era alla base anche nei rapporti con questi agenti.
Chi non rispettava la parola data era tagliato fuori dal mercato.
L'altro aspetto rilevante del risveglio dell'economia urbana dopo il Mille, complementare alla specializzazione delle attività produttive, è quello dell'espansione dei mercati e della valorizzazione delle funzioni di scambio.
Innanzi tutto per quanto riguarda i mercati interni su scala locale e regionale; e poi in riferimento al commercio internazionale a largo raggio, che nell'alto Medioevo non era cessato del tutto ma si era ridotto a proporzioni trascurabili La ripresa delle attività economiche nelle città costituì un potente stimolo alla nascita di più forti gruppi di consumatori di merci pregiate (con particolare riferimento alle spezie orientali e ai tessuti di qualità), al sorgere di una domanda di materie prime destinate alla trasformazione, alla risoluzione dei problemi dell'approvvigionamento alimentare ordinario attraverso reti di scambio consolidate (Venezia, esempio, grazie al monopolio del commercio del sale in Val Padana, poteva agevolmente rifornirsi di derrate agricole e, eventualmente, riesportarle).
Le principali vie marittime dei traffici commerciali furono il Mediterraneo orientale, dominato da Venezia, Pisa, Genova e, inizialmente Amalfi, che controllavano gli scambi delle merci provenienti dall'Estremo Oriente attraverso il Mar Nero, il Golfo Persico, il Mar Rosso; il Baltico e il Mare del Nord dominati dalle città fiamminghe e, successivamente, dalle città tedesche (soprattutto Brema, Amburgo, Stettino, Danzica) che vi si affacciavano, le quali controllavano gli scambi tra Russia e Scandinavia (pellicce, cera, miele, legname e metalli preziosi), Inghilterra (la­na grezza) e Fiandra (tessuti).
MERCATI E FIERE Nel periodo preindustriale i commerci ,anche su grande scala, venivano regolati da FIERE.
Le fiere, veri e propri mercati di scambio, divengono un momento di fondamentale importanza per i commercianti, ai quali, veniva data la possibilità e la certezza di entrare in contatto con una quantità consistente di potenziali acquirenti e/o venditori.
Considerando la scarsità di mezzi di pubblicizzazione per riuscire a raggruppare numeri considerevoli di commercianti, si cercava di cadenzare l’ evento: un esempio puo’ essere la fiera di Padova che si svolgeva 2 volte all’anno (in date precise); diverso invece era il mercato di Venezia (a Rialto) il quale era a cadenza giornaliera.
Diversi storici (la questione è soggetta ancora a discussioni) sostengono che in Olanda i mercanti convenissero giornalmente presso una famiglia, la famiglia De Boerse (dalla quale derivererebbe l’ attuale termine “borsa”), presso la quale si svolgevano contrattazioni e scambi; si sostiene, in oltre, che in questo luogo venissero formati i prezzi di base usati per le contrattazioni.
Le principali vie terrestri dei traffici commerciali correvano sull'asse Sud/Nord dell'Europa: la via che collegava Venezia alla Germania, attra­verso il valico del Brennero; la via che collegava Genova alla Germania, attraverso Milano e le Alpi; la via che collegava Marsiglia al Nord Europa, attraverso la valle del Rodano.
Lungo quest'ultima via fiorirono, nel XII secolo, le sei fiere della Champagne, che per molto tempo costituirono il principale punto d'incontro per gli scambi tra area mediterranea e area baltica.
Lo scambio delle mercanzie avveniva soprattutto in occasione delle fiere, grandi mercati che si svolgevano in città situate sulle vie commerciali.
Nelle principali Fiere (come quelle della Francia nord-orientale) si incontravano mercanti di ogni paese ed in particolare italiani e fiamminghi, provenienti dalle Fiandre.
In queste grandi fiere i mercanti vendevano e compravano prodotti spesso basandosi sol0o su campioni della merce.
I feudatari favorivano le fiere ,riducendo i pedaggi e le tasse,eliminando le restrizioni per i mercanti stranieri,ed assicurando,in caso di controversia una rapida giustizia secondo le consuetudini internazionali.
I signori concedevano queste esenzioni perché ricavavano comunque notevoli guadagni anche dalle tasse molto ridotte che imponevano e si assicuravano inoltre il rifornimento di diversi prodotti,tra cui i beni di lusso.
Accanto alle grandi fiere si svilupparono in Europa fiere e mercati settimanali,che duravano poche ore oppure mensili ed annuali,che potevano durare più giorni,e ai quali si recava la popolazione dei centri vicini.
Nei mercati avveniva l’incontro tra una considerevole quantità di venditori ed acquirenti; inizialmente i prezzi di vendita venivano decisi tramite libera contrattazione tra gli attori, e non si aveva alcun prezzo di riferimento, questo portava a contrattazioni lunghe e a volte poco eque, ed è sicuramente indice di una mancanza di “trasparenza del mercato”; quindi nasce l’ esigenza di creare, per ogni tipologia di prodotto, un prezzo base a cui riferirsi durante la contrattazione; nascono così i mercati di riferimento: i mercati di riferimento erano i mercati in cui confluiva la maggior quantità di domanda e di offerta di un determinato prodotto, e in questi luoghi avveniva la formazione del prezzo di riferimento destinato ad essere usato in tutti gli altri mercati, questo prezzo nasceva in base al livello di domanda e di offerta presenti, ossia, se un bene era molto richiesto (alto livello di domanda) ma poco disponibile (basso livello di offerta) il prezzo tendeva a salire, e viceversa.
Viene così a formarsi una gerarchia tra i mercati.
Sempre maggiore è il bisogno di “trasparenza del mercato” ossia il bisogno di conoscere i prezzi base di riferimento dei prodotti per poter effettuare affari più equi ed efficienti.
A questo proposito diviene necessario avere un’ informazione finanziaria scritta; in questa direzione si muove la borsa di Amsterdam, la quale incomincia ad effettuare rigide analisi di mercato, per poter formare dei listini sui quali evidenziare i prezzi di riferimento dei prodotti, questi listini venivano usati nei giorni successivi la loro formazione e venivano periodicamente aggiornati, in questo modo si riusciva a raggiungere un soddisfacente livello di “trasparenza dei mercati”, cosa molto importante, e non da sottovalutare.
Un altro aspetto che va evidenziato in riferimento ai mercati e alle fiere è la cosiddetta “pace di fiera”; la pace di fiera consiste nel arresto immediato di tutti i conflitti e di tutti i contrasti di carattere bellico in corso, nel luogo, e nelle vicinanze, della manifestazione; le motivazioni che spiegano la pace di fiera sono, come si può ben capire, di ordine economico: assicurando la pace nella zona della manifestazione ci si assicurava un a flusso più considerevole di commercianti, e quindi una maggiore possibilità di lucrare attraverso dazi, pedaggi ecc. e attraverso maggiori scambi all’interno della fiera.
La ripresa dei traffici significò anche ripresa della circolazione mone­taria. La moneta, la cui funzione di scambio si era quasi dissolta durante l'alto Medioevo, tornò a ricoprire un ruolo importante e divenne quasi il simbolo della prosperità urbana.
L'esigenza di disporre di una valuta pre­giata e il rinnovato flusso di scambi con l'Oriente diedero ampia diffu­sione alle monete auree bizantine e arabe; ma anche le città, i sovrani, i grandi signori feudali si orientarono a battere moneta – soprattutto argentea - secondo una linea di sviluppo che vedrà, nella seconda metà del XIII secolo, la nascita del fiorino aureo fiorentino e del ducato d'oro veneziano, che costituiranno la valuta internazionalmente più accreditata del basso Medioevo.
Il mercante assumeva, dunque, un ruolo rilevante nel panorama sociale, contraddistinguendosi come l'elemento più dinamico.
In un’epoca in cui un lungo viaggio era sempre un'avventura, il mercante era metà affarista e metà guerriero: briganti, pirati, signori prepotenti erano tanti possibili nemici che era necessario tener lontani con le armi.
Per questo i convogli di mercanti assomigliavano a vere e proprie spedizioni militari e il lessico del commercio ripeteva termini del lessico bellico: la più importante as­sociazione delle città commerciali tedesche portava un nome, «Hansa», che significava letteralmente “banda o compagnia militare”, mentre per indicare l'inizio di un viaggio si diceva in latino procertari, che vuol dire «ingaggiare una lotta».
I rischi erano proporzionati alle possibilità di ar­ricchimento, e se i mercanti che non facevano più ritorno si contavano a migliaia, quelli che tornavano ricchi erano numerosi, Il commercio, in effetti, era l'unica attività che nel Medioevo offrisse occasioni di un ra­pido arricchimento e quindi di un'improvvisa ascesa sociale.
Il mondo del commercio era quello dove trionfava l'iniziativa indivi­duale, ma era anche quello dove si praticavano le più moderne forme di associazione.
In questo settore, come del resto in tutti i campi, l'Italia medievale fu all'avanguardia.
Molto diffusi erano contratti commerciali denominati COMMENDA, societas maris (chiamati «colleganzia» a Vene­zia), che venivano stipulati quasi sempre in occasione di un unico viaggio.
Una parte era rappresentata dal detentore del capitale (detto stans), l'al­tra dal mercante (chiamato tractor o procertans).
Il primo si assumeva il rischio di tutte le eventuali perdite e otteneva un'alta percentuale dei pro­fitti (dalla metà ai tre quarti), il secondo rischiava la vita e otteneva la rimanente quota degli utili.
Accordi come questi ebbero anche una gran­de importanza sociale: essi offrivano infatti ai proprietari terrieri dotati di grandi mezzi finanziari la possibilità di investimenti redditizi a breve scadenza; a individui intraprendenti e coraggiosi ma privi di mezzi essi offrivano invece l'opportunità di accumulare, con qualche viaggio ben riuscito, una piccola fortuna.
Cominciò a diffondersi, nel XIII secolo, anche l'uso dell'assicurazio­ne: in un primo momento si trattò di accordi in base ai quali un individuo (talvolta uno dei partecipanti alla spedizione) si accollava l'intero rischio dell'operazione commerciale, in cambio di un alto interesse.
Si passò poi a forme più regolari di assicurazione gestite da veri e propri professionisti del ramo, che chiedevano «premi» molto più bassi (tra il 5 e il l0 % del capitale assicurato).
È questa l'epoca in cui rinascono le attività bancarie, anch'esse strettamente collegate a quelle commerciali.
I banchieri ricevevano i depositi dei loro clienti, prestavano il denaro a interesse, investivano nel grande commercio.
Anche in questo campo gli italiani furono all'avanguardia Banchieri come i Lomellini di Genova, i Peruzzi e i Bardi di Firenze operavano praticamente in tutta Europa: oltre alle normali operazioni di credito, condotte in grande stile, questi banchieri utilizzavano strumenti moderni come le LETTERE DI CAMBIO per trasferire i fondi dei clienti e assicurare i pagamenti da piazza a piazza.
I loro più importanti clienti erano i mercanti, ma non mancavano nobili, principi, re e papi.
La politica aveva bisogno di denaro, e i banchieri lo fornivano.
Queste operazioni erano rese possibili da una moltitudine di piccoli e medi risparmiatori che de­positavano il loro denaro presso le banche ricavandone interessi che va­riavano dal 6 al l0 %.
I grandi banchieri erano uomini d'affari interna­zionali, ma erano anche individui profondamente radicati nel tessuto sociale e politico della loro città: per questo stavano attenti a distinguere fra i concittadini e gli stranieri.
Dai primi i banchieri fiorentini pretendevano interessi per i prestiti dal 7 al 15%, ma i secondi erano costretti talv­olta a pagare tassi anche del 30%.
Nelle attività bancarie diviene molto importante la LETTERA DI CAMBIO: una certa somma veniva anticipata dalla compagnia ad un mercante, che la restituiva poi in un altra valuta, in un altro luogo.
In questo modo, quando ci si spostava per commercio, non era necessario portare con sé grandi somme di denaro, perché si poteva ottenere sul posto la somma desiderata: questo diminuiva i rischi dei trasporti.
Poiché la restituzione del denaro era sempre successiva alla sua consegna,la lettera di cambio fu presto utilizzata anche nella concessione dei prestiti.
Alcuni altri aspetti sono fondamentali per capire il quadro generale in cui i mercanti dell’epoca vivevano e vedremo che non sono poi così lontani dai nostri.
La lingua ufficiale internazionale era il latino.
Era la lingua dei dottori della legge, era la lingua dei letterati, ma decisamente in pochi erano a conoscerla.
Era invece usuale mandare il figlio del grande mercante ad imparare il tedesco, il francese (o lingua d’oca) o il fiammingo e poi farlo insediare come traduttore e conduttore delle filiali estere.
In questo modo si evitava di impiegare i traduttori nelle transazioni e quindi una voce in più di costo.
La ripresa del commercio richiedeva come si è detto l’uso della moneta.
Tra il X ed il XII secolo furono coniate monete prima solo d’argento, per permettere il commercio senza dover far ricorso a monete straniere, come il bisante bizantino.
Lo sviluppo del commercio portò anche alla coniazione di monete d’oro: i fiorini di Firenze, i genovini di Genova e i ducati veneziani furono tra le monete che ebbero maggiore diffusione anche fuori dall’Italia.
Il denaro riprese cosi a circolare largamente, favorendo lo sviluppo del commercio e perciò anche dell’artigianato,ma cambiando anche il tipo di tributi: nelle campagne molti tributi in natura furono sostituiti da tributi da versare in denaro,perché i feudatari avevano bisogno di denaro per i loro acquisti e per pagare le truppe al loro servizio.
Per i commercianti era spesso necessario cambiare valuta, cioè le monete di un paese con quelle di un altro,ad esempio il tarì amalfitano con il dinaro arabo, il ducato veneziano con il fiorino di Firenze e così via.
I mercanti si rivolgevano per questo ai cambiavalute,che si occupavano di cambiare le monete di paesi diversi,traendo un piccolo guadagno.
Un’altra figura importante per quell’epoca era l’esperto unità di misura.
Ogni città solitamente aveva un sistema di pesi e misure completamente diversi.
A questo fine, infatti, venivano stampati i manuali di mercatura.
Questo è anche il periodo storico di altri strumenti importanti nella gestione degli affari: gli ausili contabili.
Già sul finire del ‘200 nasce la PARTITA DOPPIA: essa serve a gestire in maniera corretta le varie attività che il mercante aveva in mano.
Importante è il credito.
Esistono fin dal ‘400 strutture bancarie estese in tutto il mondo che mettevano a disposizione degli operatori strumenti quali gli assegni, i conti correnti.
Come accennavamo prima, i mercanti hanno più attività nello stesso momento.
Essi solitamente diversificano la loro attività, evitando di specializzarsi solo in un determinato settore.
Si va dal commercio delle spezie alla produzione di filati o di armi.
Alcune famiglie come i Medici affiancano alla loro struttura produttiva di manufatti, anche una struttura bancaria a sostegno della prima.
Questo necessariamente vuol dire avere un’ampia conoscenza in molti campi (merceologia, contabilità, scienze), senza ovviamente dimenticare la diplomatica e la politica.
Ogni mercante poneva dei sigilli nei propri manufatti.
Un esempio lo dà il Datini.
IL DECLINO
Nell'Europa del ‘500 e del '600 la formazione del capitale dipendeva soprattutto da un'attività di intermediazione su lunga distanza, che consisteva nell'acquisto di merci a basso prezzo e nella loro vendita ad alto prezzo.
Con questo tipo di commercio si erano arricchite Venezia e Genova.
Esclusa dai grandi traffici oceanici, l'Italia fu sopraffatta dalla concorrenza straniera anche nel mare che da secoli era stato dominato dalle navi delle sue città: il Mediterraneo.
Le città italiane cominciarono col perdere il loro antico monopolio nel commercio delle spezie, tra Oriente e Occidente.
Venezia, che da sempre riforniva gli europei di pepe, nel ‘600 fu addirittura costretta ad acquistarlo dagli inglesi e dagli olandesi.
Con il declino del commercio entrano in crisi le attività portuali e le flotte commerciali.
I famosi arsenali della Repubblica veneta, che un tempo erano stati all'avanguardia nelle costruzioni navali, ridussero drastica­mente la loro attività: la città finì per comprare all'estero le navi di cui aveva bisogno, o per noleggiarle (navi fiamminghe, per esempio, trasportavano a Venezia l'olio pugliese).
Particolarmente gravida di conseguenze fu la penetrazione di panni-lana inglesi nel Levante: si trattava di tessuti prodotti dalle industrie rurali inglesi, e quindi di qualità media e di basso costo, con i quali i tessuti italiani, di alta qualità e di alto costo non potevano competere: gli inglesi, si osservava a Venezia ai primi del ‘600, «portano ai turchi gran copia di panni e di carisee che lor danno a buon mercato con pregiuditio molto grande del nostro negotio»; una constatazione analoga fece un nobile fiorentino nel 1668: «di robbe di lana si faceva gran esito, ma gli olandesi hanno d'assai deteriorato lo smaltimento, con le loro pannine».
Successivamente i tessuti stranieri invasero gli stessi mercati della penisola, accelerando la crisi del settore.
I motivi dell'incapacità italiana di fronteggiare la concorrenza stra­niera erano diversi.
I prodotti italiani erano di migliore qualità, ma avevano due difetti: costavano molto ed erano fuori moda.
Costavano molto perché il livello dei salari in Italia era più alto che all'estero: l'organizzazione corporativa consentiva infatti ai lavoratori italiani una maggiore forza nei confronti degli imprenditori.
Erano fuori moda perché le rigide norme delle corporazioni - nate per tutelare gli associati dalla concorrenza reciproca - agivano ormai come freno a qualsiasi innovazione tecnologica o organizzativa e ostacolavano qualsiasi tentativo di ammodernamento.
Ma in quella mancanza di reazione alla concorrenza straniera c’erano anche motivi di carattere più generale.
La debolezza politica e militare dell'Italia fu un aspetto importante di questa crisi economica.
Mentre gli Stati nazionali europei, che avevano raggiunto da tempo l'unità politica ed erano governati da governi centralizzati, si trovavano in condizione di condurre una politica di potenza e di sostenere anche militarmente la loro penetrazione nei mercati continentali ed extraeuropei, gli Stati italiani, deboli militarmente e politicamente, erano costretti a subire l'iniziativa altrui.
La storia del grande commercio connessa a problemi di controllo e di egemonia politica e militare: tanto più essa lo era ora, in un'epoca di diffusione mondiale dei traffici, con interessi giganteschi in gioco.
In tale contesto, anche qualora le città italiane avessero avuto al loro interno la capacità di rinnovarsi e di contrastare efficacemente, sul piano produttivo, la concorrenza straniera ne avrebbero avuto la possibilità: le vie di traffico e gli sbocchi commerciali si difendevano anche con i cannoni e con un peso consistente nello scenario politico internazionale.
Le grandi vicende economiche di quest'epoca possono riassumersi in una bella metafora dello storico francese Fernand Braudel.
Esse furono una corsa tra lepri e tartarughe.
Le lepri (le città italiane) partirono per prime e velocissime, acquisendo, già nel cuore dell’età medievale, un vantaggio enorme.
Il loro raggio d'azione si svolgeva nell'orbita, vasta ma circoscritta, degli spazi mediterranei e continentali.
Le tartarughe (i grandi Stati europei) partirono dopo e lentamente, ma il loro cammino non ebbe battute d’arresto.
Il loro raggio d’azione furono gli spazi oceanici, le dimensioni del mondo, davanti alle quali le lepri, stanche, si fermarono.
BIBLIOGRAFIA
1. Paolo Malanima, “Economia preindustriale: mille anni dal IX al XVII”, Bruno Mondadori editore, 1995 (Milano)
2. Storia Economica Cambridge, Giulio Einaudi editore, 1976 (Torino); volume 4°: L’espansione economica dell’Europa del Cinque e Seicento
3. Carlo M. Cipolla, “Storia economica dell’Europa preindustriale”, Il Mulino, 1997 (Bologna)
4. Sito web: www.istitutodatini.it
5. Appunti sul Corso di storia dell’impresa nel periodo preindustriale del Prof. E.Demo, a.a. 2001/2002 Cà Foscari (Venezia)
[Organizzazione della produzione e del commercio (sec. XIV-XVI) A cura di: Marco Frittajon Georgios Korakakis Massimiliano Gaiatto Manuel Gerardi ]









Nel periodo preindustriale i commerci ,anche su grande scala, venivano regolati da FIERE.
Le fiere, veri e propri mercati di scambio, divengono un momento di fondamentale importanza per i commercianti, ai quali, veniva data la possibilità e la certezza di entrare in contatto con una quantità consistente di potenziali acquirenti e/o venditori.
Considerando la scarsità di mezzi di pubblicizzazione per riuscire a raggruppare numeri considerevoli di commercianti, si cercava di cadenzare l’ evento: un esempio puo’ essere la fiera di Padova che si svolgeva 2 volte all’anno (in date precise); diverso invece era il mercato di Venezia (a Rialto) il quale era a cadenza giornaliera.
Diversi storici (la questione è soggetta ancora a discussioni) sostengono che in Olanda i mercanti convenissero giornalmente presso una famiglia, la famiglia De Boerse (dalla quale derivererebbe l’ attuale termine BORSA), presso la quale si svolgevano contrattazioni e scambi; si sostiene, in oltre, che in questo luogo venissero formati i prezzi di base usati per le contrattazioni.
Nei mercati avveniva l’incontro tra una considerevole quantità di venditori ed acquirenti; inizialmente i prezzi di vendita venivano decisi tramite libera contrattazione tra gli attori, e non si aveva alcun prezzo di riferimento, questo portava a contrattazioni lunghe e a volte poco eque, ed è sicuramente indice di una mancanza di “trasparenza del mercato”; quindi nasce l’ esigenza di creare, per ogni tipologia di prodotto, un prezzo base a cui riferirsi durante la contrattazione; nascono così i mercati di riferimento: i mercati di riferimento erano i mercati in cui confluiva la maggior quantità di domanda e di offerta di un determinato prodotto, e in questi luoghi avveniva la formazione del prezzo di riferimento destinato ad essere usato in tutti gli altri mercati, questo prezzo nasceva in base al livello di domanda e di offerta presenti, ossia, se un bene era molto richiesto (alto livello di domanda) ma poco disponibile (basso livello di offerta) il prezzo tendeva a salire, e viceversa.
Viene così a formarsi una gerarchia tra i mercati.
Sempre maggiore è il bisogno di “trasparenza del mercato” ossia il bisogno di conoscere i prezzi base di riferimento dei prodotti per poter effettuare affari più equi ed efficienti.
A questo proposito diviene necessario avere un’ informazione finanziaria scritta; in questa direzione si muove la borsa di Amsterdam, la quale incomincia ad effettuare rigide analisi di mercato, per poter formare dei listini sui quali evidenziare i prezzi di riferimento dei prodotti, questi listini venivano usati nei giorni successivi la loro formazione e venivano periodicamente aggiornati, in questo modo si riusciva a raggiungere un soddisfacente livello di “trasparenza dei mercati”, cosa molto importante, e non da sottovalutare.
Un altro aspetto che va evidenziato in riferimento ai mercati e alle fiere è la cosiddetta “pace di fiera”; la pace di fiera consiste nel arresto immediato di tutti i conflitti e di tutti i contrasti di carattere bellico in corso, nel luogo, e nelle vicinanze, della manifestazione; le motivazioni che spiegano la pace di fiera sono, come si può ben capire, di ordine economico: assicurando la pace nella zona della manifestazione ci si assicurava un a flusso più considerevole di commercianti, e quindi una maggiore possibilità di lucrare attraverso dazi, pedaggi ecc. e attraverso maggiori scambi all’interno della fiera.









SAUMAISE (De), Claude (1588-1653?).
1376 - De usuris.
DE / VSVRIS / LIBER, / CLAVDIO SALMASIO / auctore. / [Marca tipografica] / LVGD. BATAVOR. / Ex Officina Elseviriorum. / [Linea tipografica] / MDCXXXVIII.
. - Leida: Ex officina Elzevier, 1638. - [56], 686, [71] p.; 8º (16 cm.).
Frontespizio in rosso e nero, marca tipografica.
Testate e iniziali decorate.
Unica edizione attestata.
L'opera, stampata dalla tipografia della celebre famiglia Elzevier, esce nel momento di massima attività della casa sotto Bonaventura (1583-1652) e Abraham (1592-1652), rispettivamente figlio e nipote del capostipite Lodewijk I (1540-1617).
A loro si deve la pubblicazione della serie dei classici latini in piccolo formato, che molto giovarono alla diffusione della cultura, e le monografie geografiche note con il nome di repubbliche, che - essendo dedicate a diversi paesi - costituiscono un quadro molto rappresentativo dell'economia politica del sec. XVII (vedi in questo catalogo D.Giannotti, De republica venetorum).
Le edizioni elzeviriane in 8º come questa e in 12º sono caratterizzate da un carattere latino a stampa dall'occhio molto piccolo, che si vuole disegnato da Christoffel van Dyck.
1382 - De commerciis et cambio.
SIGISMVNDI / SCACCIÆ / IVRISCONS. ROMANI / Tractatus / DE COMMERCIIS, ET CAMBIO. / In quo non minus opportunè, quàm iuxta occasionem copiosè tractatur de mora, interesse, vsura, / solemnitate scripturæ, asse in pondere, & valore, de moneta, solutionibus, oblatione, deposito, / præscriptionibus, compensationibus, iurium cessionibus, delegationibus, adiudicatione / nominis debitoris, hypotheca, adiecto, manifestatione, cessione bonorum, legi-/timatione personarum, curatore dando hæreditati, & de modo / procedendi in causis cambiorum. / AD SANCTISS. VIRGINEM MARIAM / MATREM DEI. / [Vignetta] / ROMAE, Sumptibus Andreæ Brugiotti. / [Linea tipografica] / Ex Typographia Iacobi Mascardi. MDCXIX. / [Linea tipografica] / SVPERIORVM PERMISSV.
. - Roma: A. Brugiotti, 1619. - [6], 756, [123] p.; folio (32, 5 cm.).
Testo su due colonne.
Frontespizio in rosso e nero.
Vignetta incisa con la Madonna e il Bambino al frontespizio.
Testate, finalini e iniziali decorate.
La vita dell'A. è documentata nel 1620.
Prima edizione di quest'opera alla quale è particolarmente legata la fama del giureconsulto genovese Sigismondo Scaccia, considerato uno dei fondatori del moderno diritto commerciale le cui opere ebbero tutte grande diffusione in Italia ed all'estero.
Questo lavoro, di notevole interesse per lo studio giuridico del fenomeno monetario, è particolarmente rappresentativo del periodo storico in cui è stato realizzato ed è certamente la più significativa fra le opere scientifiche dello Scaccia.
La prima quaestio è dedicata anche all'assicurazione.
492 - Tractatus de cambiis.
TRACTATVS / DE CAMBIIS / AVCTORE / RAPHAELE DE TVRRI. / [Colophon] GENVÆ, Excudebat Petrus Ioannes Calenzanus. / Superiorum permissu. M DC XXXXI.
. - Genova: P.G. Calenzano, 1641. - [16], 563, 16, [108] p.; folio (34 cm.).
Testo su due colonne.
Testate, iniziali decorate, fregi a chiusa e antiporta allegorica a piena pagina (che funge da frontespizio) incisa da Cornelio Bloemaert su disegno di Gregorio Del Grasso.
La data di nascita dell'A. si ricava dall'antiporta che lo raffigura all'età di 62 anni.
Contiene: Capitoli et ordini delle Fere di Besenzone che si fanno al presente nella città di Piacenza, con paginazione autonoma [p. 16].
Prima edizione attestata.
In quest'opera - che procurò grande fama al suo autore - Della Torre si occupa sostanzialmente del cambium nundinale e cioè di quello praticato alle fiere.
Il trattato è diviso in tre disputationes, suddivise a loro volta in quæstiones, nelle quali vengono presi in esame il contratto e la lettera di cambio e il cambio con ricorsa, con frequenti riferimenti all'usura.
La trattazione è arricchita da molti esempi pratici e da richiami alle consuetudini dei mercanti e agli statuti delle fiere e da 31 decisioni della Rota romana annotate dall'A.